Capitolo 27 Eyra
EYRA
L'amplesso passionale è stata la miglior medicina per me e Clint; dopo siamo crollati in un sonno profondo e ristoratore, nudi, uno nelle braccia dell'altro nonostante le bugie. Era ciò di cui avevamo bisogno più del miele di castagno o dello scotch invecchiato.
Al mattino mi sveglio con i rumori della città in movimento provenienti dalla strada attraverso la finestra lasciata aperta per il vento, che non ci ha abbandonato nemmeno nella Grande Mela.
Penso sia meglio chiuderla senza usare poteri ma la mano del Falco mi tiene a sé "Resta, non alzarti".
Custodita fra i suoi bicipiti, sento il tipico vigore maschile mattutino e la bocca umida che mi bacia il collo, sotto i capelli. Giurerei che stia straziando di baci la scritta della profezia.
"Non ti ho ancora perdonato" bisbiglia con la voce roca e impastata di sonno e liquore a ribadire che arrabbiatura e delusione non lasceranno il suo animo in fretta.
"Lo so perfettamente".
"Però sono grato al destino di avere una seconda opportunità, che tu sia qui con me, nel mio letto e nella mia vita" il tono vira verso il turbamento, le braccia diventano tenaglie "E voglio restare a impigrirmi sotto le coperte".
Afferro il palmo della sinistra dell'arciere e la porto alle labbra sugli amati inspessimenti cutanei "Ho urgenza di alcuni indumenti, le tue colleghe e mia zia hanno una taglia diversa dalla mia e tu pure".
"Detesto lo shopping. Uff, ti accompagnerò, c'è un grande magazzino qui vicino" si plasma al mio dorso riappisolandosi fino all'ora di pranzo nonostante gli iniziali propositi bellicosi.
Clint traspare com'è sempre stato con me, assai premuroso; prepara una colazione molto abbondante, tipicamente americana con uova strapazzate, bacon, pane tostato, caffè e succo d'arancia. È gustosa e saporita, forse un po' pesante ma siamo affamati e mangiamo come maialini.
Vestiti, scendiamo in garage dove c'è l'auto del Falco, un fuoristrada nero sul cui sportello del guidatore è dipinta un'aquila grigia: è il simbolo dell'agenzia con cui gli Avengers collaborarono fino al suo scioglimento, mi illustra.
"Non dare confidenza a nessuno e stai attenta a non perderti. Qui ci sono dei soldi, il mio numero di cellulare e l'indirizzo di casa, se dovesse accadere e per sicurezza" attaccando con una tiritera di raccomandazioni, l'Avenger mi dà una banconota e un foglietto scritto a penna che ripongo in tasca.
Nel cassetto del comò la sua amica Natasha aveva custodito la carta di credito, il portafoglio, le chiavi dell'auto e il telefono che lui mi mostra spiegandomene il funzionamento. "Te ne comprerò uno però, per i primi giorni, per favore restami vicino. Ci vorrà del tempo per ambientarti".
Non ha torto. "Che caos!" un traffico congestionato e un marasma di persone in movimento frenetico danno il senso della metropoli newyorkese, dove ognuno pensa ai fatti propri nel tran tran quotidiano. La città è un agglomerato di edifici di cemento altissimi, negozi e attività commerciali, alternati a pochi spazi verdi. L'odore dell'aria che proviene dal finestrino abbassato sa di sporco, è asfissiante.
"Non vedo dove potrei andare" sospiro quasi oppressa da ciò che mi circonda. Sono passata dalla solitudine di un intero pianeta a mia disposizione a un luogo in cui sono una formica in una tana piena di altri insetti rumorosi e indiavolati.
L'arciere parcheggia all'interno di un altro palazzo multipiano vivacissimo dove scale mobili conducono a botteghe moderne di abbigliamento preconfezionato, distinto per destinatario "Non ci sono sarti sulla Terra?".
La qualità dei capi del reparto femminile è dozzinale, rifletto, rispetto a ciò che so cucire io. Appoggio un abito a fiori a sfondo color crema - il più decoroso e di qualità - sul petto, specchiandomi "Va ripreso sui fianchi" mi lamento "e poi allargato quando la pancia crescerà". Leggo il cartellino del prezzo, non so se sia un capo costoso o meno "Clint, non ho denaro e non vorrei che ne spendessi troppi per abiti che indosserò per poco tempo".
