Capitolo XXX

«Vai a farti un giro senza di me?».

Byron, colto sul fatto, mentre sellava da solo il suo cavallo, nella scuderia, si voltò a guardare l'amico, in piedi davanti all'entrata.

Prestò solo una leggera occhiata alla sua gamba di legno e alle stampelle, cercando di nascondere lo stupore.

Non era la prima volta che lo vedeva in piedi, ma era la prima volta che Heath faceva tutta quella strada in stampelle e gamba di legno.

Ma non voleva dare troppa attenzione alla cosa, per paura di indispettirlo.

Perciò sorrise, come se non ci fosse nulla di strano nel vederlo finalmente camminare, dopo mesi e mesi.

«Vuoi venire a cavalcare con me?».

«Riuscirei a superarti anche senza questa gamba di legno», Heath diede un leggero colpo con la stampella al suo nuovo arto, e sorrise beffardo all'amico.

Byron lo fissò con una certa circospezione.

Negli ultimi tempi Heath era chiaro molto, tornando talvolta il giovane ragazzo allegro che conosceva.

E ne era contento. Ma allo stesso tempo aveva paura che prima o poi Heath sarebbe tornato scontroso.

Ed in fondo la sua ansia non era del tutto ingiustificata.

Infatti da quando si era sparsa la notizia che Joyce stava per andarsene, Byron aveva notato una vena di tristezza attraversa il volto dell'amico.

Era troppo orgoglioso anche solo per mostrarsi dispiaciuto della partenza di Joyce, perciò cercava di nasconderlo.

Ma Byron lo conosceva troppo bene, e aveva compreso il motivo.

Forse anche per questo annuì, ricambiando il suo sorriso e affermando: «Devi ancora provarci, amico».

«Ti sfido, allora».

Byron di rivolse al giovane stalliere che avevano assunto da poco: «Sellate un cavallo per il mio amico».

E solo quando rimasero di nuovo soli, Byron si voltò ad accarezzare il manto corto del suo bellissimo animale.

«Questa tua improvvisa voglia di cavalcare non sarà forse a causa di un certo avvenimento?».

Le sue parole, alquanto vaghe, arrivarono comunque al destinatario forte e chiaro.

Lo comprese quando Heath mentì: «Non so di cosa stai parlando».

Si era messo subito sulla difensiva, intuendo invece dove volesse andare a parare Byron.

Ormai non era certo un segreto che tra Heath e Joyce c'era qualcosa di molto più che un rapporto tra paziente e infermiera.

Anzi, a dirla tutta, sembrava che gli unici a non esserne accorti fossero proprio i diretti interessati.

Byron si voltò di nuovo a guardarlo con un espressione eloquente.

«Non sarò perspicace come mia moglie... Ma cieco non sono proprio, mio caro amico».

Heath decise di tacere proprio in quel momento, continuando però a tenere testa agli occhi color del ghiaccio di Byron.

«Vuoi davvero che ti dica quello che già sai, Heath? Vuoi davvero che faccia la parte del genitore paternalistico pronto a spronare il figlio cocciuto?».

Anche solo immaginare Byron nella parte del padre responsabile in vena di un discorso saggio, veniva da ridere.

Per fortuna il momento era troppo serio e Heath si limitò a scuotere la testa.

«Tanto non posso fare nulla, è già andata via».

Byron annuì, visto che già sapeva anche quello. Aveva visto la carrozza andar via qualche minuto prima.

«E allora corri da lei», disse semplicemente, con un sorriso che lasciava poco spazio alla complicazione.

Heath scosse la testa per la seconda volta: «Per fare cosa? Lei ha deciso di andar via, via da me... Vuole la sua indipendenza, crescere sua figlia e avere un lavoro. Non vuole me, la mia condizione di salute e tutto ciò che non posso offrirle».

«E questo lo sai perché te lo ha detto lei?».

Ancora una volta Heath scosse la testa, in risposta alla sua domanda, ma ancor prima che Byron potesse dire qualcosa di ovvio, lui era pronto a giustificare le sue azioni.

«Non lo avrà detto a parole, ma è evidente nei fatti».

A lui sembrava tutto così chiaro, così scontato, che quasi si stupiva che l'amico non lo avesse capito.

Eppure quello sicuro parve Byron che si avvicinò a lui, con un sorriso divertito, e gli mise una mano sulla spalla.

