26. Non ho la sindrome della crocerossina

Pov Michele

"È quella delle borse?" mi chiese lei, d'un tratto tutta seria.

Deglutii.

Porca miseria.

"Rispondi" continuò lei, serissima.

"La richiamerò dopo" azzardai io.

Non volevo che sentisse la voce di Ilaria.

"No no, rispondi adesso" mi ordinò.

Indugiai.
Non potevo farlo.
Sicuramente si sarebbe messa a piangere al telefono perché non la chiamavo da un po'.

Lei fu più svelta di me e cliccò sull'icona verde.
Il telefono era collegato al bluetooth e la sua voce in lacrime risuonò per tutto l'abitacolo.

Merda.

"Tesoro" disse tra i singhiozzi. "Ho saputo che ti sposi".

Porca merda, imprecai di nuovo.

"Sì" riuscii a rispondere, strozzato.

Ero in trappola, avevo la mia scopamica che piangeva al telefono e Sara che mi guardava serissima mentre rispondevo.

Ma perché dovevo essere sempre così coglione?

"Ecco perché non ti sei più fatto sentire" disse con voce triste. "Io ti ho aspettato tanto, stiamo insieme da cinque anni".

"Non stiamo insieme, Ilaria" provai a giustificarmi mentre guardavo Sara seduta al mio fianco che aveva sgranato gli occhi a quell'affermazione, probabilmente incredula di tutta quella situazione.

Mi stava piantando in faccia quegli occhioni e mi sentivo come se mi stesse scavando dentro con un bisturi.

"Ma tu mi avevi detto che non ti saresti mai fidanzato con nessuna, che io ero perfetta e ti sono sempre stata fedele per cinque anni, tu mi hai tradita" continuò Ilaria, sospirando.

Perché diamine parlavo così tanto dopo aver scopato?

"Non è tradimento se non stiamo insieme" azzardai mentre sentivo quegli smeraldi bruciarmi vivo.

Non ne sarei uscito tutto intero, pensai.

"Tesoro, qualche mese fa mi hai detto che non ti saresti mai sposato ma che se lo avessi fatto lo avresti fatto con me, io già sognavo il vestito bianco" disse, scoppiando a piangere di nuovo.

"Non credo di aver mai detto una cosa del genere" sospirai frustrato.

"Sì che l'hai detto, era a novembre e avevamo fatto l'amore quattro volte come piace a te".

Oh cazzo.

Mi sarei voluto sotterrare, sperai che si aprisse una voragine e mi inghiottisse all'istante.

Non volevo che lei sapesse che diamine facevo a letto con un'altra.
Non volevo che pensasse che fossi un maiale.

E poi se avevo detto una cosa del genere era perché non ne potevo più di quella situazione in cui io andavo da lei e lei mi cacciava.
Ero solamente frustrato, diamine.
Probabilmente l'avevo detto per attuare una sorta di ribellione contro il destino che aveva scelto nonno per me.

"Perché ti sposi con un'altra? Non sono stata abbastanza brava?
Ti ho fatto troppe domande?
Sono sempre stata in silenzio, discreta e ordinata come piace a te.
E poi da quanto va avanti?
Scommetto che l'altra è una puttanella, che ti tradisce come non io non ho mai fatto" disse lei, velenosa, mentre Sara mi guardava disgustata a ogni singola parola che era amplificata dalle casse dell'abitacolo.

Sbattei la mano sul volante.
Questo era troppo.

"Ilaria, stai zitta, non è una puttanella e non ti azzardare mai più a parlare di lei".

"Ti piace lei quindi. Chi è?" chiese di nuovo con quella vocina piagnucolante che faceva ogni volta.

"Non sono affari tuoi" sbottai.

Il solo pensiero che Ilaria parlasse di lei mi faceva venire la nausea.

"Ci possiamo vedere per parlarne dal vivo, almeno?" mi chiese, singhiozzando.

"No" e riattaccai il telefono.

