16. A pugni con lo sfigato

Pov Michele

Mi resi conto che non mi sarei potuto presentare a mani vuote e, senza pensarci troppo, entrai nella boutique di Vuitton e comprai la borsetta bianca abbinata alla cintura che le avevo preso a Natale.

Probabilmente mi avrebbe insultato ma non mi interessava, ero pronto a tutto.

Mi preparai un milione di discorsi ma non me ne convinceva uno.

Avrei iniziato chiedendole scusa?
Avrei dovuto chiamarla prima?

Di solo una cosa ero certo: non me ne sarei andato da quella dannata città finché non avrei rimesso a posto tutto.

Non lo davo a vedere e cercavo di darmi un tono ma avevo un'ansia senza paragoni e probabilmente se non fosse stato per l'autocontrollo saldo che avevo, avrei balbettato come un ragazzino.

Appena imboccai la via di casa sua mi resi conto che avevo le mani sudate e sentivo il cuore che mi batteva contro la cassa toracica.
Se avessi spento la musica l'avrei sentito da fuori.

Mi ero fatto fuori un pacchetto di Marlboro. Di questo passo mi avrebbero ricoverato prima di scendere dalla macchina.

Ma il fumo mi calmava e quelle sigarette non si trovavano a Dubai.

Sperai non fosse troppo incazzata.

Parcheggiai davanti casa sua, la sua macchina non c'era.

Aspettai che tornasse.

Probabilmente era un bene, avevo bisogno di respirare e non sapevo se fossi pronto a rivederla.

Vidi la sua macchinina blu arrivare e appena la intravidi seduta sicura sul posto di guida con gli occhiali da sole ebbi un tuffo al cuore. Dio, era bellissima, come pensavo di poterla dimenticare non sentendola?

Che cazzo avevo fatto?

Parcheggiò a fianco alla mia auto e scesi per parlarle, lei uscì dalla macchina e non mi degnò neanche di uno sguardo.

Probabilmente mi avrebbe fatto meno male se mi avesse dato un calcio nelle palle.

"Sara" la chiamai, sperando di farla girare.
La dovevo guardare in faccia.

Tirò dritta e non mi rispose.

Cristo.

Le presi il polso per farla fermare e, senza togliersi gli occhiali da sole, mi apostrofò dicendomi:
"Lasciami immediatamente".

"Dobbiamo parlare" dissi iniziando a sudare freddo, era decisamente peggio di come immaginassi.

Indicando la busta che avevo in mano mi disse, con una calma disarmante: "Non mi corrompi con un regalo, per chi mi hai preso?
Per le puttane che ti scopi?
Ilaria è più giù".

Cazzo, se era velenosa.

Consapevole di stare dalla parte del torto, ingoiai il rospo, me lo meritavo.

"È solo un pensierino" cercai di dire. "Senti mi dispiace davvero" iniziai a scusarmi.

Tolse la mia mano di scatto dal polso e mi disse tagliente:
"Non ti scusare, tranquillizzati, non annullerò il matrimonio".

"Non era quello il problema" cercai di dire.

E diamine non era quello il cazzo di problema sul serio.
Il problema era che se non mi avesse perdonato mi avrebbero internato al manicomio.
O in ospedale, con una crisi respiratoria a causa del fumo.

Tolse gli occhiali da sole e mi guardò con quegli occhi verdi che mi incenerirono sul posto.

Mi ero dimenticato di quanto fossero penetranti.
E di quanto potessero bruciarmi vivo.

"Senti, non mi prendere per il culo, non sono nata ieri.
Abbiamo organizzato tutto e non abbiamo più niente da dirci, infatti non ci siamo sentiti in questi tre mesi. Puoi tornare esattamente nel posto in cui sei stato fino ad adesso e smettila di importunarmi sotto casa mia, sembri davvero uno stalker" sputò acida.

"Non ti prendo per il culo, e poi non ti sei fatta sentire neanche tu in questi mesi, eh.
Si sparisce in due, cazzo. Avresti anche potuto mandarmi mezzo messaggio tu" tuonai.

Poteva anche farsi sentire lei, dannazione.
Non dovevo essere sempre io a correrle dietro come un cagnolino.
Se io stavo facendo una cazzata, poteva anche fermarmi al posto di indispettirsi.

