Capitolo 2: Perché ogni sveglia che compro non suona?

Un'altra giornata iniziata nel peggiore dei modi, cioè in ritardo come al solito, ma salvata da Adam.
Per un po' di tempo ho pensato che fosse il mio angelo custode, ma poi ho capito che un angelo non può essere pazzo quanto lui: come quando mi ha costretta a fare parapendio con lui e ha scoperto di soffrire di vertigini, divincolandosi in una maniera esagerata per scendere, facendomi fare il doppio del lavoro per non precipitare e una volta toccato terra ha esordito con un "Hai visto? Non era poi così terribile e difficile" che gli ha seriamente fatto rischiare la vita.
O quando la settimana dopo, dimenticandosi dell'avventura appena passata e di soffrire di vertigini, mi ha trascinata a fare un'arrampicata: a nulla sono valsi i miei tentativi di farlo ragionare, tutti snobbati con continui "Le tue sono tutte scuse perché hai paura".

Dopo le lezioni mattutine, andiamo a pranzo in mensa e noto qualcosa di strano. Un uomo completamente vestito di nero e con gli occhiali da sole addosso, nonostante sia pieno inverno e il sole sia oscurato da nuvole scure che promettono pioggia, che guarda nella nostra direzione, o così sembra.
È fermo a qualche metro di distanza da noi e non si muove, se non per portarsi una mano sul naso per qualche secondo e poi tornare nella precedente posizione.
Questa storia mi puzza un po', ma lascio correre perché Adam è già alle porte della mensa e aspetta me per entrare, peccato che quando io velocizzo il passo per raggiungerlo prendo in pieno con il piede l'unica panchina presente in questa parte di percorso e mi ritrovo comodamente e dolorosamente seduta sul sentiero di mattoni.

-Ma come fai a essere sempre con il sedere a terra? Un giorno dovrai spiegarmelo-
Mi alzo, pulendomi il sedere per non rimanere sporca di terriccio ed entro in mensa:
-Non sono io a cercare le cadute, sono loro che cercano me. Non è colpa mia se mi amano- dico con aria di superiorità, scontrandomi allo stesso tempo con un ragazzo che mi guarda male e se ne va, facendo scoppiare a ridere il mio migliore amico.

Dopo il pranzo usciamo dalla mensa e mi guardo in giro, visto che non mi sono dimenticata del tipo freddoloso e fotosensibile che mi fissava prima del pranzo.
E come una statua posta lì per l'eternità del tempo, eccolo lì, che ancora guarda nella direzione in cui sono.
Ma cosa vuole questo?

Mentre sono impegnata a fissare quell'uomo e a non sentire i discorsi privi di logica di Adam, sento qualcosa colpirmi il braccio, facendomi gemere di dolore e voltare nella direzione dell'oggetto che mi è stato tirato addosso.
-Ma sei idiota per caso?- inizio a sbraitare, convinta che fosse un sasso lanciatomi dal mio migliore amico, ritrovandomi però davanti un ragazzo che mi guarda con due occhi spalancati dallo stupore e la bocca aperta.
È pure un ragazzo molto carino, con dei corti capelli mori, una corta barba ben curata a incorniciargli il viso ovale e penetranti occhi verdi.
Mannaggia a me e al mio essere una calamita per le gaffe.
Dietro il ragazzo vedo Adam portarsi una mano a coprirsi la bocca, ridendo con gli occhi, mentre io balbetto delle scuse verso il ragazzo.
Lui sorride dolcemente e dice che non sono io che devo scusarmi, ma lui perché si era distratto nel guardare il sentiero.

-Stai andando in mensa?- gli chiedo preoccupata, visto che ha appena chiuso e non riuscirà a mangiare nulla.
-Il mio intento era quello, sì-
Mi spiace informarlo, ma devo, così glielo dico cercando di non risultare scortese.
-Oh... bè grazie di tutto, Signorina-
-Oh, ti prego! Non chiamarmi Signorina, chiamami Charlotte-
Non se lo fa ripetere due volte e si presenta anche lui. James, un nome che mi ricorda tanto una guardia del corpo, inspiegabilmente.
-Bè, ci vediamo in giro!- replichiamo io e Adam, avviandoci verso la nostra prossima lezione.

Sono tentata di prendere l'ennesima sveglia, in fondo la diciassettesima potrebbe essere quella buona, poi mi ricordo di averla comprata solo ieri e mi allontano dalla vetrina del negozio.
Con la coda dell'occhio noto riflesso lo stesso uomo della mensa di oggi.
Ora inizio a essere veramente spaventata.
Mi allontano velocemente dalla vetrina, cercando di non dare nell'occhio e di trovare qualcuno che potrebbe aiutarmi nel caso succeda qualcosa.
Niente, non c'è nessuno in giro, manco fossero le tre di notte!
Mi affretto ad arrivare nel condominio dove abito, chiudendo frettolosamente e sonoramente la porta dietro di me.

Un altro giorno, un altro giorno in cui le sveglie non hanno suonato e io mi ritrovo in ritardo come al solito.
-Mamma!-
Silenzio assoluto.

Questa cosa mi puzza, come mai mamma non c'è?
Arrivo in cucina e trovo un biglietto scritto con la calligrafia di mia mamma: " Sono andata a un'importante riunione di lavoro, torno per pranzo. Fatti trovare pronta che andiamo a mangiare fuori!"

Evviva! Andiamo al ristorante!
Questo vuol dire solamente che non sono in ritardo, per la prima volta nella mia vita!
Controllo l'orario e noto con entusiasmo che sono appena le nove: ho tutto il tempo per rilassarmi e prepararmi.

Torno in camera dopo aver fatto una leggera colazione e scelgo degli abiti decenti per l'uscita con mamma. La mia scelta ricade su una gonna a vita alta nera e un maglioncino con scollo a v rosa antico.

Esco dal box doccia e mi pettino i miei lunghi capelli marroni con sfumature chiare per sciogliere tutti i nodi, li asciugo e li pettino in una treccia a lisca di pesce, così non da non trovarmi capelli ovunque guardi e poi passo al trucco.
Passo un leggero strato di cipria sulla mia pelle non troppo chiara, un po' di rossetto bordeaux sulle mie piccole labbra e della matita e del mascara sui miei occhi marroni ambrati.

Senza nemmeno rendermene conto, sono andata con un po' troppa calma e finisco con arrivare dopo una decina di citofonate e chiamate da parte di mia madre.
Penso di non essere nata di nove mesi, ma di quindici.
So di non essere una figlia naturale di mia mamma, non me lo ha mai nascosto e dentro di me ho sempre covato il desiderio di scoprire i miei veri genitori e capire perché mi hanno abbandonata e non hanno voluto darmi la famiglia che dovevamo creare.

Siamo andate a mangiare in un bel ristorantino in centro e abbiamo riso e scherzato come facciamo ogni weekend, è stato rilassante e mi ha tolto ogni pensiero dalla testa.
Finché, con la mia solita sfortuna, non mi scontro con qualcuno.

Ed ecco qui, tutto per voi anche il secondo capitolo di questa storia!
Noto che le visualizzazioni sono quasi inesistenti, ma non demordo: voglio continuare a pubblicare per me, che voi la leggiate o meno.

Se lo fate spero di strapparci una risata, o due, o tre, o di più.

Per quelli che forse leggeranno e avranno voglia di commentare, che ve ne pare del capitolo?
Delle pazzie di Adam?
E del nuovo arrivato? Eheh

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