Capitolo XXVII

Le settimane passarono senza alcuna novità degna di nota.

Heath continuava ad allenarsi, sempre in silenzio, con una certa determinazione.

Joyce non poteva esserne sicura, ma aveva la sensazione che fosse cambiato qualcosa.

Lo sentiva più taciturno e distante del solito. E non perdeva occasione che risponderle con tono piccato e nervoso.

Aveva quasi la sensazione che fosse tutto tornato come all'inizio tra di loro.

Cercava di apparire positiva, e lui costruiva ancora il suo muro di solitudine.

Ma si convinse che era solo a causa della gamba di legno, e di tutti i cambiamenti che stavano avvenendo nella sua vita, e quindi decise di non mettergli ulteriore pressione.

Stava iniziando a sentirsi un po' inutile, visto che Heath aveva sempre meno bisogno di lei, e desiderava vederla sempre meno.

Quando finalmente arrivarono notizie dal contatto del capitano Sebastian.

Joyce avrebbe ricordato quel giorno per tutta la vita, come il momento in cui tutto sarebbe cambiato per sempre.

Era seduta accanto alla finestra del salotto, intenta a ricamare all'uncinetto come la pioggia che cadeva sul vetro le faceva da sottofondo.

Non era molto brava con il ricamo, non lo era mai stata e ricordava ancora le lezioni della zia come una vera noia.

Eppure si metteva a ricamare ogni volta che si sentiva in ansia, o tutte le volte che si sentiva con le mani in mano.

Proprio come quel giorno. Heath stava ancora facendo esercizio con il medico e lei non aveva niente da fare.

Per non ritrovarsi a riflettere sulla sua vita, o a preoccuparsi troppo, si era messa a ricamare qualcosa che sarebbe dovuto diventare un cappellino, o un calzino.

Era da tempo che non si dedicava a se stessa e non si rilassava.

E qualcuno bussò alla porta della casa, proprio mentre si stava chiedendosi se invece di migliorare stava peggiorando.

«Vi disturbo?», chiese Sebastian, entrando con un po' di riluttanza.

«Prego, entrate pure», anche se non sapeva il motivo della sua visita, il suo sesto senso la mise subito in ansia.

Sapeva che si stava occupando lui della ricerca di sua figlia, e anche se non aveva detto nulla in merito, era quasi convinta che ci fossero delle novità.

Lasciò il suo lavoro all'uncinetto sul tavolo e invitò l'ospite a sedersi nel salotto.

Non fecero neanche in tempo ad iniziare a parlare che Joyce sentì la porta della camera di Heath aprirsi e il medico annunciare: «Per oggi basta. Riprendiamo la prossima settimana».

Uscirono entrambi e quando Heath notò che Joyce non era sola, s'irriggidì.

Ci fu qualche istante d'imbarazzo mentre Sebastian si alzava e salutava con la sua solita educazione il medico che si congedava da tutti i presenti.

Imbarazzo che non accennò a diminuire neanche quando i tre rimasero soli.

«Qualche novità?», chiese Heath, avvicinandosi e lasciando intendere che era curioso tanto quando Joyce. E che voleva partecipare a quella conversazione.

Il capitano si schiarì la voce, si rimise seduto al posto di fronte al Joyce ed iniziò.

«Il mio contatto mi ha scritto e ho ricevuto la sua lettera proprio questa mattina. Appena l'ho letta sono venuto a darvi notizia».

Forse per educazione, o forse per riserbo, Sebastian non andò avanti, aspettando che Joyce gli facesse un cenno di assenso.

Aspettava che fosse lei a dargli il permesso ma fu Heath a fare pressione: «E quindi?».

Joyce restava in silenzio, troppo turbata da ciò che avrebbe potuto scoprire di lì a poco.

Non sapeva cosa aspettarsi e la parte più codarda di lei stava cercando un modo per tergiversare.

Aveva paura di sentire cosa l'amico di Sebastian aveva scoperto. Ma non aveva altra scelta.