"Ah, adesso sarebbe colpa mia?" mi urlò contro.
"Mi hai detto che ti saresti fatto sentire tu perché saresti stato impegnato, potevi specificare che fosse un puttantour di lusso a Dubai, la chiarezza è sempre ben accetta".

Disse, sputando veleno con ogni singola parola.

"Sei gelosa, bimba?" ammiccai.

La rabbia la sapevo gestire meglio.

"Non mi chiamare bimba, deficiente. Grazie a Dio non sono come quelle cretine che ti scopi e che credono a ogni singola stronzata che dici. Ho un cervello funzionante, se non te ne fossi accorto. E ho solo rispettato il tuo volere, me l'hai detto tu che ti saresti fatto sentire, o per caso hai lasciato la testa tra le gambe di qualcun'altra e non te lo ricordi più?" urlò.

Sorrisi, aveva ragione Anaan, mi sa che era proprio gelosa, e anche di brutto.

"Che cazzo ridi, cretino?
Mi stai prendendo per il culo?" disse avviandosi incazzata verso la mia macchina.
"Adesso voglio vedere come ridi".

Aprì il suo sportello e cercò di sbatterlo a tutta forza sulla fiancata della mia sportiva.

Feci un balzo felino in avanti prima di vedere una bella strisciata che mi sarebbe costata una fortuna dal meccanico.

Afferrai il suo braccio e la spinsi di forza contro la mia macchina, intrappolandola tra la fiancata e il mio corpo.

"Che cazzo fai?" sibilai appoggiando i gomiti sopra la sua testa.

"Non ridi più?
Ci sarebbe stata bene una bella ammaccatura sulla cosa più preziosa che hai" mi disse, urlandomi in faccia.

Era decisamente venuto fuori il suo caratterino combattivo.

"La cosa più preziosa che ho stava tentando di distruggermi la macchina" dissi, prendendola in contropiede.

"Non ho mai visto un bugiardo tanto sfacciato" mi sibilò in faccia.

Guardai quelle labbra carnose e rosse e fui tentato di baciarla per farla stare zitta, avevo una voglia assurda di sentire il suo sapore.

E quella posizione mi stava mandando fuori di testa nonostante lei mi stesse urlando contro.

Abbassai la guardia e si divincolò da me.

Ringhiai quando non sentii più quel minimo contatto su di me.

"Leo" urlò lei, con vocina dolce.

Quel nome mi risvegliò dai pensieri sporchi che stavo facendo.

Che cazzo c'entrava quello sfigato?

Non era possibile.

Mi girai di scatto e la vidi dirigersi con sensualità verso una schifosissima Citroen grigia topo.

Solo ora realizzai che aveva una gonnelina a pois nera che faceva vedere una porzione abbondante di quelle gambe liscissime e che la magliettina bianca era pericolosamente corta.

Iniziai a vedere sfocato per la rabbia che avevo in questo momento.

Saltai fuori dal parcheggio, non avrei permesso che quel coglione la facesse salire nella sua macchina davanti a me e che me la portasse via così.

E poi il solo pensiero di saperla con quello sfigato vestita in quel mondo mi avrebbe fatto fare qualche cazzata.

"Stai sempre in mezzo alle palle, tu?" esordii in direzione di quell'hippy.

"Quello che sta in mezzo alle palle sei tu" mi rimbeccò lui, urlando.
"Non l'hai capito che non ti vuole?" disse, andando a pungermi sul vivo.

Risposi acido: "E tu non l'hai capito che esce con te solo perché non trova di meglio?".

Come cazzo poteva preferire quell'inetto a me?

"E il meglio saresti tu?
Esce con me da quasi un anno ormai, ci troverà qualcosa di bello".

"Ma se mi ha confessato che si annoia da morire e che ti cerca solo quando il sabato sera non è soddisfatta".
Dalla faccia scioccata che aveva fatto mi sa che avevo affondato una bella stoccata dolorosa.

"Basta" sentii urlare lei.

L'hai voluto tu, bimba, hai deciso tu di farmi ingelosire così.
Se non fossi andata da lui, non starei urlando adesso.

"Che cosa vorresti dire?" mi disse lui, avvicinandosi combattivo.

Rincarai la dose, cattivissimo, ignorando che stavo parlando di lei e che ce l'avevo praticamente davanti:
"Voglio dire che quando la scopi si annoia, me l'ha detto lei.
Nemmeno quello sai fare, sfigato" ghignai con un sorrisetto in volto.

