Queen of Flowers
Era un'alba fredda e chiara e la limpidezza del cielo era accecante. Sigrid guardò distrattamente fuori dalla finestra, mentre Calien l'aiutava a vestirsi. Infilò la tunica di lana grezza e gli stivali di pelle nera il più in fretta possibile. La sua ancella le sorrise e le porse il mantello invernale, quello con la pelliccia di lepre sul collo.
- Oggi è il gran giorno, milady. Siete nervosa? -
- Non molto. - mentì, indossando i guanti.
Calien inclinò la testa, ma non disse nulla e il silenzio di Sigrid pose fine alla conversazione.
Non appena fu pronta, si diresse a grandi falcate verso l'ingresso del castello, dove l'attendeva suo padre e una colonna di venti cavalieri. Cercando di dissimulare l'ansia che le annodava lo stomaco, Sigrid fece un rapido inchino, per poi salire subito in groppa al suo cavallo.
Era il suo quattordicesimo inverno e per la prima volta avrebbe assistito ad una decapitazione.
Sentiva le mani sudate a contatto con la spessa pelle dei guanti. La sera prima non aveva chiuso occhio, immaginandosi la scena in mille modi diversi, ma mai avrebbe permesso all'inquietudine di avere il sopravvento, non quel giorno: come le aveva detto Merlino, era giunto il momento che cominciasse a capire cosa significava davvero governare un regno e amministrarne la giustizia.
Artù fece un breve cenno del capo in saluto e le rivolse uno sguardo breve e intenso, come per sondare le emozioni della figlia. Sigrid strinse le redini, raddrizzò la schiena e spronò il cavallo, che dapprima sbuffò, poi obbedì docile, affondando rapido gli zoccoli nella neve.
Il condannato era stato portato fuori dalle mura, dopo aver passato circa due settimane nelle prigioni di Camelot. Sigrid non sapeva esattamente di quale crimine fosse colpevole, ma, se doveva dare retta alle chiacchiere dei domestici, pareva che quell'uomo fosse una spia al servizio di un qualche duca poco contento delle riforme di suo padre.
Sospirò, ripensando a quello che era successo negli ultimi anni, dopo che Artù aveva deciso di nominarla sua erede e unire gli umani e l'Antico Popolo sotto un unico vessillo. Le città e tutti i regni vassalli si erano visti improvvisamente invasi da elfi, nani e halfling, e non pochi avevano protestato quando era stato loro imposto di trattarli come fratelli. C'erano state numerose ribellioni e, per qualche tempo, Artù aveva temuto che il fuoco della rivoluzione divampasse in modo incontrollato, tanto che Sigrid stessa, Ginevra e buona parte della corte erano state trasferite in un piccolo forte tra le colline. Solo quando Merlino e i consiglieri erano stati sicuri che le acque si fossero calmate, avevano ottenuto il permesso di tornare. In seguito erano scoppiate altre piccole lotte e insurrezioni, che i cavalieri del re avevano prontamente sedato. Purtroppo, però, nessuno sapeva fino a che punto il malcontento si fosse radicato negli animi e dopo l'ultimo attentato alla vita del re, circa due settimane prima, il clima a Camelot era diventato pesante.
Giunsero a destinazione mezz'ora dopo. Nella pianura, uno spiazzo verde chiuso nell'abbraccio di un bosco di ontani, si era già radunata una folla di curiosi, che fissavano con insistenza il condannato inginocchiato nella neve. Alcuni contadini lo stavano schernendo, scagliandogli addosso insulti carichi di disprezzo. Una donna prese un pomodoro marcio e glielo tirò addosso prima che le guardie potessero fermarla. La polpa rossastra sporcò la faccia del criminale, che però non reagì. Sigrid lo vide rannicchiarsi, forse cercando di sparire alla vista o nel tentativo di raccogliere il calore che le raffiche gelide gli stavano lentamente portando via.
Quando il re smontò di sella, anche lei fece lo stesso e, mentre avanzava verso di condannato, si concesse di osservarlo meglio. Era un ragazzo, forse di un paio d'anni più di lei, con un fisico asciutto e longilineo come quello degli elfi. Sigrid non si sarebbe meravigliata se sotto quelle lunghe ciocche nere si fossero nascoste delle leggere orecchie a punta. Gli abiti che indossava una volta dovevano essere di lana pregiata, ma ora erano stracciati e luridi, con vistose macchie di sangue. Gli avevano legato le mani dietro la schiena, ma, nonostante la morsa della corda, si sforzava di non abbassare la testa, fissando Artù dritto negli occhi con aperto sdegno.
