17. Mani intrecciate
Pov Sara
Il giorno dopo della telefonata, Francesca mi mandò una foto della sua auto parcheggiata sotto casa mia con scritto: "red hot chili peppers, il ritorno".
Imprecai con la voglia di lanciare il telefono, lo odiavo quando faceva così.
Decisi che l'avrei ignorato e che l'avrei fatto una sentire merda salendo sull'auto di Leonardo.
Così magari avrebbe capito come ci sente a essere umiliati.
Non avevo nessuna intenzione di parlarci, si era comportato malissimo nei confronti.
Le bugie erano una delle poche cose che non sopportavo, insieme all'ipocrisia.
E lui era stato entrambe le cose.
Mi faccio sentire io.
E poi non mi aveva fatto sapere niente.
Non mi interessa dei soldi, ti voglio solo conoscere.
E poi appena avevo detto di sì ed era tutto organizzato, era sparito.
Che stronzo.
E per l'ennesima volta aveva pure l'arroganza di presentarsi sotto casa mia.
Domani avevo un esame e anche se ci eravamo visti in mattinata, avevo voglia di staccare la mente dopo quella nottata assurda e Leonardo era un valido diversivo.
Appena parcheggiai lo vidi uscire dalla macchina con un pacchettino di Vuitton in mano.
Dio, era patetico se pensava di corrompermi così.
Avevo ceduto una volta, due erano troppe.
Notai, mentre me lo porgeva, che aveva una semplice polo blu a mezze maniche.
Ero abituata a vederlo in camicia.
Mi ritrovai a pensare che quelle braccia forti erano sexy e che vestito più casual stesse decisamente bene.
Riuscii a ignorarlo solo per poco, poi mi fece avere un bello scatto d'ira in cui provai a sfregiargli la macchina finché non mi intrappolò tra la fiancata e quel suo corpo decisamente virile.
Per un momento avevo avuto paura di cedere.
Quel corpo statuario faceva pressione sul mio, molto più minuto e rischiai di mandare a puttane l'idea di umiliarlo.
Non credevo che mi facesse così effetto dopo tre mesi.
L'ultima volta non mi ero sentita così.
Probabilmente la lontananza aveva acuito l'attrazione fisica.
Lo odiavo per come mi faceva sentire.
Non dovrei pensare al suo corpo sopra al mio in questo momento.
Poi sentii la macchina di Leonardo e attuai la seconda parte del mio piano, solo che era finito in una scazzottata abbastanza violenta fra i due.
Mi ero sentita decisamente frustrata, ma nonostante mi fossi sempre dichiarata femminista, dopo un primo moto di stizza in cui quei due stavano parlando di me come se non fossi presente, vederli menarsi mi aveva fatto sentire lusingata.
Forse ero una pessima persona e una femminista probabilmente poco credibile, ma la spinta che aveva dato Michele a Leonardo mi aveva fatto provare una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come se mi avesse risvegliato un sentimento primitivo.
Vedere il modo in cui contraeva i bicipiti e il volto scuro dalla rabbia mi aveva elettrizzato.
Era gelosia.
Cazzo, se era gelosia.
Era così geloso che era completamente fuori di testa.
Non mi piaceva troppo la gelosia, le persone non erano oggetti da possedere; consideravo la mascolinità tossica una cosa stupidissima che ripudiavo.
Se un giorno mi avessero detto che due uomini avrebbero fatto a pugni per me, mi sarei innervosita.
Non ero un cazzo di trofeo da vincere con la forza.
Ero in grado di scegliere con chi volessi stare, e non mi sarei gettata automaticamente tra le braccia del più forte.
Vedere quei due darsele di santa ragione, però, contro ogni aspettativa mi stava piacendo.
Dopo il primo momento in cui li avevo guardati mettersi le mani addosso, però, li avevo separati perché mi stavano decisamente iniziando a fare paura e non avrei voluto vederli in ospedale con qualche punto in faccia... soprattutto Leonardo le stava prendendo.
Nonostante questo, però, Leo aveva continuato a punzecchiarlo e non avevo mai visto Michele così tanto fuori di sé.
Quando lo vidi prendere l'auto avevo avuto seriamente paura che lo facesse davvero e probabilmente anche Leonardo, tanto che era risalito sulla sua e stava scappando, ma sapevo che l'avrebbe inseguito e che, a mie spese, quella dannata Bentley non fosse possibile da seminare.
In un microsecondo pensai che se mi fossi messa dietro la sua macchina avrebbe sgommato salendo sul marciapiede pur di inseguirlo, quindi aprii lo sportello e mi misi a sedere a cavalcioni sopra di lui. In quel modo non avrebbe attentato alla mia incolumità partendo, avrebbe perso tempo e magari si sarebbe pure calmato.
Da quella posizione avevamo parlato e avevo cercato di calmarlo, era veramente fuori dai gangheri.
Apprezzai il fatto che, nonostante non fosse lucido, non mi toccò minimamente.
