The warning
Namid
Sembrava andare tutto per il meglio, eppure io non riuscivo ad essere completamente felice. La tribù era finalmente scesa a patti con la presenza di Russell, lui si era integrato quasi alla perfezione e anche mio padre, solitamente taciturno e chiuso in sé stesso, ultimamente aveva ripreso a discorrere con me del possibile matrimonio. Ayasha fantasticava già sul mio futuro con l'uomo bianco, ma le sue parole, invece di rallegrarmi, mi riempivano il cuore di ansia e di angoscia: mi sembrava di fare un torto a Russell nell'immaginarmi appagata davanti alla tepee, ad accudire i nostri bambini e il nostro focolare e a mormorare preghiere al posteriore di Tasunke*.
"Lui non è come te. Lui non è come te." ripeteva ossessivamente una voce nella mia testa. Una voce che, fin dall'infanzia, avevo associato al volto di mia madre. Socchiudendo gli occhi riuscivo ancora a vederla nitidamente: i capelli di un biondo così chiaro da sembrare quasi bianco, il volto perennemente arrossato dal sole delle pianure, gli occhi blu e profondi, identici ai miei. Aveva un profilo da perfetta donna bianca, il naso all'insù, labbra carnose e una vita sottile. Ho sentito raccontare che fu per questo che la mia nascita fu difficile e straziante per lei, tanto da spezzare definitivamente il suo carattere fragile. L'unico colpo di testa che fece mia madre in tutta la sua vita fu tentare di portarmi via dalla tribù... Non seppi mai spiegarmi perché, visto che poi era stata pronta ad abbandonarmi senza remore pur di riconquistare la libertà. Dopo aver vissuto con Russell lungo la ferrovia avevo compreso che per Elizabeth Cox sarei stata solo un peso nella società dei bianchi; temevo che se un giorno i miei figli avessero dovuto integrarsi nel mondo di loro padre avrebbero pagato caro la loro ascendenza mista. Forse avevano ragione le donne del campo, forse c'era davvero qualcosa che non andava in me: ero sempre pronta a scattare, ad andarmene, a tentare una nuova strada. Sembrava che per me non ci fosse un luogo in cui potessi fermarmi, neanche con Russell.
Più mi sforzavo di scacciare i brutti pensieri, più loro mi attanagliavano e quando un giorno, all'incirca due settimane dopo l'incontro di Russell con Chuchip, mi svegliai con l'acchiappasogni che sibilava furioso sull'entrata della tepee, capii che qualcosa stava per succedere e che dovevo essere pronta.
La mattina dopo mi svegliai che il campo era ancora immerso nell'oscurità. Scivolai attentamente oltre il corpo addormentato di mio padre e mi diressi con piccoli passi veloci verso la grande tenda di Otoahhastis: come pensavo, anche il capo-tribù e la sua famiglia stavano dormendo serenamente.
Attenta a non fare il minimo rumore — spiegare la mia presenza lì sarebbe stato quantomeno imbarazzante — arrivai fino al punto in cui era adagiata la Colt del mio uomo; in fretta controllai che nella fondina ci fossero sia proiettili che polvere e mi affrettai ad uscire dalla tepee.
La brezza fresca del mattino mi accompagnò nella mia corsa verso il punto in cui era solito bivaccare Russell. Per tutto il tragitto avevo stretto l'arma al petto fino a farmi sbiancare le nocche, pungolata dall'orribile sensazione di essere spiata. Mi voltai anche un paio di volte, ma il sentiero era deserto.
Anche Russell era già in piedi e stava spegnendo i resti del fuoco che lo aveva tenuto al caldo durante la notte; alzò gli occhi sorpreso quando mi sentì arrivare.
Mi fermai ansante accanto a lui, che scattò in piedi allarmato:
«Namid! Cosa ci fai qui a quest'ora? Cosa è successo?»
I suoi occhi verdi si fecero torbidi quando videro la Colt:
«Che cosa hai combinato?» mormorò, passandosi una mano tra i capelli che in quel periodo si erano allungati fino a raggiungere le spalle.
«Prendi la pistola, Russell, e non chiedere perché. Penserò io a parlare con Otoahhastis...»
