1. Eri tu?
Pov Sara
Separarmi di nuovo da lui, con la consapevolezza di essere una famiglia a tutti gli effetti, mi aveva fatto più male del solito e stavolta le lacrime erano decisamente giustificate.
Era come se quel corpicino che stava crescendo dentro di me mi avesse donato una nuova personalità e mi avesse fatto scoprire un lato del mio carattere che non sapevo nemmeno esistesse. Mi sentivo insicura, fragile, sensibile. Forse era una reazione naturale e innata nell'essere umano: nel momento in cui stai portando in grembo una nuova vita, ti senti caricata di una responsabilità tale che ti sembra che il mondo si sia trasferito sulle tue spalle e che ti stia per schiacciare. Probabilmente l'insicurezza era una diretta conseguenza della consapevolezza di dover agire anche per il bene di qualcun altro che dipende interamente da te, perché senza il tuo involucro protettivo non potrebbe vivere.
Si era sentita così mia mamma?
Aveva avuto paura di non essere in grado di crescermi?
Avrei tanto voluto poter chiederglielo in questo momento. Immaginavo che, se tra madre e figlia ci fosse stato un bel rapporto, queste fossero domande e paure che si condividevano solo con qualcuno che ci era passato prima.
Certo, avevo le mie amiche... ma non erano madri, quindi non potevano darmi consigli in merito.
Avevo Michele, ma era un uomo... che diamine poteva saperne lui delle ansie di una donna incinta?
Avrei potuto chiedere a mia suocera, ma Agnese mi sembrava la persona meno indicata al momento. E poi ancora non avevamo annunciato la notizia.
Sospirai, sedendomi sul letto.
Mi resi conto della forza che aveva avuto mia nonna nel crescermi da sola nonostante fosse già stata anziana. La ammirai, con una consapevolezza in più. Ero incinta da un mese e mezzo e ne ero cosciente da poco, ma già avvertivo tutto il peso delle responsabilità che tra qualche mese mi sarebbero piombate sulle spalle, per tutta la vita. Avrei tanto voluto che anche lei fosse qui con me, per condividere questo momento che, nonostante tutto, le avrebbe riempito il cuore di gioia, ne ero certa. Sperai che, da qualunque luogo la ospitasse lassù, potesse vedermi e gioire con me, benedicendo questa nuova creatura e vegliando su di noi, come ero certa che aveva fatto in questi anni.
Non andavo spesso al cimitero, parlare con una fredda lapide grigia mi sembrava un insulto alla sua personalità colorata. Mi sembrava che quel giaciglio spoglio e triste non fosse all'altezza della forza d'animo con cui aveva vissuto. Inoltre, quella foto sbiadita in cui accennava un sorriso timido, con gli occhi semichiusi e i capelli candidamente bianchi raccolti sotto un fazzoletto marrone, mi metteva una malinconia senza eguali. Quando avevo bisogno di ricordarla, preferivo chiudermi nella mia camera e parlarci come stavo facendo adesso, istaurando una sorta di legame ultraterreno, tenuto insieme solo dall'amore che ci aveva tenute legate in vita. Non avevo bisogno di un luogo per ricordarla.
Eppure sentivo il bisogno di andare da lei, di trovarmi al cospetto del suo corpo che, forse, in questi quattro anni si era macabramente deteriorato, segnando lo scorrere del tempo.
La mattina dopo mi preparai con cura e decisi di tornare nelle campagne in cui ero nata, per dirigermi nel piccolo cimitero del paese.
Era la prima volta che affrontavo un viaggio lungo con la mia nuova macchina ed era la prima volta che guidavo così tanto da quando ero incinta.
Se lo avesse saputo Michele probabilmente avrebbe dato di matto e mi avrebbe urlato contro che ero un'incosciente e che non mi rendevo conto di quello che facevo.
Sorrisi immaginando la sua possibile reazione, che avrei scoperto solo quando sarei tornata a casa sana e salva, così da poter ridere delle sue farneticazioni.
Il panorama verde mi era mancato, mi ritrovai a pensare.