Sigrid si strinse nel mantello, il fiato che si condensava in piccole nuvolette ed evaporava all'istante. Era difficile stare lì a guardare in faccia un condannato a morte e dover rimanere impassibile davanti al popolo e ai sudditi per dimostrare che meritava di avere la tempra di una regina. Aveva solo quattordici anni ed era conscia che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, ma fino ad allora non aveva mai riflettuto davvero su ciò che avrebbe dovuto affrontare. Anche se non era lei a sporcarsi le mani in quel preciso frangente, la consapevolezza che prima o poi avrebbe dovuto farlo la travolse con la forza di una frana. Inspirò profondamente e cercò di rallentare i battiti del suo cuore impazzito.
Un vento gelido spazzò la pianura e fece turbinare la neve in piccoli e caotici vortici.
Quando il re arrivò davanti al prigioniero, diede ordine di tagliare le corde. Lancillotto si inginocchiò e liberò il ragazzo, che fino ad allora non aveva mai distolto lo sguardo da quello di Artù. Sigrid si chiese se quell'ostinazione fosse sintomo di coraggio o stupidità.
- Chi siete? - la voce di Artù risuonò nell'aria, fredda come il ghiaccio, solenne.
- Ha importanza? - gracchiò l'altro, mentre un sorriso beffardo gli arricciava le labbra.
Artù rimase impassibile, ma Sigrid negli occhi azzurri del padre scorse una sfumatura di cupa durezza.
- Vi ho chiesto il vostro nome. -
- Maestà, noi... - tentò di intromettersi il cavaliere al suo fianco, ma il re lo interruppe con un gesto imperioso della mano.
- Parlate. Non sono solito ripetermi. -
- Sennò non potrete tagliarmi la testa? - chiese in un gorgoglio strozzato che voleva essere una risata divertita, ma il freddo probabilmente gli aveva irritato la gola.
Il re inspirò, sforzandosi di mantenere la calma, e cambiò domanda: - Chi vi ha assoldato? -
- Chi vi dice che io lavori qualcuno? Potrei aver agito per conto mio. -
Un altro pomodoro lo raggiunse e si spappolò sulla sua schiena, schizzando anche sugli stivali del sovrano. Artù alzò di scatto la testa e osservò uno ad uno i visi delle persone assiepate alla sua sinistra, scandagliandoli alla ricerca del colpevole. I capelli biondi gli sferzavano le guance e l'espressione era impassibile, granitica. Nel suo sguardo non c'era traccia del calore paterno che Sigrid conosceva, ma solo la gelida e implacabile determinazione di un re. Quando il silenzio tornò ad avvolgerli, Artù si voltò di nuovo verso il ragazzo.
- Ve lo chiederò un'ultima volta: chi vi ha incaricato di spiarmi? -
Il prigioniero schioccò la lingua e scosse la testa. Un sorriso sgradevole non aveva mai abbandonato le sue labbra, come se godesse nel prendersi gioco dell'uomo più potente di Britannia.
- E' inutile che insistete, non rivelerò il nome del mio signore. Sappiate, però, che prima o poi farete un passo falso. Potete pure attorniarvi dei migliori guerrieri, ma arriverà il momento in cui abbasserete la guardia e allora un'ombra trascinerà voi e i vostri cari nel fango. Un giorno morirete, Artù, e con voi tutta la vostra corte. -
A quelle parole il respiro le si incastrò in gola. Con le dita tremanti che affondavano nelle braccia, Sigrid fissò suo padre e lo rivide nel letto, con Merlino e Ginevra al suo capezzale, mentre i curatori facevano del loro meglio per medicare la ferita al basso ventre. A lei era stato dato l'ordine di rimanere nelle sue stanze, in attesa che qualcuno le comunicasse che poteva vederlo. Il terzo giorno, dopo due notti insonni, quando era entrata nella sua camera, la prima cosa che aveva notato erano state le fasce intrise di sangue nero e la sua espressione sofferente, come se un male lo stesse divorando da dentro. Solo in seguito le era stato riferito che la lama era avvelenata e che si era salvato solo perché Merlino aveva capito in tempo che non era una semplice infezione.
Ricacciò indietro le lacrime e con il cuore in tumulto fissò nuovamente l'attenzione sulla scena che si stava svolgendo davanti a lei.
