The training
Russell
L'alba del quinto giorno di cammino illuminò in lontananza la linea scintillante dei binari ferroviari. Avevo rallentato di molto la marcia nella speranza che il drappello fosse già rientrato: non sapevo chi facesse le veci di Dodge in quel momento al campo e non ci tenevo a scoprirlo.
Mi voltai verso Ayasha e Namid, che cavalcavano poco dietro di me:
«Siamo arrivati, ma state in guardia: non sarà facile convincere Dodge della mia innocenza.»
Quando arrivammo più vicini, gli uomini che avevano già iniziato il loro turno di lavoro lasciarono cadere i picconi, esterrefatti:
«Ma è Colt! È tornato Colt!» udivo bisbigliare da tutte le parti.
In breve si formò un nutrito gruppo di persone che seguiva la nostra placida marcia verso il vagone-alloggio del generale, posto sullo spiazzo centrale del campo della ferrovia. Riconobbi in quel mare di volti lucidi per il sudore i visi preoccupati dei miei amici: Lee, Abraham e Chuck, in particolare, mi sembravano furiosi — probabilmente perché non avendomi trovato al campo indiano avevano pensato al peggio.
Dodge arrivò subito non appena avvertito della mia miracolosa ricomparsa: solo un'aria leggermente sfatta e la benda che gli teneva il braccio sinistro fermo contro il petto segnalavano che era appena rientrato da un combattimento.
«Russell Walker!» esclamò, con un luccichio sorpreso negli occhi, mentre io smontavo dalla groppa di Tasunke. «Ti credevamo tutti morto!»
«Invece sono vivo e vegeto, signore, e pronto a riprendere il mio lavoro!» risposi, ostentando una sicurezza che non avevo.
«E come mai porti i vestiti degli indiani?»
"Ecco, adesso arriva il bello!"
«I Cheyenne erano riusciti a prendere la ragazza e non appena li ho scoperti mi sono lanciato al loro inseguimento... Ma sono stato catturato. Per settimane ho aspettato, costretto ad adattarmi alla loro cultura e ad indossare questi abiti perché non avevo nient'altro con cui coprirmi. Sei giorni fa sono riuscito a recuperare la mia pistola, a rubare dei cavalli e a partire, portando con me queste donne.»
«Gran parte degli uomini che vedi intorno a te sono appena rientrati da una spedizione punitiva contro la tribù che ti ha catturato. Una spedizione di vendetta.» mormorò cupo il generale, scrutando attentamente Ayasha e Namid.
Sembrava a disagio nel sostenere il loro sguardo insieme fiero e ferito; fui sfiorato dal pensiero che forse sterminare i coraggiosi Cheyenne non era stata una sua idea, ma l'ordine di qualcuno più potente, che vedeva nella ferrovia il pretesto perfetto per sbarazzarsi definitivamente di un popolo scomodo.
«Io non potevo saperlo, signore!» continuai, mentre rivoli di sudore ghiacciato mi scendevano lungo la schiena, causandomi impercettibili brividi. «Altrimenti state pur certo che vi avrei aspettato, invece di tentare la fuga in questo modo!»
«Già, già...»borbottò Dodge, lo sguardo momentaneamente perso nel vuoto. Poi i suoi occhi tornarono su di me:
«Sei stato fortunato, Colt, davvero fortunato... Perciò ora io mi chiedo: come mai hai rubato due cavalli invece di uno, riportando al campo non solo la prigioniera fuggita, ma anche un altra squaw?»
Ayasha sussultò quando Namid le tradusse il significato di quelle parole e strinse più forte le braccia attorno al proprio corpo; vedere quelle due giovani donne accerchiate da uomini poco raccomandabili fece aumentare la velocità con cui il sangue scorreva nelle mie vene: dovevo garantire un rifugio sicuro per Ayasha e suo figlio, lo dovevo ad Hevataneo!
