Capitolo V: Intermezzo
Capitolo V: Intermezzo
Qualche giorno dopo, Logan si presentò nello studio di Miriam.
“Posso entrare?”, domandò, avendo trovato la porta socchiusa. La donna, che stava cercando un libro su uno scaffale in alto, si voltò:
“Certo, entra pure”, lo invitò, tornando poi a guardare in su, “Uffa, mi occorre la scaletta”, brontolò tra sé e sé, ma, col suo finissimo udito, Wolverine colse ugualmente le sue parole.
“Qual è il libro che ti serve?”, s’informò, avvicinandosi: più alto di lei di almeno venti centimetri, poteva arrivare agevolmente anche al ripiano più elevato.
“Oh…”, fece lei, considerando la sua statura con un’occhiata dal basso in alto che gli mise sottosopra il battito cardiaco, “Il terzo da sinistra, Législation internationale des sanctuaires maritimes.”
“Un argument difficile, je pense”, commentò lui, prima di rendersi conto di quel che diceva.
“Non sapevo che parlassi francese”, osservò Miriam in quella lingua, inarcando le sopracciglia.
“Neppure io”, borbottò Logan, continuando nello stesso idioma; prese il libro e lo porse alla donna, “Non credo d’averlo mai parlato, nei quindici anni che ricordo.”
“Accento canadese”, considerò lei, che aveva un orecchio molto fine per le inflessioni locali, “Ciò conferma i pochi indizi che abbiamo sul tuo passato.”
“Però mi sento più a mio agio con l’inglese”, affermò Logan, tornando a quest’ultimo idioma, “Cosa può voler dire?”
“Che sei nato in una delle province a maggioranza anglofona, piuttosto che in una francofona”, ipotizzò Darkarrow, “Alberta, o Columbia Britannica.”
“Mmhh… mi sembra verosimile”, concordò Wolverine, “Ma probabilmente non avrò mai la possibilità di verificarlo.”
“Non arrenderti”, lo esortò lei con simpatia, “Non mi sembri il tipo.”
“E non lo sono, infatti”, confermò Logan, “Devo dire d’aver scoperto molto più in questi ultimi undici mesi che nei quattordici anni precedenti.”
“Bene, vedi?”, sorrise Miriam, andando a posare il trattato sulla scrivania ingombra di fascicoli, alcuni dei quali aperti, “Eri venuto a chiedermi qualcosa?”, gli domandò, sedendosi ed invitandolo con un cenno a fare altrettanto.
“Proprio così”, dichiarò l’uomo, prendendo posto su una delle poltroncine di fronte al tavolo, “Lunedì comincio il corso di difesa personale coi ragazzi e ho pensato che sarebbe bene se avessi uno sparring partner per la dimostrazione delle varie tecniche. Sia Scott che Tempesta sono abili combattenti, ma fanno kung fu, mentre il mio stile è l’aikido, e Chuck mi ha detto che tu lo hai praticato. Saresti quindi la mia controparte ideale.”
Darkarrow rifletté, trovando l’idea molto attraente.
“Mi piacerebbe”, disse, “ma sono passati più di dieci anni dal mio esame di cintura nera: anche se mi sono sempre tenuta abbastanza allenata, temo che dovrai darmi qualche lezione per ripulire il mio stile.”
“Non credo che il mio sia particolarmente puro”, le confidò lui, “Non ricordo né come né quando l’ho imparato e mi muovo basandomi esclusivamente sull’istinto. È stato Scott a dirmi che si tratta di aikido, io neppure lo sapevo.”
“Allora faremo come Bruce Lee ed inventeremo uno stile tutto nostro!”, ridacchiò Miriam.
“È un’idea”, sogghignò Wolverine di rimando, “Bene, spero di non averti fatto perdere troppo tempo”, concluse, accennando ad alzarsi, “Vedo che hai da fare”, aggiunse, indicando col mento i documenti sparpagliati sul ripiano dello scrittoio.
“No, una pausa mi ci vuole”, affermò lei, girandosi a prendere una caraffa termica, “Caffè”, disse, sollevandola, “Vuoi farmi compagnia?”
“Volentieri”, accettò subito Logan, ben lieto di approfittare dell’occasione per stare un po’ con lei a quattr’occhi.
“Lo prendi liscio, se non erro”, disse Miriam, porgendogli una tazza dalla forma insolita, decorata con uno stemma che Wolverine riconobbe e che gli rivelò la provenienza del recipiente.
