The secret
Namid
La piccola campanella in ferro, suonata dalla solerte Annabeth, indicò la fine della cerimonia che gli uomini bianchi chiamavano messa domenicale.
«Grazie a Dio!» sbottò Russell, alzandosi di scatto dalla panca in legno dove era seduto, accanto a me e ad Ayasha, in fondo alla chiesa.
L'uomo era rimasto molto stupito dalla mia richiesta di insegnarmi a distinguere i vari giorni della settimana e non era stato molto contento di scoprire che la mia curiosità era stimolata dalla figlia del pastore: da quanto avevo capito, non era un assiduo frequentatore della chiesa, a differenza di altri suoi compagni.
Ero affascinata dal fatto che gli uomini bianchi avessero davvero un nome per ogni cosa, anche per il tempo, scandito fin nelle sue più piccole forme: secondi, minuti, ore, giorni, mesi... Anni. Era un concetto così grande ed estraneo che mi faceva girare la testa.
Annabeth aveva mantenuto la sua promessa di spiegarmi meglio gli usi e le tradizioni della società dei visi pallidi, che erano molto più complicati dei nostri: era partita dalla religione, ovviamente, che non mi aveva però persuaso molto, per poi spaziare su cose fuori dalla mia comprensione, come leggi, governi, Paesi. Mi resi conto in fretta che per quanto il nostro territorio, l'America, fosse sterminato, il mondo si era sviluppato anche oltre il Grande Mare Oceano e che anzi, i mari erano due e portavano a terre altrettanto grandi e meravigliose.
Anche Ayasha si alzò dalla panca, sollevata quanto Russell: capiva poco o niente della lingua inglese e ci aveva accompagnato solo per non restare sola.
«Io torno alla tenda, i cavalli devono mangiare!» commentò, pacata. «Tu vieni?»
«No, mi fermo un altro po' con Annabeth!» risposi, salutando con un cenno del capo Abraham, che stava passando circondato da altri lavoratori neri.
Ayasha mi lanciò un'occhiata per metà preoccupata e per metà sospettosa, ma non commentò e affiancò Russell per tornare al nostro alloggio. La mia amica mi preoccupava non poco: ben presto la manutenzione delle bestie non sarebbe bastata a riempire le sue giornate e allora cosa avrebbe fatto? Aveva perso il suo incrollabile ottimismo e questa nuova Ayasha, spenta, silenziosa e restia a mescolarsi con il mondo bianco mi faceva scendere dei brividi lungo la schiena. La vita alla ferrovia non sarebbe stata facile se non si fosse impegnata ad integrarsi almeno un poco: capivo che il dolore e la rabbia per la perdita del marito le rendevano odiosa quella situazione — io stessa, a volte, sentivo le guance bagnate di lacrime al ricordo della nostra tribù massacrata — ma avrebbe potuto fare uno sforzo almeno per il bambino: era quello il mondo in cui sarebbe venuto alla luce.
Annabeth mi riscosse dai miei pensieri:
«Sembri angustiata, Namid. C'è qualcosa che posso fare?»
Se c'era una cosa che apprezzavo della morale cristiana era l'obbligo a fare del bene e a prendersi cura degli altri e mi rammaricavo che un precetto di così grande bontà venisse spesso ignorato: forse era così solo al campo ferroviario, forse nelle città era diverso. Comunque Annabeth si sforzava di essere sempre gentile e disponibile con tutti, anche più del suo burbero padre, il reverendo Andrew Floyd, che in quel momento stava riassettando gli strumenti necessari alla messa.
Non mi era piaciuto il suo discorso, infarcito di termini troppo dotti perché io e la maggior parte dei presenti potessimo comprenderli.
«È per la mia amica, Ayasha. Ho paura che non troverà mai il suo posto qui.»
«Tu ci sei riuscita, perché lei non dovrebbe?»
Sorrisi mestamente:
«Guarda i miei occhi, Annabeth! Sono una mezzosangue, mi adatto per natura ad entrambi i miei popoli, ma Ayasha... Lei è una vera Cheyenne, temo che non cambierà mai e che suo figlio correrà grandi pericoli, nonostante la protezione di Russell, se lei deciderà di crescerlo secondo le nostre antiche leggi.»
Vidi un lampo di incomprensione passare negli occhi scuri della ragazza e mi resi conto che avevo chiamato mie le leggi degli indiani.
"Non puoi cancellare il tuo passato, nessuno può. Anche quello di Russell è tornato a prenderlo alla fine. Devi imparare a tenerti stretta la tua antica vita, ma di nascosto: solo così riuscirai a sopravvivere senza impazzire!"
