12 - Chevrolet Matiz
Sono seduta in salotto ad aspettare che Noah passi a prendermi. Gli ho mandato un messaggio subito dopo essere uscita dal negozio con Marylu.
"Alla fine", mi sono detta, "ha ragione la mia amica: erano anni che non parlavo con un uomo così volentieri, quindi perché perdere l'occasione di un'altra bella chiacchierata?"
Dato il tempo incerto che promette pioggia da un momento all'altro, gli ho proposto di farci un giro in un centro commerciale poco lontano.
Mattia è a casa di Lisa e passerà il pomeriggio con Giulio.
Il cellulare sul pouf in stoffa color antracite davanti a me vibra.
È un messaggio di Noah:
-Sono fuori.-
Bene, almeno non mi ha avvisata con un colpo di clacson: cinque punti per l'educazione.
«Ciao, Sam» mi saluta e fa il giro dell'auto per aprirmi la portiera. I punti si accumulano.
Lo saluto a mia volta e salgo.
Appoggio la borsa ai miei piedi e incrocio le mani sulle ginocchia: sono impacciata e tesa. Non è come quando ci siamo conosciuti per caso: questo è un incontro prestabilito e, come tale, ognuno di noi due si è creato delle aspettative.
Mi auguro che conversare sia altrettanto facile e piacevole come lo è stato quella sera.
Quante volte ci viene più spontaneo confidarci con un estraneo che con qualcuno che conosciamo? Sapere che l'altro non sa niente di noi, può essere una spinta a metterci a nudo. Perché, dopotutto, se l'altro non sa chi siamo non potrà neppure giudicarci.
Noah, dal canto suo, sembra perfettamente a suo agio.
Percorriamo il breve tratto di autostrada sulla sua Chevrolet Matiz nera che sembra debba prendere il volo ogni volta che superiamo i 100 km/h. Ma lui la guida come se avesse un bolide sotto il culo, tirandola al limite di velocità consentito.
Non si scompone neppure quando una Range Rover inizia a sfanalarci sulla corsia di sorpasso: supera le auto che deve e, solo dopo, si immette nuovamente sulla corsia di destra.
«Sei silenziosa» mi dice mentre tira fuori gli spiccioli dalle tasche per pagare il casello.
E ha ragione: da quando sono salita gli avrò rivolto sì e no dieci parole.
«Forse sto andando troppo veloce? Posso rallentare, se vuoi.»
Faccio un cenno di diniego.
«No, no tranquillo... è solo che...»
«Che ti sembra di essere con un perfetto sconosciuto su un razzo spaziale pronto al decollo!» conclude lui per me.
Faccio di tutto per non scompormi, ma poi lui si volta verso di me e gli scoppio a ridere in faccia.
Non riesco proprio a trattenermi: tutta la tensione accumulata scivola via dal mio corpo.
Noah rimane in silenzio e, per un istante, penso si sia offeso. Mi sono presa troppa confidenza?
Ancora serio, mi indica un pacchetto di fazzoletti nel portaoggetti.
Ne prendo uno per asciugarmi gli occhi. Ormai sono in loop: più vorrei smettere di ridere e più non ci riesco.
Che scema che sono. Mi succede sempre così: una situazione mi mette a disagio e inizio a ridere come un'oca starnazzante.
«Prendi pure in giro la mia Ferrari!» ribatte Noah, ma dal suo tono capisco che non se l'è presa come temevo.
Sento il cuore riempirsi di sollievo.
«Perdonami: mi stavo godendo la tua risata.»
Mi guarda e sorride.
Qualcosa dentro di me si scioglie.
Accidenti, questo ragazzo ha una delle caratteristiche fisiche potenzialmente capaci di farmi perdere la testa.
Denti curati e sorriso storto. Quando sorride, l'angolo destro della bocca si alza rispetto all'altro.
Non saprei dire perché, ma trovo questa cosa estremamente sexy.
Lisa e Marylu mi deridono dicendo che potrei trovarmi davanti Brad Pitt che balla la zumba nudo ma che se, aprendo la bocca, rivelasse denti gialli mi darei alla fuga lasciandolo all'asciutto.
Per fortuna siamo arrivati e Noah si mette alla ricerca di un parcheggio.
Così non nota che sono arrossita.
Passeggiamo per il centro commerciale, a quanto dicono uno dei più visitati d'Europa.
Noah mi cammina a fianco chiacchierando spigliato del più e del meno e io approfitto del fatto di vederlo alla luce per la prima volta per osservarlo.