«Perché si trovava lì quando sono andato a prendere Namid, non potevo lasciare che desse l'allarme!» replicai con finta noncuranza. «Non darà problemi, la conosco, è una ragazza tranquilla!»
«Ancora una domanda, Colt, poi ti lascio andare a riposare nella tua tenda: perché dovrei permettere che la ragazza rimanga qui? È inutile per noi, adesso!»
Presi un respiro profondo e dopo aver lanciato una veloce occhiata a Namid alzai la voce per far sì che tutti quelli radunati intorno a noi mi sentissero bene:
«Perché è la mia donna.»
Dodge annuì, come a dire che aveva già compreso, e mi lasciò andare.
I ragazzi della squadra si congratularono con me con pesanti pacche sulle spalle e frasi ambigue che lasciavano capire come fossero a conoscenza della verità celata al generale e che allo stesso tempo non mi avrebbero tradito. Javier, in particolare, mi osservò procedere in mezzo alla folla con gli occhi sgranati: data la giovane età Dodge gli aveva impedito di partecipare al massacro dei Cheyenne e tirai un sospiro di sollievo per questo.
«Vi credevamo morto, signor Walker!» balbettò il ragazzo, ma il suo sguardo fu presto catturato da Namid, che mi aveva affiancato.
«Ciao, Javier!» mormorò la ragazza, con un sorriso stanco. Javier arrossì ed io mi persi a fantasticare di cavargli gli occhi... Ma poi scorsi da lontano anche il ghigno crudele di King e quella vista — oltre a farmi prudere le dita dalla voglia di conficcargli una pallottola nel cervello — mi ricordò di un'idea che avevo avuto la sera prima, mentre guardavo Namid dormire indisturbata accanto a me.
"Non credo che avrai possibilità di dormire sonni così tranquilli qui, ragazzina!"
Abe mi prese da parte, spalleggiato da Morris:
«Avvertirci del tuo piano campato in aria no, eh? Che gran figlio di buona donna!» sbottò il nero. La sua mole e la sua faccia arrabbiata spaventarono Ayasha, che scoppiò in lacrime per la tensione accumulata.
«Ma perché ti sei trascinato dietro anche questa femmina?» bofonchiò Lee, salutando Namid con un brusco cenno del capo. «Sappi che non ce la beviamo la storia dell'ostaggio! Sarebbe stato facile metterla a tacere con un colpo alla testa ben assestato!»
«È la moglie di un mio amico.» tagliai corto, ignorando le loro facce incredule. «Ed è incinta, non potevo certo lasciarla lì a morire! Ma Ayasha è un problema mio, non vostro, quindi tornate a lavoro prima che King utilizzi la vostra assenza come scusa per piantare grane!»
Abraham aggrottò la fronte:
«Avverto che stare in mezzo agli indiani ti ha cambiato, Russell: probabilmente in meglio, visto che cadere più in basso di come eri prima sarebbe stata la rovina, per uno come te. Staremo a vedere.»
Sbuffai infastidito e senza neanche degnarli di un saluto procedetti spedito verso la mia tenda.
•••
Ayasha, nel vedere le tende, così simili in fondo alle familiari tepee, si era un po' tranquillizzata. Nonostante le avessero indirizzato insulti e oscenità durante il tragitto, nessuno si sarebbe azzardato a toccare lei o Namid. O almeno così speravo.
Proprio perché non ero del tutto convinto del fatto che la mia Colt avrebbe tenuto lontani personaggi sgradevoli, fermai Namid prima che si recasse dall'impiegato di Dodge che registrava i nuovi dipendenti: aveva intenzione di riprendere il lavoro interrotto alla ferrovia e io l'avevo assecondata. Così avrei potuto tenerla d'occhio ed evitarle una penosa convivenza forzata con le donne bianche che giravano al campo, che si dividevano in due categorie: prostitute e puritane. Non sapevo da quale delle due specie bisognasse guardarsi di più.
La ragazzina mi guardò spaesata, quando le mormorai all'orecchio:
«Vieni con me.»