“Liscio è perfetto”, dichiarò, lusingato che lei si ricordasse, “L’hai comprata al Bar di Quark?”, domandò poi, indicando la tazza ed alludendo al famoso locale a bordo della stazione spaziale Deep Space 9 dell’omonima serie di Star Trek.
“Esatto”, confermò Darkarrow sorridendo compiaciuta, mentre si serviva a sua volta in una tazza della stessa forma ma con un simbolo diverso, “Ovviamente era la sua filiale terrestre di Las Vegas”, chiarì poi, riferendosi al negozio a tema trek situato allo Hilton della capitale del gioco d’azzardo, “Vedo che, per essere uno a cui piace abbastanza Star Trek, te ne intendi parecchio”, soggiunse in tono lievemente canzonatorio.
“Devo ammettere che, forse, abbastanza è un poco riduttivo”, confessò Logan, divertito piuttosto che urtato dalla sua piccola presa in giro. Com’era che con lei si sentiva così, mentre se si fosse trattato di chiunque altro lo avrebbe già affettato?
“Qualche volta sono stata al Grand Slam di Pasadena”, gli raccontò Darkarrow, alludendo alla convention più importante degli Stati Uniti e del mondo, “Ho le foto con gli autografi di tutti e cinque i capitani, da Kirk ad Archer, e anche di quasi tutti gli altri attori principali.”
Andarono avanti a chiacchierare del famoso show televisivo per qualche minuto, poi il cellulare di Miriam suonò. Logan fece per alzarsi, ma lei lo invitò a rimanere con un cenno mentre lo prendeva; l’uomo non fu sorpreso nel constatare che il modello del telefonino era molto simile ad un comunicatore della seria classica di Star Trek.
“Buon giorno a te”, disse Darkarrow, evidentemente rispondendo al saluto del suo interlocutore, “Cos’hanno detto?”
Ascoltò per un istante, poi disse:
“Puoi riferire a quei signori che non sono disposta a cambiare neppure una virgola delle condizioni che ho posto: o così, o chiudono entro il mese. I documenti sono pronti da settimane, e se non li firmano oggi come da accordi, domani stesso li denuncio per mancato rispetto dei termini contrattuali. Che non ci provino neppure a prendermi in giro. E se non basta questo, ricorda loro quello che è successo alla Dandrige Chemicals meno di cinque settimane fa.”
Tutto il discorso era stato pronunciato in tono pacato, ma con una vena d’acciaio da far rizzare i capelli. Logan ebbe conferma di ciò che aveva concluso giorni prima, ovvero che quella donna sapeva essere un avversario irriducibile.
Deponendo il telefonino dopo aver salutato il suo interlocutore, Miriam sorrise a Logan:
“E con ciò posso anche mettere via tutte queste cartacce”, annunciò, “La situazione si è evoluta completamente a mio favore e non devo più cercare soluzioni alternative.”
“Sei così sicura che faranno come vuoi tu?”, volle sapere Wolverine, inarcando un sopracciglio.
“Ho imparato che, lasciando loro abbastanza corda, certi personaggi che si credono molto furbi finiscono con l’impiccarsi da soli”, sghignazzò Darkarrow alquanto cinicamente, “Lo hanno fatto anche questi: ora, o stanno ai patti, o affondano.”
“Lasciar corda perché si impicchino…”, mormorò Wolverine, “Può essere anche una buona tattica di combattimento.”
“Vero”, concordò Darkarrow, cominciando a metter via i documenti che stava consultando, “Soprattutto nell’aikido, dove la forza dell’avversario viene ritorta contro di lui.”
Logan pensò che, se mai ne avesse avuto bisogno, ora aveva la conferma che si sarebbe trovato molto bene con lei come partner, alle lezioni di difesa personale: la pensavano allo stesso modo.
Mentre lei trafficava con le carte ed i fascicoli, lasciò vagare lo sguardo nella stanza: era arredata nello stesso stile dell’ufficio di Xavier, ma soprammobili e complementi di gusto decisamente femminile la ingentilivano parecchio. C’erano cinque fotografie in cornici d’argento sul ripiano del tavolino accanto alla scrivania, che ritraevano bambini e ragazzi di ogni continente.