Annabeth riacquistò in fretta il suo sorriso gentile:
«Temo che al momento non mi venga in mente nessuna soluzione plausibile: forse, con il tempo, la tua amica arriverà ad accettare la sua condizione. Ora, perché non procediamo con la nostra prima lezione di grammatica?»
Russell
Dopo essermi accertato che nessuno avrebbe dato fastidio ad Ayasha che meditava — o pregava, non avrei saputo dirlo — davanti alla tenda, mi ritrovai nell'imbarazzante situazione di non sapere cosa fare per impiegare il tempo che Namid avrebbe trascorso lontana da me. Non mi era mai capitata una cosa simile, alla ferrovia: la domenica, di solito, dormivo fino a tardi e passavo il pomeriggio perso tra l'alcool e i ricordi per poi finire le mie serate al saloon o attorno al bivacco con la squadra. L'essere stato costretto a partecipare alla messa aveva sovvertito le mie abitudini e a dirla tutta non ero del tutto convinto dell'operato di Namid: voglio dire, perché una donna dovrebbe voler imparare a leggere e a scrivere? Io sapevo firmare e riconoscere i titoli delle notizie sui giornali e non avevo mai avuto problemi.
"Invece no, quell'indiana e la figlia del prete vogliono leggere libri! Libri veri, che idiozia!" pensai, scuotendo la testa allibito.
Ma in realtà sapevo che non avrei mai impedito a Namid di fare qualcosa che desiderava, non ci sarei proprio riuscito; tanto più che l'amicizia con Annabeth velocizzava il suo inserimento nella vita del campo. In cinque giorni con lei aveva imparato molte più cose di quante io avrei avuto la pazienza e il tempo di spiegarle.
L'unica cosa di cui proprio non voleva disfarsi erano i suoi abiti e io allo stesso tempo apprezzavo e disapprovavo la sua scelta: la parte più bassa e istintiva di me si beava della vista delle sue belle gambe guizzanti che si muovevano agili da una parte all'altra del campo, ma ringhiavo tra me e me come un orso infuriato al pensiero che qualche altro uomo avrebbe potuto esserne attratto. Avrei dovuto sposarla, ma Namid non era battezzata e non sembrava propensa a farlo: forse avrei potuto proporle una religione di facciata, solo per formalizzare la nostra unione, del resto io non credevo più di tanto in Dio...
Nei miei vagabondaggi senza meta mi ritrovai di fronte al bordello ed assistetti a una scena singolare: Rachel, la matrona, scivolò fuori da una porta laterale della baracca, stando ben attenta a non farsi vedere da nessuno. Namid mi aveva riferito sia del loro strano incontro sia delle sue impressioni su quella donna perciò, incuriosito, decisi di seguirla: non avevo mai avuto contatti con lei — nonostante mi fosse giunta voce delle sue notevoli prestazioni — ma la mia faccia le era sicuramente ben nota e perciò dovetti fare molta attenzione mentre la pedinavo.
La donna procedeva spedita tra i rifiuti abbandonati ai margini del campo, avvicinandosi sempre di più alla boscaglia che cresceva lungo il torrente che costeggiava il percorso della ferrovia: solo una volta la vidi rallentare il passo e portare di scatto una mano ai bottoni del corsetto che le chiudeva i seni, aprendoli e respirando un po' a fatica.
"Dove sta andando con questa corsa? Sembrerebbe un appuntamento di lavoro, ma la signora Rachel si concede molto raramente e solo a chi sa pagarla bene... E poi, se sta veramente andando a incontrare un uomo, perché non al bordello? Perché in mezzo agli alberi?"
Le mie domande trovarono quasi subito risposta e fu una cosa che mi lasciò stupefatto: inoltratasi oltre i primi arbusti, infatti, Rachel era stata raggiunta da Abraham che l'aveva stretta tra le braccia e spinta contro un tronco senza mai smettere di baciarla. Rimasi fermo dov'ero, poco lontano da loro, troppo inebetito per pensare di allontanarmi mentre la prostituta si spogliava:
"Abraham?" pensai, confuso. "Ma Abraham non può permettersi una come Rachel! Allora..."
Fu l'occhiata sorpresa e spaventata che il mio amico mi lanciò a darmi la spinta finale verso la soluzione del mistero: Rachel e Abraham erano amanti, sì, ma non per denaro, solo... Per amore?
Non riuscivo a crederci, ma rassicurai il nero con un cenno del capo e mi allontanai. Non avrei parlato con nessuno di ciò che avevo visto, neanche con Namid: se la voce dei loro incontri clandestini nel bosco si fosse sparsa, rischiavano entrambi la vita.
