19. Mille baci sono pochi, bimba

Pov Michele

Ci baciammo per qualche minuto e la attirai a me accarezzandole i capelli e il collo mentre con una mano la tenevo per i fianchi.

Le nostre lingue si sfioravano, si rincorrevano e si cercavano senza sosta, era come se conoscessi a memoria i suoi movimenti, avevamo un'intesa pazzesca.

La sentii staccarsi e mi respirò sulle labbra, dicendomi:
"Michele, siamo in pubblico e probabilmente stiamo dando spettacolo".

"E non ti piace?" dissi io, attirandola ancora più vicino a me.

"Dai" mi sussurrò lei con le labbra lucide per i miei baci.

Le diedi solo un bacio a stampo meravigliandomi di come mi stessi trattenendo e le dissi, guardando il rolex:
"Andiamo al ristorante? Ho una prenotazione fra quindici minuti".

"Hai prenotato?" mi guardò lei, commossa.

"Certo, faccio le cose per bene, io" sorrisi.

"Grazie" disse, dandomi di nuovo un bacio a stampo.

"Se continui così annullo, però".

La sentii ridere e sorrisi anche io.

Poi aggiunsi: "Ti dispiace se?" e feci cenno di togliermi la giacca.

Stavo morendo di caldo.

"Fai pure, me la tolgo anche io".

Tolsi la giacca e arrotolai le maniche della camicia, poi l'aiutai a togliersi la sua.

Non era legale laurearsi a luglio, io ero stato più furbo, l'avevo fatto a novembre.

Guardai le spalle lasciate nude da quello scollo a barca e mi leccai le labbra.

Era stupenda. Come avevo fatto a trattenermi tutti quei mesi?

Le feci strada verso il ristorante tenendole la mano, probabilmente stavo sorridendo come un coglione. Ancora non avevo realizzato tutta questa situazione decisamente nuova per me.

Ci sedemmo al tavolo e il cameriere ci portò i menù, avevo chiesto anche una sedia in più per appoggiare i fiori, la tesi e la corona d'alloro.

"Ho voglia di baciarti" le dissi d'un fiato senza accorgermene.

"Siamo al ristorante" esitò lei.

"E non puoi venire qua un secondo?" la implorai.

Già mi mancavano le sue labbra.

"No" mi fece la linguaccia e tornò a scorrere il menù.

Dopo un po' di silenzio le chiesi: "che prendi?".

"Non lo so, sono indecisa, vorrei tutto". Risi della sua trasparenza, tutte le volte che ero a cena con le altre non si sarebbero mai sognate di dire una cosa del genere.

"Menù degustazione?" proposi io.

"Costa troppo" fece una smorfia lei.

Non mi sarei mai abituato al fatto che fossimo su due linee d'onda differenti, sessanta euro non lo avrei definito come costoso.

"È il tuo giorno oggi" le risposi. "E il vino?" le chiesi aprendo la carta dei vini.

"Non ci capisco niente di vini, Michele, so solo che preferisco il bianco al rosso" disse un po' a disagio.

"Mi sorprendi, ti facevo una tipa da rosso".

Era troppo cazzuta per bere del vino bianco, pensai.

Ma al tempo stesso era raffinata, quindi ci poteva stare.

Incarnava perfettamente i due opposti.

"E invece" disse lei, alzando le spalle.

"Forse perché non hai mai provato un buon rosso".

"Probabile" mi diede ragione lei.

"Che cosa ti va?".

"Non lo so, quello che mi avevi portato tu era buonissimo, però".

"Quello era un moscato, è un vino da dolce o da fine pasto".

La vidi arrossire e distogliere lo sguardo. "Potrei averlo bevuto al pranzo di natale" sussurrò "era così dolce, era proprio buono".

Le presi la mano.
"Quindi ti piace un vino più dolce".