Miriam notò la direzione del suo sguardo e sorrise:
“I miei figli adottivi”, li presentò, “Te ne ho parlato, ricordi? Questa è Agata, di Rio de Janeiro”, disse, prendendo una foto e facendogliela vedere meglio, “È stata la prima. Ora ha quasi diciotto anni, studia economia e commercio e lavora per la stessa organizzazione tramite la quale l’ho adottata. Con la maggiore età la sua adozione scadrà, ma continuerò ad occuparmi di lei in privato, ed intanto adotterò un altro bambino, magari di un’altra nazione sudamericana.”
“Splendida ragazza”, commentò Logan, “E gli altri?”
Miriam depose la foto e ne prese un’altra.
“Questa è Anna, di Bucarest. Ha quindici anni ed ha un incredibile talento per la ginnastica artistica, come la sua celebre connazionale Nadia Comaneci. E questo è Nkoto, vive in un villaggio vicino a Dakar, in Senegal; ha undici anni ed ha già deciso che vuole fare il medico. Quanto a Wobissa, è un aborigeno australiano”, proseguì la donna, mostrandogli la quarta foto, “L’ultimo in ordine di tempo. Ha otto anni e adora disegnare, magari diventerà un pittore. O forse un veterinario, dato che ama molto gli animali”, gli porse l’ultima foto, “Ed infine ecco Rajiv, di Nuova Dehli, che a dodici anni è già un genio del computer e di certo farà carriera nel campo dell’informatica.”
Dagli occhi che le brillavano era evidente che era molto orgogliosa di tutti loro.
“Spero di non averti annoiato”, concluse in tono di scusa, rimettendo a posto le immagini.
“Per nulla”, la rassicurò lui, che non riusciva a capacitarsi del fatto di trovar interessante qualsiasi cosa dicesse Darkarrow, “Ma mi stavo domandando… non hai figli tuoi?”
Aveva parlato senza riflettere, una caratteristica che non gli era abituale, anche se invece gli capitava spesso di parlare a sproposito. Dall’espressione che vide dipingersi sul volto della donna si rese subito conto d’aver toccato un tasto delicato e si diede mentalmente dell’imbecille. Continuava a dimenticare la sua vera età: essendo nata all’inizio del secolo precedente, probabilmente aveva avuto dei figli negli Anni Venti che ora magari erano già morti…
“Scusami, Miriam”, mormorò, impacciato, “Non intendevo…”
“Non importa”, disse lei quietamente, “Non potevi saperlo”, sospirò: quello non era un argomento di cui amava parlare, “Non ho figli, e a causa della mia mutazione non potrò mai averne”, spiegò con una semplicità che rese ancor più drammatica la sua dichiarazione.
“A causa della tua mutazione?”, ripeté Wolverine, senza capire, “Che vuoi dire?”
“Il mio organismo percepisce gli spermatozoi come se fossero dei corpi estranei, dei virus o dei batteri per intenderci, e li distrugge molto prima che riescano anche solo ad avvicinarsi ad un ovulo”, spiegò lei, ripetendo quello che le era stato rivelato alcuni anni prima da Jean, “Anche la fecondazione artificiale sarebbe inutile, il gamete fecondato farebbe la stessa fine.”
“Mi dispiace moltissimo”, disse Logan, con sincerità. Era evidente che Miriam amava parecchio i bambini e che le sarebbe piaciuto averne di suoi.
“Ho accettato la cosa ormai tanto tempo fa”, dichiarò lei, stringendosi nelle spalle, “Sarebbe molto più doloroso vedere morire i miei figli di vecchiaia, e poi i miei nipoti, ed i miei bisnipoti, mentre io resto sempre giovane. Ho concluso che è la giusta compensazione per l’immortalità.”
Wolverine annuì lentamente: Miriam aveva ragione… dolorosamente ragione.
Poi venne colpito da un altro pensiero:
“Potrei essere sterile anch’io, allora.”
“Non saprei. Forse no”, rifletté la donna, “Anche il tuo organismo attacca e distrugge virus e batteri, ma per esso i gameti da te prodotti non sono corpi estranei; inoltre, ne vengono espulsi, non raccolti. Non vedo perché non debbano essere fertili.”
“Beh, io mi ricordo solo gli ultimi quindici anni”, rimuginò Logan, “Non ho fatto il monaco, ma avendo sempre preso le debite precauzioni, non mi risulta d’aver messo nei guai nessuna donna. Quindi non ho riscontri.”
“So che Jean ti ha fatto molti esami, quando sei arrivato qui. Forse c’è qualcosa su questo argomento nella tua cartella clinica; puoi chiedere a Hank di fartela vedere.”
