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Pov Sara
Il Natale era passato in fretta e come regalo Emilia aveva iniziato a camminare, buttando giù tutte le palline dell'albero di Natale, anche a casa di Agnese e Riccardo.
Agnese era impallidita a vedere la sua collezione di palline di porcellana e Swarowski buttate giù senza pietà dal terremoto Emilia.
Aveva detto che anche Michele era stato irrequieto ma che mai aveva avuto l'ardire di aggrapparsi all'albero di Natale.
Bhe, probabilmente la combo dei nostri caratteracci era letale.
Fingere davanti a loro era una tortura, eppure ero convinta che almeno Riccardo se ne fosse accorto o forse gliel'aveva detto lui.
Agnese probabilmente sospettava che ci fosse stato qualche screzio ma non mi aveva detto niente e io non ne avevo accennato.
Facevamo semplicemente finta, conformandoci allo standard borghese che aveva finito per travolgermi e piegarmi.
Dopo quello scambio di battute a cena non avevamo nemmeno fatto finta di parlare.
Semplicemente ci ignoravamo, ed era meglio così.
La Lamborghini era intestata a nome suo, e la usavamo per andare dai suoi.
Salirci con la consapevolezza che non fosse più la mia macchina era strano, ma alla fine mi ci ero abituata.
Era l'ultimo oggetto che mi teneva legata a lui, e liberarmene mi aveva fatto bene.
Anche perché avrebbe anche potuto rinfacciarmela, e io non avevo più intenzione di dargli quel potere in mano.
Io avevo comprato una Citroen usata, bianca.
★······★······★
Davide aveva insistito per portarmi a cena il primo dell'anno, visto che avevo declinato l'invito del giorno prima perché volevo passarlo con Emilia.
Si era persino offerto di venirmi a prendere ma non avevo accettato, anche perché lui aveva solo una moto e non volevo farmi tutto quel tragitto con il freddo di gennaio addosso.
"Sei bellissima" sorrise lui, baciandomi la mano.
"La galanteria cozza con i tatuaggi" scherzai io, ritraendo la mano.
"L'abito non fa il monaco" rispose semplicemente, con un sorriso malizioso.
Risposi al suo sorriso, accomodandomi sulla sedia.
Anche lì ero consapevole di star facendo un casino, ma non ero riuscita a staccarmene.
Sebbene mettessi sempre le mani avanti e chiarissi ogni volta che non volevo una relazione, lui sembrava non capire.
Erano parecchie le sere in cui si presentava al bar in cui uscivo con le mie amiche con i fiori e mi riempiva di regalini e attenzioni.
Lorenzo aveva desistito, capendo che non volevo relazioni.
Il nostro era un semplice caffè tra due genitori single che parlavano dei figli.
Ma Davide era caparbio, e non si era lasciato scalfire dai miei dinieghi.
Francesca aveva asserito che non c'era niente di male a fidanzarsi di nuovo e che, forse, non lo piantavo in asso perché mi piaceva il modo in cui mi coccolava.
Un po' era vero, con lui mi sentivo una donna.
Mi trattava come una ragazza di ventiquattro anni e, nonostante sapesse di mia figlia e che fossi ancora formalmente sposata, non mi faceva pesare quella condizione particolare per l'età che avevo.
A parte qualche battuta su quanto il mio "ex marito" fosse coglione.
Avevo smesso di precisare che non era ex, ancora.
Lo guardai da dietro il bicchiere di rosso e lui mi ricambiò con un occhiata infuocata.
"Perché mi guardi di soppiatto, gattina? Sono la tua preda? Giochiamo al gatto e il topo dopo?" mi pungolò.
Quel fare scanzonato con l'accento romano marcato mi piaceva.
"E tu vuoi essere il gatto o il topo?" decisi di rispondere.
"Non lo so, forse stasera ti lascio il controllo" sogghignò.
"Sei sicuro che potrebbe piacerti?" flirtai.
"Perché sei aggressiva di solito?" disse lui con un sopracciglio alzato.
"Sta a te deciderlo dopo averlo provato" sorrisi.
"Non vedo l'ora" sussurrò.
