Queen of flowers

Sigrid si destò quando il sole stava già tramontando. Era nel suo letto e vicino a lei, seduta sulla panca addossata alla parete, dormiva Calien. Con ancora la vista annebbiata, osservò a lungo l'ancella, nella speranza di riuscire a metterne a fuoco i contorni, però più cercava di concentrarsi più le sembrava che la sua figura perdesse consistenza. Provò ad alzare il braccio, ma l'arto rimase inerte, avvolto in bende strette fino al gomito. Lo contemplò confusa e mosse le dita, senza sentire alcun dolore.

- Finalmente vi siete svegliata, altezza. -
La voce di Merlino la raggiunse senza preavviso, facendola sussultare. Ruotò gli occhi alla sua destra, incrociando quelli neri del mago, che se ne stava seduto su uno scranno vicino alla finestra. Il suo sguardo penetrante e severo la fece sentire una bambina. Si domandò se non avesse commesso qualche errore durante la battuta caccia, anche se, ad essere sincera, ricordava ben poco di quello che era accaduto dopo che era rimasta indietro.
- Dovreste stare più attenta, la foresta in inverno può rivelarsi piena di insidie. Avete fatto preoccupare molto vostro padre. - proseguì il mago.
- Quanto... quanto ho dormito? - biascicò Sigrid, sforzandosi di scandire bene le parole.
- Un giorno e una notte intera. -
Avrebbe voluto chiedere altro, ma in quel momento persino pensare le costava fatica. Una spossatezza immensa le gravava sul petto e sulle palpebre, in più avvertiva la fastidiosa sensazione dei vestiti sudati appiccicati alla pelle. Faceva caldo sotto le coperte e l'aria della stanza le parve improvvisamente umida, anche se sapeva che era impossibile. Prese un respiro profondo e si mise seduta.
- Non ricordate cosa vi è accaduto? -
- No... - rispose in un mormorio roco, massaggiandosi le tempie.
Il mago si sistemò l'anello d'oro che gli stringeva l'estremità della barba con un'espressione meditabonda. Sigrid lo fissò in silenzio, mentre dalla sua memoria riemergevano alcuni particolari: la radura fiorita, la statua del drago, gli steli arroventati dei gelsomini bianchi e la voce nella sua testa. Le sembravano tutti dettagli irreali, frutto di un folle sogno ad occhi aperti. Eppure, nel profondo, qualcosa le diceva che non c'era niente di falso. Istintivamente portò di nuovo lo sguardo sul braccio fasciato, dove delle piccole macchie rosse punteggiavano il cotone candido delle bende.
- Come mi sono ferita? -
L'ombra di un sorriso increspò le labbra del vecchio, ma tacque per un tempo che le parve infinito. Fuori la neve continuava a cadere, imperterrita.
- Quando Bediviere vi ha trovata, eravate distesa a terra e deliravate. Inoltre, il vostro braccio era ricoperto di sangue. -
Si avvicinò a lei, si sedette sulla sponda del letto e accarezzò con delicatezza le bende, prendendo a svolgerle lentamente. Sigrid deglutì, ma non si oppose. C'era una sicurezza tale in quei movimenti, che subito capì che Merlino desiderava che lei vedesse, forse nella speranza che bastasse quello per riassemblare il mosaico caotico di ricordi che le vorticava nel cervello.
- Inizialmente abbiamo pensato al peggio, ma poi quando il guaritore ha ripulito la ferita mi sono reso conto che non erano dei semplici tagli. - continuò il mago.
Con la punta delle dita percorse le curve dei primi arabeschi che incidevano la pelle. Man mano che le bende scivolavano sulle lenzuola, le cicatrici si facevano sempre più intricate e complesse, intessendosi in ricami fitti che le ricoprivano ogni centimetro del braccio, fino alla mano. Erano ancora arrossate e il sangue raggrumato dava loro un aspetto raccapricciante, ma Sigrid non riusciva a distogliere lo sguardo.
- Cosa... cosa sono? -
- È il Segno del Fuoco. -
La principessa sbatté le palpebre, confusa. La testa le pulsava e adesso un ronzio insistente le tormentava le orecchie. Sapeva che era la febbre la causa di tutto quel malessere, ma non voleva farsi divorare dalla curiosità finché non si fosse ripresa. Fece un profondo respiro e fissò gli occhi in quelli del mago. Merlino abbozzò un sorriso, come se le avesse letto nel pensiero.
- È una storia un po' lunga, principessa, credete di poter riuscire ad ascoltarla per intero? -
Sigrid lanciò una rapida occhiata allo specchio alla parete: non aveva un bell'aspetto. Se il guaritore fosse entrato in quel momento, l'avrebbe costretta a rimettersi sotto le coperte e le avrebbe preparato un infuso di erbe per farla dormire. Ma nella stanza c'erano solo lei, Merlino e Calien, che non si era svegliata durante tutta la conversazione. Osservandola meglio, si accorse che sulla sua fronte brillava Drumastafur, la runa del sonno.