"Non guardare me, compro cose comode in serie" non ne dubito: indossa dei jeans di un cotone robusto blu scuro che ho visto indosso a tanti terrestri, una camicia a quadretti e un giubbotto di pelle nera che gli conferisce un'aria da duro.
"Da qualche parte devi cominciare. Prova qualcosa che ti piace, nelle stanzette in fondo: si chiamano camerini. Questo?" da uno scaffale prende un maglioncino di filo di cotone bianco con i bottoncini di madreperla.
"Serve aiuto?" una giovane commessa con i capelli biondi a coda di cavallo e in divisa bluette si appropinqua per supportarmi. Un'occhiata al mio fisico e trova la taglia giusta in un baleno "Ho sentito che è in dolce attesa, le consiglio tessuti morbidi, elastici in vita, magliette ampie che potrà utilizzare anche più avanti. La moda predilige l'oversize, è fortunata" afferra alcune paia di pantaloni, delle t-shirt a maniche corte e lunghe accostate per colore ai calzoni e mi accompagna nello spazio destinato alla prova.
"Fate come se non ci fossi, eh!" l'arciere siede su un divanetto fuori dai camerini con l'aria annoiata, giocando al cellulare.
Si riprende solo quando esco per brevi sfilate in cerca della sua approvazione; lì cambia espressione e ridacchia. "Stai bene" ripete ogni volta e qualsiasi indumento indossi.
"Clint, dammi un parere sincero" lo esorto.
Si gratta la testa e mi fissa "Non scherzo, non esiste un abito che non ti doni".
"Suo marito ha ragione, potrebbe fare l'indossatrice. Le tinte neutre sono facilmente abbinabili e avrebbe numerose opzioni" la commessa ha un gusto moderno e pratico.
Riflettendo sulla sua frase e su ciò che sembriamo dal di fuori, mi affido a lei perché le ore scorrono e l'indecisione aumenta. Mi porta anche diverse paia di scarpe, una giacca e una sciarpa ampia - a New York siamo all'inizio della primavera e potrebbero servire - biancheria intima più sobria delle proposte della zia, persino una borsa a spalla in pelle nera per contenere ciò che non possiedo. Ho soprasseduto all'abbigliamento per la notte, userò la maglia di Clint, mi ci sono già affezionata.
Finalmente esco dal camerino con un discreto bottino e gli abiti che indossavo all'arrivo ripiegati in una busta di carta. Ho deciso di cambiarmi sul momento proprio col vestito color crema a fiorellini. Collant leggeri, scarpe rosse coi tacchi su cui oscillo spaesata, una borsetta microscopica amaranto e il maglione di filo consigliatomi dal Falco, mi affaccio alla cassa dove l'Avenger mi attende "Niente male. Ti senti più newyorkese?" domanda, prendendo le restanti shopper dalle mani della commessa, dopo aver pagato il conto.
"Non tanto. Ho chiacchierato con la ragazza che ci ha servito" gli racconto, indirizzandolo all'ascensore. Era affabile e simpatica. "Nel basamento del grande magazzino c'è un reparto di scampoli di stoffa e articoli di merceria indispensabili per cucire. Possiamo farci un giro?".
"Certo" preme il pulsante del piano interrato "Non sei stufa di cucire?".
Non riesco a controbattere che le porte automatiche si aprono e alla vista incrocio un mondo da favola di stoffe arrotolate su cilindri di carta, quadrati di tessuto dai mille colori e fantasie, in una gamma dalle più sgargianti alle più delicate e tenui.
La parete alle spalle dell'addetta è un mobile in legno composto di piccoli cassetti che contengono bottoni, il cui fac-simile è sull'antina del cassetto stesso. Sotto un vetro, invece, noto rocchetti di fili di ogni sfumatura esistente. Porto la mano a pugno alla bocca, senza parole.
"Ti piace qui, immagino" Clint accarezza con le dita alcune rimanenze di seta collocate dentro un cesto "Sono in super offerta, prendi quello che vuoi".
"È strano che una persona giovane si interessi di cucito" una signora anziana con la tenuta del negozio e una crocchia di capelli bianchi, incuriosita dalla nostra presenza, sbuca dal retro.
"È un asso anche nel ricamo" l'arciere è talmente spontaneo e diretto che arrossisco come una bambina.
"Davvero? Casomai le interessasse un impiego, cerchiamo sempre sarte per riparazioni, può lavorare anche da casa con la sua macchina da cucire".
Sgrano gli occhi "Una macchina da cucire? Non ce l'ho! Esiste davvero?".