Lessi le etichette dei bianchi e optai per uno Chardonnay, era fruttato ma non frizzante, sarebbe stato meglio con la carne.
Ordinai al cameriere e le dissi :
"Un giorno ti spiegherò come scegliere i vini".

E lei mi rispose seducente:
"Oppure no e continuerai a sceglierli per me".

Quella risposta mi aveva spiazzato, non me lo aspettavo da lei, di solito voleva sempre saper fare tutto e ora mi stava dicendo che avrei potuto scegliere io per lei.

E soprattutto, alludeva al fatto che ci sarebbero state altre volte in cui saremmo stati a pranzo fuori.

Poi la sentii aggiungere:
"O forse no e ti chiederò di spiegarmelo più avanti".

"Adesso ti riconosco, bimba" dissi portando la sua mano alla bocca e baciandole l'anellino.

La vidi tentennare e giocai d'astuzia mentre indugiavo con le labbra.
"Ho voglia di baciarti, adesso".

Aprì la bocca e poco dopo, abbassando le ciglia, mi rispose seducente:
"Me l'hai detto tre minuti fa, non riesci ad aspettare?".

"No, voglio passare subito al dessert" mi ritrovai a dire.

Non mi sarei mai sognato di dire una cosa del genere prima di lei.

"E il dessert sarei io?" mi rispose, con voce languida.

Altri tre secondi così e l'avrei costretta a seguirmi al bagno.

"Esatto, sai di caramelle e zucchero filato".
Mi stavo facendo male da solo.

"Questo non me l'aveva detto nessuno" disse, spostandosi i capelli dietro la schiena e facendomi vedere ancora di più quel collo flessuoso.

Stavo per alzarmi e portarla via di peso quando arrivò il cameriere con il vino.

Cazzo, imprecai dentro di me.

Probabilmente lei capì al volo che mi aveva rovinato la festa e, toccandomi la gamba con il suo piede da sotto al tavolo, mi sorrise.

Era perfida.

Subito dopo arrivò l'antipasto.

Adoravo vederla mangiare di gusto, non ne potevo più di tutte quelle finte cene in cui dopo due forchettate mi dicevano di essere piene.

Quando arrivò il secondo, ne prese un po' e lo lasciò sul piatto.
"Dio, sto scoppiando" disse lei guardandomi.

Le feci cenno di darmi il suo piatto, con lei potevo farlo e avevo ancora fame.

"Quindi niente dolce?" le chiesi, speranzoso che mi dicesse di no. Non vedevo l'ora di uscire per baciarla di nuovo.

"Decisamente no" disse lei, scolandosi l'ennesimo bicchiere di vino.

"Non starai bevendo un po' troppo, bimba?" la presi in giro.

"Tanto guidi tu" disse lei alzando le spalle, "e poi è così buono".

Uscimmo dal ristorante e come prima cosa la spostai in un angolo per prenderla di nuovo tra le braccia.

In una mano aveva i fiori e con l'altra si attaccò al mio collo inclinando la testa per entrare ancora di più a contatto.

Stavolta mi staccai io perché non stavo più rispondendo delle mie azioni e le mie mani stavano decisamente vagando troppo sulla sua schiena, in direzione del suo sedere. E, nonostante tutto, avevo ancora un briciolo di pudore.

"Mh, e io che pensavo che una volta dato il primo bacio sarebbe scomparso l'eros" disse, non accennando a spostarsi da me.

"Mi hai sottovalutato, bimba" dissi catturandole di nuovo le labbra.

Mi diede un morsetto leggero che mi mandò una scossa di piacere pericolosa nelle mutande. Era meglio proseguire a casa.

Iniziammo a camminare per tornare nella zona dell'università.

"Dove hai parcheggiato?" mi chiese lei.

"Qua sotto, o mi aspetti qui mentre ti vengo a prendere" poi la guardai e lei mi disse, perplessa:
"Oppure?".

Senza pensarci troppo la sollevai di peso e dissi:
"Oppure ti porto giù io".

Si mise a ridere e mi passò le braccia intorno al collo.