- Non temete, continuerà a sognare finché vorrò. - la rassicurò Merlino e sulle sue dita sfrigolarono dei lampi azzurrognoli.
L'ancella bofonchiò qualcosa, per poi riprendere a russare sommessamente. Sigrid rimase ancora un istante in silenzio, sbalordita dalla semplicità con cui il suo maestro aveva usato la magia, ma subito si riscosse e, dopo aver sistemato il cuscino dietro la schiena, gli fece cenno di proseguire.
- Avrete sicuramente sentito parlare della leggenda secondo cui la famiglia dei Pendragon è intimamente legata agli antichi draghi, vero? -
- Sì, ma sono solo dicerie senza alcun fondamento. -
- Molti converrebbero con quello che avete detto, tuttavia, come vi ho insegnato, ogni mito ha un fondo di verità. -
- E il mito non è altro che una delle tante forme che la verità prende per nascondersi. - completò Sigrid.
Le iridi nere di Merlino vennero attraversate da un lampo di soddisfazione, ma non fece commenti.
- Molti secoli fa, Anel, regina delle terre del Nord, andò in sposa a Caimech, re degli umani. All'epoca il popolo magico e gli esseri umani vivevano in armonia e governare non era difficile. Purtroppo, come potete immaginare, non si riesce sempre ad accontentare tutti. Il re e la regina fecero ogni cosa in loro potere per conservare la pace e la tranquillità, ma c'era anche chi non lo accettava. Quando la principessa Mael andò in sposa a Idwal di Cornovaglia, cominciò un'epoca di terrore, dove i ribelli misero a ferro e fuoco le campagne e i regni vassalli più piccoli. Bastava una parola di troppo perché le truppe di Bauglir radessero al suolo il paese dove fino al giorno prima quella gente aveva riposato, razziando ogni singolo chicco di grano. -
Sigrid sospirò. Quella parte della storia la ricordava bene, era stato l'argomento della loro ultima lezione: il Secolo del Sangue, gli anni più brutti che il popolo di Britannia aveva conosciuto dopo le Ere oscure.
Con un rapido movimento della mano, Merlino fece levitare in aria il vassoio con una caraffa e due bicchieri, precedentemente abbandonato sul comodino.
- Per voi, principessa. - prese la brocca e riempì uno dei calici, - Prendete, vi farà stare un po' meglio. Mi sembrate accaldata. -
La ragazza sorseggiò l'acqua piano piano e il refrigerio che ne trasse somigliò ad una fresca carezza sulla gola riarsa. Improvvisamente il mal di testa si attenuò. Il ronzio nelle orecchie persisteva, ma non la disturbava più di tanto, soprattutto ora che sentiva la mente lucida.
- Avete fatto un incantesimo sull'acqua? - domandò sospettosa.
- No, sapete che le magie di guarigione non mi appartengono. - mosse il dito verso il basso e il vassoio si posò delicatamente sul pavimento, - Mi sono limitato ad aggiungere un po' di estratto d'uva. -
Osservando meglio il fondo del bicchiere, Sigrid vide delle piccole scaglie nere, però sapeva che affinché l'infuso avesse effetto l'acqua doveva essere calda. Abbozzò un mezzo sorriso, che soffocò dietro uno starnuto. Il mago, pur accorgendosene, la ignorò e continuò il racconto.
- Fu in quel periodo che Rhys, primogenita di Mael, decise di recarsi ad Albion per ricevere l'aiuto della Stirpe del Fuoco, i draghi. Durante le Ere Oscure, erano stati loro a relegare nell'ombra le Creature del Crepuscolo e, quando gli umani e il Popolo della Foresta vinsero le loro diffidenze, essi tornarono nelle terre al di là dei Monti Verisa. Purtroppo l'odio di Bauglir spinse a risvegliare i demoni imprigionati e per l'esercito britannico si rivelò dura fronteggiarli, anche con l'aiuto della magia. -
- E Rhys ci riuscì? - balbettò Sigrid.
La domanda pareva stupida persino alle sue stesse orecchie, perché se lei e tutta la corte di suo padre esistevano era logico che Rhys fosse arrivata ad Albion, ma fino ad allora aveva conosciuto una versione diversa della storia e ora le era difficile raccapezzarsi. Si tormentò una ciocca di capelli, assorta nelle proprie riflessioni, e ringraziò di non avere più male alla testa.