Annuì in direzione di Sebastian, che continuò a parlare: «Ha trovato la bambina».

Lo disse senza perdersi in chiacchiere, forse perché pensava che era quello che desiderava Joyce.

E in un certo senso lei avrebbe voluto essergliene grata, se non fosse troppo turbata dalla notizia appena ricevuta.

«Si chiama Emily, e vive in un orfanotrofio femminile a sud. Sta bene, è in buona salute e sta avendo una buona educazione cristiana».

Sebastian aveva continuato a parlare, visto che Joyce rimaneva in silenzio.

Non si era reso conto del turbamento di Joyce, lui continuava solo a fare il lavoro che gli era stato affidato.

«Lui dice che, se volete riaverla, può aiutarci. Voi siete la madre biologica, e avete tutto il diritto di prendervene cura».

Finì di parlare e calò di nuovo il silenzio nella stanza.

Tutti e due aspettavano una reazione da parte di Joyce. Una risposta, anche solo una piccola parola.

Ma lei rimase in silenzio, a fissare un punto nel vuoto. Non riusciva a riflettere, non riusciva a formulare una frase che avesse un senso.

Pensava solo alla sua bambina. Alla sua Emily. E che finalmente sapeva il suo nome e poteva pronunciarlo, nel cuore della notte, mentre pensava a quanto le mancasse.

Dopo attimo che sembrarono eternità, Joyce si riprese e disse soltanto: «Grazie per l'aiuto, capitano. Ho bisogno di rifletterci, capire quale sia la soluzione migliore».

Non voleva affrettare troppo le cose e Sebastian, come al suo solito, si dimostrò molto disponibile.

«Possiamo rispondere al mio amico con calma, capisco che è una decisione difficile da prendere».

E dopo qualche minuto di convenevoli, Sebastian uscì come era entrato.

Con gentilezza ed eleganza. Lasciando però Joyce con in vortice di pensieri, non tutto positivi.

«A cosa state pensando?».

Heath era rimasto zitto per tutto il tempo durante la conversazione, in attesa.

Come se non volesse intervenire, ma allo stesso tempo si intuiva che voleva essere coinvolto.

«Sebastian ha detto che gode di ottima salute e che la stanno educando nel migliore dei modi».

Il suo tono era così triste che Heath non comprese subito.

Era confuso dal suo volto così rammaricato.

«Questo è un bene, no?».

«Sì, è proprio questo il punto», non riuscendo a stare più seduta su quella comoda poltrona, si alzò.

Si fece avanti e si mise davanti alla finestra, dove qualche minuto prima stava ricamando.

Pioveva ancora, più forte di prima, e il temporale sembrava rispecchiare in pieno il suo umore tormentato.

Non riusciva a stare dietro a tutti i pensieri che le riempivano la mente.

«Non sono mai stata veramente una madre, Heath. Non mi sono mai presa cura di qualcuno in questo modo. Ho solo messo al mondo una bambina, e poi l'ho abbandonata».

«Non è esatto», asserì Heath: «Vi hanno convinta ad abbandonare vostra figlia. Non è proprio la stessa cosa».

E prima ancora che Joyce potesse obbiettare, continuò: «E non è vero che non vi siete mai presa cura di nessuno. Siete un infermiera, vi prendete cura delle persone ogni giorno e lo fate con una bravura unica».

Era raro sentire Heath parlare con parole piene di complimenti, e Joyce ne era commossa.

«Non è proprio la stessa cosa», obbiettò comunque, lasciandosi però sfuggire un sorriso di ringraziamento.

«Prendersi cura di un bambino è diverso», ma Heath stava già scuotendo la testa.

«Io non credo, guardate me. Sono capriccioso e lunatico proprio come un bambino».

Voleva essere divertente, e riuscì nel suo intento perché strappò una breve risata genuina a Joyce.

Durò poco, ma le servì. Alleggerì quel momento pesante e carico di tensione, anche solo per qualche istante.