“Farò così… Non che mi interessi avere figli – non sono proprio il tipo – ma voglio sapere.”
Miriam non fece commenti. Forse Logan era convinto di non essere portato a fare il genitore, ma era stato ferocemente protettivo nei confronti dei ragazzini rapiti da Stryker, agendo come il migliore dei padri per liberarli e portarli in salvo.
“Tornando all’argomento precedente…”, disse Darkarrow, “Forse sarebbe il caso che provassimo ad allenarci insieme due o tre volte, in modo da affiatarci un poco prima di presentarci ai ragazzi. Che ne dici?”
Logan ci aveva già pensato:
“Stavo per proportelo io”, affermò, “Quando hai tempo?”
“Anche domattina, se per te va bene.”
“Ottimo. Ci troviamo in palestra alle dieci?”
“Sì, d’accordo.”
Soddisfatto dell’esito dell’incontro, Logan si congedò e tornò alle incombenze che si era assunto, tra le quali, oltre al corso di difesa personale, c’era anche la manutenzione della dimora. Se Ciclope era bravo con elettricità, elettronica e meccanica e perciò si occupava dei sistemi di sicurezza, del jet, del parco macchine e quant’altro, lui era un ottimo muratore, falegname ed idraulico, così si era offerto di sovrintendere alle riparazioni della magione, resesi necessarie dopo l’incursione degli uomini di Stryker. Aveva dato disposizioni che si aggiustassero per primi i danni esterni, come i serramenti, poi quelli interni, dove pallottole degli attaccanti e poteri speciali dei difensori avevano provocato non pochi disastri; ora si stava occupando di un bagno divelto dall’esplosione di una granata, che aveva sfondato la parete di ghiaccio creata da Iceman per coprire la propria fuga con Rogue, Piro e Logan. Dopo di quello, le riparazioni principali sarebbero state finite e non avrebbero più avuto bisogno degli operai; Logan si sarebbe in seguito occupato delle riparazioni minori.
Quella dell’incursione era stata una notte di terrore e di rivelazioni; era stato allora infatti, trovandosi faccia a faccia con Stryker, che aveva avuto conferma della sua permanenza ad Alkali Lake, durante la quale era stato trasformato in una macchina da guerra senziente, il soldato definitivo, imbattibile, inarrestabile, spietato. Era riuscito a fuggire prima che gli facessero il lavaggio del cervello e lo rendessero una marionetta nelle loro mani, ma erano riusciti a cancellare completamente la sua memoria. Non sapeva neppure il motivo per il quale era stato scelto Wolverine, ghiottone, come nome in codice per identificarlo, e non, per esempio, Wolf, lupo, o Cougar, coguaro, animali notoriamente molto feroci.
Scrollò le spalle: tutto ciò non lo tormentava più come in un recente passato, prima del colloquio con Miriam che gli aveva dato una possibile spiegazione del suo rapporto con Stryker, in questa vita ed in quelle precedenti. Una spiegazione che, anche se non ne conosceva la ragione, lo aveva in qualche misura rasserenato. Era sempre ansioso di scoprire quale fosse il suo passato – se non altro per conoscere il proprio vero nome, la data ed il luogo di nascita, la sua famiglia d’origine – ma non era più una cosa che lo angustiava.
Arrivò al bagno devastato e si mise al lavoro di lena con gli operai.
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Il giorno seguente era sabato; con una decina di minuti d’anticipo, Logan mise piede in palestra per trovarvi già Miriam, in perfetta tenuta da praticante di aikido d’alto livello: kimono bianco e pantaloni neri, tanto ampi da sembrare una gonna. Aveva i capelli raccolti in una lunga treccia, che le dava un’aria molto orientale. Stava eseguendo delle morbide, lente movenze che non avevano niente a che fare con l’aikido.
Scorgendolo, lei s’interruppe subito per rivolgergli il saluto regolamentare, un piccolo inchino a testa alta, che Wolverine ricambiò. Pensando d’aver riconosciuto lo stile, domandò incuriosito:
“Quello era tai chi chuan?”
“Sì”, confermò lei, “È un riscaldamento formidabile prima di qualsiasi tipo di allenamento. Lo uso perfino prima di danzare.”
“Ah, notevole”, fece Logan, pensandolo davvero, “Mi piacerebbe provare.”