- Sì. Fu un lungo viaggio, ma alla fine riuscì ad arrivare a destinazione. - Merlino puntò lo sguardo verso la finestra, mentre l'espressione si faceva cupa e assorta, - Nessuno seppe cosa accadde ad Albion, la principessa non ne parlò mai. L'unica cosa che le fonti riportano è che, quando tornò, esibiva sul suo braccio destro un tatuaggio che le ricopriva tutta la pelle fino alla spalla. Quando scese in campo, i soldati rimasero strabiliati dall'immenso potere che mostrò: il giorno della Grande Battaglia spazzò via le truppe di Bauglir con una facilità disarmante. Rhys, prima di tutto perché donna, non era mai stata una guerriera, benché avesse ricevuto lezioni di spada, proprio come voi. Tuttavia, aveva sempre mostrato una grande predisposizione per la magia elementale. Comunque ciò non spiegava la sua improvvisa abilità combattiva, che aveva davvero dell'incredibile. In molti ritennero che fosse opera della magia, che in qualche modo Rhys fosse riuscita ad incrementare le sue conoscenze arcane grazie a un qualche incantesimo. Invece il motivo era un altro e sono sicuro che per voi non sia impossibile capire quale. - concluse in tono insinuante, per poi occhieggiare in direzione del braccio di Sigrid.
La principessa seguì il suo sguardo. In alcuni arabeschi riconobbe delle rune, altri erano segni complessi di cui non riusciva a capire il senso.
- Quindi Rhys era una specie di... prescelta? -
- Diciamo di sì. -
Merlino intrecciò le dita sulla fusciacca verde e tacque un istante, come se stesse soppesando le parole.
- Il Segno del Fuoco, da quello che appresero i maghi del tempo, era una specie di simbolo che concedeva a chi lo possedeva una forza particolare. A Rhys amplificò il potere magico, a Luned donò una forza disumana... -
- Ci sono state altre donne che lo hanno avuto? - lo interruppe agitata.
- Sì, ogniqualvolta la Britannia si trovava in pericolo, una delle eredi della famiglia reale riceveva in qualche modo il Segno del Fuoco, che poi l'avrebbe abbandonata alla morte. -
- Ma perché solo donne? -
- Forse perché sono più vicine alla natura, rispetto agli uomini. - rispose sorridendo.
Sigrid si umettò le labbra e osservò fuori dalla finestra. La tempesta si era placata e adesso la neve scendeva tranquilla, depositandosi sui rami degli alberi. La stanza era avvolta dalla penombra che precede il crepuscolo e, a parte il leggero russare di Calien e il via vai dei servi sulle scale, non si udiva alcun suono.
- Se ho ricevuto questo... dono, significa che... -
- Sì. - Merlino annuì grave.
La ragazza affondò le unghie nelle lenzuola, mentre un brivido le correva lungo la schiena. La sua mente corse all'imboscata che le aveva quasi portato via suo padre e sentì le viscere contrarsi dolorosamente.
- Sigrid. -
La principessa rimase interdetta nel sentirsi chiamare per nome dal mago, ma quella confidenza improvvisa non la irritò. Incrociò le iridi nere come la notte del maestro e sotto quello sguardo severo si sentì improvvisamente nuda, esposta.
- Cosa vi ha detto il drago? -
Chiuse gli occhi per rievocare le parole della creatura e recitò incerta: - Merk Kulaas, kosed zahkrii'el dez. -
- La spada del destino. - tradusse il vecchio, accarezzandosi assorto la barba, - C'è altro? -
Sigrid si concentrò ancora, ma la testa aveva ricominciato a dolerle e il ronzio nelle orecchie le impediva di pensare con lucidità. Tuttavia, se la vita di suo padre era in pericolo, la febbre era l'ultima cosa di cui doveva preoccuparsi. Studiò di sottecchi Merlino e vide che la stava fissando con intensità. Con gli occhi che le bruciavano e la pelle sotto le coperte di nuovo in fiamme, Sigrid si sforzò di ricordare.
- Ha detto che... che lui era il mio destino. Cosa significa secondo voi? -
- Non lo so, mi dispiace. Durante i secoli il potere dei draghi si è manifestato sotto svariate forme, ma non sempre è stato possibile riconoscerlo prima del tempo. So che temete per la vita di vostro padre e vi posso assicurare che io e i cavalieri faremo tutto il possibile per proteggerlo. -
- Ma se non so nemmeno che potere mi è stato concesso, come posso... -
- In queste condizioni non potete comunque fare nulla. Anche volendo provare ad indagare sulle parole del drago, ora come ora non siete in grado di riflettere con lucidità. Quando vi sarete rimessa in forze, vedrò di usare la mia magia per scoprire qualche informazione di più. -
- Non potete farlo ora? -
Il mago sospirò: - Sapete bene anche voi che non posso, rischierei di aggravare le vostre condizioni. -
Sigrid strinse i pugni e si morse le labbra, reprimendo un gemito di frustrazione.
- Altezza, lasciate che me ne occupi io. - soggiunse in tono più morbido.
