Capitolo 5 Clint
CLINT
Eyra mi ha messo alle corde. Il suo sguardo, le sue parole mi hanno fatto sentire senza pelle. Vulnerabile. E detesto sentirmi così perché è lo status in cui gli altri possono ferirmi.
Solo che lei non è esattamente gli altri.
È l'unica altra con cui condivido questo pianeta inospitale. Ed è un'altra incredibilmente interessante, la donna che inviterei per un aperitivo sperando mi conceda di offrirle la cena e il dopocena, ogni giorno della settimana!
È un'ottima ascoltatrice, arguta al momento giusto, pacata il successivo, divertente. Abbiamo chiacchierato, ininterrottamente, in un dialogo continuo in cui non ci sono pause. Quando io inizio una frase, lei la termina.
Ed è un bene, colma la noia della ripetitività dei gesti delle nostre giornate. Vormir è davvero un dominio di morte al centro di un'esistenza celestiale.
Mi alleno, ho creato un percorso con sagome e bersagli, per non perdere la mano con l'arco che uso comunque per cacciare, mentre lei si occupa di scuoiare la carne, di raccogliere i tuberi che crescono nella terra arida, di cucinare e di altre piccole incombenze. Mi taglia persino la barba con un coltello reperito su una delle aeronavi; per i capelli ha vinto lei, li sto facendo ricrescere, niente più creste o rasature.
Ho scoperto che la perfetta sposa asgardiana impara da fanciulla a cucire e ricamare per prepararsi alla vita coniugale, perché, a sorpresa, Eyra mi ha donato un abito realizzato in velluto nero, da utilizzare nella spelonca, con la promessa di futuri vestiti. Mi calza a pennello e all'altezza del cuore reca un ricamo: un arco, creato in un filo viola, il colore della mia prima uniforme, di cui le avevo accennato. E' trafitto da una freccia, verde, non casualmente.
Ho cercato di raccontarle della mia vita sulla Terra, degli Avengers e della missione su Vormir per recuperare la Gemma dell'Anima, senza fornirle chiari riferimenti temporali. Perché non ho prove oggettive per spiegarle di essermi rimpicciolito a livello sub-atomico e gettato nel Regno Quantico col braccialetto GPS progettato da Tony Stark, che mi ha portato a viaggiare nel Vortice del Tempo: temo mi prenderebbe per matto.
E ritengo reagirebbe ancor peggio se le confessassi che per sconfiggere Hela, i principi di Asgard, Thor e Loki, hanno scatenato Ragnarök distruggendo Asgard stessa e che sono fuggiti in direzione Terra a bordo di un'astronave insieme a pochi concittadini. E non è sicuro che fra di essi ci fosse la sua famiglia.
Per l'incertezza della loro sorte morirebbe di un dolore che non voglio infliggerle.
La mia speranza è riuscire a far decollare una delle aeronavi del cimitero e far rotta proprio su Asgard. Potrei avvertire Thor dell'attacco di Hela, data la collocazione storica degli eventi, e usare il Bifrost per tornare a New York ancorché nel tempo presente, in cui esiste un altro me. Le frasi di Tony e Bruce Banner - lo scienziato trasformatosi definitivamente in Hulk - che ci esortavano a non modificare troppo il corso degli eventi per evitare di creare paradossi temporali, sono un monito nefasto che finalmente e sciaguratamente comprendo.
"Cos'è quel musetto triste?" Eyra mi lancia un asciugamano di telo bianco e mi porge una parallelepipedo a forma di panetto di burro.
"E' sapone naturale, prodotto dalla cenere a cui ho aggiunto alcune essenze ricavate da piante e radici" ha un vago aroma floreale, il medesimo che sprigiona lei, un misto di vaniglia e di sandalo "Oggi è giorno di bagno!" ha preso un asciugamano e un pezzo di sapone pure per sé "Allora il musetto?".
Mento di una candida bugia, l'altro peso che mi opprime lo spirito "Le aeronavi che ho esaminato finora sono molto danneggiate, non è possibile ripararle". Ho trascorso numerose ore all'interno delle fusoliere, ho smontato motori e turbine con gli attrezzi rimediati nelle stive, usati per la manutenzione ordinaria. Alcune tecnologie sono lontane da quelle del Quinjet, l'aereo degli Avengers e dagli altri velivoli terrestri che mi sono più familiari. Ma non è quello il problema: sono relitti, in caso contrario non li avrebbero abbandonati.
"Troverai un sistema!" la stima che ha per me è mal riposta, credo.
Nella breve passeggiata verso il lago Eyra chiacchiera per distrarmi dalle mie paturnie. Il ritmo delle sue parole è più frenetico, sembra nervosa.
Capisco il perché al nostro arrivo.
"Di solito sguazzo nell'acqua calda, poi corro velocemente verso il lago di acqua dolce per sciacquarmi e infine mi asciugo. Non credo ci daremo fastidio, c'è spazio per entrambi" lascia il telo sulla riva della pozza più piccola e inizia a spogliarsi, confidando che mi girerò.
