The pack
Namid
Nelle ore seguenti provai più volte a comunicare con Russell, ma ogni mio tentativo era vanificato dalla stretta sorveglianza di Kuckunniwi.
Hevataneo, invece, sembrava confuso e spaesato e lanciava occhiate incuriosite a Russell: probabilmente stava cercando di giudicarne le qualità fisiche che potevano avermi ammaliato.
Kuckunniwi proseguiva con la mascella contratta e lo sguardo severo e ignorava ogni mio tentativo di spiegazione. Alla fine, stanco delle mie parole a raffica, mi rimise il bavaglio e udii distintamente Russell ringhiare.
Mi voltai a guardarlo e mi si strinse il cuore: era pallido e madido di sudore: sebbene la ferita fosse stata bendata alla meno peggio con i resti della sua camicia, il sangue continuava a colargli lungo il torace nudo. Per fortuna dopo la prima zampata l'orso aveva concluso che non consisteva più una minaccia per lui e se n'era andato...
Stava calando la sera quando udimmo distintamente un tramestio lontano dietro di noi. Ci voltammo tutti a guardare di scatto la collina coperta di abeti che avevamo appena superato: nella pianura gli alberi si facevano più radi e avevamo una buona visuale in tutte le direzioni, ma dalle nostre spalle poteva arrivare un pericolo di qualsiasi genere.
All'improvviso Hevataneo mi sciolse i polsi ed io immediatamente allentai il bavaglio, facendolo scivolare sul collo:
«Zitta, Namid!» si raccomandò il mio amico, serio in volto.
Annuii e scesi dal cavallo, avvicinandomi a Russell che si era seduto per terra e gli accarezzai dolcemente i capelli. L'uomo alzò lo sguardo su di me, scrutandomi con affetto e lanciandomi un muto segno d'intesa:
"Non ti preoccupare" sembravano dire quelle iridi verdi.
Finalmente scorgemmo una figura scura stagliarsi contro il cielo che volgeva all'imbrunire, appollaiata in cima alla collina: Russell imprecò a denti stretti quando alla prima se ne aggiunse una seconda, poi un'altra, e un'altra ancora... Finché il crinale dell'altura fu occupato da un intero branco di lupi.
I cavalli iniziarono ad innervosirsi, fiutando il pericolo quando le bestie sparirono dall'orizzonte, iniziando a scendere verso di noi.
«Presto!» esclamò Russell balzando in piedi.
Kuckunniwi gli piantò velocemente la punta del coltello sotto la gola e io trattenni il fiato. Russell mi guardò, calmo e allo stesso tempo quasi eccitato: ogni traccia di stanchezza sembrava sparita.
«Di' loro di accendere un fuoco e di calmare i cavalli: uno lo prenderai tu ed io monterò con uno di loro due.»
«Cosa gli fa credere che non lo lasceremmo in pasto ai lupi?» chiese Kuck scettico, dopo che gli ebbi esposto il piano.
Io ricambiai gelidamente la sua occhiata:
«Provaci e perderai anche me.»
Hevataneo, seppur incerto, sembrava d'accordo con Russell:
«La proposta del viso pallido è intelligente: Namid sarebbe comunque al sicuro e noi potremmo tenere d'occhio lui.»
Kuckunniwi sbuffò insofferente, iniziando ad accendere il fuoco:
«Fate come volete, ma il viso pallido cavalcherà con te: io ho bisogno di sentirmi sicuro per combattere!»
Prima di partire, Hevataneo consegnò a Russell un involto e vidi gli occhi del mio uomo brillare nell'accarezzare la Colt che il mio amico aveva raccolto nella radura.
Hevataneo si voltò verso di me:
«Digli che spero di non aver sbagliato, nel riconsegnarli la sua arma. Spero anche che non la voglia usare per tradirmi, visto che dovremo cavalcare insieme.»
Russell osservò Hevataneo, che era più basso di lui di una spanna abbondante, con un mezzo sorriso sulle labbra: poi sorrise e caricò la pistola con la polvere che portava legata alla cintura.