Poi si alzò, compì un movimento languido con l'indice e l'anulare e le tende si chiusero da sole, lasciando un piccolo spiraglio di luce a illuminare la stanza, mentre le fasce si riavvolgevano attorno al braccio di Sigrid.
- Ora dormite. Non appena uscirò, arriverà il guaritore a controllarvi. -
Sigrid lo seguì con lo sguardo finché non arrivò ad un passo dalla soglia della camera.
- Promettetemelo, Merlino. - mormorò con voce roca.
Il mago si voltò appena e gli orecchini che gli adornavano le orecchie a punta scintillarono alla luce aranciata delle candele.
- Cosa, Aranel? -
- Che farete tutto ciò che è in vostro potere per proteggere il re mio padre. -
- Lo prometto. - rispose solenne.
Prima che potesse aggiungere altro, Merlino si chiuse la porta alle spalle e sparì alla vista. Sigrid scivolò sotto le coperte, nascondendo il viso tra le mani.

Trascorsero mesi tranquilli, durante i quali la vita a corte proseguì senza intoppi. La neve ammantò il paesaggio con una spessa coltre bianca e la pioggia la lavò via, causando i lamenti dei cani da caccia e portando un'intima gioia nel cuore di Sigrid.
Le lezioni con Merlino erano riprese non appena la febbre le era passata, ma del Segno del Fuoco e del suo potere non ne avevano più fatto parola. Più volte aveva provato a intavolare un discorso, ma il mago aveva liquidato rapidamente la questione senza mai fornirle una risposta convincente. All'ennesimo tentativo fallito, la principessa aveva capito che non le avrebbe mai detto nulla. Aveva anche provato a chiedere a suo padre, ma nemmeno Artù era stato disposto a chiarire i suoi dubbi. Entrambi le nascondevano qualcosa, lo aveva capito. Quell'atteggiamento l'aveva irritata non poco: sapeva di essere molto giovane, ma aveva assistito ad un'esecuzione senza battere ciglio e molti a corte avevano lodato il suo contegno regale, degno di una futura regina. Perché allora nessuno le voleva dire cosa stava succedendo? Era davvero così terribile il potere che si celava in quel tatuaggio? Quando lo aveva domandato a Merlino, il mago si era limitato ad alzare un sopracciglio e ad invitarla a tornare a studiare i simboli runici. Sigrid l'aveva fissato per alcuni secondi, poi, cercando di dissimulare la rabbia, era tornata sulle pagine del vecchio tomo. Aveva imparato che insistere era inutile, ma ciò non faceva altro che innervosirla ulteriormente, dal momento che in tutta la biblioteca non c'era nemmeno un libro che potesse aiutarla. Aveva meditato pure di intrufolarsi nelle stanze del maestro per scoprire se ne possedeva almeno uno sull'argomento, ma era ben conscia che. qualunque piano avesse ideato, sarebbe stata colta in flagrante: non aveva dubbi che Merlino si avvalesse della magia per proteggere tutte le sue scartoffie e, anche se fosse riuscita ad entrare e a trovare quello che desiderava, c'era il rischio che fosse scritto in un qualche idioma sconosciuto. O, ancor peggio, sarebbe potuta incappare in una pergamena incantata e, non appena avesse provato a leggerla, le sarebbe scoppiata in mano. E lei ci teneva alle sue mani.
Tali pensieri si susseguivano l'un l'altro e si accavallavano nella sua mente nelle circostanze meno opportune, soprattutto da quando Merute, il suo maestro di spada, si era dovuto allontanare da Camelot per succedere al re suo padre. Prima, in un modo o nell'altro, quando stringeva la spada in pugno riusciva ad accantonare tutte le sue preoccupazioni e a immergersi anima e corpo in quei lunghi ed estenuanti allenamenti. Allora la sua mente si svuotava e tutte le angosce e le paure evaporavano assieme al sudore, lasciando il posto a una fredda lucidità.
Inoltre, i cavalieri erano sempre troppo impegnati per darle la dovuta attenzione. L'unico che le dava corda era Lancillotto, che, nonostante non fosse obbligato, cercava di tenerla occupata in duelli amichevoli, anche se Sigrid era convinta che lo facesse più per se stesso che per lei. Ultimamente, infatti, le era sembrato più scostante. Quando combattevano pareva assente e spesso aveva incassato colpi che avrebbe potuto parare o respingere con facilità. Quando entrambi si sedevano nella neve o in uno spiazzo verde, Lancillotto rimaneva a fissare il vuoto con lo sguardo vacuo, le dita ancora avvolte attorno alla spada, ma senza la forza di stringerla davvero. Alla fine, pure il suo maestro provvisorio smise di presentarsi all'arena e Sigrid dovette accontentarsi di allenarsi con un uomo dalle ossa di legno, il corpo di paglia e l'armatura di cuoio logora.