Namid
«Quindi...» mormorai, pensierosa, stringendo incerta tra le dita l'elegante penna che Annabeth mi aveva prestato e concentrandomi sulle lettere che avevo davanti. Riconobbi la "n", poi la "a"...
«Complimenti, Namid! Hai appena scritto il tuo nome!»
Sorrisi compiaciuta, ma non mi fermai. Annabeth si sporse sulla stretta scrivania di legno, curiosa: quella ragazza mi piaceva, perché sotto la rigidità dei suoi vestiti e delle convenzioni a cui era assuefatta nascondeva un animo gentile e spontaneo.
La mia amica aggrottò la fronte, imporporandosi:
«Amore? È davvero questa la prima parola che ti è venuta in mente adesso che sai scrivere?»
Scossi la testa ridendo:
«Beh, mi sembra il minimo, visto che è per amore che sono finita qui. E ti dirò, spesso la mia vecchia vita mi manca, ma mi basta vedere gli occhi verdi di Russell, o fare l'amore con lui e...»
«Namid!» strillò Annabeth scandalizzata, voltando di scatto la testa per controllare che suo padre non fosse ancora tornato dal suo solito giro di prediche agli ammalati, ai poveri e alle prostitute. Era l'unica incombenza in cui non voleva la figlia al suo fianco, anzi, le proibiva tassativamente di seguirlo quando entrava al bordello. Padre Andrew non mi dava l'idea di una persona cattiva, solo molto chiusa ed antipatica. L'esatto contrario di Annabeth, insomma.
«Cosa c'è?»
«Non puoi parlare di queste cose in giro! Non è decoroso e poi tu... Tu... Tu non sei sposata, ecco!»
balbettò, chinando il capo e tamburellando nervosamente le dita sul ripiano di legno scuro che aveva davanti.
«Non sta bene!» concluse, a voce bassa.
Mi sistemai meglio sulla sedia, voltandomi verso di lei ed osservandola:
«Non mi sembra che questo sia un problema per qualcuno, qui al campo. Forse nelle città da dove vieni tu sì, ma qui tuo padre permette anche alle puttane di venire a sentire la messa, se lo vogliono, e Russell mi ha detto che è una cosa che non si è mai vista da nessuna parte! Perciò no, non è questo il punto... Tu mi nascondi qualcosa!»
Annabeth sobbalzò vistosamente e divenne, se possibile, ancora più rossa:
«Io? Namid, stai dicendo delle sciocchezze, sai bene che per noi mentire è peccato!»
Io sorrisi, sorniona:
«Appunto. E tu non vuoi peccare, vero, piccola Annabeth?»
La ragazza sembrò strozzarsi con la sua stessa saliva, presa in contropiede. Infine sospirò, abbandonando la sua postura composta e adagiandosi pesantemente contro il rigido schienale della sedia:
«Hai ragione tu. Ho commesso un terribile sbaglio, ma forse parlarne con te mi farà bene: sembri ingenua, ma conosci molte più cose di me sulla vita.»
«Sbaglio? Di che sbaglio stai parlando?»
«Mi sono innamorata.» rivelò.
«E allora? È una cosa bella, Annabeth, non te ne devi vergognare!»
«Tu non capisci! Mi sono innamorata di un uomo che non potrò mai sposare! Mio padre mi caccerebbe via se scoprisse che mi sono infatuata di lui!»
Aggrottai la fronte:
«È forse un criminale?»
«No! Certo che no! Oddio, non è che io ci abbia mai parlato, ma sembra una persona così perbene... E molto sola.»
«Per il Grande Spirito, se non è un malvivente, perché tuo padre dovrebbe opporsi al matrimonio? Non può essere una questione d'interesse, ritirandosi a vivere in mezzo a noi sapeva che se ti fossi sposata non gli avresti portato nessun vantaggio materiale!»
«Mio padre non si è mai interessato ad un mio possibile matrimonio e credo che, in fin dei conti, non gli interesserebbe molto quali e quanti vantaggi questo porterebbe alla sua parrocchia. Ma una cosa del genere non la può accettare. Io... Io... Dio mi perdoni, io mi sono innamorata di Kasper Nowak!»
«Il polacco?»
Ero stupita, ma ancora perplessa:
«Continuo a non vedere l'ostacolo!»
Annabeth mi fissò con gli occhi tristi e un sorriso mesto:
«Namid, lui è cattolico!»
«Ed è grave?»
Vidi le lacrime rendere lucide le iridi scure della ragazza:
«Non sai quanto.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top