- Bene, vorrà dire che farò in modo che non cali mai il buio. E senza l'oscurità, il male non striscerà più tra le mie mura. -
- Siete un illuso, Artù. Voi vi date un gran da fare per proteggere il vostro regno, ma non vi rendete conto che è la vostra stessa ombra a coprire Camelot. -
Artù non rispose. Sguainò la spada e il sole si infranse sulla lama fregiata di rune, mentre il fodero risplendeva di luce propria. Sigrid e tutti gli altri lì riuniti osservarono meravigliati la famosa Excalibur, forgiata ad Avalon con un acciaio magico indistruttibile.
- Non sono un illuso, conosco i rischi. - proferì, impugnando la spada a due mani, - Ma ho promesso che avrei difeso il mio regno a costo della vita. -
Gareth, il più giovane dei cavalieri di suo padre, le si accostò sussurrandole: - Milady, se non volete guardare... -
- Devo. - la sua voce suonò flebile persino alle sue stesse orecchie.
"Devo farlo se desidero diventare una vera regina, questo è niente rispetto a ciò che mi attende."
Sigrid serrò i pugni con forza e non distolse lo sguardo. La lama calò bruscamente, descrivendo un unico, preciso fendente. Il sangue zampillò sulla neve, caldo e rosso come il vino. La testa del criminale rotolò a terra, per poi fermarsi a tre piedi dalla folla, le labbra bluastre ancora arcuate in un ghigno. Il cavallo di Sigrid, spaventato, si ritrasse nitrendo e Gareth dovette tirare le redini per evitare che fuggisse, ma lei non se ne accorse. Rimase a guardare come ipnotizzata la macchia vermiglia che si allargava sul manto bianco, lo stomaco stretto in una morsa e il respiro incastrato tra le costole e il diaframma.
- Milady... -
Gareth la scosse delicatamente, ma Gawain, il più anziano dei cavalieri della Tavola Rotonda, con un gesto della mano gli ordinò di allontanarsi. Il giovane esitò, poi montò sul suo purosangue e attese in silenzio. Quando Artù tornò da loro, scoccò un'occhiata a Sigrid prima di rimettersi in sella, quasi a volerle dire "Ben fatto, figlia mia". La ragazza attese ancora qualche istante, osservando un cavaliere che si era inginocchiato per infilare la testa in un sacco di iuta. Immediatamente, una macchia purpurea si allargò sul tessuto e delle piccole stille scarlatte presero a gocciolare sulla neve.
Il vento aveva cessato di soffiare e nel cielo il sole splendeva alto, eppure Sigrid, per quanto si stringesse nel mantello, sentiva freddo. Quando l'aria le riempì nuovamente i polmoni, trovò la forza di salire in groppa al suo destriero e seguire la colonna di cavalieri, imponendosi di non mostrare il proprio turbamento.
- Siete stata brava. - la voce di Gareth le giunse lontana.
Sigrid sollevò gli occhi e gli sorrise, sebbene l'unica cosa che volesse era riavvolgere il tempo fino all'alba di quel giorno e non svegliarsi mai per assistere all'esecuzione. Seppellì quel desiderio indegno in fondo all'anima, insieme alla tempesta che le infuriava dentro.
Galopparono inoltrandosi nella foresta, in silenzio, con il vento che sferzava loro il viso come gelide schegge di grandine. Sigrid cavalcava dietro suo padre, affiancata da Tristan, figlio del duca di Arzata, e Kay, che parlavano sotto voce.
- E con lui sono tre. - sospirò il primo, un ragazzo grande e grosso, di poco più vecchio di Gareth, che veniva dal regno più settentrionale della Britannia.
Aveva la pelle chiara e i capelli biondo cenere, tipici degli abitanti dell'estremo Nord, uomini selvaggi. Gli occhi azzurri, invece, erano un'eredità della madre, la giovane principessa della casata di Calice.
- Purtroppo non possiamo fare molto di più. - commentò Kay, - Abbiamo informatori sparsi per tutto il regno e altri nelle corti, ma, come abbiamo visto, ci sono occhi e orecchie nemiche anche a Camelot. -
Sigrid lo osservò di sottecchi, domandandosi se in quel giovane uomo dagli occhi neri scorresse davvero il sangue degli Antani. Da quello che le aveva lasciato a intendere Merlino, il padre di Kay era un governante mediocre dalla mente facilmente soggiogabile, che era stato prima manipolato dalla madre e, in seguito, quando si era sposato, dalla moglie. Da come ne parlava, anche il fratello di Kay doveva essere poco assennato, al contrario di lui che, invece, si era sempre distinto per il suo acume. Sigrid sospettava che fosse figlio di una qualche concubina elfica del sud, che gli aveva trasmesso il fisico longilineo e la carnagione dorata.