Fu durante un uggioso giorno di primavera che Artù la fece chiamare per annunciarle che avrebbe indetto un torneo per trovare un cavaliere che sostituisse Merute. Sigrid si era inchinata e, mansueta, aveva ringraziato suo padre per quella saggia decisione, anche se dentro di sé scalpitava di gioia. Si era dovuta imporre il controllo per reprimere la voglia che aveva di abbracciarlo lì davanti a tutti, alle guardie e ai servi. D'altronde era la prossima regina e le dimostrazioni d'affetto dovevano rimanere circoscritte nelle mura delle loro stanze private. Tuttavia, era proprio in quei rari frangenti che avrebbe tanto voluto essere una ragazza normale, senza tatuaggi depositari di un potere oscuro da nascondere e senza il futuro di un regno a gravarle sulle spalle.
I preparativi del torneo cominciarono pochi giorni dopo. La città venne addobbata a festa e l'arena venne preparata per ospitare i nobili, le dame e le damigelle che sarebbero giunti per assistere ai giochi. Messaggeri a cavallo e a piedi vennero mandati di castello in castello per comunicare la notizia e invitare i signori e i loro sudditi a partecipare. In poco tempo la voce si sparse. Da ogni dove cominciarono ad affluire cavalieri di ogni rango e razza e in un paio di giorni i prati all'esterno delle mura di Camelot si trasformarono in una tavolozza di tende colorate, dove la magnificenza di tappeti, arazzi e pennoni faceva da padrona. I nobili più importanti avevano occupato interi ettari, dove stanziavano assieme a una piccola corte di servi, paggi, scudieri e dame vestite con abiti sfarzosi, ornati di perle e gemme preziose.
Quando Sigrid si diresse all'arena il primo giorno del torneo ebbe modo di osservare le strade della città. In sella al suo baio e scortata da una colonna di guardie anch'esse a cavallo, vide con quanta gioia erano stati accolti i giochi dalla popolazione. Gli acrobati saltavano e ballavano, mentre alcuni saltimbanchi dilettavano la folla ingoiando fiaccole accese e degli halfling si destreggiavano in spettacoli di equilibrismo sulle spade. Ai lati delle strade si esibivano contorsionisti e ginnasti, cercando con posizioni impossibili di rubare un po' di pubblico ai teatrini dei burattinai ambulanti e ai menestrelli che raccontavano le storie degli eroi dei tempi andati.
Sigrid osservava meravigliata, senza fiato, riempiendosi gli occhi di ogni particolare. Mai in tutti quegli anni aveva visto così tanto entusiasmo per un torneo.
Gli spalti e lo spazio intorno all'arena erano gremiti di persone. Si erano accalcati contadini, giocolieri, bambini e ragazzi di ogni età, che duellavano sul prato con spade di legno, mentre nei recinti giravano araldi e venditori d'armi. Alcuni falegnami stavano ultimando un piccolo palco, ai piedi del quale i musicisti stavano provando gli strumenti.
Sigrid contò più di cento padiglioni e con crescente incredulità ammirò i cavalli e i cavalieri che sfilavano davanti a lei, con i vessilli colorati che garrivano al vento e i raggi del sole che si infrangevano sulle armature, facendo risplendere l'acciaio smaltato di luce propria e accarezzando le pesanti bardature cesellate d'oro dei loro destrieri. Incapace di distogliere lo sguardo da quello spettacolo, Sigrid quasi inciampò nell'abito mentre saliva la scala di legno che la portava al suo posto accanto al re. Artù l'afferrò prontamente e la redarguì dicendole di fare più attenzione, ma il sorriso che gli curvava le labbra tradì il suo divertimento. L'accompagnò fino allo scranno alla sua destra, dove la fece sedere. Poi diede un leggero bacio sulla guancia di Ginevra e si accomodò a sua volta.
- Tra quanto comincerà la giostra, padre? -
- Tra pochissimo. - Artù le indicò dei paggi, - Quando suoneranno le trombe e rulleranno i tamburi, il torneo d'armi comincerà. Stiamo attendendo che tutti i cavalieri siano pronti. -
- Li conoscete tutti? -
Il re scoppiò a ridere e la corona scivolò sui capelli: - No, purtroppo no. Molti li conosco di fama, ma alcuni ragazzi sono completamente nuovi. Vedi quel cavaliere con una losanga con una torre in cuore? E' il figlio minore del duca di Ferga. -
- Invece quell'altro? -
- Non riconosci lo stemma? -
La principessa osservò il drago rampante in campo rosso, ma poi scosse la testa.
- È quello degli Antani, milady. - si intromise Ginevra, allungandosi sul parapetto e trafiggendola con un'occhiata gelida da sotto le ciglia bionde, - Scusate se vi ho interrotto, ma vi ho vista in difficoltà. -
- N-nulla, mia regina. - Sigrid, nervosa, si sistemò sul trono, maledicendosi per essersi umiliata di fronte alla donna.