Sentii le sue mani farmi un applauso. "Bravo. Complimenti. Bel lavoro" e mi guardò disgustata.

Ero fottuto.
Un uomo morto. 

"Sara, no, non è come pensi" cercai di giustificarmi.

"La trasparenza è il tuo forte, vedo.
Sei abituato a tenere il piede in due staffe.
Se lei non lo avesse scoperto, avresti continuato ad andarci?" mi accusò.

"No! Assolutamente no" gridai.

Non la vedevo da quattro cazzo di mesi.

"È questo il modo in cui tratti le donne?" mi disse con disprezzo.

"Te l'ho detto ieri in macchina..." iniziai a dire, sperando che comprendesse.

"Ah sì, tutto quel discorsetto del cazzo sul controllo.
Un conto è dirmi che vuoi il controllo su tutto, un altro è sentire al telefono quanto sei viscido, bugiardo, menefreghista e pure stronzo" disse lei, gelandomi.

"Te lo giuro che non ti farei mai una cosa simile" misi le mani avanti.

"A me forse no, non ti azzarderesti. Anche perché non ti lascerei mai trattarmi così.
Ma il lupo perde il pelo e non il vizio e io non ho nessuna intenzione di avere a che fare con un troglodita del genere, domani potrei essere io al suo posto".

"Gliel'avrei detto che ci saremmo sposati, non la vedo da quattro mesi almeno" dissi, disperato.

"E sei sparito senza neanche dargli una spiegazione?
Dopo cinque anni in cui l'hai letteralmente usata?
Ti stai scavando la fossa da solo.
È meglio che stai zitto, guarda" mi urlò contro.

Dio.

"È abituata a sapere che sparisco" cercai di difendermi.

"E poi ti ripresenti con una borsa costosa per scopartela.
Grande classe.
Ti ripeto, è meglio che stai zitto, stai aggiungendo merda alla tua figura di merda" sibilò.

"Te lo giuro che a lei piace così, ora sta piangendo solo perché ha capito di aver perso il giocattolino" sputai acido.
Che ne sapeva lei del nostro rapporto? Non erano tutte come lei. Anzi, le donne di cui mi ero circondato erano il suo esatto opposto e volevano essere trattate esattamente così, come dei giocattolini, in cambio di roba costosa.

A Ilaria non fregava un cazzo di me.
Fregava dei miei cazzo di soldi.

"Le hai dato false speranze dicendole che l'avresti sposata" sottolineò.

"Non so neanche perché ho detto una stronzata simile, tu non mi volevi e lei era perfetta, ero solo frustrato. Continuavi a cacciarmi via di casa, a non accettare i miei regali e dopo averti visto con quella cazzo di scatola di cioccolatini in mano mi erano girati i coglioni e probabilmente gliel'ho detto in quell'occasione.
Accettavi i regali di quello sfigato e non i miei, ero solo geloso, cazzo." ammisi.

"Era perfetta finché è stata in silenzio? Fai schifo veramente.
Riportami in hotel" disse, girandosi dall'altra parte e sorvolando tutta la parte in cui avevo ammesso che probabilmente mi aveva fatto fuori già a novembre scorso dopo solo poche volte che l'avevo vista.

"No" mi impuntai. "Parliamo".
Stavo perdendo di nuovo tutto dopo neanche due giorni.
Avevo rimesso a posto il casino che avevo fatto con Anaan e ora rispuntava Ilaria.

Appuntai mentalmente che nella prossima vita per evitare certi problemi sarei dovuto andare a puttane, almeno sarei stato coperto dell'anonimato.

"Giuro che se non torni indietro mi butto dalla macchina in corsa" mi minacciò.

"Non ti riporto in hotel" dissi caparbio.

Non avrei mollato così, dannazione.

"Allora lasciami qui, chiamo un taxi" urlò.

"No, risolviamo in qualche modo" ringhiai.