- In ogni caso, il nostro re è salvo! - esclamò Lamorak, che era rimasto indietro a chiudere la colonna, sorridendo e scrollandosi dalla chioma fulva i fiocchi di neve.
Era il più bello tra i cavalieri di Artù, non c'era nessuna donna che potesse resistere al suo fascino, a parte Sigrid, che era sempre rimasta indifferente alla bellezza esteriore, anzi era assai difficile colpirla e suscitare il suo interesse. In tanti credevano fosse colpa della sua età, convinti che fosse troppo piccola per comprendere certe dinamiche, ma Sigrid non era più una bambina, né nella mente né nel corpo, e in verità non era mai stata neanche ingenua come le coetanee. Aveva appreso da un pezzo cosa desiderassero gli uomini oltre alla guerra e al sangue, ormai non si scandalizzava più di fronte ad alcuni racconti, normalmente considerati non adatti alle orecchie di una principessa come lei. Solo che in un cavaliere non guardava all'apparenza, ma alla sostanza. Per esempio a Lamorak, pur essendo un soldato fedele, impavido e abile, secondo Sigrid mancava qualcosa, un non-so-che che la bellezza da sola non poteva compensare. In parole povere, non era il suo tipo, che ne dicessero le dame di corte, sposate e non.
Lancillotto gettò una rapida occhiata alle sue spalle, poi bisbigliò qualcosa al re, che annuì con espressione cupa. Da quando si erano allontanati dalla pianura non aveva aperto bocca se non con lui. Sigrid aveva imparato che in quei casi era meglio lasciargli spazio e quando avesse voluto parlarle glielo avrebbe letto nello sguardo. Eppure era proprio in quei momenti che lei avrebbe voluto stargli accanto, stringerlo come quando era piccola e dirgli che andava tutto bene, che sarebbe sempre rimasta dalla sua parte, ma non sarebbe stato un comportamento degno di una futura regina: quelle dimostrazioni di affetto dovevano rimanere all'interno dei salotti privati di Camelot, dove solo lei, Artù e al massimo Merlino potevano accedere.
Sentì lo stomaco contorcersi e deglutì, cercando di inumidire la gola secca, ma l'impressione fu quella di ingoiare un bolo di segatura. Sussultò quando Gareth le posò una mano sulla spalla. Incrociò il suo sguardo e aprì la bocca per dire qualcosa, ma lui le rivolse un sorriso rassicurante e comprensivo. Sigrid si specchiò in quegli occhi di un blu talmente scuro da apparire nero, occhi attenti ai quali non sfuggiva niente. Era il cavaliere più giovane e, forse per questo, era quello che sentiva più vicino. Sembrava capirla anche quando non parlavano, come se fosse in grado di leggerle dentro. Sigrid ricambiò il cenno, percependo un piacevole calore irradiarsi fino al centro del petto dal punto in cui le dita di Gareth sfioravano il suo mantello. Si sforzò di inghiottire l'ansia che le attanagliava ancora la gola e gli elargì un sorriso riconoscente. Sorridere le veniva facile quando c'era lui, ma non sapeva spiegarsene il motivo. Si sentiva a suo agio, leggera, come se tutti i pensieri negativi le scivolassero via di dosso, refrattari all'aura serena e tranquillizzante che il cavaliere emanava.
Egli sembrò perdersi in contemplazione, lo sguardo fisso sul viso della ragazza, che arrossì appena. Dopo quella che parve un'eternità, Gareth strizzò le palpebre e si rimise seduto composto sulla sella, distratto dagli schiamazzi dei commilitoni, poi diede di speroni e si portò avanti nella colonna senza voltarsi indietro. Sigrid lo guardò allontanarsi con il cuore in subbuglio, che batteva impazzito nella cassa toracica come se stesse per schizzare fuori, ma accantonò per l'ennesima volta quei sentimenti, come ormai accadeva da mesi, e incitò il cavallo a proseguire la marcia.