- Lady Ginevra, a volte persino io fatico a ricordare gli stemmi dei miei cavalieri. - si intromise Artù, - La nostra principessa avrà avuto un attimo di smarrimento in mezzo a tutti questi colori. -
- Capisco. - commentò monocorde la dama, per poi scoccare a Sigrid uno sguardo carico di astio, che mal si accordava al suo sorriso di circostanza.
Quindi prese la coppa di vino che un servo le stava porgendo e distolse l'attenzione, sorseggiando la bevanda dal sapore fruttato con eleganza. Sigrid si affrettò ad imitarla per darsi un tono, anche se risultò molto più impacciata.
Non avrebbe dovuto stupirsi dell'atteggiamento della regina, eppure ogni volta riusciva ferirla, anche se sempre meno. Ginevra l'aveva tacitamente disprezzata fin dal primo giorno in cui aveva messo piede al castello ed era chiaro a tutti ormai che il fatto che la figlia di Morgana sedesse alla destra del re la irritasse non poco. Non che fosse l'unica a nutrire quei sentimenti nei confronti di Sigrid, comunque.
La ragazza si concentrò sugli uomini seduti sugli spalti più vicini, tutti funzionari di corte e signori di alto rango. C'era il duca Galadhon Barahir, un elfo dai capelli neri stretti in una treccia lunga fino ai reni e il viso affilato, e sua moglie, lady Elenie. Subito accanto, rigido nella divisa militare, stavano il conte delle Niterne, Rofur Tirancon, e la sua consorte, entrambi nani. Lui aveva il braccio stretto al petto, sostenuto da una fascia bianca, ricordo dell'ultima battaglia dove era sceso in campo per sedare una ribellione nel suo regno. Quel colpo d'ascia, come le aveva rivelato suo padre, glielo stava per amputare. Infine, quasi nascosto dietro una colonna, c'era Erech Fanuilos, il comandante dell'esercito e attuale reggente delle terre dei Quattro Venti nell'estremo sud. Artù glieli aveva presentati l'anno precedente, quando aveva annunciato ai suoi sudditi più fedeli che aveva scelto il suo erede. Ovviamente, nessuno di loro ne era stato felice, tanto meno quando era trapelata l'informazione sulle sue vere origini. Non si erano mai opposti direttamente alla decisione del re, ma l'avevano sempre squadrata dall'alto in basso. Non si erano mai premurati di far presente al loro signore quanto fosse poco saggia quella decisione, forse temendo la sua collera: magari avrebbero anche potuto accettare una regina, ma lei era nata da un rapporto incestuoso e nelle sue vene scorreva il sangue della fata Morgana.
Con un senso di profonda inadeguatezza, Sigrid toccò appena il proprio braccio destro, scorrendo col dito sulla seta blu della manica e disegnando precisi ghirigori, gli stessi del tatuaggio che le marchiava la pelle: li aveva imparati a memoria per quante volte li aveva studiati e percorsi con i polpastrelli. Di solito portava la fascia sotto la stoffa, ma quel giorno per entrare in quelle maledette maniche, decisamente strette, aveva dovuto rinunciare.
- Tifi per qualcuno in particolare? - le chiese suo padre, sporgendosi di lato per parlarle direttamente in un orecchio.
Sigrid si risvegliò da quelle cupe riflessioni e sbirciò in direzione della regina per assicurarsi che non li stesse ascoltando.
- No, padre, nessuno. - rispose, cercando di mitigare la tensione nella sua voce e di non scandagliare troppo il gruppo di contendenti per individuare Gareth.
Artù parve accorgersene e, dopo averle con disinvoltura sistemato la treccia sul petto, le rivolse un sorriso rassicurante.
- Allora godiamoci lo spettacolo. Osserva bene i combattimenti, ruba con gli occhi. -
Sigrid abbozzò un sorriso poco convinto e annuì.
Quando l'orchestra attaccò a suonare, i trombettieri diedero inizio al torneo. I primi partecipanti erano un cavaliere dall'armatura grigio-azzurra, priva di qualsiasi ornamento, e un giovane con una cappa rosso sangue, un elmo a forma di testa di tigre e la gualdrappa di un porpora intenso. Quando i cavalli caricarono, l'asta di frassino del primo esplose contro il pettorale del secondo, disarcionandolo e mandandolo a terra tra le acclamazioni della folla.
Seguirono altri incontri, dove si misurarono guerrieri di ogni risma, età e razza. Lancillotto diede una prova brillante, vincendo contro chiunque gli si parasse davanti, ma trovò pane per i suoi denti quando si scontrò contro Gareth. Il ragazzo, infatti, non si lasciò intimidire dalla fama del più fedele dei cavalieri e lanciò il suo destriero in cariche decise, ma alla fine sollevò troppo l'asta e Lancillotto ebbe la meglio. Stavolta, però, non tornò immediatamente al suo posto, ma si esibì in una passeggiata lungo la recinzione, di fronte ai nobili e al re. Quando si avvicinò al posto della regina, le lanciò un giglio che il suo scudiero gli aveva porto.