«Ho il coltello e l'arco con me, Namid: la pistola ha per me solo un valore affettivo ormai. Non vorrai nuovamente inimicarmi i tuoi compagni con questo furto, no?»
«Il furto è stato compiuto ai tuoi danni... Prendila, ti dico! C'è qualcosa di strano nell'aria, io le sento queste cose e non sbaglio quasi mai! Anche prima, mentre venivo qui, avevo l'impressione di essere seguita!»
«Non dire sciocchezze Namid, qui ci siamo solo io e te!»
«E invece ti sbagli, Colt!» esclamò una voce dietro le nostre spalle. Mi voltai e il mio corpo si tese in un fremito:
«Lee! Abraham!» disse Russell, sbigottito. «Cosa ci fate voi qui?»
Russell
I miei amici si liberarono delle ultime foglie che erano rimaste impigliate nelle loro casacche.
«Siamo venuti in avanscoperta, Colt, per vedere se in qualche modo eri ancora vivo. Eravamo sicuri che la ragazzina, qui, non ti avrebbe mollato così facilmente!» ridacchiò Abraham, strizzando l'occhio a Namid.
Lee, invece, aveva la faccia scura.
«Diamine, Walker, cosa ti passa per quella testa bacata? Perché non sei tornato al campo? Dodge pensa che tu sia morto e sepolto e in tuo nome ha costituito un piccolo battaglione di tagliagole e mercenari per abbattere gli indiani! Stanno arrivando qui!»
Vidi Namid sbiancare e aggrapparsi al mio braccio con disperazione:
«Che facciamo, Russell?» balbettò, terrorizzata.
«Quanto sono distanti da qui?» chiesi, la voce ferma che non tradiva nulla del contrasto lacerante che provavo. Da una parte c'era il senso di colpa nei confronti dei Cheyenne, perché in fondo era anche un po' colpa mia se un drappello di delinquenti era pronto per massacrarli; dall'altra, rivedere le due facce familiari di Lee e di Abraham aveva acuito la nostalgia per il mio mondo.
Morris si asciugò il sudore dalla fronte, riflettendo:
«Noi li abbiamo distaccati due giorni fa, con la scusa di studiare la situazione, ma sicuramente non avranno aspettato il nostro ritorno per procedere.»
«Noi però siamo stati fortunati!» intervenne Abe. «Vi abbiamo trovato senza difficoltà, non è certo che anche Dodge individui la tribù così in fretta!»
«Sarebbero disposti a trattare?»
L'ex-schiavo chinò il capo, sconsolato:
«Non credo proprio, amico mio.»
«Bene, allora non resta altra soluzione che la fuga!» esclamai, dirigendomi a passo spedito verso il campo.
«I guerrieri non accetteranno mai una cosa del genere, Russell!» mi gridò dietro Namid, ma mi imposi di non ascoltarla, deciso ad evitare uno spargimento di sangue.
Purtroppo la mia donna aveva ragione: nessuno dei Cheyenne sembrò disposto ad ascoltarmi.
«Che vengano pure, gli uomini bianchi!» urlò Chayton, bellicoso. «Non abbiamo paura di loro!»
«Li convinceremo a parlare con noi!» intervenne invece Otoahhastis, più pacato. «Enapay è vivo e vegeto e da questo momento è libero di tornare dalla sua gente, se lo ritiene giusto. I visi pallidi non possono utilizzare questo pretesto per attaccarci.»
«Voi non capite!» ringhiai, scuotendo la testa frustrato. «A loro non serve un pretesto, bastano le armi che portate in giro per accusarvi di aver attaccato il convoglio ferroviario dei rifornimenti. Otoahhastis, mi rivolgo a te perché sei saggio e sei responsabile dell'incolumità di questa gente: se restate qui sarà un massacro! Allontana almeno le donne e i bambini!»
Il capo tribù sembrò colpito dalle mie parole, ma fu allora che intervenne Kuckunniwi:
«Sembri ben informato, Enapay, ed è davvero curioso che gli amici che ti hanno avvertito del pericolo non si siano avvicinati al campo. Curioso, già!»