"Sì, questa è la mia". Sposta la tenda che separa il negozio dal magazzino e mi mostra un marchingegno incredibile. Il filo inserito nel nastro trasportatore che contiene l'ago cuce la stoffa che la signora passa semplicemente sotto per darmi una dimostrazione delle potenzialità dell'oggetto.
"Ne ho una usata, in vendita. È un vero affare, se le interessa" indica una macchina simile alla sua, posata su uno scaffale.
"E' molto robusta, adatta a una principiante; fa i due punti base, lineare e lo zig zag, oltre ai
punti ricamo. Ha l'avvolgi filo ed è elettronica ovvero per la selezione delle funzioni e dei punti si preme un tasto". La signora è una vera imbonitrice, sui dettagli fa un baffo persino a Bruce.
"Grazie, non credo sia possibile" girovago per scegliere le stoffe mentre Clint si avvicina per guardare la macchina e noto che digiti velocemente sul suo cellulare, alla ricerca di qualcosa. Passa il polpastrello dell'indice sulla plastica della parte superiore e lo rivolta, mettendolo sotto il naso della commessa.
Si vede la polvere grigia sopra il callo causato dall'uso dell'arco "Sta qui da tempo e non l'ha ancora venduta; ho fatto una ricerca su siti on line e costa la metà di ciò che è scritto sul cartellino" le mostra il display del telefono, ammiccando verso di me "Allo stesso prezzo la prendo per mia moglie!".
Il mio cuore scoppia di felicità per il significato delle sue parole e del regalo che vorrebbe farmi "No, Falco, perché? Hai già speso tanto" cerco di dissuaderlo ma l'addetta fa prima, non vuole perdere il cliente.
"Va bene, affare fatto; do una pulitina alla macchina nel retro intanto che seleziona gli scampoli" la vecchia si convince e l'arciere mi risponde, approfittando della sua assenza "C'è l'oceano nel verde dei tuoi occhi: un giorno non troppo lontano ti porterò a vederlo. Il luccichio del sole sull'acqua del mare è lo stesso provocato alle tue iridi dalla visione della macchina infernale accesa".
Lusingata dalla frase, uscita dall'animo di un novello Bragi, dio norreno della poesia, lo corrispondo "Non vedo l'ora di andarci insieme. Il primo indumento che cucirò sarà per te, allora" medito di realizzare una camicia elegante e cerco una stoffa adatta, reperendo un cotone azzurro di provenienza egiziana.
Prendo anche tanti scampoli e alcune stoffe a metraggio, i rocchetti di filo nei colori indispensabili e alcuni bottoni splendidi, oltre ad accessori che non ho mai visto: chiusure lampo e velcro biadesivo.
Clint insiste per portare anche le buste della merceria e la macchina da cucire ma io non voglio mollarla, la tengo stretta al petto. "È troppo pesante, principessa testarda e incinta" mi rimprovera aspramente davanti alla signora che tenta di non ridergli in faccia.
Il congegno è gestibile e non cedo, reggendolo sulle ginocchia per l'intero tragitto fino all'appartamento del Falco.
"Santi numi" invece di scendere in garage, l'Avenger blocca la jeep in doppia fila davanti al portone.
Da un'auto scura Bucky Barnes e Sam Wilson sollevano un uomo attempato, posizionandolo su una seggiola a rotelle aperta presa dal portabagagli, che spostano sul marciapiede.
È un bel signore dalla chioma argentea, alto e piazzato. La pelle del viso è rugosa, l'abbigliamento sobrio è composto da pantaloni e giacchino beige, una polo blu e dei mocassini adatti a una persona anziana.
È quando Barnes lo volta di più verso l'arciere, corso giù dal fuoristrada, che riconosco in lui gli occhi azzurri penetranti scorti in precedenza su Vormir.
Un sorriso a trentadue denti candidi e Steven Grant Rogers, Capitan America, chiama l'amico "Clint, hai messo la testa a posto con la figlia di Loki? Roba da pazzi!". Apre le braccia e il Falco vola letteralmente verso di lui, inginocchiandoglisi di fronte e ricevendo un abbraccio ancora d'acciaio.
Resto in auto, con il finestrino abbassato e la macchina da cucire sulle ginocchia, lasciando loro qualche minuto di intimità, giacché anche Sam e Bucky si sono spostati di alcuni metri.
Ho una fitta al cuore. È la prima volta che vedo Clint in lacrime da quando lo conosco.
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