- Dedico questa vittoria alla donna più bella del reame. - dichiarò a voce alta.
Un leggero rossore imporporò le guance di Ginevra, che accarezzò la delicata corolla del fiore con un timido sorriso. Lancillotto ricambiò con un sorriso ancor più radioso e indugiò a lungo sul viso della regina, come se volesse dire altro o attendesse che lei parlasse. Ma Ginevra abbassò gli occhi e strinse il giglio al petto, mentre Artù era distratto a osservare l'espressione rapita di Sigrid, pervaso da orgoglio paterno.
Anche Percival fu inarrestabile. Nonostante la bassa statura, montava un baio possente e, anche se non riuscì a far cadere subito il suo avversario, mise a segno una lunga serie di colpi precisi che gli valsero la vittoria. Il canuto Gawain, invece, dopo solo due incontri perse contro un cavaliere dal viso celato sotto un semplice elmo di bronzo. Cavalcava un destriero pezzato, bardato con una gualdrappa celeste. Quando il combattente senza nome abbandonò l'arena, lasciando il posto agli altri due contendenti, Sigrid lo seguì con lo sguardo, studiandolo con attenzione. Non sapeva perché, ma non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, divorata dalla curiosità di scoprire chi fosse.
- Padre, conoscete quel cavaliere? - domandò indicandolo.
Il re scosse la testa: - No, non l'ho mai visto. Potrebbe essere uno dei figli minori di qualche conte, ma... non ha nemmeno uno stemma. -
- Però è bravo. -
- Questo è innegabile. Dobbiamo solo capire quanto sia bravura e quanta fortuna. -
Dopo una breve pausa il torneo riprese e i contendenti sfilarono sotto la pedana del re per rendergli omaggio. Il guerriero mascherato vinse un duello dietro l'altro, finché non si ritrovò faccia a faccia con Lancillotto. La folla già acclamava il cavaliere della Tavola Rotonda vincitore, ma contro ogni previsione alla fine fu proprio lui a essere disarcionato. Un mormorio di delusione si levò dagli spalti.
Sigrid applaudì e si abbandonò ad un'esclamazione di gioia, quando il misterioso vincitore passò a trotto lento lungo la recinzione. Durante il tragitto, la principessa non lo perse mai di vista e quando arrivò davanti al re il cuore le balzò in gola. Da sotto l'elmo, Sigrid si ritrovò a fissare degli occhi ipnotici, del colore dell'oro fuso. Le cicatrici sul braccio iniziarono a pruderle all'improvviso.
Il re si alzò e, dopo aver placato il rumoreggiare del popolo con un gesto della mano, proclamò solenne: - Vi dichiaro vincitore del torneo. -
Il guerriero si limitò a chinare il capo in un cenno di ringraziamento.
- Ho indetto un simile evento per trovare un nuovo maestro di spada per mia figlia e voi avete dato prova di una grande abilità. Vi verranno tributati tutti gli onori e stasera siederete alla mia tavola. Ma ora, straniero, mostrateci il vostro volto e diteci chi siete. -
Il cavallo nitrì e affondò le zampe nella sabbia. Lo straniero non rispose subito, continuava a guardare Sigrid intensamente e lei pareva incatenata a quello sguardo penetrante.
- Mio signore, vi ringrazio per la vostra gentilezza. - esordì con una voce da baritono, - Ma vorrei rivelare la mia identità solo a voi e a vostra figlia, come d'usanza tra le mie genti. -
Un'ombra attraversò il viso del re, ma svanì subito così com'era arrivata.
- Venite dalle terre del Nord? -
Gli occhi del cavaliere brillarono e Sigrid vi intravide una scintilla di divertimento.
- Sì, dalla parte più settentrionale della Britannia. -
Artù tacque, riflettendo. Si girò verso Sigrid e la fissò, ma prima che potesse dire anche solo una parola la principessa annuì, si alzò e gli si affiancò.
- E sia. - Artù le mise una mano sulla spalla e la strinse appena, - I miei uomini vi scorteranno. -
Fece un rapido cenno a Lancillotto e, non appena quello lo raggiunse, gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Dopo un rapido scambio di sguardi, il cavaliere scese di nuovo nell'arena e fece segno al guerriero di seguirlo. Prima di sparire, Sigrid lo vide cercare gli occhi di Ginevra, ma la regina evitò il suo sguardo, intenta ad accarezzare distrattamente il giglio ricevuto in dono.
Artù le scoccò un'occhiata gelida, le dita che artigliavano i braccioli dello scranno fino a far sbiancare la nocche, ma, quando il popolo chiamò a gran voce il duello individuale, ordinò che venissero accontentati.