“Adesso?”, al suo cenno d’assenso, anche Darkarrow annuì, lieta dell’opportunità, “Oh, d’accordo allora. Per adesso limitati a seguire i miei movimenti, se poi ti interessa sul serio, un’altra volta ti farò una vera lezione.”
“Affare fatto.”
Si mise in posizione dietro di lei e per i venti minuti successivi ricalcò i suoi gesti quanto più fedelmente gli riuscì. Essendo un osservatore estremamente attento, lo fece molto bene, tanto che Miriam si dichiarò assai compiaciuta.
Quando furono pronti, la conduzione dell’allenamento passò a Logan, che rispolverò con Darkarrow le tecniche fondamentali dell’aikido. La donna constatò con soddisfazione che non aveva dimenticato niente di importante.
Dopo circa un’ora, decisero di provare il combattimento libero. Si posizionarono l’uno di fronte all’altro sul tatami, che l’uomo aveva ordinato al centro commerciale e che era stato portato alla scuola un paio di giorni dopo.
“Kumité!”, annunciò Wolverine, declamando il nome giapponese del combattimento libero. Si rivolsero l’inchino di rito e si misero in guardia.
Il primo ad ingaggiare fu Logan, in un classico movimento ad affondo. Non vide neppure lo spostamento laterale di Miriam, che gli afferrò il braccio sinistro, tirò e lo fece ruzzolare a terra, sfruttando contro di lui l’impeto del suo stesso attacco, nella migliore logica di quell’arte marziale.
Sbalordito, Wolverine rimase supino sul tatami, a braccia spalancate, gli occhi fissi al soffitto con uno sguardo assolutamente frastornato; poi rotolò di lato, si sollevò a sedere e mosse la testa facendo schioccare il collo.
“Ma come hai fatto?”, domandò, guardandola, troppo stupito anche per accigliarsi.
Lei aveva un’aria vergognosa.
“Scusami, ho sfruttato la mia velocità per abitudine”, spiegò, “Non avrei dovuto farlo.”
“Okay”, disse l’uomo, cominciando ad alzarsi, “In effetti, è meglio che tu non lo faccia, altrimenti i ragazzi non saranno in grado di vedere niente”, sogghignò, suo malgrado divertito, “Però, sei proprio veloce!”
“Fino a dieci volte il normale”, rivelò Miriam, senza ricordare d’averglielo già detto, “Lo ha calcolato Jean, una volta. Se non mi ricordo di legarmi i capelli, ogni volta che faccio una corsa mi ritrovo tutta spettinata!”, concluse ridendo. Anche Logan rise della sua battuta.
“Va bene, riproviamoci”, disse poi, tornando serio.
Nella mezz’ora successiva, provarono diversi attacchi, difese, prese, fughe. Logan era molto forte, ma perfettamente controllato, così non rischiò mai di far male sul serio a Miriam, che comunque, dal canto suo, anche senza la sua ipervelocità era estremamente agile e gli diede del filo da torcere. Finirono stesi sul tatami più o meno un pari numero di volte.
La concentrazione in ciò che stavano facendo non consentì ai loro corpi di perdersi nei meandri dell’attrazione sessuale che provavano l’uno per l’altra; non stavolta, almeno.
Quando smisero, poco prima di mezzogiorno, erano piuttosto provati.
“Mi ci vorrebbe un bell’idromassaggio”, borbottò Darkarrow, strofinandosi una spalla, “Ahi!”
“Ti ho fatto male?”, domandò Wolverine, subito preoccupato.
“Non è niente”, lo rassicurò lei, “È solo che, quando sono stanca, divento una lagna. Mi passa non appena mi riprendo, questione di minuti insomma.”
Mentre si avviavano verso l’uscita, lui chiese:
“Hai la vasca con l’idromassaggio?”
“No, nessun bagno ce l’ha; uso quella delle terme, nel seminterrato.”
“Il thermarium”, annuì Wolverine, “Non ci sono ancora mai stato.”
“Beh, te lo consiglio proprio”, sorrise Miriam, “Io ne esco come nuova”, lanciò un’occhiata ad un orologio da parete mentre si avviavano su per lo scalone che portava al primo piano, “Abbiamo giusto il tempo per una doccia e sarà ora di pranzo. Ho una fame da lupi!”, concluse ridendo.
“Anch’io!”, rivelò Logan.
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Passarono altre settimane; le tracce del proditorio attacco condotto da Stryker scomparvero del tutto, ed anche la tristezza per la morte di Jean cominciò lentamente a svanire dai cuori di coloro che l’avevano amata.