Giunsero in uno spiazzo circondato da alberi e neve, dove Geraint, il nano Percival e Bors li stavano aspettando. Quest'ultimo, un halfling dai capelli corti e molteplici amuleti legati al collo, montava un pony. Di fianco a lui, avvolto in una pelliccia di lupo che quasi gli copriva i piedi, un ragazzo teneva le redini di un mulo, che trasportava delle sacche cariche di lance. Non appena videro il re, chinarono il capo in segno di rispetto.
- Ser Percival, dov'è Bediviere? - domandò Artù, guardandosi attorno.
- E' andato a far sgranchire le zampe ai cani, maestà. -
- La camminata fino a qui non è bastata? - il tono era divertito e le labbra si distesero in un sorriso sereno.
Anche se non riusciva a smettere di pensare all'esecuzione avvenuta poco prima, a quella vista anche a Sigrid venne da sorridere.
- Non lo so, non sono un esperto. - borbottò il nano, scatenando l'ilarità generale.
Tutti sapevano quanto Percival odiasse i cani e fosse ignorante in materia, tanto da lasciarsi spesso prendere per i fondelli da Bediviere, che non era raro usasse i suoi segugi come scusa per fare i propri comodi.
Come se fosse stato evocato, dalla foresta emerse Bedivere, seguito da un ventina di cani da caccia. Come al solito, nessuno lo aveva sentito avvicinarsi. Indossava un semplice pettorale leggero e gli spallacci, mentre sulla schiena teneva la faretra fregiata di simboli elfici. In mano stringeva il suo enorme arco nero.
- Men Aran... - chinò il capo e alcune ciocche castane scivolarono dalle lunghe orecchie a punta, - Ho perlustrato i dintorni e ho trovato tracce fresche. -
- Ottimo, Bediviere. -
Artù smontò di sella, si avvicinò al mulo e prese una delle lance. L'analizzò con occhio critico, accertandosi che la punta fosse bene affilata, poi fece cenno ai cavalieri di fare lo stesso. Prima che Sigrid potesse fare qualunque cosa, l'elfo sfilò una delle aste e gliela porse.
- Questa è la più leggera, Aranel. -
La principessa inarcò un sopracciglio, le faceva un effetto strano sentirsi chiamare "principessa" in elfico, poi analizzò l'arma poco convinta.
- Vi ringrazio per la premura, ma sono in grado di usarne anche di più pesanti. -
Non era vero, ovviamente, faceva ancor fatica a sollevare un'ascia, ma non voleva essere trattata con i guanti, non lo poteva sopportare. Non dai cavalieri di suo padre, quantomeno.
Bediviere sorrise: - Avete mai cacciato? -
Sigrid scosse la testa.
- Allora sappiate che in queste occasioni la cosa più importante è la maneggiabilità dell'arma. - si mise l'arco a tracolla e soppesò la lancia, - Il cinghiale è pesante ma veloce, soprattutto quando si rifugia nella foresta. -
- Bediviere, non mi pare che la principessa ti abbia chiesto consiglio. - lo rimbrottò Percival, - E' abbastanza grande per scegliere la lancia che desidera. -
Prima che scoppiasse una discussione, Bors diede una pacca sulla spalla all'elfo, redarguendolo con un'occhiata severa.
- Signori, calmatevi. Siamo qui per divertirci, non di certo per azzannarci tra noi. - disse con pacata fermezza, quindi si girò verso la principessa, - Milady, il mio compagno ha ragione, ma se ritenete che l'arma che vi ha offerto sia troppo leggera, sceglietene pure un'altra. -
- N-no. - presa in contropiede, Sigrid non riuscì a tenere a freno il tremolio imbarazzato della voce.
Suo padre le aveva detto che Percival e l'elfo non erano mai andati molto d'accordo, ma non credeva che si sarebbero messi a litigare per niente. Si appuntò mentalmente di non farli mai stare nella stessa stanza insieme e poi strinse la lancia tra le dita.
- Non vi preoccupate, ser Bedieviere è stato molto gentile. Sono ancora una principiante, comunque, il suo aiuto mi sarà prezioso. -
Il cavaliere assentì col capo e lanciò un'occhiata beffarda al nano: - Grazie, Aranel. -
Percival si accarezzò la barba, gli occhi ridotti a due fessure ardenti, ma non disse nulla, limitandosi a borbottare qualcosa di incomprensibile. Artù, che aveva assistito alla discussione in silenzio, si portò davanti a loro. A Sigrid non sfuggì la luce divertita che brillava nei suoi occhi.