Gli toccai la gamba da sotto il tavolo con il piede, stuzzicandolo.
"Guarda che ti porto al bagno, e non sarò per niente galante" bofonchiò.
Mi lasciai andare a una risatina sommessa.
Bastava così poco per farli cedere.
Alla fine ci eravamo lasciati andare nella mia macchina, ma non avevo mantenuto la promessa del controllo.
A letto mi piaceva che fossero loro a decidere.
Era l'unico momento in cui mi sarei lasciata sottomettere da un uomo.
"I sedili della Urus erano più spaziosi" bofonchiò, uscendo per tirarsi su i pantaloni.
"Qua è più intimo, però" mugolai, tirando giù la gonna e infilandomi le mutande.
"Se la metti così" sospirò lui, baciandomi sulle labbra con passione.
Subito dopo mi sdraiò di nuovo sul sedile.
"Mi sono appena rivestita" protestai, con le gambe avvinghiate al suo bacino.
Protesta che non ascoltò, e che fu spenta da un gemito sommesso.
Le mutandine erano di nuovo finite sul sedile.
Tornai a casa tardissimo, ma decisamente appagata.
★······★······★
"Emilia ha urlato, piangendo, tutta la sera. Ti cercava".
Queste furono le parole che mi accolsero appena rientrai.
"Potevi chiamarmi" bofonchiai, presa dai sensi di colpa.
"Non volevo rovinarti l'appuntamento" mi rispose stizzito.
"Non fare il bambino, lo sai che se mi avessi detto che mia figlia aveva bisogno di me sarei tornata a casa di corsa" risposi a tono.
"Sì? È mezzanotte e mezza" mi fece notare lui.
"E quindi? Eravamo d'accordo che fossi uscita e che l'avresti messa a letto tu. Non l'ho mica lasciata da sola. Adesso dorme?"
"Sì, dopo aver urlato tutta la sera mamma gioco e mamma nanna, ha ceduto" mi fece presente lui, con un tono più calmo.
"Ho giocato con lei tutto il pomeriggio" mi giustificai.
"Già, ma probabilmente si è abituata a vederci giocare entrambi con lei in queste feste" ipotizzò lui.
Quella consapevolezza mi inchiodò sul posto, facendomi male.
"Bhe, sarà meglio che si disabui in fretta. Non siamo niente noi due" mormorai.
Non sarei stata una di quelle mamme che faceva finta di amare il padre della propria figlia per non farle del male.
Anche perché prima o poi lo sarebbe venuta a sapere e ci sarebbe rimasta peggio.
Anche se con la consapevolezza di aver fatto soffrire mia figlia, mi addormentai male.
★······★······★
Quindici giorni dopo, un martedì sera avevo un incontro con un'autrice per parlare meglio del libro da pubblicare.
Avevo portato Emilia dai nonni appena ripresa dall'asilo ed ero corsa a casa a finire di lavorare e a cambiarmi.
Avviai la macchina, che fece un rumore strano, ma la ignorai.
Qualche chilometro dopo, mi si era fermata malamente in mezzo alla corsia.
Ringraziai che in quelle dannate stradine non passasse nessuno e, con qualche imprecazione, riuscii almeno ad accostarla meglio sul ciglio della strada.
Chiamai subito la ragazza, scusandomi per l'inconveniente e fissando un altro appuntamento.
Odiavo quando mi capitavano quelle cose.
Subito dopo chiamai il carro attrezzi.
Ma mi aveva detto che sarebbe arrivato tra un'ora e mezza almeno, era parecchio distante.
Diamine, erano le otto.
"Davide? Scusami se ti disturbo" iniziai a dire al telefono.
"È successo qualcosa?" si affrettò a dirmi lui.
"Mi si è fermata la macchina e il carroattrezzi arriverà fra un'ora e mezza. Sono letteralmente in mezzo al niente, in campagna. Visto che fai il meccanico, non puoi sollecitare qualcuno per farli arrivare prima?" sussurrai.
"Sicuro chiamo qualcuno, ma intanto vengo a farti compagnia e ti riporto a casa" mi rispose.
