Capitolo XV

Il viaggio in carrozza verso la Capitale fu a tratti noioso, a tratti fastidioso. Di certo non piacevole come invece era stato per Joyce il tragitto inverso verso Plaingrass.

E sapeva benissimo a chi dare la colpa: al suo compagno di viaggio. Heath infatti passava il suo tempo a lamentarsi, sbuffando e sbraitando come un vecchio scorbutico. 

Trovava qualsiasi cosa priva d'interesse, riusciva a smontare l'entusiasmo di Joyce con poche e acide parole, e non gli stava mai bene nulla.

La strada era troppo piena di curve, o troppo poco stabile. Quando passavano di fronte ad un campo, si lamentava dell'odore, e quando invece entravano in un paese, del rumore. 

Non c'era nulla che potesse renderlo felice e dopo innumerevoli prove, Joyce dovette rinunciarci e accettare il fatto che lo stesse facendo apposta per innervosirla. E non voleva farlo vincere. 

Così, più lui si lamentava, più Joyce rispondeva con sorrisi e frasi d'incoraggiamento, continuando a ripetere quanto invece il viaggio fosse piacevole. 

«E' stato molto gentile lord Byron a prestarci la sua casa in città, non trovate?», affermò ad un certo punto, stanca di sentirlo brontolare a causa per la strada, speranzosa di poter distrarre un po'.

In risposta, all'inizio, ottenne solo un'occhiata di fuoco, come se avesse detto la cosa più brutta al mondo. Seguito poi da un lamento che sembrava quasi un ringhio.

«Certo, gentile», sentenziò soltanto, lasciando intendere che non la pensava proprio come lei. 

Non ne parlavano spesso, anzi, quasi mai, ma considerato che era costretti a passare molto tempo insieme chiusi in una carrozza, senza poter fuggire, Joyce si concesse di approfondire un po' meglio.

«Non vi capisco proprio. Lord Byron si è dimostrato fin dall'inizio un ottimo amico, concedendovi la casa del custode, aiutandovi a trovare me, preoccupandosi per la vostra salute... eppure lo trattate sempre come se vi avesse ucciso il gatto».

Vide quasi un guizzò sulle sue labbra, il fantasma di un sorriso divertito, ma fu solo per qualche istante. Così veloce che per qualche istante Joyce temette di averlo solo immaginato. 

«Voi non conoscete tutta la storia», tagliò corto lui, con così poco entusiasmo che era ovvia la sua scarsa volontà di affrontare il discorso. 

In quel preciso momento una buca li fece sobbalzare e Heath bestemmiò come uno scaricatore di porto.

Per niente sorpresa da tale linguaggio, piuttosto in uso tra i soldati che aveva curato, continuò la loro conversazione: «Conosco tutti i dettagli interessanti, invece. Ma il punto è che se lord Byron è riuscito a passare oltre, forse dovreste farlo anche voi».

Non apprezzò affatto il consiglio di Joyce, si voltò dall'altra parte, fingendo d'interessarsi al panorama, mentre borbottava fra se parole indecifrabili ma che sicuramente non erano lusinghiere.

«O forse...», continuò Joyce, non arrendendosi: «... vi da fastidio vederlo felice con lady Astrid e i bambini, in piedi sulle sue gambe».

Sapeva benissimo che usare certe parole era un rischio, ma era pronta a correrlo, immaginando già le possibili reazioni del suo paziente. 

Ma Heath la sorprese ancora una volta. Si voltò con estrema lentezza, e con altrettanta velocità la guardò da capo a piedi, come a volerla giudicare a prima vista.

Forse si stava chiedendo se avesse effettivamente sentito bene le sue parole, o se si fosse immaginato tutto. Forse stava solo cercando di capire quale potesse essere la risposta giusta, quella in grado di zittirla. 

Alla fine ci rinunciò e ammise: «Avete ragione... lui cammina, ed io no. Lui è felice ed io no».

«Molte persone camminano e sono felici», precisò lei, e qualche secondo dopo lo vide sorridere, in modo quasi maligno.

«E infatti odio tutti». 

«E questo vi fa stare meglio? Vi da la giusta soddisfazione, essere arrabbiato con tutti perché hanno ciò che voi desiderate?».

Lui ci pensò su qualche istante, serio e per niente arrabbiato. Stava davvero riflettendo sulla domanda per poterle dare una risposta sincera, e quando aprì la bocca, fu lui il primo a rimanere deluso dalle sue parole.

«All'inizio sì, è piacevole. Poi però torna tutto come prima... almeno è l'unica cosa che riesco a provare con costanza, l'odio».