- Bene, signori, direi che possiamo andare, non vi pare? -
- Io direi che potevamo già andare prima, vostra maestà. - commentò Geraint.
- Già, se quei due non si fossero messi a litigare, avremmo già preso due cinghiali. - scherzò Kay.
Bors scosse la testa: - Sempre il solito esagerato. -
- Io? -
Mentre i cavalieri si scambiavano battute, Artù si avvicinò alla figlia. Il suo cavallo superava di due o tre spanne il garrese della saura di Sigrid, ma riuscì comunque ad accostarsi abbastanza per parlarle.
- Come ti senti? - indagò con gentilezza.
Sigrid sospirò. L'angoscia che l'aveva assalita alla fine dell'esecuzione era scemata, ma avvertiva ancora un malessere che le stringeva lo stomaco. Scrollò le spalle e strinse le redini.
- Mi sento meglio, padre. - rispose con un sospiro mesto.
- Sei sicura di voler venire con noi? - domandò mentre le accarezzava con delicatezza i capelli, - Posso capire quanto sia stato difficile per te assistere, la prima volta è sempre traumatica. -
- Non è stato così terribile come pensate. - ribatté, sfoggiando una disinvoltura che non provava.
- Sigrid, quando uccidi un uomo, anche se sai di essere nel giusto, non puoi non sentirti in qualche modo colpevole. È normale. Ma, per quanto sia dura, dobbiamo conviverci. Non ti biasimerei se ora desiderassi tornare a palazzo, nessuno lo farebbe. Sei molto giovane ed è noto che al cuore femminile occorra più tempo per riprendersi da simili spettacoli. Non verrai considerata meno di ciò che sei se per stavolta ti tiri indietro, non diventerai regina domani, c'è tempo. -
Sigrid tacque per un momento e socchiuse le palpebre, concentrandosi solo sul movimento delle dita del padre tra i suoi capelli. Adesso che erano soli, poiché il resto del gruppo li aveva preceduti dando loro la giusta intimità, voleva approfittare di quel contatto finché poteva.
- Va tutto bene, padre, sono più forte di quel che pensate. E se proprio volete discutere del mio essere donna, vi informo che noi vediamo il sangue molto prima degli uomini. - serrò le dita intorno al manico della lancia e increspò le labbra in un mezzo sorriso, - Inoltre, Merlino mi ripete spesso che imparare qualcosa di nuovo è un ottimo modo per distrarsi. -
Artù annuì ridacchiando e, dopo una breve esitazione, spronò il cavallo al trotto, imitato da Sigrid. Presto si ricongiunsero agli altri e la battuta di caccia ebbe inizio.
La ragazza si calcò il cappuccio in testa. La sua saura affondava gli zoccoli nella neve con cautela e i cani correvano in tutte le direzioni, annusando l'aria. Erano i segugi di Costner e si diceva che avessero l'olfatto più sviluppato di qualunque altro animale. A un certo punto, uno di loro scattò in avanti abbaiando, seguito dagli altri. Quello fu il segnale. Tutti i cavalieri lanciarono le loro cavalcature al galoppo, Gareth rise e sfidò Tristan, Kay, Percival e Lamarak, che si misero a roteare le lance. Bors in groppa al suo pony nemmeno si sforzò di seguirli. Artù, Lancillotto e Bediviere si portarono in testa al gruppo, proprio dietro i cani, i cui latrati riecheggiavano nel bosco.
Sigrid esitò per qualche secondo, indecisa se unirsi agli uomini o godersi il panorama, ma poi spronò la sua cavalla e partì di corsa. Superò subito l'halfling e schivò all'ultimo momento un ramo che l'avrebbe colpita in faccia, ma via via che si addentrava nella foresta, avanzare diventò sempre più difficile. Poteva udire i richiami dei segugi e la risata di Gareth da qualche parte innanzi a sé, ma più si avvicinava più i suoni si affievolivano, dandole l'impressione di stare allontanandosi. Tenne d'occhio le impronte lasciate dai cavalli nella neve, domandandosi come avessero fatto tutti gli altri a destreggiarsi nel reticolo di sassi e radici senza che i loro destrieri si rompessero le zampe. Alla fine capì che tentare di recuperare la distanza era ormai inutile, quindi obbligò la saura al trotto e si godette il paesaggio, respirando l'aria fredda e pura a pieni polmoni.