Ammiccò un sorriso nella mia direzione e si avvicinò ancora di più.
Un altro passo e l'avrei picchiato .

"Ah sì?
Eppure sta mattina non sembrava annoiarsi da come gemeva piegata sul lavandino del bagno dell'università. Magari sei solo invidioso perché io posso e tu no?".

"Oh, Signore" la sentii gemere frustrata. "Basta, vi prego".

La guardai e in mezzo secondo me la immaginai esattamente come l'aveva descritta l'inetto davanti a me e persi completamente la testa.

Mi avvicinai e lo spinsi con tutta la forza che avevo in corpo.

Come cazzo si permetteva a dirmi una cosa del genere?

"Ho colto nel segno, eh?
Immaginatela, perché puoi fare solo quello, tu" continuò lo stronzo.

L'avrei ammazzato.

Mi avvicinai con tutta l'intenzione di fare a cazzotti e vedere se avesse parlato ancora con la mascella rotta.

Prima ancora di pensare mi arrivò un pugno alla sprovvista sullo zigomo e risposi con altri due pugni ben assestati che gli avevano spaccato il labbro finché sentii una forza mettersi in mezzo e separarci e urlare :
"Basta, cazzo! O giuro che chiamo la polizia".

Mi staccai perché mi resi conto che era lei e che non le avrei mai fatto niente, nemmeno per sbaglio.

Mi spinse dolcemente e mi si parò davanti.

Indietreggiai.

Non avevo mai capito perché di solito si facesse a botte per una donna.
Pensavo che fosse una cosa da idioti.
Finché non l'avevo provato sulla mia pelle.

Si era diretta verso di lui chiamandolo con voce dolce e mi ero sentito morire.

Sapere che stamattina stava scopando con lui mi faceva venire voglia di ammazzarlo.

"Hai paura, coglione?" mi provocò lui.

"Leonardo, basta" urlò lei, girandosi verso di lui.

La scartai di lato e mi diressi ancora una volta verso quella faccia da cazzo, aveva superato decisamente il segno.

Volarono altri pugni.

Lo facevo più debole, era riuscito a colpirmi qualche volta nonostante quello più malconcio fosse lui.

Sentii di nuovo Sara aggrapparsi ai miei bicipiti e spingermi all'indietro.
"Michele, smettila!
Lo vuoi mandare all'ospedale?" mi ringhiò addosso.

Lui ne approfittò per riprendere fiato.

Guardai quegli occhioni ma ero decisamente incazzato e non mi avrebbero calmato in questo momento.

L'avrei volentieri mandato in ospedale.

"Hai già finito le forze?" mi prese in giro lui.

Ero completamente andato fuori di testa. Feci per avvicinarmi di nuovo ma lei mi si attaccò letteralmente addosso e mi immobilizzai.

"Ringraziala perché non le torcerei nemmeno un capello, se non mi stesse attaccata addosso a questo punto saresti su un'ambulanza" sputai.

"Lo vedi che mi difende?" mi provocò lui.

"Ti metto sotto con la macchina se provi a parlare ancora" minacciai.

Ghignò:
"Tanto ci hai già provato.
Perché non lo fai?
Così vai in galera e ti levi dalle palle" mi canzonò.

Stavo perdendo ogni minimo barlume di lucidità.

La presi su di peso e la spostai davanti al portone e corsi a prendere la macchina.

Non avrei permesso che si mettesse in mezzo rischiando di farsi male.

Vidi il coglione sbiancare e salire sulla sua, non se lo aspettava.

Tramai di rincorrerlo, superarlo e inchiodargli davanti, così si sarebbe fatto male e avrebbe pure preso la colpa.

Feci per inforcare le chiavi e uscire a tavoletta dal parcheggio, quando sentii aprire il mio sportello e me la ritrovai a cavalcioni che ansimava sopra di me.

Ringhiai dalla frustrazione.

"Se lo vuoi ammazzare, parti con me in questa posizione" mi disse sfidandomi con gli occhi.

Cercai di spostarla di peso e metterla a terra ma si avvinghiò ancora di più a me e mi intimò di non toccarla.

Lanciai un urlo frustrato, non avrei fatto niente contro la sua volontà e mi ritrovai impotente con la voglia di farla pagare a quel maledetto.

"Spostati, per favore" le intimai.