Il divisorio dell'arena venne smontato in fretta e furia e i combattenti scelsero i loro avversari. Gli scontri andarono avanti per un altro paio d'ore, però il re non sembrava interessato a ciò che accadeva sotto di lui. Fissava il vuoto con aria cupa, perso in chissà quali pensieri, il mento appoggiato sulla mano stretta a pugno. Per tutta la durata dell'evento non guardò mai in direzione della regina.
All'imbrunire la corte cominciò ad avviarsi verso il castello e con essa anche la folla defluì verso l'interno delle mura. Tutti parlavano eccitati degli avvenimenti della giornata, domandandosi a più riprese chi fosse il misterioso cavaliere che aveva vinto la giostra. Per l'evento, nella piazza grande della città era stato imbastito un banchetto. Dieci e più tavoli ricolmi di dolci, frutta e pane appena sfornato erano stati sistemati uno di fianco all'altro e c'era un continuo via vai di paggi e ragazzetti cenciosi pronti a tutto pur di guadagnare qualche soldo. I barili di birra venivano svuotati senza sosta e il profumo intenso del malto si mescolava a quello dei cinghiali arrosto, che giravano su grossi spiedi, mentre le ragazze delle cucine li cospargevano di spezie per ammorbidire la carne.
Alla vista di tutto quel cibo, lo stomaco di Sigrid cominciò a brontolare e per un attimo valutò l'idea di avviarsi direttamente nella Sala Grande, dove il re aveva organizzato un altro banchetto per tutti i nobili, ma era troppo curiosa di sapere chi si nascondeva sotto l'elmo anonimo del vincitore del torneo. Così spronò il cavallo e seguì la colonna di cavalieri fino al castello.
Quando smontò, il re si diresse spedito verso le prigioni. Sigrid rimase un attimo perplessa, ma dall'espressione del padre capì che non era il momento di fare domande. Scesero numerosi gradini, fino ad arrivare di fronte ad una porta sprangata, fatta di legno di quercia. Non appena il re bussò, dalla feritoia si affacciò un soldato, che subito si mise ad armeggiare coi chiavistelli per farli entrare.
Mentre attendevano, Sigrid si chiese perché il padre avesse fatto portare il guerriero proprio lì. Che fosse una spia, o peggio, un criminale? Eppure non le era sembrato una persona malvagia. Non sapeva perché, ma nel suo sguardo c'era qualcosa che la spingeva naturalmente a fidarsi. Suo padre, però, non pareva pensarla come lei: quando erano entrati nella fortezza, al cambio della guardia aveva scorto più di una ventina di soldati sui camminamenti delle mura, più del solito, rigidi e all'erta come se aspettassero un attacco.
La porta si aprì su un lungo corridoio, illuminato a stento dalla luce delle torce.
- Maestà. - il soldato, che portava una pesante armatura e una lunga spada di ferro appesa alla cintura, s'inchinò.
- Dov'è il prigioniero? -
A quella parola le si gelò il sangue e il tatuaggio cominciò a prudere di nuovo.
- Laggiù in fondo. -
Senza aggiungere altro, il re riprese a camminare. Sigrid incespicò dietro di lui, ma alla fine riuscì ad affiancarlo. L'odore di muffa le rendeva difficile respirare e la pietra trasudava una fredda umidità. La temperatura sembrò alzarsi durante il tragitto, quasi si stessero dirigendo dritti verso una fornace. Sbirciò il volto del padre, una maschera impassibile.
Presto il calore divenne insopportabile, si irradiò lungo tutto il braccio, fino al collo e alle guance, offuscandole la vista. Era come se il sangue avesse preso fuoco. Ci fu un momento in cui dovette appoggiarsi alla parete per non cadere, ma quando si rese conto che Artù stava proseguendo senza di lei fece appello a tutte le sue forze per costringersi a non fermarsi.
Quando giunsero davanti all'ultima cella, ad attenderli trovarono Merlino e due guardie. Il mago fece cenno a queste ultime di andarsene e i gli uomini scattarono senza indugio.
- E' qui? - la voce di Artù rimbalzò contro le pareti di pietra, neutra e fredda.
- Sì. -
- Siete sicuro che sia lui, Merlino? Non vorrei aver fatto imprigionare un innocente. -
- Il tatuaggio parla da sé, mio signore. Fateglielo vedere, principessa. - la esortò il mago.
La ragazza obbedì: le cicatrici splendevano di una luce sanguigna, pulsando sotto pelle come una ferita infetta. Artù le fissò con occhi sgranati e contrasse la mascella in un'espressione che le strappò il respiro.
- Padre, cosa... cosa sta accadendo? -
A rispondere fu ancora Merlino: - Il Segno del Fuoco si è svegliato, altezza. Chi siede dall'altra parte della porta sarà la spada del vostro destino. -

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