La vidi che fece per aprire la portiera della macchina, la odiavo quando faceva così.
"NO" gridai spaventato. "Va bene ti riporto in hotel; leva la mano da lì, però, Cristo".
Sapevo che l'avrebbe potuto fare, quando era incazzata dava di matto sul serio, attentando anche alla sua sicurezza. Mi era bastato vedere quanto avesse rischiato in quella corsa folle a Natale scorso.

Ero esasperato.
La prossima volta avrei messo la sicura alla macchina.

Per tutto il tragitto chattò al telefono senza degnarmi di uno sguardo nonostante avessi più volte provato a parlarle.

Benché mi avesse incendiato con gli occhi per tutta la litigata, mi ritrovai a pensare che preferivo di gran lunga essere fulminato sul posto ma essere guardato piuttosto che essere privato di quegli smeraldi.

Pov Sara

Arrivati in hotel, chiamai un taxi per farmi portare in stazione.

Non ne volevo sapere più niente.

"E non provare a seguirmi" sibilai, sentendolo scendere dietro di me.

"Ti prego, possiamo parlare?" mi implorò per la ventesima volta.

Era veramente patetico.
E un bugiardo patentato.

"Abbiamo parlato e ho capito che sei un viscido" appurai, velenosa.

"Mi dici perché la difendi?
Che ti frega di lei?
Con te l'ho mai fatto?" chiese, disperato prendendomi il polso.

Mi scostai di scatto come se mi avesse bruciato.

"Lasciami! E non la sto difendendo, mi fa semplicemente schifo il modo in cui ti rapporti con le donne" dissi, seria.

"Ma te l'ho spiegato che...".

Lo interruppi, era veramente penoso.

"Il discorso sul controllo non è una giustificazione, cazzo.
Tu sei abituato a prendere in giro, corrompere e sottomettere; è diverso dal voler controllare una situazione" sputai acida.

"Te lo giuro che posso cambiare" mi supplicò.

Oddio.

"Non mi interessa, non mi faccio prendere in giro da te e non ho nessuna intenzione di stare con te. Non ho nessuna intenzione di cambiarti né la presunzione di poterlo fare. Grazie a Dio non ho la sindrome della crocerossina" dissi quasi urlando.

"E non seguirmi! E non provare neanche a presentarti da me!" sibilai, minacciandolo e lasciandolo lì, piantato in asso sul parcheggio dell'hotel.

Entrai di corsa sul taxi e non potei fare a meno di guardarlo dallo specchietto retrovisore.

Si era acceso una sigaretta, aveva le mani tra i capelli e stava fissando la macchina, frustrato.

Appena salii sul treno scoppiai a piangere.
Lo odiavo.

Mi ero messa d'accordo con Giulia e sarei andata da lei.
Non avrei retto tutto questo da sola.

Erano stati tre giorni magnifici.
Tre giorni in cui avevo abbassato tutte le difese, in cui mi ero lasciata coccolare, abbracciare, in cui ero stata me stessa ed ero stata davvero bene.
Come se avessi trovato il mio posto nel mondo.
Come se avessi vissuto dentro una bolla ovattata fatta di coccole e parole dolci.
Come se mi avessero trasportato in un mondo incantato fatto di lusso e passione.
Il modo in cui mi prendeva le mani, come mi guardava, come mi stringeva, quanto mi sentivo piccola e protetta tra quelle braccia forti, il modo in cui mi baciava dopo avermi accarezzato il viso.

Era tutto una cazzo di bugia.

Appena ne aveva avuto modo mi aveva distrutto.

Pensai a come aveva parlato a quella lì. Il primo impulso che avevo avuto era stato quello di provare gelosia, mi ero infastidita che lo stesse chiamando pensando che fosse la tipica ragazzina viziata che non accettava un no.

Poi, però, sentendo la chiamata, erano venuti fuori tutti gli altarini.

Era veramente un pezzo di merda.