Russell
Non potei nascondere il mio sollievo nel riavere nuovamente con me la mia pistola, nonostante le occhiate omicide dell'indiano più alto, Kuck-qualcosa, e la diffidenza ostentata dell'altro, Hevataneo, con cui mi ritrovavo a dividere il cavallo.
Gli ululati del branco si fecero improvvisamente più vicini e il mio compagno di sella lanciò un fischio a Namid, gridandole qualcosa in lingua indiana.
Lei scosse la testa, e mi indicò col capo.
Io sbuffai:
«Namid, se il pellerossa qui presente ti ha detto di allontanarti, è bene che tu faccia quello che dice!»
«No. Non ti abbandonerò adesso che siamo di nuovo insieme!»
Sorrisi per la sua ingenuità, la sua tenerezza, il suo amore: sembrava inconsapevole delle difficoltà che sicuramente avremmo incontrato se fossimo sopravvissuti a quella notte, ma forse era meglio così. Io ne ero attratto proprio per il suo candore, impossibile da sporcare.
«Namid, per favore... Non ho rubato un cavallo della ferrovia, attraversato territori sconosciuti e affrontato un orso per vederti morire!»
Lei affiancò il suo cavallo al nostro senza rallentare l'andatura:
«Io non morirò. E neanche tu.» mormorò, allarmata dalle figure dei lupi in avvicinamento.
«Se davvero ci credi...» mormorai in risposta.
Poi, con un agile capriola all'indietro, mi lanciai giù dalla sella.
Atterrai sulla spalla ferita e imprecai, ma non persi tempo prezioso: la pistola era già carica e dovevo sfruttare bene gli ultimi istanti di luce.
Puntai, sparai, colpii: cinque bestie rotolarono a terra uggiolando e rimasero immobili.
Il sesto proiettile si perse tra gli alberi e io imprecai di nuovo: avevo poco tempo a disposizione per ricaricare l'arma e mettere la polvere prima che i lupi mi attaccassero.
A salvarmi fu l'arrivo di Hevataneo a cavallo, che brandiva la torcia che Kuckunniwi aveva precedentemente acceso. Ci scambiammo un'occhiata significativa mentre Namid continuava a imprecare in entrambe le lingue e tentava di calmare il suo cavallo imbizzarrito.
Kuckunniwi era alle prese con tre esemplari piuttosto affamati, ma il grosso del branco puntava noi. Hevataneo fu costretto a scendere dal cavallo impazzito con un balzo, piantandosi al mio fianco.
«Se questo essere tua prova di fuggire, uomo bianco, tu no conosci Hevataneo!» esclamò fiero, lanciando uno dei suoi pugnali contro la belva che gli si era posta davanti mostrando le fauci spalancate.
Sbuffai e puntai nuovamente la pistola carica verso i lupi: il suo intervento era stato il diversivo perfetto per ricaricare la Colt.
Certo, al buio la mia mira non era un granché, però udii comunque guaiti di dolore e il cerchio degli animali si fece meno folto. Colsi l'occasione per ribattere:
«Non ho intenzione di abbandonare Namid.»
«Perché?» chiese lui, ingaggiando poi una feroce lotta corpo a corpo con una bestia nera e particolarmente affamata che gli era balzata addosso. Mi buttai sopra di loro e stordii il lupo con il calcio della pistola, prima di finirlo col coltello che tenevo nascosto nella cintura.
«Perché Namid è mia.» replicai con un ringhio.
All'improvviso Hevataneo mi strappò il coltello dalle mani e si lanciò contro di me, premendo sulla spalla ferita e facendomi finire a terra.Per un attimo pensai che volesse uccidermi, ma in realtà squarciò la gola del lupo che ci si era avvicinato di soppiatto.
Ci guardammo ansanti negli occhi alla luce della luna, mentre i superstiti del branco rinunciavano alla caccia e tornavano verso le colline.
La linea delle labbra di Hevataneo si distese impercettibilmente e stava per dire qualcosa, quando mi sentii soffocare: era Namid che mi stava stringendo col viso nascosto nel mio petto.