Non è particolarmente alto, sarà circa 175 cm e non ha il fisico imponente che ci si aspetterebbe da uno che fa il militare. Certamente, i film sui Marines americani super massicci hanno influenzato l'immaginario comune.
Noah ha un fisico asciutto e ben proporzionato. I jeans che indossa mettono in risalto gambe compatte e scattanti. Le braccia sono allenate e la t-shirt evidenzia l'addome piatto.
Mi da' l'impressione di uno in grado di correre venti Km e poi farsi cinquanta trazioni senza perdere neppure una goccia di sudore.
A me non sono mai piaciuti i tipo grandi e grossi, quelli con bicipiti enormi che se ti tirano un cazzotto giri per un quarto d'ora. Preferisco i fisici tonici ma contenuti.
Come il suo.
«Tutti questi negozi mi hanno fatto venire fame» mi dice mentre passiamo davanti ad una gigantesca vetrina di abbigliamento sportivo.
«Ti va di fermarci per mangiare qualcosa?»
«Non dico mai di no alla merenda delle 16!» approvo «c'è un solo posto dove fare uno spuntino da queste parti. Andiamo.»
"L'angolo della schiacciata" è un piccolo chioschetto situato al piano terra dove vendono la schiacciata tipica toscana ripiena in ogni modo possibile e immaginabile.
Quando arriviamo, la fila è interminabile.
Faccio una specie di broncio mostrando tutto il mio disappunto: odio fare la fila. Sarei capace di rinunciare in partenza e andarmene seduta stante: lo farei, se fossi sola.
Ma Noah guarda i vari tipi di salse e affettati con estremo interesse.
Poi, mi sorride con quel suo sorriso storto:
«cerca un posto a sedere: la fila la faccio io.»
Accetto di buon grado la proposta e, dopo avergli detto come ordinarmi la schiacciata (per me sempre e solo prosciutto crudo tagliato a mano) mi metto alla ricerca di un tavolino.
Trovo posto quasi subito: contrariamente al caos per l'ordinazione, i posti a sedere sono in gran parte liberi. Le persone preferiscono mangiare passeggiando.
Mi siedo e tiro fuori il cellulare nell'attesa. Lisa mi ha mandato un vocale per informarmi che Mattia e Giulio hanno dato il via ad una partita a basket senza precedenti nel retro del giardino. Sono loro due contro Luca. Povero Luca: ne uscirà a pezzi.
Marylu invece mi ha inviato solo l'emoji della faccina che fa l'occhiolino.
Noah arriva dopo una ventina di minuti abbondanti con due sacchetti di carta e due lattine di coca.
«Schiacciata e crudo rigorosamente tagliato a mano per lei, signorina» mi porge il mio sacchetto prima di sedersi.
«Grazie per esserti sobbarcato l'onere della fila,» gli sorrido riconoscente.
«Figurati» tira fuori la sua schiacciata e le da' un grosso morso «mmmm ottima!»sentenzia dopo aver mandato giù «finocchiona e salsa di carciofi: una vera bomba!»
Ci gustiamo le nostre prelibatezze per un po', in silenzio.
Non è uno di quei silenzi opprimenti, in cui ti sforzi di trovare qualcosa da dire o da cui vorresti poter fuggire: è un silenzio avvolgente e confortevole.
Sono sempre stata una persona introversa e mi stupisce come condividere il silenzio con un uomo che conosco appena non smuova in me nessun senso di inadeguatezza.
Spesso, le persone confondono l'essere introversi con il non avere amici.
Essere introversi significa non trovare la forza di raccontarsi.
Noah si è accorto che lo sto fissando assorta nei miei pensieri e mi regala un'occhiata interrogativa.
Per un attimo avverto il mio sguardo incatenarsi al suo.
Ha occhi molto belli: castani con riflessi verdi, la forma lievemente a mandorla. Ma non sono le caratteristiche fisiche ad attrarmi.
Noah ha occhi acuti e penetranti, occhi che sembrano saper ascoltare.
Sento che quando ti guarda è in grado di vederti davvero.
«Sai, pensavo mi avresti chiesto subito come mai ti ho invitata fuori dopo il mio comportamento di quella sera...» interrompe il silenzio e beve un sorso di coca direttamente dalla lattina.
«In effetti me lo sono domandata...» la mia voce non riesce a celare una nota di asprezza.
«Mi sono pentito di non averti lasciato il numero due minuti dopo che te ne eri andata con la tua amica. Fortunatamente, mi è bastato chiederlo a Giorgio. Anche se mi ha perculato per una settimana.»
Apprezzo la sincerità.