"Vuoi andare all'ospedale e poi in galera, cretino?".

"Voglio mandarci lui all'ospedale" sputai.

"Allora parti" mi disse ferma.

Cercai di spostarla di nuovo e in tutta risposta la sentii accomodarsi meglio sulle mie ginocchia e stringermi le mani sulle spalle.

Sospirai, mi aveva ingabbiato.

"Bella mossa" dissi, buttando fuori l'aria dai polmoni.

Mi sorrise, vittoriosa.

"Ti calmi adesso?".

"Non mi calmo finché non lo vedo su una barella" sputai acido.

"Michele, smettila" mi rimproverò.

"Perché ci tieni così tanto?" dissi, incazzato nero.

"Sei scemo?
Ti sto evitando una bella rogna, non sei in te".

"Certo che non sono in me, mi ha appena detto che ti ha scopato nel bagno dell'università e che stavi pure godendo" ammisi, urlando.

"Mi sa che quello geloso sei tu, non io" mi prese in giro.

"Certo che sono geloso, porca troia" ammisi.

Subito dopo mi zittii, che cazzo avevo detto?

"Interessante" disse laconica. "E perché saresti geloso?".

"Dio, ti prego" la implorai.

"Ti fa male?" disse toccandomi lo zigomo.

"No" dissi buttando fuori l'aria, quel tocco e quella premura mi stavano eccitando.

"È un po' gonfio" constatò

"Lui è messo peggio" gongolai.

Gliel'avevo date di santa ragione.
Anche se avrei voluto vederlo ancora più dolorante.
Che pezzo di merda.

"Hai finito di paragonartici?" mi rimproverò.
"Non è stata una bella scena quella che ho visto" continuò, imperterrita.

Nemmeno io ho visto una bella scena, fui tentato di risponderle.
Sapere che scopavano nei bagni dell'università mi mandava in bestia.
E vedere come aveva sculettato nella sua direzione mentre lo chiamava dolcemente non era stato propriamente piacevole.

Avevo le mie buone ragioni per averlo preso a pugni.

"Ha iniziato lui" dissi, cercando di difendermi.

"A me invece sembrava che la spinta gliel'avessi data tu" mi guardò torva.

"Ci credo, mi stava provocando".

"Quanto siete stupidi voi maschi" disse alzando gli occhi al cielo.

Mi era scesa l'adrenalina e solo ora realizzai che era a cavalcioni sopra di me, che indossava una gonnellina e che se si fosse abbassata un po' di più sulle ginocchia mi sarei ritrovato a toccare le sue mutande con la stoffa dei miei pantaloni.

Deglutii e abbassai lo sguardo.

La magliettina a mezze maniche era abbastanza corta e lasciava scoperta un filo di pancia, aveva uno scollo profondo tanto da far vedere un po' l'incavo dei seni.

Il profumo era paradisiaco e i capelli ondulati ricadevano morbidi sulle spalle.

"Tu ti sei vestita così per uscire con quel coglione?" mi uscì di getto domandarle.

"Già, e per colpa tua ho decisamente sprecato un outfit" mi stuzzicò.

Ringhiai di nuovo dalla frustrazione, che cazzo di risposta era?
Stava rigirando il coltello nella piaga e mi maledissi per aver ammesso di essere geloso.
"Sto scherzando, calmati" disse, stringendo le mani sulle mie spalle.

Quel contatto mi calmò.

"Non mi rispondere così allora, sono decisamente nervoso" dissi, guardandola storto.

"Sei sicuro che non ti faccia male? Ti verrà un livido enorme" disse, guardandomi ancora lo zigomo.

"Non mi fa male, bimba, non finché starai in questa posizione, ho altro a cui pensare adesso" allusi di getto.

Mi faceva perdere completamente i freni inibitori.

"Non eri così diretto prima, la vacanza sessuale a Dubai ti ha sciolto la lingua?" mi rimbeccò lei.

"Sei gelosa, bimba?" ammiccai di nuovo.

Sapere che fosse gelosa mi faceva sentire potente.

"No, puoi scoparti chi ti pare, ma almeno non mi rispondere se ce l'hai nella stanza" mi rimbeccò.

"Tu no, invece" sbottai.

"Io no, cosa?" mi guardò curiosa.

"Tu non puoi scoparti chi ti pare, se non lo posso fare io non lo faranno nemmeno gli altri, tanto meno Leonardo" sputai fuori di getto.