«Stupido!» singhiozzò. «Sei uno stupido!»
Ridacchiai, pensando che se avesse conosciuto insulti peggiori in inglese non avrebbe esitato a urlarmeli contro. Ma il divertimento fu presto sostituito da fitte laceranti alla spalla e al fianco ferito, tanto che scivolai a terra, portando la ragazza con me. La sua voce preoccupata fu l'ultima cosa che udii prima di sprofondare nell'incoscienza.
•••
Quando rinvenni, Namid non c'era e neanche Kuckunniwi, la qual cosa mi fece montare dentro rabbia e una buona dose di preoccupazione: gli sguardi di quel muso rosso non mi piacevano neanche un po'. Provai ad alzarmi di scatto, ma un dolore lancinante in tutto il corpo e la mano salda di Hevataneo sulla mia spalla mi costrinsero di nuovo a terra.
«Buono, uomo bianco» ridacchiò il ragazzo, passandomi una borraccia d'acqua fresca.
«Namid?» chiesi con voce roca, mentre l'acqua calmava l'arsura della mia gola.
Lui parve riflettere su come tradurre il concetto in parole:
«Namid. Kuckunniwi. Acqua... Fiume, erba per cavalli. Parlare.»
«Dovevano parlare? E di cosa?» domandai, sempre più allarmato.
Hevataneo si agitò, sembrava in imbarazzo. Poi si poggiò una mano sul petto nudo:
«Uomo bianco no essere primo per Namid, lei ha quasi marito morto. Grande dolore per tribù, grande dolore per Waquini: figlia scomparsa, marito morto.»
Socchiusi gli occhi, la testa mi faceva male e faticavo a dare un senso alle sue parole sconnesse e dal terribile accento:
«Il promesso sposo di Namid è morto, eh?»
mormorai, ricordando vagamente che la ragazza vi aveva fatto cenno.
"Non doveva esserne così innamorata, però, se non ha mai pianto per lui..."
«Cosa vuole Kuckunniwi?»
«Essere marito per Namid...»
«Che cosa?» ruggii, balzando in piedi.
Non mi importava nulla delle ferite che tiravano e dolevano su tutto il mio torace, della cicatrice sulla schiena che pulsava, volevo solo raggiungere quell'indiano e farlo a pezzi.
Hevataneo mi fermò con facilità, essendo io ancora molto debole.
«Calma, uomo bianco.» ridacchiò di nuovo. Sembrava divertirsi, il bastardo!
«Essere speranza e fortuna per te. Sì, sì, molta buona fortuna!»
«Ah sì? E dove la vedi, questa fortuna?» grugnii, arrabbiato.
Hevataneo si indicò con le braccia larghe:
«Tu essere forte guerriero, Hevataneo piace. Hevataneo no piace Kuckunniwi: pensare troppo, parlare poco, no pensieri come acqua di sorgente... Sue parole come acqua di stagno, vecchia e nera.»
«Uhm...» mormorai, incuriosito dalla piega degli eventi. Squadrai l'indiano: non era molto alto ma aveva un corpo allenato e scuro come il bronzo, totalmente glabro.
I capelli neri erano portati lunghi e una ciocca sul lato sinistro della faccia era intrecciata con pezzi d'osso e piume; gli occhi neri brillavano di sincera curiosità. Decisi di fidarmi, perciò gli tesi una mano, gesto che lui accolse con perplessità.
Tirai indietro il braccio e mi limitai ad un mezzo sorriso:
«Bene, Hevataneo. Tu sei amico di Namid, giusto? Allora voglio anch'io esserti amico.»
Lui inclinò il capo:
«Mia moglie amica di Namid, io amico di Namid... Tu molto più che amico per lei. Ma può Hevataneo fidarsi dell'uomo bianco?»
«Può l'uomo bianco fidarsi di Hevataneo?» replicai con tono di sfida.
Hevataneo sorrise e, con mia estrema sorpresa, mi riconsegno il coltello.
Era fatta.
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