Mezz'ora dopo sentii la sua moto rombare sulla strada e si accostò a me.
"È morta proprio?" si preoccupò lui, alzando la leva del cofano.
"Temo di sì, probabilmente è un problema all'impianto elettrico".
"Capisci anche di motori, gattina?" ghignò.
"Già, mi piace smanettarci ogni tanto".
"Sei un sogno" si complimentò, attirandomi vicino a lui. "Soprattutto se mi parli di macchine vestita come una bambolina".
"Che cazzo lampeggi?" ringhiò, staccandosi dalle mie labbra.
Mi venne da ridere e mi girai. Probabilmente era qualcuno che ci aveva scambiati per una coppietta un po' esuberante.
Anche se era buio, quei fanali potevano appartenere solo a una macchina.
E l'egocentrico in questione da aver comprato una macchina pressoché inconfondibile perché rara, era proprio Michele.
Sbuffai appena si avvicinò abbastanza per intravedere anche il rosso fiammeggiante di quella fottuta sportiva.
"È una Bentley?" mi mormorò, all'orecchio, Davide.
"Sara, che cazzo è successo?" mi apostrofò, tirando giù il finestrino.
Imprecai mentalmente.
Doveva fermarsi la macchina mentre lui stava tornando a casa?
"È quel coglione del tuo ex marito, gattina?" sussurrò ancora Davide, credendo di non essere sentito.
"Ancora non sono ex marito. Sono queste le cazzate che racconti in giro, bimba?" mi apostrofò, rispondendo alla battutina di Davide e calcando con cura quel nomignolo.
"Non è la tua bimba" rispose per me.
"E nemmeno la tua gattina" lo rimbeccò, uscendo dall'auto e infilandosi il cappotto.
"Stai parcheggiato contromano, te ne sei accorto?" sibilai.
Mi ignorò, fulminando le mani di Davide sui miei fianchi.
"Emilia?" chiese, scostando il polsino per controllare l'ora sul Rolex, curandosi di far vedere bene l'orologio.
Stava rimarcando il territorio.
"È dai tuoi, dorme lì. Avevo un appuntamento di lavoro ma mi si è fermata la macchina" spiegai.
"Ho notato. Ti devo trainare come ho già fatto una volta, bimba?" sottolineò lui.
"Ho chiamato un carroattrezzi dopo aver controllato i danni" risposi, lapidaria.
"E il bodyguard dietro di te a che ti è servito? Una volta sapevi smanettare sul motore" mi pungolò, osservando tutto il mio corpo.
Sentii un brivido lungo la schiena a quell'occhiata, nonostante il cappottino imbottito che mi avvolgeva.
"Sicuro sa smanettare meglio di te sulle macchine" lo rimbeccò Davide.
"Io le macchine le compro e basta, poi posso pagare qualcuno per metterle a posto" rispose, fulminandolo.
Subito dopo tirò fuori le sigarette, facendo scattare la fiamma dell'accendino color oro.
Quei gesti erano tutti calcolati per far vedere quanto fosse superiore a Davide.
Lo conoscevo abbastanza bene per sapere che quando si atteggiava in quel modo era per ridimensionare e denigrare l'altro, facendolo sentire un inetto.
Ma Davide non mollava. Non si stava facendo intimorire dai soldi e dalla ricchezza che stava ostentando e non accennava a togliermi le mani dai fianchi.
Sentivo proprio gli sguardi di quei due che si stavano incenerendo con gli occhi. E io ero nel mezzo.
Per fortuna arrivò il carroattrezzi.
Non ero pronta a sorbirmi un'altra scazzottata.
E se avessero continuato a pungolarsi così, non sarebbe mancato molto.
Il tizio si avvicinò con il pos per il pagamento.
Prima che potessi frugare nella borsetta, lui aveva già tirato fuori il porcacarte e aveva allungato la carta di credito American Express.
"Michele, no" ribattei, ferma.
"È la macchina con cui porti all'asilo mia figlia, ci mancherebbe" continuò.
"Che cazzo significa? Ci faccio anche le mie cose. La pago io".
Allungò di nuovo la carta.