Avevo perso la dignità.

"Stai fuori di testa, posso fare quello che voglio, è un matrimonio finto" sottolineò.

"Basta che non sia Leonardo, tanto ti annoi pure, no?". Avevo fatto un po' retromarcia.
Non potevo ingabbiarla.
Anche se l'avrei fatto volentieri.

"Ti ripeto che è un matrimonio finto" disse, piccata.

Afferrai i suoi fianchi e la feci sedere per bene sulla mia patta.
"Questo non è finto, però" ammiccai.

Appena avevo realizzato in che posizione stava seduta su di me, era diventato enorme ed era uscito dai boxer e stava grattando contro la stoffa dei pantaloni.

"Michele!" disse lei, lanciando un urletto.

"Non sai che fatica sto facendo per non ribaltarti sul sedile" dissi io guardandola.
Non avevo più niente da perdere, la volevo.

La sentii ansimare sopra di me.

Chiusi gli occhi per riprendere un po' di controllo, stavo sembrando patetico probabilmente.

Riaprii gli occhi per evitare di immaginare di prenderla lì, in quel parcheggio davanti al condominio.

"Non lo vuoi scartare il regalo?" cambiai discorso.

"No" disse lei birichina.

"Ah no?" dissi io porgendole il pacchetto.

Lo prese in mano e lo aprì curiosa.

"Ti piace vedermi con il monogram Vuitton in bianco?" disse, provandosi la borsetta.

"Non sai quanto mi piace vederti qui sopra" allusi, Dio sembravo un maiale.

Poi aggiunsi per stemperare: "Sta benissimo con l'outfit bianco e nero".

"Ho sprecato decisamente un outfit per vedere due coglioni fare a botte" disse ridendo.

Sorvolai sul fatto che mi avesse dato del coglione.

"Possiamo rimediare andando dove dovevi andare con quella Citroen orribile".

"È un appuntamento, signor Marchetti?" scherzò lei.

"Chiamalo come vuoi, bimba" ammiccai.

"Non dovevamo andare da nessuna parte in realtà, ma possiamo andare al lago" esordì, mentre si sedeva sul sedile del passeggero.

"Potrei abituarmi a questo nuovo modo di salire in macchina" scherzai.

Mentalmente sospirai perché non ce la facevo più ad avercela sopra e non toccarla.

Tirò fuori il cellulare che vibrava impazzito e io la guardai di soppiatto per capire chi cazzo fosse.

"Sono le mie amiche, guarda la strada" mi rimproverò lei.
Era un déjà vu.

Arrivammo al lago e camminammo un po' lungo le sponde. Le camminavo leggermente dietro, vedere quella gonnellina ondeggiare leggera a ogni movimento mi ipnotizzava.

Poi abbassai lo sguardo sui piedini, aveva delle converse bianche con il plateau, erano adorabili, la facevano sembrare ancora di più una bimba.

Decisi di giocarci un po'.
"Mi fanno ridere le converse con questo outfit" dissi, affiancandomi a lei.

"Nemmeno io avrei abbinato la polo Ralph Lauren blu con i pantaloni grigi ma non te lo sarei venuta a dire".

Mi aveva freddato.
Mi fermai, sbigottito, in mezzo alla strada e le chiesi: "Perché sto tanto male?".

Avevo infilato le prime cose pulite che avevo trovato in armadio e non ero propriamente sicuro che stessero bene insieme.
"Come ci si sente a sentire un commento suoi propri vestiti?" mi ribatté, piccata, lei.
Cercai di guardarmi alla vetrina di un negozio, non mi sembrava un abbinamento così terribile.

"Smettila di guardarti, Narciso, è un abbinamento insolito ma ti sta bene" disse, cantilenando.

"Sicura?".

"Te l'ho detto solo perché hai riso delle mie scarpe".

"Era una battuta, le trovo adorabili, ti fanno più sbarazzina".

"C'è una differenza tra dire che sono adorabili e che fanno ridere" mi rimbeccò lei.

"Potresti avere ragione, prendiamo un gelato, dai".

Entrammo in una gelateria e le pagai il gelato.

Ci sedemmo su una panchina e tirai fuori l'iPhone per vedermi la faccia, lo zigomo mi stava decisamente pulsando.

"Ti fa male?" mi domandò per l'ennesima volta.