Miriam partì e stette via una settimana, per concludere uno dei suoi affari. Logan si accorse di sentire la sua mancanza molto più di quanto si sarebbe immaginato, e cercò di tenersi occupato con mille attività per non pensarci. Ma ciò non gli impedì di sentirsi felice quanto lei tornò.
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Quel giorno era il 20 dicembre, la vigilia del solstizio invernale. Nel calendario delle antiche festività pagane, era il tempo in cui il sole, giunto al suo punto più basso, dimostrava la propria invincibilità di fronte alla tenebra tornando lentamente a prevalere; difatti i Romani chiamavano quella celebrazione Sol Invictus.
Era primo pomeriggio e, nel salone delle feste al seminterrato, Miriam stava approntando l’albero di Natale, aiutata da Logan e da alcuni dei ragazzi più grandi, nell’angolo a sinistra del caminetto monumentale che ornava una delle pareti più strette.
“Miriam, raccontaci di nuovo la storia dell’albero di Natale!”, la esortò Dani.
“Sì, Miriam, dai!”, la incoraggiò Jubilee, mentre anche gli altri annuivano.
“Quale storia?”, domandò Rahne, che l’anno precedente non era ancora giunta alla magione e pertanto non aveva avuto occasione di sentire Miriam raccontarla. La ragazza anglo-indiana era chiamata anche Sirena, perché il suo dono era nella voce, capace letteralmente di spaccare i timpani.
Anche Logan guardò la donna incuriosito. Lei gli aveva già rivelato che quella era l’antica festa pagana cui poi era stato sovrapposto il Natale cristiano, ma non gli aveva parlato di una storia riguardante l’albero.
“Va bene”, accettò Darkarrow, “ma prima terminiamo il lavoro, d’accordo?”
L’albero, alto quasi due metri, era artificiale, ma fatto talmente bene da parere vero. Finirono di decorarlo, poi i ragazzi si sedettero in semicerchio a terra davanti a Darkarrow per ascoltare la sua storia; Logan li imitò, sedendosi tra di loro. Miriam gli rivolse un bel sorriso, cui lui rispose in modo più riservato, secondo la sua natura. Rogue notò lo scambio e rise sotto i baffi.
Anche Miriam si accomodò a gambe incrociate per terra, davanti al suo pubblico.
“Al tempo degli antichi Celti”, esordì, “ovviamente non esisteva la luce elettrica: c’erano candele, lampade ad olio e torce, ed il fuoco serviva sia a scaldarsi, che a cucinare, che a rischiarare le case e le capanne. Potete quindi immaginare quanto il sole, che illumina il cielo e scalda la terra, fosse importante per loro. Se mai fosse venuto a mancare, sarebbero rimasti al buio e, peggio ancora, sarebbero morti di freddo.”
Shadowcat, nonostante avesse già udito la storia, rabbrividì a quella infausta visione. Accanto a lei, Peter si accorse del suo disagio e le sfiorò il gomito per confortarla. La ragazza avvampò, ma riuscì a ringraziarlo con un piccolo sorriso.
“Oggi sappiamo che in inverno le giornate sono più corte che in estate”, proseguì Miriam, “a causa dell’inclinazione dell’asse terrestre rispetto al piano dell’eclittica. Ricordate le vostre lezioni di astronomia?”, i ragazzi si affrettarono ad annuire, ansiosi di sentire la continuazione, così lei riprese la narrazione, “Ma gli antichi popoli della Terra non conoscevano queste cose: sapevano solo che, durante un certo periodo dell’anno, il sole sembra perdere forza, resta in cielo per meno tempo, non scalda molto, e le notti diventano sempre più lunghe e fredde. E se un giorno il sole non ce l’avesse più fatta a sorgere? Se le tenebre avessero finito per sconfiggerlo per sempre?”
