20. Sono un uomo, non un pupazzo

Pov Michele

Mi si buttò di nuovo fra le braccia e ricominciammo il loop infinito di baci.

Eravamo andati avanti così tutto il pomeriggio, tra un po' di chiacchiere e sessioni lunghissime di baci appassionati.

Le avevo chiesto se avessi potuto leggere la sua tesi.
La presi in mano e sorrisi del fatto che fosse rosa.
Non avrei mai immaginato che si potesse fare, io ero un tipo più classico, le mie erano blu alla triennale e rossa alla magistrale.

Ci eravamo spostati sul divano e ce l'avevo sopra di nuovo.
Per baciarmi meglio si spostò per l'ennesima volta, muovendosi sensuale e morbidissima sulla mia patta, e sentii una scossa veramente pericolosa questa volta.
Avevo tirato la corda troppo a lungo e stavo per venire come un coglione sul divano senza che lei mi avesse toccato.

La staccai da me dicendo:
"Non ho mai pomiciato così tanto, neanche da ragazzino" e mi diressi in bagno.

Probabilmente il rigonfiamento era abbastanza eloquente e lei, fissandomi sotto la cintura, mi disse, languida:

"Hai bisogno di una mano, Michele?".

La guardai scioccato per quel doppio senso e sentii un'altra scossa là sotto. 
Sarei crepato prima o poi.

"Credo proprio che me la caverò da solo" dissi, con voce strozzata, chiudendomi dentro.

"Usciamo da qui, sennò rischio di andare fuori di testa.
Prendiamo un pezzo di torta?" le proposi, appena uscito dal bagno.

In pasticceria tirai fuori dal taschino una busta e le dissi di aprirla, era il suo regalo.
Prima ancora di aprirlo mi baciò di nuovo.
"Sai di panna" mugolai.
La vidi prendere in bocca un cucchiaio del dolce che aveva scelto e si avvicinò di nuovo per baciarmi, appena sfiorammo le labbra sentii il dolce ancora nella sua bocca.

Oddio, era meglio di ciò che potessi immaginare. Le nostre lingue giocarono intorno al pan di spagna con la panna e la crema.

Non ero sicuro di essere venuto o meno, ma sentivo le mutande un po' bagnate e decisamente strette.

Si staccò e deglutii, ero stravolto, non avrei mai pensato di poter fare una cosa simile in pubblico. Io che, in pubblico, mi rifiutavo persino di dare un bacio sulle labbra e che pomiciavo a malapena con la lingua in camera da letto.

"Non credo di essere più in grado di mangiare un dolce in maniera diversa" disse lei, leccandosi un residuo di panna sul labbro superiore.

Ero senza fiato.

Tutto quello che avevo fatto finora era niente se confrontato a quello che provavo.

"Dio, tu mi vuoi uccidere, oggi" mi ritrovai a dire con voce strozzata.

Sorrise e aprì la busta.

Pov Sara

Ci eravamo baciati tutto il giorno, senza sosta, come due ragazzini delle medie in preda agli ormoni al primo appuntamento.

Lui era al limite ma anche io non scherzavo, era uno degli uomini più virili e carismatici che avessi mai incontrato e, quando mi metteva le mani sui fianchi e mi chiamava bimba, rischiavo di cedere ogni volta.

Adoravo il modo in cui mi baciava, come prima cosa metteva una mano sul mio viso, mi lasciava una carezza e poi vagava sulle altre parti del corpo.

Era come se volesse dirmi che prima di tutto mi rispettava, mi avrebbe coccolata e poi avrebbe dato libero sfogo alla sua fantasia.

Era una premura che non aveva mai avuto nessuno.

In pasticceria mi consegnò il suo regalo, lo aprii e su un foglio c'era scritto con grafia sicura ed elegante:

"Istruzioni per fare la valigia:
gita al lago di Garda, visita al Vittoriale, outfit comodo per stare in macchina e costume. Gira il foglio".

Lo girai a bocca aperta e vidi la prenotazione per una visita in solitaria.

Alzai lo sguardo su di lui.
"Hai prenotato tutta la mattina il Vittoriale solo per noi due?".

Non avevo parole per descrivere quello che stavo provando.
Mi sembrava un sogno.

Mi accarezzò la guancia e mi scostò una ciocca di capelli dal viso.
"Te l'ho detto che le cose le faccio per bene, bimba".

Gli gettai le braccia al collo e gli sussurrai:
"Non so come ringraziarti".

