Capitolo 6 Eyra


EYRA

Il bagno con Clint è stato l'ennesimo tassello del mio progetto di seduzione. 

Da allora gli occhi dell'arciere sono ancor più pieni di una brama lussuriosa che mi lusinga, mi emoziona e a tratti mi spaventa, la mia decantata bellezza è diventata un concetto meno astratto attraverso il suo sguardo.

Saprò gestire il suo desiderio, strumentalizzarlo a mio favore? Nonostante le mie scarse nozioni di anatomia ho comunque compreso, studiando il suo fisico, che esiste una piena compatibilità fra i nostri corpi. L'unione fra una femmina asgardiana e un maschio terrestre è certamente possibile.

Barton è carino con me, conquistarlo sarà una sfida piacevole.

Uomo pacato, ombroso, introverso, ha raccontato della sua vita in concreto, ma non di sé. La paura di svelarsi per ora è stata più forte dell'attrazione e della confidenza instauratasi fra noi.

Mi ricorda mio padre in alcuni aspetti. Non ultimo per l'intelligenza vivace che nel suo caso non vira in scaltrezza.

Clint è puro nell'animo, non avvezzo alle bugie e ai sotterfugi a cui il Dio degli Inganni è stato costretto dagli eventi. Menzogne e tradimenti sono stati il motivo del risentimento che il mio amato genitore ha provato sulla sua pelle a causa della slealtà degli affetti più cari.

Sono le stesse falsità che detesto e che racconto all'Avenger, con molto rammarico.

"C'è qualcuno" seduta fuori dalla caverna, immersa nelle mie riflessioni, scorgo un uomo muscoloso, un terrestre, dal ciuffo castano, estremamente attraente. È spuntato dal nulla, in una vera magia, alla base della montagna da cui parte la stradina per il burrone dove si è buttato Barton.

Indossa una tuta azzurra scura con una stella sul petto, di color argento. Le spalle larghe e i bicipiti scolpiti denotano una struttura fisica fuori dal comune, innaturale in un essere normodotato.

Porta una valigetta metallica con sé, e cerca qualcosa!

Clint mi raggiunge, fissa il ragazzo e poi me. "Steve!". Lo conosce, ha gli occhi sgranati per la sorpresa "È Ste-ve Rogers. Ste-ve" grida come un ossesso verso di lui per richiamarne l'attenzione.

Il ragazzo, Steve Rogers, il coraggioso Capitan America di cui ho sentito parlare proprio da Barton, dovrebbe sentirlo.

Invece non si gira e continua imperterrito la salita, inerpicandosi con facilità sull'ostico percorso.

Il Falco gli vola dietro o almeno tenta, io seguo lui.

Ma il suo amico è molto più veloce di me e l'arciere messi insieme.

Tra la distanza oggettiva che ci separa e la potenza di Rogers, stargli appresso è impossibile. Nonostante Barton sia avvezzo al percorso: lo abbiamo battuto fino alla vetta alla ricerca del bracciale GPS che aveva al polso quando è arrivato su Vormir e che crede di aver perso. Non è esattamente così. Si è rotto nel salto di tre metri nel burrone e io l'ho raccolto e nascosto.

"Steve, aspetta!" la voce disperata di Clint è straziante.

"Non ti sente perché mi sei stato troppo vicino, sei invisibile" l'ho toccato, l'ho strofinato col sapone. Ci sfioriamo di continuo, casualmente. E' diventato trasparente anche lui. Possiamo vederci a vicenda, gli altri no e lo scopriamo soltanto adesso.

"Dannazione, no! Capitano, aspetta...".

Col cuore in gola e affannata, tallono l'arciere; vorrei chiedergli grazie a quale magia o incantesimo Steve sia arrivato qui, invece corro e basta.

Riusciamo a recuperare qualche metro quando Rogers arriva al limite del dirupo. Posa la valigetta metallica a terra e la apre.

Il bagliore arancio della Gemma dell'Anima, quasi pulsante, illumina l'ambiente circostante per pochi attimi, a seguito dei quali il ragazzo in tuta blu scaglia con forza la pietra in fondo al dirupo.

Possiamo sentire le sue parole, colme di tristezza; sono un addio all'amico arciere che crede sacrificato per recuperare la Gemma, un ultimo commiato nel luogo ove è scomparso "Grazie, Falco, ce l'abbiamo fatta anche per il tuo sacrificio, riposa in pace. Non ti dimenticheremo mai!".

"Grazie a te, Capitano" Teschio Rosso, il lungo mantello color nero, il volto artefatto in una maschera di morte di un'oscena tonalità carminio, la voce lugubre, si solleva dalla profondità della fossa, levitando davanti ai nostri occhi. Reca in mano proprio la pietra, di cui è custode. Percepito che Rogers la stesse riportando alla collocazione originaria, è emerso immediatamente dall'Ade per svolgere il compito affidatogli.

"Che diamine posso fare per attirare la sua attenzione? Questo, forse" il Falco afferra un pietra da terra e la scaglia in direzione dell'amico. Ha una mira incredibile e lo avrebbe centrato in pieno se una potente folata di vento non ne avesse cambiato la traiettoria, d'improvviso.