“Non una bella prospettiva”, commentò Rogue, pure lei, come Rahne, al suo primo Natale alla scuola di Xavier. Miriam assentì ed andò avanti:
“Così, i Celti usavano dare forza al sole utilizzando il suo parente più prossimo: il fuoco. Viene chiamata magia simpatica. Poi consideriamo che, nel colmo dell’inverno, la natura sembra morta, i boschi sono spogli, i campi vuoti; ma ci sono alcune piante che non perdono le foglie e che rimangono verdi tutto l’anno. Una di esse è l’abete, che quindi agli occhi degli antichi popoli europei, a fronte delle difficoltà dell’inverno, rappresentava la tenacia della vita e la sua vittoria finale. Era quindi spontaneo abbinare questo albero ed il fuoco per impedire la sconfitta del sole: ogni anno dunque, al solstizio, i druidi sceglievano un abete e gli davano fuoco, creando un rogo rituale affinché prestasse la sua forza al sole indebolito dall’inverno. Il sole esitava incerto, indugiando al tramonto sempre nello stesso punto per tre giorni. Ma ecco che, il quarto giorno, riprendeva la sua ascesa, spostandosi impercettibilmente verso sud. E gli antichi Celti, che non avevano spiegazioni scientifiche del fenomeno, tiravano un sospiro di sollievo: ancora una volta, il sole tornava a vincere.”
“Se si facesse oggi, arriverebbero di corsa i pompieri!”, commentò Jubilee ridacchiando.
“Proprio così”, confermò Darkarrow con un sorriso divertito, annuendo, “Poi, nel corso dei secoli, il fuoco è stato sostituito dalle candele, che venivano poste sui rami dell’abete per simboleggiare le fiamme dell’antico rogo rituale; ed al giorno d’oggi, le candele sono state sostituite dalle lucette elettriche, che hanno eliminato il pericolo d’incendio. Addirittura, per non dover abbattere alberi veri, molti, come noi, preferiscono un abete finto.”
“Come mai l’albero di fuoco è diventato poi simbolo del Natale?”, domandò Rahne, aggrottando perplessa la fronte: non riusciva a capire come un’usanza idolatra avesse potuto trasformarsi in una cristiana.
A quella domanda, Miriam si sforzò di non fare una smorfia: sapeva che il padre di Sirena era un pastore protestante, e certamente la sua famiglia era molto osservante. L’adozione di tradizioni pagane da parte della Chiesa era un soggetto che solitamente preferiva evitare, perché aveva notato che le persone, fossero praticanti o meno, tendevano a ritenerlo un argomento sacrilego, sebbene fosse semplicemente storia, esattamente come l’utilizzo delle antiche leggi romane nei codici giudiziari degli Stati moderni.
Cercò pertanto di rispondere con la massima diplomazia:
“Perché la luce è anche simbolo di Cristo, ed il fuoco la può rappresentare perfettamente.”
Rahne ci pensò sopra un attimo; non trovando nulla da ridire, annuì lentamente, mostrandosi d’accordo. Anche gli altri ragazzi assentirono.
“E l’usanza di scambiarsi regali?”, domandò Marie, “Da dove viene?”
Questo era un tema molto meno spinoso, e Miriam sorrise:
“Molti popoli antichi pensavano che, in occasione del solstizio, agli esseri umani fosse consentito fare una richiesta agli dèi, una sola, e che, se ci si credeva fermamente, essa venisse soddisfatta. Con il trascorrere dei secoli e dei millenni, gli dèi si sono trasformati in Babbo Natale, o in Gesù Bambino. Oggi si usa scrivere una lettera, ma un tempo si legavano dei nastri o delle offerte all’albero destinato a diventare il rogo rituale.”
“Ecco perché ogni anno decoriamo un ramo secco”, intervenne Dani a completamento della spiegazione, “che poi tu bruci nel caminetto...”
“Non posso certo dar fuoco ad un albero”, ridacchiò Darkarrow, “altrimenti arriverebbero i pompieri!”
Anche gli altri risero, specie Jubilee che per prima aveva accennato a quell’eventualità.
“Ho già pronto il mio nastro!”, annunciò Dani, mostrando una striscia di tessuto di seta verde. Era il suo terzo solstizio nella scuola di Xavier.
“Ecco il mio”, le fece eco Bobby, anche lui al terzo, sventolando un cordoncino di lana rossa.
“E io come faccio?”, si lamentò Marie. Iceman le sorrise e le porse la mano, sul cui palmo c’era un cordoncino uguale al suo. La ragazza lo guardò e gli sorrise di rimando.
Logan li osservò di sottecchi; la sua espressione era attentamente controllata, ma Miriam vi lesse al di sotto: Wolverine stava facendo i conti con l’evidenza che la sua sorellina putativa era ormai grande ed aveva una storia d’amore. Nascose un risolino dietro la mano.