«Heath, amico mio, lascia che ti dia un consiglio da uomo e marito che di errori ne ha fatti tanti».

Per qualche istante Heath si soffermò a pensare al percorso dell'amico. A quanta strada aveva fatto in quegli anni.

E annuì, convinto per la prima che forse Byron era proprio la persona giusta per parlare di certe cose.

Se gli avessero detto qualche anno prima che sarebbe stato proprio lui a dargli consigli sull'amore, sarebbe scoppiato a ridere in faccia a tutti.

«Non dare mai per scontato di aver compreso cosa vuole una donna. Domandaglielo apertamente, con tutta sincerità, e prega che lei decida di dirti la verità».

Lasciò andare la sua spalla e sorrise con malizia: «Va da lei e parlale con il cuore. Dille cosa pensi e provi ma soprattutto cosa desideri».

Si riavvicinò al cavallo, continuando a guardare l'amico come se si aspettasse una reazione da lui.

Ma visto che Heath continuava a guardalo indeciso, ripeté: «Si può sapere che aspetti? Vai da lei».

Lo esortò perfino con un gesto della mano ma Heath obiettò: «Il mio cavallo non è ancora pronta».

«Prendi il mio».

Per qualche istante parvero tutti e due increduli dall'offerta di Byron che aggiunse, con tono scherzoso: «Poi non dire che non tengo a te».

E prima ancora che Heath potesse trovare qualche tra scusa, lo aveva aiutato a salire in sella e spronato a raggiungere la carrozza.

«Sono partiti da pochi minuti, dovresti riuscire a raggiungerli con facilità... Visto che non fai altro che vantarti delle tue doti da fantino».

Ma non spronò il cavallo ad andare al massimo solo per voglia di fare vedere a Byron che era più bravo di lui.

D'improvviso aveva un buon motivo per correre veloce, per spingere al massimo.

Due erano le possibilità: riuscire a raggiungere Joyce e la carrozza, oppure fallire.

E non era ancora sicuro quale delle due fosse la peggiore.

Perché se fosse riuscito a fermare la carrozza, poi avrebbe dovuto fare un discorso a Joyce. E non aveva la più pallida idea di cosa fosse meglio dirle.

Ma se avesse fallito e non fosse riuscito a fermare la carrozza, probabilmente avrebbe vissuto con il rimpianto per il resto della sua vita.

Perciò, per quanto avesse paura di sbagliare, tirò un sospiro di sollievo quando iniziò ad intravedere la carrozza davanti a sé.

Incitò il cavallo con più vigore mentre mentalmente di convinceva sempre di più che doveva fermare quel veicolo.

Quando gli fu dietro, per qualche istante pensò di non farcela, e ne era quasi convinto.

Era a pochi centimetri dalla donna che amava e non poteva fare nulla per fermarla.

Il cavallo non poteva correre più di così e lui non poteva fare nulla per cambiare le cose.

Ma proprio mentre stava pensa di di dover rinunciare a quella folla idea, dalla finestra sul retro della carrozza apparve il piccolo viso di Emily.

Lei lo guardò, lo riconobbe e gli sorrise allegra prima di avvisare la madre seduta al suo fianco che si voltò con sguardo stupito.

Qualche istante dopo stava chiedendo al cocchiere di fermare la carrozza e si stava precipitando fuori per accoglierlo.

«Heath?».

Lui si fermò accanto a lei con il cavallo e, con un po' di fatica, scese dall'animale continuando a però a tenersi alle briglie per paura di cadere.

Non aveva ancora imparato a mantenere l'equilibrio con la sua nuova gamba e fino a quel momento non era mai stato senza le stampelle.

Fisicamente era debole e indeciso. Ma non si lasciò intimorire dalla situazione.

«Joyce, io dovevo parlarvi prima di lasciarvi andare. Altrimenti lo rimpiangerei per tutta la vita», esordì con il fiatone a causa dello sforzo.

Era paonazzo e ed era vagamente cosciente di come potesse apparire un po' folle agli occhi di Joyce che però rimase in silenzio ad ascoltarlo.

«Lo so che voi avete un futuro programmato, un buon lavoro e dei principi che vi impongono l'indipendenza... E so per certo di non essere minimamente la persona più giusto per farvi un'offerta simile».