Lei lo aveva aspettato, fedele, cinque anni e lui nel mentre si era divertito a Dubai e con me e chissà con quante altre, per poi ricomparire con qualche regalino.
Almeno fosse stato sincero. Poteva fare ciò che voleva, non era un problema che fosse andato con altre donne.
Il problema era che non le aveva detto di stare per sposarsi.
Leonardo l'aveva sempre saputo che io avessi anche altre relazioni.
Lei no.
Lui non l'aveva detto a Ilaria, probabilmente per tenersela buona per qualche evenienza, magari presentandosi con una borsetta.

Era questo il suo modo di comportarsi?

Dire a ogni donna paroline carine, portare regali costosi e nel mentre divertirsi con più ragazze?
L'aveva fatto anche con me, realizzai.

Mi aveva detto un mucchio di belle cose che probabilmente erano stronzate, esattamente come aveva detto a lei che l'avrebbe sposata per illuderla.

E a lei, come a me, portava dei regali quando stava dalla parte del torto.

Rabbrividii disgustata, ero una cretina a essermi fatta incastrare in tre giorni.

Dovevo dar retta al mio presentimento iniziale.
Cioè al fatto che fosse uno stronzo, megalomane e arrogante.

Probabilmente traeva piacere nel vedere le donne cascargli ai piedi e io mi ero solamente aggiunta a una lista chissà quanto lunga, ma non avrei prolungato oltre l'umiliazione.

Solo al pensiero mi venne la nausea, io dovevo immaginarle certe cose, professavo il femminismo da una vita, me lo aveva insegnato mia nonna.

Ilaria era stata umiliata per cinque anni, a me tre giorni bastavano.

Come diceva mia nonna capirai un uomo da come tratta le altre donne, e io l'avevo decisamente capito, anche se, forse, troppo tardi.

Gli avevo dato in mano la possibilità di farmi tanto male.
E me l'aveva fatto.

Ero veramente una stupida.
Avevo tutti gli strumenti per capirlo e li avevo ignorati in nome di un attrazione fisica che mi mandava al manicomio.

Aveva ignorato i miei no, aveva preso a pugni un altro ragazzo perché mi scopava nei bagni e non eravamo neanche fidanzati sul serio, mi faceva scenate di gelosia, mi si presentava dietro in ogni occasione invadendo la mia privacy, commentava i miei vestiti dicendo che erano troppo corti.

Come cazzo avevo potuto pensare che avesse potuto funzionare?

Era un dannato maschilista, arrogante, viziato e ricco da fare schifo.
Probabilmente era abituato a comprare tutto con i soldi.

Ci ero cascata perché quel faccino, nonostante appartenesse a un grandissimo stronzo, mi piaceva da morire.
E quel fisico da dio greco mi eccitava senza paragoni.
Non avevo mai provato niente del genere.
Quando mi toccava, andavo letteralmente a fuoco.

Ma non avrei sacrificato la mia dignità per una scopata.
Avevamo un'intesa sessuale praticamente perfetta, ma non ne valeva la pena.

Avrei preso i suoi sporchi soldi per studiare, come una qualsiasi arrampicatrice sociale del cazzo, ma non mi avrebbe mai più trattata in quel modo.
Non avevo intenzione di stare sul serio con un maschilista del genere.

Arrivai da Giulia, in Toscana, e mi buttai tra le sue braccia raccontandole tutto.
Pensai che la solidarietà femminile fosse la cosa più bella del mondo.
Sapere che potevo contare sulle mie amiche mi faceva sentire al sicuro. Con loro potevo essere fragile senza paura che mi ferissero, potevo raccontare tutto senza scorgere una minima traccia di giudizio nella loro voce, sapevo che mi avrebbero compreso e mi avrebbero consigliato ciò che ritenevano più adatto a me senza malizia.
Era un'amicizia pura.
Non avevo bisogno di altro.
Erano la mia famiglia.
Al diavolo i ragazzi.

Il giorno dopo ripartii, avevo un trasloco da fare e non potevo permettere a un po' di tristezza di scombinarmi i piani.