Ero commossa.
Nessuno mi aveva mai trattata così.
Mi sentivo una specie di principessa.

Lo sentii accarezzarmi i capelli e mi sussurrò:
"Questo è già più di quanto potessi immaginare".

Perché avevamo aspettato così tanto per lasciarci andare?
Eravamo due cretini.
In nome di chissà quale orgoglio ci eravamo privati di tutto questo per mesi.

Ringraziai mia nonna per averlo messo sul mio cammino.
Se non fosse stato per lei non ci saremmo incontrati mai, appartenevamo a due mondi troppo diversi per trovarci.

Tornammo a casa e come prima cosa iniziai ad aprire l'armadio.

Lui mi guardava, appoggiato allo stipite della porta.

"Che cosa ci si mette per andare al lago a fine luglio?".
Non avevo neanche le mie amiche a cui chiedere.
Poi lo guardai e incrociai le braccia.
"Non si dà così poco preavviso a una donna per fare la valigia" lo rimproverai.

Si mise a ridere e mi disse che mi avrebbe lasciata sola, doveva fare una telefonata.

Lo sentii allontanarsi e parlare in tedesco al telefono.

Come outfit comodo per la macchina optai per dei pantaloncini di jeans, una canottiera rosa corta e le converse.

Per una gita al lago scelsi un set coordinato di gonnellina e crop top lilla, sempre con le converse.

Poi vidi nell'armadio un vestitino con uno scollo molto profondo sulla schiena, aveva solo dei laccetti, attillato sul busto e con la gonna svasata che mi rimaneva abbastanza corta.

L'avevo comprato online e quando mi era arrivato avevo realizzato che, nonostante fossi bassina, avevo le gambe decisamente lunghe e la minigonna era davvero mini su di me.

Lo infilai in valigia senza pensarci, al Vittoriale eravamo solo noi due tanto.

Come costume inserii un bikini rosso con le catenelle al posto dei laccetti sulla mutande abbastanza sgambate.

Presi l'intimo e il beauty-case

Poi decisi che avrei portato anche delle scarpe con il tacco per sicurezza.

Infilai un pigiamino coordinato e chiusi la valigia.

"Hai già fatto?" mi disse lui, prendendomi alla sprovvista.

"Sì" poi aggiunsi "se esci mi metto il pigiama".
Richiuse la porta e mi tolsi i pantaloni e la maglietta, infilai un paio di pantaloncini verdi di seta e una canottierina a spalline piccole coordinata.

Non ero riuscita a sfilare la scarpa sinistra, ogni volta odiavo quei dannati cinturini.

Aprii la porta e lo trovai in piedi sul corridoio.

"Me lo slacci?" dissi, indicando la scarpa.

Alzò un angolo della bocca e mi disse: "Una volta mi hai urlato di non toccarti quando ti ho aiutato".

Lo vidi abbassare un ginocchio a terra e chinarsi di fronte a me, con un tocco delicato slacciò il cinturino e indugiò un po' sulla caviglia dicendomi:
"Perché continui a mettertele se non sai toglierle?".

Vederlo dall'alto verso il basso mi eccitava quindi decisi di giocare sporco. Abbassai le ciglia e lo guardai seducente, replicando:
"Perché mi piace vederti in questa posizione".

Si rese conto che la cosa era abbastanza equivoca e che aveva una carica di passione decisamente potente. Avrebbe potuto risalire con le mani sulle gambe e darmi piacere da lì, in quella posizione, con la lingua.

Lo immaginai mentre infilava la testa tra le mie cosce e le strinsi involontariamente, mi stavo bagnando.

In un secondo lo sentii afferrarmi le gambe e mettendomi di peso sulla sua spalla mi sdraiò sul letto e mi venne sopra, catturandomi subito le labbra.

Agganciai le gambe sul suo bacino, lo volevo sentire, e gli infilai le mani tra i capelli, tirandoli.
Lo sentii ringhiare e si staccò.
In un secondo ribaltai le posizioni, gli sfilai la cravatta e mi ritrovai seduta sopra di lui.

"Che vuoi fare?" mi chiese con gli occhi che erano diventati marrone scuro per l'eccitazione.

Prima che se ne accorgesse passai la cravatta tra le sue mani e gliele legai.

"Oddio, ti prego" lo sentii dire con voce strozzata, mi sdraiai sopra di lui che decise di non opporre resistenza, fissai le sue mani alla testata del letto e lo guardai soddisfatta.