Ho dovuto; mi è stato sufficiente alzare la mano destra e muoverne il dorso e l'agente atmosferico ha indirizzato il sasso molto più a destra, prima di dove è fermo Steve.

Che non ha sentito nemmeno il tonfo quando è caduto a terra.

"Maledetto vento, maledetto" Clint è talmente preso dal passo successivo da compiere che non ascolta il dialogo fra Rogers e Teschio Rosso. Nemmeno io, che sono coinvolta da lui.

"Riprova con una freccia stavolta, senza colpirlo, solo rasentandolo. Ciò che tocchi tu non dovrebbe divenire invisibile" suggerisco, diabolica, mentre il custode della Gemma si allontana dando le spalle all'avversario di un'esistenza precedente.

Il Capitano resta da solo. Recupera una fiala dalla valigetta, richiudendola, e preme un pulsante sul bracciale al polso destro, analogo a quello che portava Barton.

Il Falco, memore del mio consiglio, si mette in posizione, piega le gambe e incocca la freccia; flette l'arco e la tira con incredibile maestria. E' la freccia della vita, in cui mettere la perfezione della propria arte, ogni gesto imparato, ogni goccia di sudore stillato, ogni callo formatosi sulla mano.

Mi esibisco anche io, senza una movenza tanto atletica; un soffio d'aria calibrato e la punta del dardo nero, anziché sfiorare i capelli di Steve, si allontana dal bersaglio di almeno un paio di metri sullo sfondo del violetto scuro di Vormir.

Purtroppo per l'arciere e per fortuna per me, nel medesimo istante, utilizzato il siero contenuto nella fiala di vetro, una sola lacrima a solcare la guancia del volto straziato di dolore, il Capitano Steve Rogers si guarda intorno e scompare nello stesso modo in cui è arrivato.

"No, no, no" è una cantilena funesta, Clint non riesce a smettere di gridare. Accasciato sulle ginocchia, scaglia l'arco lontano da sé; a seguire si toglie l'inutile faretra dalle spalle e la lancia con una rabbia inaudita. Le frecce si sparpagliano sul terreno, a raggiera. È la resa totale della speranza.

Mi pongo accanto a lui, cercando di consolarlo con il tono più dolce e materno che possiedo "Mi dispiace tanto, Falco, tanto, credimi".

Trema di rabbia e non mi risponde nemmeno, ha il viso fra le mani e l'animo sconvolto.

"Clint, ti prego, dimmi qualcosa" mi assale un vago senso di colpa: il dispiacere di avergli provocato una sofferenza che non meritava. Ho agito d'istinto; Steve era presumibilmente una minaccia al mio piano di tornare su Asgard e un ostacolo alla realizzazione della profezia. Per Clint, il suo caposquadra era, al contrario, l'utopia di una salvezza svanita. Lo capirò più avanti.

"Lasciami in pace" replica quando cerco di abbracciarlo per dargli conforto, con la mano a lambire la sua schiena.

È talmente nervoso che scatta; mi scosta senza calibrare la forza che mette nel suo gesto istintivo e poco ragionato.

Inaspettato per me più che la presenza di Capitan America. Perdo l'equilibrio e carambolo alla sinistra dell'arciere, sbattendo il braccio destro su un acuminato spuntone di roccia calcarea che sporge dal terreno.

La tuta si lacera e sento un dolore acuto. Seduta, controllo la parte lesa sotto lo strappo del tessuto. Una profonda ferita attraversa la pelle dell'avambraccio dal gomito verso il polso, e termina appena sopra il bracciale a forma di serpente. Il sangue sgorga copiosamente, caldo, con un acre odore metallico.

"Eyra, cosa ho combinato?" l'Avenger, pallido e mortificato, cerca di soccorrermi. Sfila uno dei lacci neri degli anfibi per stringermelo all'altezza del gomito e bloccare l'afflusso del sangue.

"Non importa, è stato un incidente" sì che importa, invece, ma non voglio che lo comprenda. Offesa e delusa, mi alzo in piedi, ricominciando a scendere verso la spelonca. Devo pensare a me, come ho fatto finora. Mordo la lingua per evitare di svenire e mostrare la mia debolezza. Il taglio è doloroso, una fitta continua e sono spaventata del quantitativo di sangue perso. Da quando sono qui ho prestato la massima attenzione a non ferirmi ed è accaduto proprio ora.

"Ti porto io" è il Falco che stavolta cerca di abbracciarmi per sollevarmi, mettendomi un braccio attorno alla vita; vuole aiutarmi nella discesa e farsi perdonare. Ha persino abbandonato arco, faretra e frecce per accompagnarmi.

E sono io che, stavolta, lo allontano, chiedendomi se sia davvero lui l'eroe alato degno di realizzare la nobile profezia che reco sulla schiena. I primi fiocchi bianchi dell'inverno di Vormir volteggiano nell'aria. Gelo l'arciere dello stesso freddo della neve caduta sul mio cuore a causa sua "Ce la faccio da sola, raccogli il tuo arco".

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top