Cosa che faccio, togliendomi gli abiti a mia volta. Sento i passi dei suoi piedi scalzi sul terreno di ghiaia e pietrisco e poi il rumore di quando entra in acqua.
"Tocca a te" mi aspetta immersa fino al collo. Ha raccolto i capelli scuri sulla nuca con un nastro affinché non si bagnino.
Credevo avrebbe atteso di spalle. Invece mi scruta, osserva il mio corpo, di tre quarti. La curiosità e l'interesse hanno avuto la meglio sulla tensione.
Il suo sguardo mi incendia i sensi, tra il calore della solfatara e il mio personale mi sento i brividi di febbre.
Ho un bel fisico, sono allenato. Non sono mai stato interessato a piacere a qualcuna, a sperare che mi trovasse attraente almeno nella misura in cui trovavo attraente lei. Finora.
Cammino lentamente per raggiungerla, irrigidito.
"Hai scordato il sapone" commenta in tono serio.
Che sciocco, l'ho dimenticato a riva. "Ero preso da altro" ribatto, notando la sensualità del suo tatuaggio che parte dal collo per poi nascondersi alla mia vista "Da te". Sono diventato melenso, con lei.
"Useremo il mio" risponde con apparente indifferenza, strofinando il panetto sul mio torace attraverso l'acqua. È davanti a me, concentrata.
Passa il sapone fino alla vita con precisione, ritorna su per pulirmi sotto le ascelle strappandomi una risatina ogni volta "Soffro il solletico" mi giustifico senza ricevere risposta.
Godo della piacevolezza dello scorrere delle sue mani, che usa per massaggiare la lieve schiuma che si forma e per sciacquarla, delle dita che sagomano le mie braccia e le mie spalle. La tensione cala, il mio corpo si è disteso al trattamento di bellezza che mi sta regalando.
Le sole fragranze che sento sono il sandalo e la vaniglia, il mefistofelico zolfo è una memoria assai lontana. A occhi chiusi, vivo un momento di estasi.
Sospiro, avvertendo una rigidità al basso ventre che sale pian piano e che non posso fermare. È l'eccitazione al tocco continuo e delicato di Eyra.
Noto che non mi guarda in faccia proprio perché io, al contrario, ammiro ogni particolare del suo viso, cercando di leggervi le emozioni che sta provando.
"Girati, ti lavo la schiena" ubbidisco, sotto il suo incantesimo, e lei ripete la manovra, partendo dalle scapole fino alla cresta iliaca.
Mi passa il sapone con movimenti circolari dall'alto verso il basso e termina solo con le mani in un lungo massaggio detossinante che segue il disegno della spina dorsale "Che bello, grazie" gemo di compiacimento e rammarico quando la premura termina.
Secca, risponde "Vuoi contraccambiare?".
La proposta è troppo allettante per rifiutare.
Si è rigirata, avanzando di alcuni metri verso la riva affinché l'acqua le arrivi alla vita. La seguo e le accarezzo le spalle. Il pezzetto di sapone sempre più piccolo precede le mie dita.
La sua pelle è vellutata, liscia e morbida al tatto, alla stregua del derma dei bambini appena nati o della buccia delle pesche più pregiate: sarà l'effetto dello zolfo di cui mi ha parlato. Più la genetica, la sorte, la profezia malevola sulla cute nivea. Purtuttavia, la predizione blu è tanto affascinante che gioco coi suoi strani tratteggi.
Eyra ha le braccia chiuse sul seno, incrociate per un tenero pudore; posso vedere esclusivamente il profilo esterno delle floride colline. Basta per aumentare il mio desiderio: sogno di sollevarla e portarla fino a quella che è diventata la nostra caverna per giacere con lei sotto una coperta marrone di lana filata.
La schiena sinuosa e il collo elegante e sottile sono le uniche parti del suo corpo di donna che mi azzardo a lavare. Nonostante la brama, non voglio sfiorarla in modo ambiguo o diretto. Mi accontento della sua compagnia come un amico fraterno, nel rispetto della sua innocenza. Non posso e non voglio mettere in pericolo l'affetto, costante e operoso, che nutre per me. In maggior misura perché non mi ha più detto una sillaba ed è un brutto segno.
Geme e si stacca da me, prima che termini e la sciacqui. Ha la pelle d'oca sulle braccia, in evidenza.
"Hai freddo?" strambo, la sorgente sulfurea mantiene elevata la temperatura dell'acqua.
"Sei tu, è l'effetto che mi fai" bisbiglia, girando solamente il volto e fissandomi con un'espressione languida e smorfiosa.
Deglutisco a fatica: non ho mai visto nulla di più sexy della sirena asgardiana che, cogliendomi di sorpresa, esce dal lago con una movenza lenta e felina.
La sua figura longilinea, la vita snella, i fianchi stretti, le cosce tornite, la linea che attraversa i suoi glutei resteranno indelebili nella mia mente.
Di più gli smeraldi che brillano nella penombra della luce violetta di Vormir, mentre fa il mio nome e mi chiama a sé "Clint".
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