Quando tornò seria, riprese a dire: «Ho paura di non essere in grado. Ho paura di fare un errore, strappandola dalla sua vita normale. È serena nell'orfanotrofio, ha tutto ciò di cui ha bisogno e non sono sicura di poter assicurare la stessa vita».

Si voltò a guardare Heath, che la stava osservando con attenzione.

«Cosa posso offrirle io? Non ho una casa, sono sola e non ho stabilità economica. Potrei rovinarle la vita, invece di migliorarla».

Heath non era convinto delle sue parole: «Voi siete sua madre. Io non sono un orfano, ma credo che ogni bambino cresciuto senza genitori desidera una sola cosa».

«Cosa?».

«Avere una famiglia. Conoscere i propri genitori... Credo che si accontenterebbero di conoscerne anche uno solo».

Joyce tentò di sorridere ad Heath, pensando a quanto potesse essere difficile per Emily non conoscere la propria madre.

«Ogni bambino vuole avere al suo fianco la sua mamma. Ed io credo che Emily sarebbe contenta di conoscervi».

Per qualche istante Joyce si lasciò andare ad immaginare il momento in cui avrebbe conosciuto sua figlia.

L'aveva vista una sola volta, dopo il parto. E non era neanche riuscita a tenerla in braccio per più di qualche minuto.

Eppure erano stati gli attimi più belli e importanti della sua vita.

Dopo anni, ancora sognava quel momento.

Il suo viso piccolo, i suoi grandi occhi, il suo odore. Tutto, ogni minimo dettaglio, era impresso nella sua mente.

E non poteva mentire a se stessa. Avrebbe voluto rivederla, stare con lei, farle da madre.

Era sempre stato così ma fino a quel momento aveva cercato di nascondere i suoi desideri.

Per non soffrire aveva sotterrato quel ricordo in un cassetto nascosto della sia mente.

Lo tirava fuori solo in rari casi, quando era sola, spesso dopo una lunga giornata.

Si immaginava a fare la mamma a tempo pieno, a prendersi cura della sua bambina.

Un sorriso molto più sincero le attraversò il volto, mentre pensava che sarebbe stata in grado di accudire Emily, di essere un bravo genitore per lei. 

«Potrei farlo», si lasciò convincere per qualche istante, strappando un sorriso fiducioso perfino allo scorbutico Heath. 

«Io ne sono convinto. E poi, non credo che voi sarete sola per molto altro tempo».

A quelle parole l'espressione di Joye si fece palesemente interrogativa: «Che cosa intendete?».

La loro conversazione stava cambiamento, se ne rese conto soprattutto perché l'espressione di Heath mutò. Da serena e contenta, divenne più cupa.

«Bè, con tutte le visite che avete avuto negli ultimi giorni, credo che presto riceverete qualche proposta di matrimonio».

Forse il tono seccato, tra i denti, sfuggì alle orecchie di Joyce che tornò a sorridere. Nelle ultime settimane, dopo la festa organizzata dai Devenport, aveva in effetti ricevuto molti spasimanti.

Le avevano portato fiori, regali e l'aveva corteggiata. E avrebbe mentito se avesse detto che non le aveva fatto piacere ricevere quel tipo di attenzioni. Soprattutto se l'unico uomo dal quale voleva riceverle si faceva stranamente desiderare. 

Ma quello che Heath ignorava, perché non era presente a quegli incontri, era che Joyce aveva ringraziato tutti i suoi spasimanti con gentilezza ma aveva rifiutato il loro corteggiamento.

Era troppo distratta dalla notizia di sua figlia, per notare la gelosia di Heath, e così disse soltanto: «Non credo che ci sarà presto un matrimonio».

E poi se ne era tornata in camera da letto, con la scusa che voleva restare un po' da sola per riflettere ancora sul da farsi. Non voleva dare a Sebastian una risposta troppo frettolosa. 

Così non poté notare che l'espressione di Heath si era fatta confusa, e anche un po' turbata, per poi tramutarsi in un sorriso felice. 

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