Capitolo 7 Clint
CLINT
L'ho combinata grossa. Completamente destabilizzato dall'estemporanea presenza di Steve, tornato su Vormir per riportare la Gemma dell'Anima alla sua collocazione originaria, e dall'impossibilità oggettiva di comunicare con lui, vistolo svanire, ho reagito in malo modo: ho scansato Eyra da me con più forza del dovuto.
È inciampata fortuitamente e si è tagliata il braccio di una ferita profonda.
Ho usato una violenza che mi è propria, l'aggressività dell'ambiente in cui sono vissuto da bambino e che ha caratterizzato la mia giovinezza. E purtroppo anche la mia professione. Mercenario, spia, agente, Avenger. Certo non vendo gelati.
L'asgardiana scende con attenzione camminando davanti a me, affaticata. Non ha voluto nemmeno che l'aiutassi; posso capirla perché mi sarei comportato nell'identico modo, permaloso come sono. Non insisto ma la tallono per accertarmi che arrivi giù indenne.
Giunti alla caverna esamino i lembi della pelle dell'avambraccio candido; sono separati, non sono riuscito a fermare il flusso del sangue con il laccio emostatico "Ci vogliono dei punti di sutura"
"Dovrai mettermeli tu" laconica, Eyra mi porge la scatola del cucito.
Ho sterilizzato l'ago alle fiamme del fuoco e lavato la ferita con l'acqua nel secchio; asciugata la cute, uso un ago e un filo normalissimi. Non è materiale medico, ma è tutto ciò che abbiamo. Mi tremano le mani. Mi costringo a mantenere la calma; nonostante il taglio non appaia grave non ho mai effettuato interventi di primo soccorso.
Gli occhi verdi, il cui colore è virato verso un'ombrosa oscurità, mi hanno trafitto più di una freccia scagliata rimasta nel petto e che non riesco a estrarre.
"Sarà doloroso, mi spiace" cerco di consolarla e prepararla.
Lei tende l'avambraccio verso di me e lo blocca con la mano sinistra. Il bracciale a serpente è posato a terra, accanto a noi.
Alla luce del focolare do il primo punto, inserendo l'ago e Eyra si lascia sfuggire un lamento. Si irrigidisce, tentando di rimanere ferma.
Proseguo e ogni volta che trapasso la sua pelle è un supplizio personale. Vorrei essere al suo posto ma non posso scambiarmi.
Termino. Conto sette punti, come i sette peccati capitali. Anche se io ne ho commesso uno solo, il più grave.
"Grazie" provata e pallida, la mia compagna di casa indossa la camicia da notte e si corica, il braccio fasciato da bende ricavate da un telo bianco e il serpente d'oro fra le mani. "Non ho fame, salterò la cena. Buonanotte". Si gira di spalle, avvolgendosi nella coperta. Improvvisamente odo un singhiozzo e poi un altro; diventano una marea che non interrompo né con una parola né con un gesto.
Finché lei si addormenta ed esco a riprendere l'arco e le frecce che ho lanciato a terra in un momento di stizza e che non mi sono azzardato a recuperare sul momento; veniva prima Eyra, curare la sua lesione.
Cammino velocemente sotto i minuscoli cristalli di ghiaccio misti ad acqua, con la testa piena di riflessioni che frullano in un vortice che non riesco a placare.
Per i miei amici: se il Capitano è tornato su Vormir per riportare la Gemma dell'Anima alla sua posizione originale, il piano di ricostituire l'Universo come lo conoscevamo si è realizzato. Lo hanno confermato anche le parole di commiato che Steve ha avuto nei miei confronti. E mi è di grande conforto.
Per Eyra. L'ho delusa. Ho perso la sua stima, per colpa del mio brutto carattere e delle mie insicurezze. Sarà difficile riconquistarne la fiducia. Mi sento impazzire, al pensiero di aver rovinato la nostra armonia, di essere il motivo delle sue lacrime. Piangeva per me, per il mio atteggiamento, oltre che per l'afflizione del taglio. E' come se l'avessi pugnalata io!
Raccolti i dardi e ricomposto il mio equipaggiamento ritorno con mestizia verso la spelonca, dove mi aspetta la ciotola della cena che lei aveva preparato per noi prima dell'apparizione di Rogers. Ho scarso appetito; mangio ugualmente, fuori e all'addiaccio, per non disturbarla.
All'ultimo boccone, si alza un vento più freddo del solito le cui folate intense mi costringono a rientrare, insieme al nevischio leggero che ha iniziato a cadere più copiosamente.
Eyra dorme, stavolta di un sonno meno sereno. Si rigirerà tutta la notte, si lamenterà per il dolore della ferita, avrà il bracciale come unico affettuoso compagno.
E mi parlerà pochissimo, indugiando sulle sue e limitrofa alla grotta, nei due giorni seguenti, che segno con una tacca sul mio arco, come ogni dì da cui sono qui per misurare la scorrere del tempo, per rimanere agganciato a un mondo perduto.
La sua reazione di chiusura, a tratti infantile, mi meraviglia poco; la cattività in cui è cresciuta nel momento della vita in cui si ha più bisogno di socialità non agevola lo sviluppo caratteriale indispensabile e basato sull'incontro coi propri pari. Ha combattuto la solitudine di un pianeta ostile con la grinta che la caratterizza, si è organizzata per le attività pratiche, ma non poteva colmare le lacune emotive causate dall'esilio.