Roma era bellissima, un sogno a occhi aperti per una ragazza come me. La romanità non si spiegava a parole e il caos che regnava sovrano in tutte le ore del giorno poteva sembrare come una cortina soffocante che ti lascia con il respiro corto, poi, però, bastava qualche giorno e quel rumore assordante si trasformava in un sottofondo piacevole, una colonna sonora calda e viva per la vita di tutti i giorni. Era una città frizzante, multietnica fin dalle sue origini più remote, caotica da quando era stata posata la prima pietra. Roma era la capitale per eccellenza, un miscuglio di storia e innovazione. Il posto dove, nonostante le rivalità tra i due estremi della città, uno più ricco e uno più povero, tutti si sentivano sempre e solo "romani", sotto un cielo talmente blu da essere il suo marchio di fabbrica. La romanità era una filosofia di vita, che accoglieva chiunque l'avesse abbracciata e io mi ero sentita accolta.
Però quelle campagne mi mancavano. Mi fermai fuori dal cimitero, osservando i campi brulli, cosparsi da una leggero strato di gelo sulla terra fredda. Gli alberi erano spogli e le poche case apparivano un po' spettrali tra la leggera foschia che le copriva come una coperta. Il fumo che usciva dai camini si confondeva tra il grigio del cielo invernale. Ricordavo quanto fosse freddo l'inverno in un casolare che sorgeva in mezzo al nulla, senza illuminazione fuori e con la ghiaia che si trasformava in fanghiglia quando pioveva. All'immagine grigia e austera di quella campagna coperta dal gelo, si sovrapposero le immagini che la ritraevano in estate. Al campo di terra marrone, nei miei ricordi spuntarono rigogliose spighe che ricoprivano la terra fredda come un manto dorato, o verdissimo in primavera. Nonna diceva che i miei occhi avevano lo stesso colore caldo e vivace di quelle distese rigogliosamente verdi. Il cielo estivo sapeva essere talmente azzurro da far sembrare che sopra le nostre teste ci fosse il mare che avevo ammirato l'estate scorsa alle Maldive, come se fosse un mondo sottosopra. Le case riacquistavano i loro colori e come sottofondo c'era il vociare dei contadini, che sapeva essere estremamente inclusivo nel momento del bisogno, perché in campagna tutti conoscevano tutti come una grande famiglia, ma anche terribilmente velenoso. Per noi era stato entrambe le cose: accogliente quando avevamo bisogno di una mano, ma anche estremamente critico nei confronti dei comportamenti di mia mamma e di mia nonna.
Mi strinsi nel mio cappotto e scesi dalla macchina, rabbrividendo per lo sbalzo termico e per il vento che sibilava.
Mi incamminai verso il fondo del cimitero, sentendomi quasi osservata da quelle miriadi di occhi racchiusi in foto sbiadite, come se avessero ancora potuto appartenere ai reciproci proprietari che erano abituati a controllare con furtività, alle finestre, tutti gli spostamenti dei vicini.
Certe abitudini di campagna se le trasportavano anche nella tomba, mi ritrovai a pensare.
Ma probabilmente era una suggestione... non potevano davvero vedermi e giudicarmi come se fossi una sorta di figliol prodigo dei tempi moderni che, come una sciagurata, non era mai venuta a trovare la famiglia.
Mi fermai di fronte alla lapide di nonna, osservandola con gli occhi lucidi.
Mia mamma aveva voluto la cremazione, quindi era sparsa da qualche parte nel mondo e si era depositata sulle campagne intorno a noi, magari contribuendo a far sbocciare con più rapidità qualche fiorellino o qualche spiga di grano con le sue ceneri.
Appoggiai il delicato mazzo di fiori bianchi sul vasetto che capeggiava vicino alla sua foto.
"Nonna... lo so che non vengo mai a trovarti, forse a te piacerebbe vedermi più spesso qui, ma poi penso alle tue parole, a come mi hai cresciuta e credo che tu riesca ad ascoltarmi e a vedermi anche senza venire a renderti omaggio di fronte a una lapide. Chissà se mi hai visto in questi anni, se hai gioito con me il giorno della mia laurea e se mi hai guardata con rimprovero il giorno del matrimonio. Forse hai pure seguito il tragitto che ho fatto in macchina per venire qui, e probabilmente mi stavi pure rimproverando dal cielo, dicendomi di andare piano".