«Perché mi hai portato qui?» chiese, non appena fummo giunti ad uno spiazzo ai limiti del campo. Le lanciai l'involto che mi ero portato dietro e vidi sorpresa e timore alternarsi sul suo viso mentre si rigirava tra le mani una pistola.
Poi alzò i suoi occhi blu verso di me:
«Perché?» ripeté.
«Perché non voglio che tu e Ayasha dobbiate dipendere totalmente da me, in quanto a sicurezza. So che le vuoi bene come se fosse tua sorella e non voglio che accada nulla di male a nessuna di voi due, mai. Perciò, se io non fossi nelle vicinanze... O se qualcuno, un giorno o l'altro, mi fa fuori...»
«Non dirlo neanche per scherzo!»
«Poche chiacchiere, ragazzina! Quella è la tua migliore garanzia di restare viva in questo posto, perciò adesso imparerai ad usarla, volente o nolente!» ringhiai.
Le mostrai come ricaricare la polvere da sparo dalla canna e come impugnare l'arma per sparare:
«È una Remington un po' malandata, non ci vuole molta forza per premere quel grilletto; però stai attenta a non far partire colpi accidentali. Ecco, ti posizioni di fronte all'avversario, così...»
Mi accostai alle sue spalle e le corressi la posizione del braccio vicino al fianco: attorno a me avvertivo solo la fragranza della sua pelle e la delicata carezza dei suoi capelli che mi sfioravano le guance.
"Colt, concentrati! Se la ragazzina sbaglia la mira ammazza qualcuno!"
«Allora, lo vedi quel tocco di legno laggiù? Bene, quello è il tuo bersaglio: non è un uomo, ma meglio cominciare dalle cose che non si muovono!»
Namid mi lanciò un'occhiata in tralice, perplessa, ma fece come le avevo detto... E mancò di molto il bersaglio.
«Ancora!» esclamai, imperturbabile.
«Russell, è una perdita di tempo!»
«Fa' come ti ho detto e basta! Almeno una volta, dannazione, dammi ascolto! Ecco, questi sono i proiettili: tu apri il tamburo, così, e ricarichi. Hai sei colpi di autonomia, quindi se ti trovi invischiata in uno scontro a fuoco vedi di trovarti un riparo sicuro dove puoi nasconderti a ricaricare...»
La ragazza provò di nuovo a sparare e riuscì a scalfire il legno del ceppo che le avevo indicato come bersaglio.
«Bene, per oggi può bastare: non voglio lasciare Ayasha da sola troppo a lungo!»
«Russell, dimmi la verità: temi che ci possa davvero accadere qualcosa?» chiese Namid con voce incerta, mentre tornavamo alla tenda. Feci passare il mio braccio attorno alle sue spalle e l'attirai più vicina, in modo da poterle lasciare un bacio rassicurante sulla fronte.
«Non si può mai sapere... Molti mi temono, qui, ma ho anche diversi nemici. Sta' tranquilla, comunque: chiederò ai ragazzi della squadra di darmi una mano!»
«Sappiamo cavarcela da sole!» puntualizzò lei, soffiando l'aria dalle labbra come un gattino infuriato.
La sua espressione seria ebbe il potere di farmi ridere di gusto, spensierato come non mi capitava da troppo tempo:
«Oh, lo so! Ma sarei sollevato se tu imparassi davvero ad usare quella pistola... E mi raccomando, fai in modo che nessuno venga a sapere della sua esistenza!»
«Perché? Dove l'hai trovata?» borbottò sospettosa.
Io sogghignai:
«Me l'ha procurata John Lynch. Non hai idea di quanto sia estesa la rete degli irlandesi, qui al campo: se ti serve qualcosa, stai pur sicura che loro hanno il modo di fartela recapitare!»
«Immagino anche in maniere non del tutto pulite!»
Sorrisi, in parte felice del suo acume, in parte intristito dal fatto che il mio mondo l'avrebbe contaminata in fretta.
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