"Ti ha detto di no, hai sentito?" sibilò Davide.
"Ce la fai a farlo stare zitto, il tuo cagnolino?" sbottò, pagando la transazione.
"E pago anche la riparazione" esordì.
"Cristo, non ci provare" mi staccai da Davide per andargli incontro.
"Consideralo un regalo di Natale in ritardo" si limitò a dirmi.
"Non li voglio i tuoi regali" sibilai.
"Va bhe, me lo riaccrediterai come tuo solito" e si allontanò per farsi dire il prezzo.
"Ma è sempre stato così stronzo?" esordì Davide.
"Mi sa di sì" sputai, guardandolo storto mentre era ancora girato a pagare.
"Come cazzo hai fatto a stare con uno del genere?"
"Non lo so nemmeno io" bofonchiai, offesa.
Anche se la mia coscienza rispose che ero stata con uno stronzo del genere perché lo avevo amato come non avevo mai amato nessuno in vita mia. E forse lo amavo tutt'ora.
"Andiamo a casa" si avvicinò, aprendomi lo sportello.
"Ma non ci penso proprio" mi impuntai.
"Non accetto un no come risposta. Sali" ordinò perentorio.
"Faccio quello che cazzo mi pare, mi riaccompagna Davide".
"Non vi faccio entrare, il cancello si apre solo con la mia macchina e con la tua".
"Sei fuori di testa".
"Non lo faccio entrare a casa mia, è una proprietà privata e ci faccio quello che voglio. Sali" continuò.
"Sei veramente un pezzo di merda, Michele" sibilai.
Poi decisi di punirlo per il modo in cui si stava comportando, e mi girai verso Davide baciandolo con passione.
A quanto pare anche lui aveva capito il piano e mi attirò verso il suo corpo, portandomi una mano sul sedere.
Sorrisi sulle sue labbra, inarcando la schiena e approfondendo il bacio.
Sentivo i suoi sguardi bruciarmi su tutto il corpo, ma gli stava bene. Non erano cazzi suoi.
Michele tossì, sbattendo lo sportello.
Si era innervosito, pensai, gongolando.
"Ci vediamo presto" sussurrai sulle labbra di Davide, con la voce più dolce che potessi tirare fuori.
Salii sul posto del passeggero con il cuore un po' più leggero.
Una ripicca a testa era sufficiente.
"Fai sul serio? Con quel criminale?" sbottò, accendendo la seconda sigaretta.
"Perché non hai visto tutti i tatuaggi" rincarai, ammiccando.
"Da dove l'hai pescato? Da Rebibbia?" sputò acido, stringendo tra le mani il volante.
"Almeno ci sa fare meglio di te" offesi.
"Ah sì? Riesce a scoparti anche nei sedili di quella Citroen del cazzo?"
"Fa le acrobazie, a differenza tua. E poi ha detto che sono così piccolina che mi mette come vuole, tipo una bambolina".
"Se proprio devo stare scomodo, almeno lo faccio su una sportiva da 280k, non su un'utilitaria" sbottò.
"Non si è mai lamentato della scomodità, mi scopa e basta. E il piercing sulla lingua è magico" continuai a dire.
"Sì? Te la lecca bene? Ti chiama gattina perché gli miagoli addosso e fai le fusa?" ringhiò lui.
"Vuoi sapere pure la classifica di chi è più bravo con la lingua? Ti dico solo che non stai al primo posto" offesi.
"E smettila di fumarmi addosso" urlai esasperata, prendendogli la terza sigaretta ancora spenta dalle mani.
La macchina inchiodò sotto di me appena imboccato il vialetto di casa e, con un gesto fulmineo, slacciò la mia cintura di sicurezza e mi trasportò sopra di lui.
Fu talmente veloce che non mi resi neanche conto di essere a cavalcioni sopra di lui, tra i suoi addominali e il volante.
"Che cazzo fai?" urlai.
"Stai zitta" replicò, spingendomi dalla schiena e catturandomi le labbra con urgenza.
Mi stava baciando come se, infilandomi la lingua in bocca, avesse potuto cancellare il bacio che aveva visto poco prima.
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