"L'ultima volta ti ho vomitato sulla camicia, sei temerario ad averci riprovato" mi prese in giro.

Ripensai a quella volta a casa sua ad Halloween, sembrava passata una vita.
Già lì ero completamente andando, solo che non volevo ammetterlo.

"Stavolta ti lascio cadere se lo fai" la punzecchiai.

Iniziò a baciarmi la mascella e mi disse maliziosa:
"Sei proprio sicuro che mi lasceresti cadere?".

Oddio quei baci languidi mi stavano mandando in pappa il cervello.

Socchiusi gli occhi e la implorai.

"E quindi mi lasceresti cadere?" mi disse mentre con la lingua mi sfiorava il collo.

Ringhiai per la frustrazione e risposi:
"Ti giuro che se continui a provocarmi così a casa non ci arriviamo".

"Non voglio arrivarci, infatti" disse, continuando a mugolarmi vicino all'orecchio.

Affrettai il passo e arrivai velocemente alla macchina.

Iniziai a baciarla prepotentemente, sentire le sue curve schiacciate fra me e la lamiera della mia auto mi stava facendo impazzire.
Lasciai cadere la giacca sul pavimento del parcheggio e con tutte e due le mani strinsi ancora più vicino a me.

"Sei durissimo" ansimò lei sulle mie labbra.
Avevo il mio membro che le pigiava sul basso ventre.
Mordicchiandole le labbra, la presi per i fianchi e la tirai un po' più su. Era così piccolina nonostante avesse i tacchi, e feci in modo che lo sentisse tutto contro l'interno coscia. Passai a baciarle il collo e le sussurrai all'orecchio:
"Questo è l'effetto che mi fai soltanto con dei baci".

Ansimò abbastanza eloquente e mi resi conto che stavamo pomiciando senza pudore in un parcheggio pubblico.

Mi staccai senza fiato, stavo diventando un ragazzino arrapato.

E neanche da ragazzino avrei mai fatto una cosa simile.

Arrivammo a casa sua e iniziai da dove avevo lasciato.

Non avevamo fatto in tempo ad aprire il portone che già l'avevo fatta girare per baciarcela contro, la volevo.

Alzò leggermente una gamba per metterla dietro alla mia e le circondai la coscia. Dio, mi mandava fuori di testa.

Con un po' di forza la tirai su e le feci avvinghiare le gambe intorno al mio bacino mentre la baciavo contro la porta d'ingresso e lei ansimava sulle mie labbra.

Toccai il suo sedere rotondo e spostandomi la misi a sedere sul tavolo, mi intrufolai tra le sue cosce e ricominciai a baciarla ancora, scendendo sul collo.

Quei gemiti dolci mi mandavano in paradiso.

"Michele" mi chiamò lei.
Mi staccai controvoglia da quel collo e la guardai.
Aveva le labbra gonfissime e gli occhi diventati liquidi per l'eccitazione, anche le guance erano arrossate.
"Sì?".
"Non so se sono pronta a farlo così" mi disse, guardandomi.

"Hai ragione, non dobbiamo correre".

Avevo bisogno di riprendermi, mi staccai da quel corpo statuario e aprii il balcone per prendere una boccata d'aria.

Poco dopo la sentii venirmi vicino.
"Ti ho offeso?".

"No, bimba, hai ragione. Mi devo dare una calmata".

"Non voglio fare le cose di fretta con te, per ora mi piace baciarti" ammise.

"Pure a me piace baciarti".

"L'ho sentito" ammiccò.

Sorrisi e guardandola dissi:
"Abbiamo così tanto tempo che è meglio godersi ogni singola tappa del percorso. Però ogni tanto mi dovrai frenare perché io quando ti sto vicino perdo il senno qualche volta.
Sono tentato di fare tutto e subito per affogare nel piacere, però so che le cose belle vanno godute a piccole dosi, per assaporarle meglio e farle durare di più" mi ritrovai a dirle.

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