«Diciamo che non sei stato quel che si definisce un gentiluomo, ecco» infilo il dito nella piaga perché un po' se lo merita.
«Sono stato uno stronzo. Chiamiamo le cose con il loro nome. Divento un coglione quando sono parecchio nervoso.»
«Tuo padre... scusa: ho fatto due più due» mi auguro di non aver varcato il limite della confidenza consentita.
Ma lui annuisce: «Già, mio padre. Ci becchiamo spesso, ultimamente più del solito. Ci sono delle cose che il mio lavoro implica non facili da accettare. Di sicuro, la distanza non agevola le cose.»
Detto ciò, mi chiede se ho voglia di un caffè.
Io non indago oltre: mi sembra già molto quanto ha voluto condividere.
Accetto la proposta del caffè e gli domando quanto devo restituirgli per la schiacciata.
«Ehi» si risente lui offeso «sarò anche uno stronzo, ma rimango uno stronzo del sud.»
Beviamo il caffè in un bar vicino e riprendiamo a girare per il centro commerciale.
«Chi era il bellimbusto con cui eri a cena?»mi domanda a bruciapelo.
«Un collega» rispondo io vaga.
Allora mi ha vista, penso. Ha fatto finta di niente, ma mi ha vista. E ha notato anche Marco. Provo una punta di soddisfazione.
«Solo un collega?»
Avverto del risentimento.
Me lo starò immaginando?
«Solo un collega» confermo e spero con tutta me stessa che mi creda.
«E quella bella bionda con cui eri tu?»
A questo punto, anche io voglio una risposta.
Noah fa spallucce: «solo una bella bionda con cui sono uscito a cena.»
«Eravate molto belli insieme» persevero.
«Può darsi. Ma, alla fine, essere belli insieme serve a poco se manca tutto il resto. Il discorso che ti facevo per mio padre vale anche per le altre relazioni. Non voglio costringere nessuno ad accettare il mio stile di vita. Chi sposa me sposa anche il mio lavoro.»
«Già, non deve essere facile stabilire un legame,» mi mostro comprensiva.
«Hai colto nel segno. Motivo per cui preferisco stare solo: meno complicazioni.»
Lasciamo le parole sospese tra noi.
Noah mi guarda per tutto il tempo. Il suo sguardo mi fa sentire spogliata, vulnerabile.
Avrei voglia di sfiorarlo.
Una carezza sulla guancia per prendermi un po' di questa malinconia.
Evito.
Ci siamo fermati per parlare e, quando mi volto, mi ritrovo davanti ad un negozio di modellini auto.
«Mattia impazzirebbe per quello lì» indico un modellino in scala di una Mustang del 1967 color argento, esposto in vetrina.
«Ha buon gusto, il ragazzo!» esclama, poi più serio: «non deve essere stato facile crescerlo da sola.»
Faccio cenno di no: ho raccontato a Noah della mia situazione. A grandi linee, senza scendere nei dettagli. Ma ho l'impressione che abbia capito più di quanto gli abbia riferito.
«No, non lo è stato. Ne è valsa la pena, in ogni caso. A proposito di prole: adesso dovrei proprio rientrare.»
Alla velocità costante di 120 km/h percepiti 200 sulla Matiz nera, arriviamo a casa mia in una mezz'ora scarsa.
Sto per scendere, ma Noah mi posa una mano sulla gamba e io mi blocco.
«Sai» inizia «non vorrei essere invadente, ma mi farebbe un immenso piacere conoscere il piccolo Mattia.»
Chissà che cosa mi ero aspettata.
Tuttavia, la sua richiesta mi fa enormemente piacere.
Così, prima di prendermi del tempo per ponderare la cosa, lo informo che il quattordici Maggio sarà il suo compleanno e lo invito alla festa che sto organizzando.
«Non mancherò!» risponde pieno di entusiasmo.
Ha ancora la mano sulla mia gamba e, quando la toglie, un po' me ne sento privata.
Scrivo a Lisa per dirle che sono rientrata e che tra poco andrò a prendere Mattia.
Mi risponde immediatamente manco avesse il cellulare sotto il naso (cosa in realtà molto probabile, visto che sarà in trepidante attesa di un mio responso):
-Lascia stare: lo riporta Luca. Piuttosto dimmi: com'è andata?-
-Grazie infinite: così posso farmi subito una doccia. Comunque, direi più che bene. Mi è quasi dispiaciuto doverlo salutare.-
Digito e invio.
-Grande: devi raccontarmi tutto! Però di una cosa possiamo essere grate...-
-Di cosa?-
-Mio fratello non è l'unico modello di riferimento maschile presente nell'Universo.-
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