Era bellissimo così sotto di me, con la camicia celeste stropicciata, i capelli scompigliati, le mani legate con la sua cravatta e i muscoli delle braccia che si vedevano guizzare dalla camicia.

Non avevo mai fatto una cosa simile.
Vederlo così virile e al tempo stesso così impotente sotto di me mi faceva perdere la testa.
Mi morsi le labbra.

"Perché mi devi sempre torturare così?" mi disse lui, frustrato, ma con la voce decisamente roca ed eccitata.

Mi piegai a baciarlo sulle labbra.
"Mi sembra che ti stia piacendo" dissi, muovendomi sopra di lui.

"Slegami, cazzo".

"Avresti potuto fare resistenza prima" lo punzecchiai io, ondeggiando piano sopra di lui.

"Ti devo toccare" ringhiò.

Mi mossi ancora più decisa sopra i suoi pantaloni.
"Questo non ti basta?".

"Oddio, ti supplico" disse con voce bassa e profonda.

Quella voce era decisamente eccitante.

"Mi supplichi di fare cosa?
Di fermarmi?
Di continuare?
Di andare più veloce?" lo provocai, continuando a muovermi lentamente là sopra, mi sentivo potentissima.

"Cazzo, non lo so" ringhiò, dando uno strattone alla cravatta che lo teneva legato alla testata.

"Non lo sai?" ansimai io, accelerando di poco il ritmo, stavo provando decisamente piacere.

"Bimba, così no" mi supplicò.

Sentii una fitta di piacere al basso ventre.

"Perché no?".

Avevo trovato il ritmo perfetto e avevo tutta l'intenzione di concludere.
Continuai a gemere sempre più forte, guardandolo.

"Sono un uomo, non un pupazzo" mi fece presente lui, frustrato ed eccitatissimo.
Stava ansimando, guardandomi negli occhi.

"Lo sento" dissi io con tutta la malizia del mondo mentre intensificavo i gemiti.

"Mi farai venire così" sbottò, frustrato.

"Sto per venire anche io" dissi, gemendo.

"Oddio".
Lo avevo sentito irrigidire tutta la muscolatura, forse stava cercando di trattenersi.

In quel modo però sentivo ancora di più i suoi muscoli contratti e mi piacevano da morire.

Buttai la testa all'indietro gemendo mentre ondeggiavo su quella protuberanza di marmo, poi mi leccai le labbra e lo guardai.

"Non ti trattenere, vieni per me, vieni insieme a me, Michele".

"Cristo" imprecò, "dillo di nuovo".

"Sto venendo" implorai. "Vieni per me".

"Di il mio nome, cazzo" ringhiò.

Lo ripetei tre volte mentre lo sentivo ansimare, alla quarta volta mi lasciai andare in un orgasmo travolgente mentre lui tirando su le gambe mi fece sdraiare su di lui.

Sentii i suoi pantaloni bagnarsi, macchiando anche i miei.

Mi sdraiai sopra di lui e ansimammo in silenzio per qualche istante.

Non ero mai venuta in quel modo, di solito mi piacevano le cose più concrete.

Eravamo venuti praticamente insieme e non mi succedeva mai.

Non avevo mai avuto una connessione mentale così con qualcuno.

Lo slegai e si alzò di scatto dal letto.

"Che figura di merda" disse, girandosi dall'altra parte.

"Perché?" dissi io, calma.

"Dai, un dodicenne avrebbe avuto più autocontrollo".

"Ma se sei venuto dopo di me" lo tranquillizzai.

"Sì, ma non mi hai nemmeno toccato" disse, mettendosi le mani tra i capelli.

"L'orgasmo è mentale, Michele" asserii io.
"A me è piaciuto, non l'avevo mai fatto".

"Quindi non ti sembro uno sfigato?" cercò conferma.

"Perché dovresti?" ribadii.

L'avevo sentito a disagio sotto di me.
Probabilmente doveva farsi una marea di paranoie sotto quel punto di vista.
E non era palesemente abituato a perdere il controllo. Qualche volta l'ego maschile era proprio insensato, si facevano paranoie inutili.

Mi lasciò un bacio soffice sulle labbra e mi disse:
"Mi sa che ho fatto bene a prendere due stanze separate in hotel. Tu sei pericolosa, bimba.
Buonanotte, domattina partiamo alle sei".

"Buonanotte" dissi, stiracchiandomi.

Cambiai i pantaloncini del pigiama e l'intimo e mi addormentai, appagata.

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