Sorrise e si voltò verso il resto dell'assemblea:
«Non vi pare strano che vogliano allontanarci proprio ora dalla nostra terra? Secondo me è una trappola, secondo me l'uomo bianco è d'accordo con i suoi simili!»
«Oh, al diavolo!» sbottai, afferrandolo per il collo della tunica e sollevandolo qualche centimetro da terra: l'intera tribù rumoreggiò intimorita, ma nessuno intervenne per separarci.
«Ascoltami bene, Kuckunniwi: i miei amici sono tornati indietro a prendere tempo e ad organizzarsi con gli altri della mia squadra per darvi il tempo di scappare! Io non sono d'accordo con nessuno, maledizione, io non voglio uno scontro, non voglio Sand Creek! Io non voglio un'altra guerra da combattere, perché... Perché non saprei da che parte stare.» ammisi, sconfitto.
Mi guardai attorno, studiando quei visi tesi e muti: non ce l'avrei mai fatta a convincerli. Anche Hevataneo taceva, l'espressione per una volta triste.
Perciò abbandonai l'assemblea con furia, vacillando solo davanti agli occhi pieni di lacrime di Namid:
«Russell...» balbettò. «Io...»
«Va' da tuo padre, Namid.» borbottai puntando lo sguardo dritto di fronte a me. «Spendi bene il tempo che vi rimane.»
•••
Osservavo il fuoco con occhi assenti, impegnato a mettere a tacere le varie voci che gridavano nella mia testa. Qualsiasi soluzione mi venisse in mente mi sembrava inaccettabile: non potevo combattere i miei stessi compatrioti, ma neanche trucidare il popolo della donna che amavo; scappare era da codardi, rimanere senza fare niente era anche peggio.
Mi presi la testa tra le mani e mi lasciai sfuggire un grido di disperazione.
«Namid...» dissi e sentii le lacrime che premevano per uscire dai miei occhi. «Come faccio? Come faccio a salvarti?»
«Il modo di salvarla c'è.» mi rispose la voce di Waquini poco lontano. Uscì dall'ombra notturna, sedendosi accanto al mio bivacco.
«Quale?» chiesi, senza troppo interrogarmi sul perché quel vecchio scontroso che a malapena mi aveva rivolto la parola due o tre volte all'improvviso mi fosse venuto a cercare. Era chiaro che l'attacco immediato aveva messo tutti alle strette.
«Non so se lo accetterai, uomo bianco. Fare ciò che ti sto per suggerire significa tradire non solo noi, ma anche te stesso.»
«Mi avete dato il nome di Enapay, giusto? Ebbene, parla: se c'è anche la minima possibilità di portare Namid via di qui sana e salva, la seguirò. Non ho paura.»
«Sappiamo entrambi che i Cheyenne perderanno questa battaglia, ma il nostro onore ci impedisce di abbandonare così la nostra terra. Per andare dove, poi? No, no, meglio morire qui che peregrinare in eterno. Una volta Viho, il fratello di Otoahhastis, mi disse che invece Namid non apparteneva ai boschi, ai fiumi e a queste montagne come il resto della tribù. Sono certo che, con qualche difficoltà, saprebbe integrarsi nella tua società.»
Pensai ai suoi giorni alla ferrovia, la curiosità, la velocità con cui apprendeva le cose... Annuii, speranzoso.
«C'è un sentiero, nel bosco, che ad un certo punto curva verso Nord, aggirando la pianura.»
«Ci porterebbe dritti alla ferrovia!»
«Esatto. Non intervenire nella battaglia, Enapay: lascia credere a tutti che combatterai, ma al momento dello scontro vattene, prendi Tasunke e Namid e scappa. Arrivato dalla tua gente dirai che eri già partito da qualche giorno e che del gruppo di guerrieri bianchi non sapevi nulla.»
Meditai un attimo sulle parole: una morsa di angoscia mi attanagliava il petto al pensiero di lasciare Hevataneo, Ayasha e gli altri al loro destino, ma Namid era più importante ai miei occhi.
«Va bene, vecchio, accetto: seguirò il tuo piano.»
•••
L'angolino storico
* le donne Cheyenne erano solite mormorare formule beneauguranti al sedere dei cavalli dei cacciatori, per favorirli nella caccia.
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