Finché aveva ammesso che era geloso e che non potevo fare niente con nessuno, perché se non lo poteva fare lui non l'avrebbero fatto nemmeno gli altri.
Dopo un primo momento in cui sentii una strana sensazione allo stomaco, vagamente piacevole, gli ribadii piccata che il nostro era un matrimonio finto.
Lui per tutta risposta, mi spostò a sedere sulla sua patta dicendo che quello che sentivo non era finto e che stava facendo una fatica sovrumana per non ribaltarmi sul sedile.
Non mi aspettavo una sfrontatezza del genere e dopo un urletto sorpreso perché, Dio mio, era veramente grosso, ansimai di piacere immaginando che sarebbe stato davvero facile, c'era solo una zip e un perizoma di pizzo a separarci.
Se non avesse fatto lo stronzo a Dubai probabilmente non avrei sentito ragioni e, complice la gonnellina, l'avrei preso in pieno giorno davanti casa mia ma non se lo meritava e per distrarmi da certi pensieri che mi stavano facendo bagnare accettai quella borsetta che mi aveva comprato.
Mettermi in quella posizione si era rivelata un'arma a doppio taglio.
Non pensavo che mi avesse fatto così tanto effetto.
Dio, se era virile.
Mi faceva sentire minuscola.
Ma sapevo che non mi avrebbe fatto niente di male fisicamente.
Nonostante fossi partita con le peggiori intenzioni e con l'idea di non volerlo vedere mai più, i miei piani erano andati a farsi benedire.
Appena lo vedevo scattava una sorta di scintilla che mi faceva prendere fuoco e non riuscivo a stargli veramente lontana.
Andammo al lago e la giornata passò tranquilla, come se non fosse successo niente.
Mi salutò dicendo che domani mi avrebbe aspettata all'uscita dall'esame.
Ero davvero una cretina ma non potevo fare a meno di voler passare un po' di tempo con lui.
Rientrai in casa e trovai quelle due pazze ad aspettarmi.
"Saraaaaa, con te non ci si annoia mai" mi urlarono.
"Giuro che non ho mai visto una scazzottata dal vivo" disse Giulia.
"Come ci si sente a essere l'oggetto di una contesa tra due maschioni?" mi chiese Francesca.
"Leonardo non lo definirei proprio un maschione" commentò Giulia.
No, neanche io avrei definito Leonardo un maschione.
Le aveva prese e mi aveva fatto pena, se non li avessi fermati lo avrebbe mandato in ospedale.
Scoppiai a ridere e dissi:
"Gli ha lasciato un bel livido sullo zigomo, però".
E poi guardando Francy risposi:
"Vuoi la risposta femminista o quella primitiva?".
Lei mi guardò roteando gli occhi:
"quella femminista la immagino, la penserei anche io, non siamo oggetti e bla bla".
Sorrisi.
"Mi ha fatto sentire elettrizzata, era proprio una forza animalesca che avevo dentro.
Mi è piaciuto.
E poi vederlo così incazzato mi ha scatenato una botta di ormoni pazzesca.
Era come se sapessi che mi avrebbe protetta, che avrebbe fatto di tutto per me.
Mi sono sentita minuscola.
E quei muscoli tesi erano decisamente un bel vedere.
Finché non ho avuto paura che si facessero male sul serio" ammisi.
"Se le sono date di santa ragione, quel pazzo lo voleva prendere sotto" commentò Giulia.
"Anche io lo avrei voluto prendere sotto se mi avessero detto che la luce dei miei occhi stava piegata su un lavandino dell'università" lo difese Francesca.
"Non sono la luce dei suoi occhi" bofonchiai.
Anche se da come aveva dato di matto, dovevo essere qualcosa di simile.
"Com'è che ti ha detto quando gli stavi per distruggere la macchina?
Che eri la cosa più importante che aveva" mi pungolò Francesca.
Realizzai che me l'aveva detto e io, troppo stizzita, gli avevo risposto che era un bugiardo e ero andata sculettando da Leonardo.
Non mi potevo lamentare se era fuori di sé.
Mi ero letteralmente buttata tra le braccia del suo rivale.
Com'è che lo chiamava?
Sfigato.
Ero stata veramente una stronzetta ma se lo era meritato.
"Ma tutto quel tempo che gli sei stata a cavalcioni sopra?
L'avete fatto o erano preliminari?" Mi chiese Giulia, ammiccando.
"Saranno stati preliminari, poi si saranno appartati in macchina" rispose sicura Francesca, facendomi l'occhiolino.
"Avete finito tutti di parlare della mia vita sessuale come se non ci fossi?" risposi stizzita.
"E no. Nessuna delle due, siamo andati al lago e non ci siamo nemmeno sfiorati o baciati".
"Mamma mia, Sara, sei una sfigata, quello fa a botte per te e nemmeno ci fai niente".
Gli raccontai di quello che avevo sentito per telefono la sera prima e di come, però, avevo appurato che fosse ben messo sotto la cintura.