Poi sorrisi, amara, facendo una pausa.
"Ti piace la macchina nuova? A me sarebbe piaciuto fare un giro con te, è una bella soddisfazione per noi che siamo venute dal niente... io mi ostinavo a guidare la mia macchinina più umile, ma Michele non ha sentito ragioni, ma forse già lo sai. Anche Fausto era così testardo?".
Intorno a me il silenzio.
Mi ostinavo a fare domande a una tomba muta.
Mi uscirono due lacrime, con un retrogusto di amarezza e solitudine.
"Ero venuta a dirti una cosa, volevo dirtela di persona... di persona, si fa per dire... Non so se tu possa vedermi nella mia vita quotidiana, ma forse qui davanti al tuo corpo c'è un canale particolare e potrai sentirmi meglio. Oddio, se mi sentisse qualcuno penserebbero che sono una pazza che fa discorsi sconclusionati a una lapide, di solito si viene a portare i fiori e a dire qualche preghierina per poi andarsene, io invece sto intavolando un discorso. Veniamo al punto... volevo dirti che, se tu fossi stata in vita, saresti diventata bisnonna. Sì, a settembre darò alla luce una piccola creaturina, frutto di un amore tanto grande che non avrei mai conosciuto se non ci fossi stata tu a orchestrare tutto. Settembre... un mese pieno di avvenimenti: i nostri compleanni, il nostro anniversario. Forse anche questo era un segno del destino. Sì, lo so che sono giovane, nonna... ho ventidue anni, già... non lo cercavamo... lo sai che viviamo separati, no? Non mi giudicare, spero che tu sia felice per noi. Siamo un po' spaventati, ma se tu hai il potere di fare qualcosa da lassù, spero che tu possa aiutarci ad affrontare questa situazione. Anzi, spero che voi possiate aiutarci, come avete fatto con quel dannato testamento. Ci avete fatto un bello scherzo, tu e Fausto! Chissà se vi siete ritrovati! Sono sicura che mi sarebbe piaciuto conoscerlo; salutalo e ringrazialo da parte mia, se mai dovessi ascoltare questo monologo un po' improvvisato".
Feci una piccola pausa, poi le mie mani si mossero da sole, accarezzando la foto per poi proseguire a toccare la pietra fredda, come se quella carezza sarebbe potuta arrivare dall'altro capo, sul suo corpo.
"Mi manchi, nonna. Mi manchi tanto. Vorrei poterti abbracciare ancora una volta, solo una. Se dovesse essere una femminuccia, il nome sarà il tuo, sperando che possa donarle la stessa forza che ti caratterizzava e che mi hai trasmesso".
Quelle lacrime che lasciavo scorrere sul viso furono prontamente asciugate da una folata di vento, che le portò lontane, per poi proseguire in una carezza d'aria su tutto il mio corpo, spostando un lembo del cappotto e insinuandosi sul mio ventre.
Mi sembrò come se una mano gentile, composta dall'aria pungente, mi avesse donato energia.
Quella folata di vento mi aveva accolta in un freddo abbraccio inconsistente.
"Eri tu? Mi hai sentita?" sussurrai, senza fiato.
Niente, il vento continuava ad alzare un po' della ghiaia del vialetto e a far muovere i cipressi, ma non si abbatteva più su di me.
Rimasi per qualche minuto in attesa di un altro segno, scossa per quell'avvenimento, ma non arrivò.
Intorno regnava la consueta quiete mortale dei cimiteri.
"Allora vado... quando nasce te la farò conoscere... ché di sicuro il panorama e il clima saranno più piacevoli".
Mi incamminai verso la macchina, con un piccolo peso in meno sulle spalle e una sicurezza in più, come se quella folata di vento avesse portato via un macigno per depositare un fiore.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top