Joyce non ebbe il tempo per rimanere sorpresa da tanta sincerità, che comunque era una novità nelle loro conversazioni. Di solito doveva patire molto prima di riuscire a farlo parlare. 

E così dovette affrettarsi a trovare la parole giuste, per paura che il momento di complicità finisse troppo in fretta. 

«Ma non siete stanco di essere arrabbiato con tutto il mondo? Intendo, non fate tanta fatica a provare rabbia? Odiare è un sentimento così profondo e coinvolgente da togliere tutte l'energie. Energie che invece dovreste sfruttare per guarire e riprendermi».

«Che senso ha cercare di guarire? La mia gamba non tornerà mai più», per la prima volta Heath parlava della sua disabilità con estrema tristezza e senza quel sottotono di malignità tipica delle sue parole. 

«Questo non vi rende meno uomo, Heath. Questo non vi preclude la stessa felicità del vostro amico».

Glielo vide negli occhi che non credeva del tutto alle sue parole, perché era così convinto di non essere meritevole di una vita normale, che niente e nessuno poteva convincerlo del contrario.

«Chi sceglierebbe di stare con uno come me, quando il mondo è pieno di uomini come il Capitano?».

Joyce ignorò completamente la velata critica all'ultima conversazione che lei stessa aveva avuto con Sebastian, e al tono intriso di gelosia, per sorridere con fiducia: «Qualsiasi donna in grado di vedere oltre l'aspetto fisico».

Ci credeva con tutta se stessa, non solo perché lo aveva visto con i suoi occhi, ma anche perché non poteva non credere ad un mondo pieno di speranza e amore. E l'amore va oltre ogni ostacolo.

«E voi, siete una di quelle donne?».

La domanda la colse alla sprovvista, a tal punto che rimase in silenzio più del dovuto. Per qualche istante rimase a pensare alle implicazioni della risposta. 

Non voleva certo illuderlo, ma allo stesso tempo lui era stato sincero e si meritava la stessa sincerità. 

Per questo rispose: «Ne ho visti di uomini in pezzi con un cuore d'oro... perciò sì, io sono il tipo di donna che non guarda l'aspetto fisico».

Una parte di lei si pentì di averlo ammesso nell'istante in cui lo vide sorridere con entusiasmo. Pensò subito di avergli dato un'impressione sbagliata, perché non voleva intendere niente di sconveniente. 

Ma ormai lo aveva detto e non poteva rimangiarselo, visto che l'umore di Heath cambiò improvvisamente e per il resto del viaggio fu molto più ben disposto e allegro.

E considerato che non voleva tornare ad avere a che fare con l'Heath scorbutico, decise invece di togliergli dalla testa qualsiasi idea sbagliata senza però farlo arrabbiare.

Così, con tono velatamente malizioso, aggiunse: «Forse anche Paulina non è il tipo di donna che fa troppo caso all'aspetto fisico».

Heath le lanciò un occhiata strana, ancora una volta scrutandola con attenzione per cercare di capire il vero significato delle sue parole. Come se ci fosse sempre qualcosa sotto da scoprire. 

Ma Joyce era sincera, l'unica cosa che voleva per il suo paziente era la sua felicità. E prima o poi anche Heath avrebbe dovuto convincersi che poteva avere una vita come qualsiasi altro uomo. 

«Sapete», riprese a dire, un po' a disagio dal suo osservarla con attenzione: «ho conosciuto molti soldati come voi, in questi anni. Feriti, spezzati, distrutti sia fuori che dentro dalla guerra e dalle barbarie che porta con sé. Alcuni volevano solo lasciarsi andare, proprio come voi, e provare risentimento verso tutti e tutto. Ma alla fine, una volta guariti fisicamente, con il tempo e la volontà sono riusciti ad andare avanti. Non è facile, Heath, ma se non ci mettete un po' di volontà, sarà ancora più dura».

A metà del suo lungo monologo lui si era voltato a guardare di nuovo il paesaggio, ma Joyce sapeva che la stava ascoltando con attenzione e questo le bastò per continuare. 

«Io posso impegnarmi per aiutarvi, ma non potrò farvi guarire se non lo vorrete», furono le ultime parole che pronunciò prima di tornare anche lei a guardare il panorama. 

Ogni tanto lo guardava con la coda dell'occhio, vedendolo tremendamente immobile e pensieroso. Ma era un bene. Lei voleva scuoterlo un po', farlo riflettere sulle sue parole e magari riuscire a convincerlo. 