Prese fiato, ripensando a cosa stava per chiederle. La paura prese di nuovo il sopravvento per qualche istante.

Non era convinto di essere in grado di sopportare un rifiuto da lei. Ma non aveva molta scelta.

«La vita al mio fianco può essere difficile ed esasperante e lo so che non sono il candidato migliore. Non ho prestanza fisica e non sono economicamente stabile, e cosa più importante... So essere molto scorbutico e poco desiderabile».

Sapeva che il rischio era quello di allontanarla ancora di più, parlando male di se stesso e della sua condizione.

Ma non voleva mentire. Voleva che lei fosse a conoscenza di tutti i retro scena.

«Non posso offrirvi un titolo e tutto ciò che posso avere e darvi lo devo solo alla bontà del mio caro amico d'infanzia. So che Byron mi aiuterà sempre, ma non sarò mai in grado di provvedere a me stesso completamente da solo».

Joyce continuava a guardarlo come se non avesse capito bene cosa stava per dire.

«Ma posso assicurarvi che metterò tutto il mio impegno, per darvi ciò che voi e vostra figlia desideriate, anche a costo di privarmi io stesso di qualcosa».

Heath fece un passo avanti, zoppicando e continuando a tenersi alle redini del cavallo.

«Voi ed Emily siete diventate il mio tutto, in così poco tempo che ho faticato perfino io a rendermene conto. E la cosa mi spaventa, lo ammetto. Ho paura che perché non mi sono mai occupato di nessun altro oltre a me, e perché non sono tanto bravo neanche a prendermi cura della mia persona».

Sorrise un po' amareggiato, ripensando ai suoi ultimi anni di vita.

«E la verità è che sono io ad aver bisogno di voi, e non il contrario. Perciò comprenderò benissimo se la vostra risposta sarà negativa, ma spero che comunque possiate prenderla in considerazione».

Joyce, ancora in silenzio, aveva ancora un'espressione confusa, anche se sembrava un po' più consapevole di quello che stava ascoltando.

«Immaginate che in questo momento io sia in ginocchio davanti a voi», continuò a dire lui, indicando la sua gamba di legno che gli impediva tale movimento.

«E immaginate anche che in questo momento ci stia porgendo un anello», allungò una mano aperta nella sua direzione, come se avesse davvero una scatolina in mano contenente un gioiello.

Joyce abbassò la testa a fissare la sua mano, che per quanto fosse vuota, nascondeva la verità di quel gesto.

«Joyce Whilter, mi concedete l'onore di sposarmi?».

Lo aveva detto, nonostante non fosse proprio nei programmi all'inizio.

Si era lasciato prendere la mano dalla foga del momento, eppure dopo averlo pronunciato non se ne pentì.

Era quello che desiderava, ed era ora di rischiare il tutto e per tutto.

Joyce non disse nulla per molto tempo, continuando a guardare la sua mano vuota, con la bocca semi spalancata e l'aria sorpresa.

«Non c'è fretta...», sussurrò Heath con un sorriso che voleva solo smorzare la tensione.

In realtà moriva dalla voglia di sapere la risposta e togliersi così il pensiero.

Ma lasciò il suo momento per riflettere. E solo quando la vide alzare la testa per fissarlo negli occhi, e scorse una luce nei suoi occhi, si rilassò un poco.

L'espressione di lei mutò lentamente, da stupita e gioiosa, con un grande sorriso sulle labbra prima di vedere la sua testa annuire con movimenti quasi impercettibili.

Heath non ebbe il tempo di chiederle una risposta più chiara, perché lei gli andò incontro, con slancio e lo abbracciò con così tanta foga che quasi caddero tutti e due addosso al cavallo.

E quella era una risposta più che esaustiva, mentre in sottofondo si poteva udire il suono di un battito di piccole mani che applaudivano.


Spazio autrice:

Buonasera a tutti! Come state?

Lo so che la scorsa settima ho saltato il nostro appuntamento ma ora eccoci qua con questa capitolo che spero sia valsa la pena aspettare.

Siamo praticamente giunti quasi alla fine di questo spin-off a cui manca solo l'epilogo.

Lo so, lo so, siamo arrivati alla fine e non sembra vero neanche a me.

Comunque per sapere come si concludere la storia non dovrebbe aspettare una settimana perché l'epilogo lo pubblicherò domani sera.

Perciò a domani,

Chiara

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