Avrei dovuto prendere il toro per le corna e cercare un chiarimento, ma non ci sono riuscito. E' più forte di me, il blocco che ho verso il prossimo, amici compresi, non è mai caduto davanti a nessuno. Se ci ripenso, mi rendo conto che le chiacchierate e le conversazioni sono partite dall'asgardiana, ho semplicemente proseguito ciò che aveva iniziato. Lei sa come approcciarsi a me e mi ha offerto tutto ciò che possedeva su un piano materiale e morale: più importante del resto, mi ha donato il suo affetto incondizionato. E non ha chiesto nulla in cambio.
Bell'affare, Clint. Vederla sofferente e indebolita darmi di proposito le spalle nel momento del sonno notturno mi ha annientato. Non ho riposato un solo minuto, sperando mi parlasse; ho tenuto il conto invece dei suoi gemiti di fastidio per la ferita e dell'agitazione aumentata dal vento divenuto insopportabile. Sulla rosa dei venti avrebbe il posto del vento del nord, chiamato tramontana.
La sera del terzo giorno sono costretto ad affrontarla per un chiarimento. I suoi silenzi mi stanno letteralmente uccidendo. Ho preparato le parole con attenzione, durante la battuta di caccia, mi sono concentrato. Non riesco a iniziare alcun confronto o discussione: la trovo a terra, svenuta, davanti all'entrata della caverna, in camicia da notte, bagnata di neve; credo fosse uscita per venirmi a cercare.
"Che succede?" la porto in braccio, all'interno. È di un colorito cadaverico e gelata nel corpo; la fronte su cui poso le labbra, viceversa, è bollente. Scotta di una febbre malsana. Le tolgo la veste evitando di guardarla troppo e la corico sul suo giaciglio.
Mi chiama, con gli occhi lucidi "Clint, mi fa tanto male il taglio, da stamattina". Porge l'avambraccio e quando tolgo la fasciatura scopro una ferita infetta che spurga siero, dall'odore nauseabondo. Si era bendata da sola, senza chiedere la mia assistenza e ho creduto andasse tutto bene; non era così e probabilmente il vuoto creatosi fra noi ha contributo ad aumentare la ritrosia ad avvisarmi del malessere.
E' tardi per i rimpianti. "Eyra, che posso fare?" le domando "Sei tu la maga delle erbe!". Qui i medicinali sono assenti del tutto.
Non mi risponde, ha gli occhi vacui, spenti! Devo agire prima che perda conoscenza per sempre. Pensa, Barton, pensa, spremi le meningi. Io sono un arciere, un combattente, un idiota. Ma ho buona memoria.
Volo, ricordando il muschio di cui Eyra stessa mi parlò. Marroncino, con una sfumatura verde, da triturare e mettere sulle ferite. Così mi disse.
Lo trovo con facilità, ne raccolgo il più possibile, augurandomi di saperlo usare, e torno indietro. Il suo aroma è al tempo stesso acre e un po' dolce, erbaceo, terroso e salmastro.
Lo mastico, gustandone il sapore che rimanda alla sua fragranza. E' diventato una poltiglia che posiziono sul filo di sutura, detersa la pelle dal liquido denso e giallo dell'infezione, avvolgendo il tutto con un panno bianco in una medicazione grossolana che mi auguro efficace.
Eyra continua a lamentarsi. Suda copiosamente e ugualmente batte i denti, presa da un tremito incontrollabile. La temperatura esterna si è molto abbassata dai giorni precedenti, è più difficile mantenere calda la spelonca.
La avvolgo anche con il mio plaid e metto delle pezze di cotone bagnate in una ciotola contenente acqua; le strizzo bene e le appoggio sulla sua fronte e i suoi polsi, cambiandole spesso per mantenerle fresche.
Senza fortuna: non riesco ad alleviare il suo disagio.
"Clint... ho tanto freddo, aiutami" bisbiglia, spalancando gli occhioni. Ha le estremità gelide, le punte delle dita sono diventate blu.
Decido, in una frazione di secondo. Forse mi odierà, forse è sconveniente. Non mi importa. Mi importa di Eyra, di Eyra e basta.
Ho sempre saputo che la fine è parte del viaggio ma non così, non per lei!
Tolgo la mia uniforme velocemente e mi ci corico nudo accanto, sotto tutte le coperte che possediamo e più vicini possibile al focolare.
L'asgardiana è talmente debole che non si ribella né protesta. Comprese le mie intenzioni si copre il seno e l'inguine sulle prime, poi alla vergogna si sostituisce la necessità e mi lascia fare.
Con le mani le massaggio i piedi per risalire verso le cosce e il ventre. Non tralascio alcun centimetro di cute fino ai polsi.
A seguito delle frizioni, trema leggermente meno. La circolazione si sta riattivando, per fortuna.
Continuo a strofinare nel modo più casto che conosco il fisico della giovane creatura, finché prostrata, si appoggia con la testa nell'incavo del mio collo e si sagoma a me.
La scaldo col mio corpo, con la mia pelle, come posso. Stringendola fra le braccia, prego gli dei in cui non ho mai creduto perché passi indenne questa notte maledetta in cui il vento assomiglia sempre più a un inquietante e disperato pianto.
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