Il resto del viaggio verso la Capitale fu piuttosto silenzioso ma per Joyce fu solo un bene, considerato che Heath smise anche si lamentarsi. 

Forse non avrebbe ottenuto altre parole da lui, ma almeno poteva considerarsi soddisfatta per il semplice fatto che aveva cancellato ogni negatività da quella carrozza. E ciò le permise di pensare con più attenzione a tutto quello che si erano detti.

Non voleva essere troppo ottimista, ma doveva ammettere a se stessa che qualcosa nell'animo del suo paziente stava cambiando. E ne era felice.

Allo stesso tempo, però, non poteva smettere di rimuginare sul perché Heath fosse così curioso di sapere se avesse potuto avere qualche opportunità con lei. Come se fosse veramente interessato e stesse tastando il terreno, in cerca di un consenso. 

Non le era permesso provare sentimenti romantici per i suoi pazienti, la madre Superiora era sempre stata molto chiaro in proposito. E per quanto fosse lusingata, e anche un po' felice, di quel poco interessamento, dovette scacciare subito dalla testa qualsiasi pensiero romantico. 

Quando raggiunsero la città, fu facile smettere di pensare ad Heath, perché i ricordi collegati a quel luogo iniziarono ad affiorare quasi con prepotenza.

La Capitale per lei era un coacervo di momenti belli e brutti. Lì aveva lavorato come infermiera per molto tempo, ed era stata educata dalla suore, ma allo stesso tempo aveva conosciuto persone che era state in grado di minare la sua fiducia nel prossimo.

E quando era partita per Plaingrass, lo aveva fatto con la convinzione che non sarebbe tornata per molto, molto tempo. 

Un po' le era mancata, ma allo stesso tempo doveva ammettere di essere abituata in fratta alla calma e alla tranquillità del paese. 

Anche Heath apparve molto più nostalgico mentre attraversavo le vie della città, stringendo più forte che poteva la mano a pugno, quasi a farsi venire le nocche bianche. 

Poteva comprenderlo, visto che i ricordi legati alla capitale per lui erano spiacevoli e dolorosi. E senza neanche accorgersene, Joyce si ritrovò a stringergli la mano, cercando di sciogliere il suo pugno intriso di tristezza e sofferenza.

Heath apprezzò il gesto, tanto che le sorrise per qualche istante, prima che la carrozza si fermasse all'interno di un piccolo e grazioso atrio di un palazzo in pieno centro. 

I domestici li stavano aspettando fuori, in piedi e in fila davanti all'entrata, e il maggiordomo fu il primo a farsi avanti, presentando se stesso e gli altri colleghi: due fattorini, giovani e in fora che aiutarono Heath a scendere con la carrozzina, la cuoca e due cameriera. 

«Siamo a vostra completa disposizione, secondo gli ordini di Lord Byron Devenport», concluse l'uomo, impettito, con le braccia dietro alla schiena. 

Per Joyce era una novità, avere tutti quei domestici a disposizione ma non perse tempo e subito ringraziò. 

«Lord Byron ci ha informato delle problematiche del signor Heath, perciò abbiamo già predisposto, dove possibile, una rampa sui gradini. Per raggiungere le stanze da letto ai piani superiori, invece, Will e Malcom saranno a completa disposizione per il trasporto», l'uomo indicò i due ragazzi più giovani che aveva fatto scendere Heath, e che avevano ignorato lo sguardo turbato di quest'ultimo.

«Grazie. Vi comunico già da adesso che fra due giorni abbiamo un appuntamento programmato in centro e che quindi avremmo bisogno della carrozza. Mentre vi chiederei di predisporre il rientro a Plaingrass tra non meno di due settimane... Lord Byron ci tiene che il suo amico sia presente alla festa che sta organizzando».

Heath aveva alzato gli occhi al cielo, ma lei aveva fatto finta di nulla. Aveva promesso a Byron che si sarebbe presentato alla festa, e lei manteneva sempre le sue promesse. 

«Bene, ora che abbiamo finito con i convenevoli, direi che posso anche godermi questi pochi giorni in santa pace, giusto?», furono le prime parole che Heath pronunciò, ignorando tutti i domestici. 

«Certo, siete libero di passare le vostre giornate come meglio credete, purché non dimentichiate il nostro appuntamento con Paulina».

Detto ciò Heath si voltò e lasciò che i due fattorini lo trasportasse nella sua camera da letto, lasciando da sola Joyce. 

Il suo se sto senso le suggeriva che quel viaggio avrebbe cambiato per sempre il loro rapporto. Se in bene o in male ancora non lo sapeva. 

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