"No" risposi, guardandomi e toccandolo. Era decisamente rosso e gonfio ma non volevo sembrare patetico.
Non l'avrei ammesso che quello sfigato sapeva menare.

"La smetti di fare il macho e ci metti questa bottiglietta d'acqua?" disse, roteando gli occhi.

"Non faccio il macho e non girerò con una bottiglietta d'acqua in faccia" ribattei, piccato.

Non mi ascoltò e me la appoggiò sullo zigomo, il fresco mi faceva stare decisamente meglio ma protestai lo stesso.

Nonostante le avessi detto che non volevo quella dannata bottiglietta, non accennava a toglierla.

La alzai di peso dalla panchina e me la misi addosso, esattamente come si era messa lei in macchina e dissi socchiudendo gli occhi:

"Se devo sembrare un coglione con una bottiglietta in faccia, voglio almeno una ricompensa".

Scosse la testa e si accomodò meglio la gonna.
"Sai, non vorrei far vedere ai passanti il colore delle mie mutandine".

Drizzai le orecchie e spalancai gli occhi, non era possibile che ogni dannata volta mi facesse quell'effetto.

Risposi, facendo finta di essere calmo: "Meglio di no, ho già dato a fare a pugni oggi".

Si mise a ridere e mi rispose:
"Ho pensato sul serio che lo volessi ammazzare".

"Hai pensato bene, bimba, l'intento era quello".

"Non ti facevo un tipo da risse".

"Non lo sono, infatti" bofonchiai.

Non avevo mai fatto a botte per una donna, solo da ragazzino mi ero divertito a dare qualche pugno ma principalmente perché facevo il gradasso e mi sentito il più potente.

"Stai un po' meglio?" mi chiese lei staccando la bottiglietta dalla mia guancia.

"Se dico di sì, ti alzi?" scherzai.
Annuì sorridendo.

"Allora sto ancora tanto male" dissi guardandola adorante.

Non avrei mai più fatto una cazzata simile.

Mi diede uno schiaffetto sulla spalla e si alzò, per farlo il top si alzò leggermente di più facendo scoprire l'ombelico, uno scintillio attirò la mia attenzione.

La guardai e vidi comparire da sotto i vestiti il piercing all'ombelico, era una cosa che non avevo mai contemplato potesse piacermi.
Le ragazze che avevo avuto non lo avevano, non guardavo troppo le altre e sapevo che esistesse ma non ci avevo mai pensato che potesse essere così dannatamente sexy e femminile.

D'un tratto scoprii che quel gioiello mi faceva impazzire e non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo ombelico.

Mi ero ridotto veramente male.

"Che ho?" mi chiese lei allarmata. "Mi sono sporcata di gelato?".

Non risposi, era tutto decisamente troppo.

"Stai guardando il piercing?" mi prese in giro, ridendo. "Non ne avevi mai visto uno?".

"No" dissi scuotendo la testa.

"È pure storto probabilmente, me lo sono fatta da sola a dodici anni nel bagno delle medie, quando nonna l'ha scoperto mi ha lasciato quattro giorni a pane e acqua, ero un'incosciente, potevo prendere una bella infezione" mi raccontò, ridendo piano.

"Eri una peste anche a dodici anni" sottolinei di getto. "Ma ti sta molto bene e non mi sembra storto".

"Beh, grazie" disse muovendolo per aggiustare meglio il brillantino.
Oddio, era decisamente sexy.

"Andiamo, domattina ho l'ultimo esame" mi aggiornò lei.

La lasciai davanti casa augurandole in bocca al lupo. Subito dopo abbassai il finestrino e le chiesi a che ora finisse. "Non so, forse nel pomeriggio, verso le tre probabilmente".

"Ti vengo a prendere" asserii, deciso.

"Non devi lavorare?" mi rimbeccò.

"Mi hanno confinato due mesi a Dubai, direi che posso prendermi qualche giorno libero".

La salutai e andai in hotel.

Riconquistarla mi era costata una scazzottata decisamente poco piacevole, la minaccia da parte sua di sfregiarmi la fiancata, io che ero uscito di testa e stavo per conciare decisamente male lo sfigato e forse pure una possibile denuncia da parte sua.

Tutto sommato però era finita bene ed ero soddisfatto, anche se lo zigomo si era decisamente gonfiato ed era diventato violaceo.

Quello sfigato sapeva assestare bei pugni, ammisi.

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