Avevo lasciato il lavoro e avevo trovato una casa a Roma.
Passai la prima settimana di agosto a fare i pacchi con l'umore sotto terra.
Avrei dato qualsiasi cosa pur di avere qualcuno con me; aspettavo con ansia la sera per fare lunghe videochiamate con le mie amiche in cui spesso piangevo, ma almeno non ero da sola.
Sentire le lacrime scendere in solitudine mentre incartavo i pacchi perché il tempo stringeva era desolante. Avrei solo voluto buttarmi sul letto a piangere finché non mi fosse passata, ma non potevo.
Non le avrei mai ringraziate abbastanza, cercavano di consolarmi in ogni modo e di parlare dei gossip, di Roma, del futuro o di come stavano passando il tempo con le loro famiglie pur di non farmi pensare a quella dannata oasi di pace che avevo vissuto al lago.
Però poi la notte, da sola, continuavo a ripensarci.

Per portare giù da sola in macchina tutta la mia roba, dovetti fare la strada cinque volte e forse fu un bene.
In auto non potevo pensare troppo, accendevo la musica, tiravo giù il finestrino per sentire il vento in faccia, cantavo le mie canzoni preferite e dovevo essere concentrata sulla strada.

Diedi l'ultimo addio alla casa in via degli ulivi con le lacrime agli occhi.
Su quel divano aveva dormito lui.
Su quel letto l'avevo legato.
Su quel terrazzo avevamo parlato civilmente la prima volta.
Su quel parcheggio condominiale era nato tutto.

Forse andarmene mi avrebbe fatto bene.
Nella casa nuova non avevo ricordi, avrei fatto tabula rasa.

Mi trasferii a Roma sotto Ferragosto, faceva un caldo estremo e io ero stanchissima, mentalmente e fisicamente.
Passai un'altra settimana sul letto in cui cercavo di leggere, dormire o guardare la TV per non pensare a quei dannati tre giorni dopo la mia laurea.

Realizzai che non avrei potuto vegetare sul letto per sempre, che uno stronzo non mi avrebbe abbattuta così.

Non si era neanche fatto sentire, pensai.

Subito dopo mi risposi mentalmente che era meglio così, non avrei voluto ascoltare la sua voce né le sue stronzate, almeno aveva seguito il mio consiglio di non importunarmi.

Infilai un paio di leggins e una magliettina e decisi di visitare almeno il quartiere in cui abitavo.
Un po' di aria pulita mi avrebbe fatto bene.

Tornai a casa la sera, dopo aver camminato, esplorando tutte le vie, con la musica nelle orecchie. Ammirai per la prima volta l'appartamento.
Aveva un terrazzo enorme che correva su tutto il lato della casa in cui c'era una cucina e un salottino.
La cucina era abbastanza grande e aveva anche un tavolinetto per fare colazione, il salone aveva un bel tavolo grande, un divano spazioso e morbido. Tre stanze da letto matrimoniali e ognuna con un piccolo bagno a disposizione.

Potevo permettermela solo in virtù dei soldi che avrei ereditato fra... quindici giorni, realizzai.

Non sapevo se fossi stata pronta a indossare quel vestito, a vederlo sull'altare, a dire di sì, a fingere sorrisi.

Mi buttai a letto per non pensarci.

Non lo volevo vedere.

Passai i restanti quindici giorni ad andare in giro per la città tra i monumenti, anche se non mi stavo godendo i miei giri panoramici, mi stavo ancora leccando le ferite.
Avevo bisogno di occupare il tempo in ogni modo possibile, perché se mi lasciavo andare, la mia mente correva imbizzarrita a ricordare certe mani, certi sorrisi, certe labbra.
E non potevo.

Pov Michele

Vederla salire su quel taxi era stato come se mi avessero strappato via, senza anestesia, una parte del corpo.
Come se mi fosse mancata improvvisamente la terra sotto i piedi.

Avevo fatto una cazzata.
L'ennesima con lei.