La foresta di Flewth era una macchia verde che si estendeva per miglia a sud di Camelot. D'estate gli innamorati andavano a passare le loro serate lì durante la festa di Beltane e d'inverno le risate dei bambini rimbalzavano di albero in albero. Tempo addietro, Sigrid e Calien erano andate spesso a giocare nel bosco e Merlino faceva finta di non vederle allontanarsi da palazzo in compagnia di Lancillotto. Adesso che era cresciuta, non vi si recava più, soprattutto da quando aveva cominciato le lezioni di scherma e magia, che la impegnavano per molte ore. E anche se Merlino la mandava nella foresta a raccogliere qualche erba per i suoi incantesimi, non si soffermava più ad osservare come cambiava la natura da stagione a stagione, troppo occupata ad avvelenarsi l'anima con pensieri negativi circa il proprio fallimento come maga.
C'era stato un tempo in cui Sigrid aveva creduto di possedere un qualche potere nascosto, ma poi, man mano che studiava, si era resa conto di non essere per nulla portata. Non che con la scherma andasse meglio, i calli sulle mani le facevano male da giorni, ma almeno con l'esercizio poteva migliorare. L'unica cosa di cui poteva vantarsi era l'incredibile memoria, che però senza un briciolo di talento o una direzione in cui applicarla non le era di alcuna utilità.
Sospirò e scosse appena la testa, ma quando rialzò lo sguardo rimase a bocca aperta. Nello spiazzo in cui era giunta non c'era traccia di neve e l'erba era di un intenso color smeraldo. Un salice si ergeva sulla riva di una polla d'acqua cristallina, costellata di rigogliose e colorate ninfee. Un venticello tiepido le accarezzò le guance, scompigliandole i capelli e facendole cadere il cappuccio sulle spalle. Al limitare della radura, dove le fronde degli alberi si intrecciavano in un tetto di rami, ricoperta da una lussureggiante rete di gelsomini bianchi svettava la statua di un drago dalle ali spiegate, alta circa sei braccia.
Sigrid smontò, diede un buffetto sul muso della cavalla, abbandonò la lancia contro il tronco di un albero e, camminando in rispettoso silenzio, si colmò gli occhi e il cuore di tutta la meraviglia che la circondava. Si chiese distrattamente come fosse possibile che la natura fosse in fiore in quella stagione. Procedette con cautela, mentre l'inquietudine che si era portata addosso fino a quel momento pian piano svaniva e una sensazione di pace assoluta la pervadeva. Incrociò lo sguardo di pietra del drago, che l'osservava dall'alto, con la bocca spalancata in un ruggito muto e gli occhi che sembravano seguirla ad ogni passo, come se fossero stati vivi. Eppure Sigrid non si sentiva intimorita, anzi c'era qualcosa che la spingeva ad avvinarsi, a fidarsi. Quando fu di fronte ad essa, si tolse un guanto e sfiorò il basso piedistallo dove la statua era stata appoggiata. Non appena i polpastrelli vennero a contatto con la nuda pietra, una voce cavernosa esplose nella sua testa, parlandole in una lingua antica.
Merk Kulaas, kosed zahkrii'el dez.
Una corrente calda e allo stesso tempo gelida cominciò a turbinarle intorno, mentre gli occhi di pietra del drago iniziarono a rifulgere di una luce purpurea. La terra tremò, ma Sigrid strinse i denti e non si mosse, la mano incollata alla pietra. I gelsomini si attorcigliarono attorno al suo braccio e dai pistilli spuntarono dei fili dorati che si infilarono sotto gli abiti. Improvvisamente un dolore insopportabile la costrinse in ginocchio. Le parve di avvertire degli aghi che le penetravano sotto pelle, bruciandola. Gemette disperata e tentò ancora di allontanarsi, ma i fiori la trattennero.
Con le labbra bagnate dalle sue stesse lacrime, puntò lo sguardo in quello della statua e urlò: - Chi sei?! -
Kosed tulees dez.
Non si domandò come mai ad un tratto fosse in grado di capire quella strana lingua, piuttosto si concentrò sul significato delle parole che riecheggiavano nel suo cervello.
- Il mio... destino...? - mormorò confusa.
Poi sbarrò le palpebre ed emise un verso strozzato. Le forze le mancarono e cadde al suolo svenuta. Allora le corolle dei gelsomini si chiusero, i rampicanti si ritirarono e il vento si placò.
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