Adoravo fare quei gossip.
Mi buttai in doccia, la mattina dovevo essere in università e sperai di non incontrare Leonardo in nessun modo.
Non avevo proprio pianificato di passare la giornata così.
Speravo in una cosa più tranquilla.
La mattina dopo entrai in università togliendo le cuffie, avevo decisamente ansia.
Aspettai il mio turno seduta sulle scale grigie; non avevo legato molto con le altre compagne di corso.
Spesso mi ero sentita giudicata e non avevo intenzione di passare del tempo con delle persone false e poco aperte di mente.
L'esame andò molto bene, avevo finito con il botto.
E non avevo neanche incontrato Leonardo. Non avrei saputo come comportarmi se lo avessi visto. Che gli avrei detto? Che nonostante lui mi avesse sempre trattato benissimo io mi sentivo elettrizzata solo con uno stronzo che non si era fatto sentire per tre mesi e che l'aveva, per giunta, preso a pugni?
Guardai l'orologio, erano le tre e mezza, scesi le scale al settimo cielo, avevo finito ufficialmente gli esami della triennale.
Mi mancava solo la laurea.
All'uscita mi aspettava quella dannata Bentley, sorrisi senza pensarci troppo e mi infilai sul sedile del passeggero.
Se mi avessero detto che mi sarebbe venuto spesso a prendere un milionario con una supercar non ci avrei creduto.
"Come è andata?" chiese lui, diretto.
"Comunque tu non saluti mai" gli feci notare, mettendomi la cintura.
Si tolse gli occhiali da sole scuri, mi guardò negli occhi e disse:
"Okay, riformulo la frase.
Ciao bimba, come è andato l'esame?".
Sorrisi, quel bimba mi faceva sempre uno strano effetto.
"Ciao Michele, è andato molto bene, grazie. Ho chiuso con un trenta e lode".
"Allora puoi aprire quel pacchetto lì" disse indicandomi un regalino incartato sul cruscotto.
Avrebbe mai smesso di farmi regali?
"Che cos'è?" chiesi curiosa prendendolo in mano.
"Aprilo" disse, rimettendosi gli occhiali, probabilmente per coprire il livido.
Lo aprii e vidi degli occhiali da sole sui toni del marroncino, con le lenti allungate da gatta e con il logo LV dorato sulle stanghette.
"Sei completamente pazzo" dissi con la bocca aperta.
Subito dopo sorrisi.
Non ci potevo credere.
"Così hai il completo: cinta, borsa, occhiali" mi rispose alzando le spalle.
Li provai e diamine erano spettacolari, la forma mi donava.
"Stai benissimo" disse, guardandomi e sorridendo.
Parlammo per qualche oretta in un parco, seduti su una panchina all'ombra, finché sentii il suo iPhone squillare.
"Scusami" disse rispondendo, senza fare cenno di allontanarsi.
Lo apprezzai.
Sentii che parlava tedesco e non capii una mezza parola, però.
"Lo so che sono uno stronzo" esordì lui,
"Ma devi andare" finii io.
Stavamo bene a chiacchierare lì. Probabilmente avremmo potuto stare su quella panchina fino a sera e non ce ne saremmo accorti. I nostri botta e risposta ci tenevano l'uno incollato all'altro... era palese ormai che fossimo decisamente in sintonia.
"Devo andare, ma giuro che mi faccio sentire" disse, guardandomi negli occhi.
"Me lo giuri sulla tua macchina?" giocai io.
"Te lo giuro sulla mia macchina, bimba" mi disse, portando una mano sul cuore.
Era inutile che facessi resistenza, era ovvio che mi piacesse da matti. Mi appuntai mentalmente che la prossima volta l'avrei baciato.
Quelle labbra, quei capelli sempre un po' scompigliati perché ci passava sopra le mani virili, quella mascella squadrata e quella leggera barba mi facevano impazzire.
Al diavolo le buone intenzioni.
"Ti riaccompagno a casa".
Nel tragitto lo guardai di soppiatto.
Era sempre vestito impeccabile.
Camicia e pantaloni con la piega.
Solo ieri aveva una polo, ma anche quella era firmatissima.
Il fisico era imponente e il modo in cui teneva la sinistra sul volante mi piaceva, notai il rolex e l'immancabile anello.
A qualche minuto da casa agii d'istinto, stava tamburellando le dita sul cambio e incrociai la mia mano alla sua.
Lo presi alla sprovvista, sussultò, guardò le mani intrecciate ma non disse niente e lo apprezzai, non avrei saputo cosa rispondere.
Lo sentii solo passare il dito sul mio anellino.
Rabbrividii a quel contatto.
Continuai a guardare avanti, godendomi la sensazione della mia mano stretta nella sua.
A casa le lasciammo senza dire una parola.
"Ci vediamo presto" mi salutò lui.
"Buon viaggio" mi limitai a dirgli.
Non avevo più fiato.
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