Tornai in stanza e mi buttai sul letto, era come se per tre giorni avessi respirato aria pulita e ora mi trovavo senza ossigeno.

L'aveva difesa, aveva difeso una donna che era tutto il contrario di lei.
Dio, se era un'anima pura.
Ilaria l'aveva accusata di essere una puttanella senza neanche conoscerla e lei mi aveva trattato male perché io ero stato uno stronzo con le altre e in virtù di questo sarei potuto esserlo anche con lei.

Mi veniva da ridere.
Una risata isterica e disperata.

Come se non se ne fosse accorta che non avrei mai fatto niente del genere a lei.

Stavo letteralmente sotto a un treno quando la vedevo, quando mi parlava, quando mi toccava.

Se mi avessero detto che per farla vivere le servivano i miei organi probabilmente mi sarei fatto aprire senza neanche l'anestesia, avrei dato tutto.

In un anno mi aveva messo ko, prima fisicamente e poi mentalmente.

Mi aveva fatto perdere tutte le certezze che avevo, mi aveva privato del controllo, mi aveva fatto fare cose che non avrei nemmeno sfiorato con il pensiero se non fosse per lei e, come ricompensa, mi aveva annientato.

Mi ero pure aperto con lei, le avevo parlato del mio problema con il controllo e di come me lo facesse perdere.

Mi ero messo così tanto a nudo da toccarla, baciarla e fare anche altro in pubblico.

Avevo persino sentito la voglia di andare oltre i miei limiti sessuali e mi era piaciuto da matti.

Non le avevo posto limiti, aveva urlato, mi aveva toccato, io l'avevo toccata come non avevo fatto con nessuna, avevamo la luce accesa e io l'avevo ammirata senza disagio.

Non lo capiva?
Non lo capiva che se me lo avesse chiesto le avrei portato la luna?

Avrei scalato l'Everest a mani nude se mi avessero detto che serviva a farle credere che era importante.

Ilaria non era lei, Ilaria voleva i miei soldi, voleva le borsette, voleva un ragazzo figo di cui si sarebbe potuta vantare, fantasticava sul matrimonio perché voleva solo avere il definitivo controllo dei miei soldi.
Forse era pure vero che mi era stata fedele, ma non per un merito, non amava molto fare certe cose, era abbastanza cinica e l'amore non le interessava granché.

Avevo bisogno di un po' di tempo per riprendermi, quei tre giorni erano stati i più belli della mia vita e in mezz'ora si erano trasformati in un incubo.

Riordinai i pensieri e decisi di tornare ad Amsterdam, anche lei forse aveva bisogno di stare un po' da sola.

Passai quindici giorni da incubo, in cui o non dormivo o la sognavo.
Avevo delle occhiaie che facevano impressione e spesso la sera abbondavo un po' con l'alcool.
Se non anestetizzavo con il rum, o il whisky, e un pacchetto di sigarette a serata non riuscivo a concludere niente.
Al lavoro riuscivo a staccare la mente, ma appena rientravo a casa era un incubo.
Prima o poi sarei finito in ospedale.
Mi rendevo conto che stavo esagerando, stavo portando il mio corpo al limite e prima o poi ne avrei pagato le conseguenze.

Fra quindici giorni mi sarei sposato.

Eppure non era il giorno stupendo che pensavo sarebbe stato.

I primi di settembre tornai giù, avevo fatto rimettere in funzione la villa e andai a dormire lì, non volevo stare dai miei.
Era perfetta e mi ritrovai a immaginare come sarebbe stato starci con lei.
Immaginarla girare mezza nuda per la casa mi fece male.
Probabilmente non si sarebbe mai avverato.

Aveva cambiato casa, era a Roma, a pochi chilometri da me e io non conoscevo la nuova via.

Mi ritrovai a vagare per le vie del centro a piedi e in macchina per vedere se l'avessi incontrata.
Anche solo vederla di sfuggita mi avrebbe fatto stare meglio.
O forse mi avrebbe dato il colpo di grazia decisivo per finire nel baratro.

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