“Ora vado a prendere il ramo”, annunciò, alzandosi, “Intanto chi di voi desidera fare un’offerta all’albero, può andare in cerca di qualcosa. Va bene anche un biscotto, per esempio, o un cioccolatino, o un frutto, da appendere con un filo.”
“Ti aiuto”, si offrì prontamente Logan, alzandosi a sua volta e seguendola fuori della sala, “Sei molto brava ad insegnare”, commentò poi. La donna scosse il capo:
“In realtà no”, dissentì, “Non ho la pazienza necessaria. Infatti non ritengo di insegnare, quanto piuttosto di raccontare qualcosa di interessante, rispondendo a domande che mi vengono poste.”
“Allora”, concluse Wolverine, strizzandole un occhio, “vuol dire che sei molto brava a raccontare.”
Lei rise piano:
“Figurati! Sono una druida, non un bardo.”
L’espressione interrogativa di Logan la indusse a spiegarsi meglio:
“I bardi erano i poeti ed i cantastorie dei Celti”, chiarì, mentre salivano le scale per il pianterreno, “Anche se tecnicamente pure loro erano dei druidi, il loro compito specifico era la conservazione della memoria della tribù: le cronache, le storie, le leggende, gli usi ed i costumi. Gli altri druidi si dedicavano invece all’arte della guarigione, al contatto con gli dèi e l’Altromondo, alla divinazione, perfino all’astronomia.”
“Capisco”, fece Logan, ricordando quello che lei gli aveva già detto in precedenza, “Da quanto ho potuto finora vedere, di certo tu ti sei dedicata maggiormente al contatto con gli dèi.”
Miriam confermò con un cenno d’assenso:
“È esatto, ma mi ritengo versata anche nell’uso delle erbe medicinali. Jean diceva che le facevo concorrenza”, aggiunse ridendo, “La verità è che i rimedi di erboristeria vanno benissimo per il mal di testa o l’acidità di stomaco, ma per una febbre alta o un’ulcera anch’io preferisco ricorrere alla medicina moderna.”
Arrivati al pianterreno, si diressero alla serra della magione, regno invernale di Ororo – quello estivo erano il giardino e l’orto botanico – dove Miriam indicò a Logan un grande ramo secco, alto circa un metro e mezzo, piantato in un vaso di bronzo pieno di torba. Il tutto non era particolarmente pesante per la sua forza eccezionale e l’uomo lo sistemò agevolmente sul carrello a due ruote pronto allo scopo.
Scesero nuovamente nel seminterrato, stavolta usando l’ascensore, e qualche attimo dopo erano di ritorno nel salone, dove collocarono il vaso col ramo nell’angolo a destra del caminetto, dirimpetto all’albero di Natale. Alcuni dei ragazzi erano rimasti ad attenderli, gli altri erano andati alla ricerca di offerte e decorazioni per l’albero di fuoco.
Dopo che ebbero posizionato il recipiente di bronzo in modo che fosse agevole accedere ai rami per appendervi i doni, Miriam fece cenno ai giovani in attesa di avvicinarsi.
“Questo lo si può chiamare anche l’albero dei desideri”, disse la donna a Wolverine, “Vedrai che prima di sera sarà carico di decorazioni.”
Dall’entusiasmo di Dani, Rogue, Peter e Bobby nell’appendere nastri ed offerte, Logan non faticò a crederci.
Si congedarono dai ragazzi ed uscirono dal salone; tornando di sopra, Logan domandò:
“E poi lo brucerai?”
“Sì, a mezzanotte”, confermò la donna, annuendo, “ma sarà una cerimonia senza pubblico.”
S’interruppe, pensierosa. Nelle settimane trascorse dalla loro visita al centro commerciale, aveva avuto modo di constatare che l’interesse di Logan per la spiritualità antica non era stato casuale. Erano usciti altre due volte a cavallo, e poi qualche sera si erano messi a chiacchierare in uno dei salotti della magione. Wolverine sapeva essere un ascoltatore attento, e poneva domande precise. Aveva più volte dichiarato sinceramente di meravigliarsi del proprio desiderio di indagare un argomento da cui finora non si era mai sentito attratto, ma ciò non gli aveva impedito di continuare ad approfondirne la conoscenza.
Miriam decise di fare un passo avanti in quella direzione:
“Puoi assistere, se lo desideri.”
Logan fu contento dell’inaspettato invito, ma temeva di disturbarla:
“Sei sicura che non ti darò fastidio?”
“Se così fosse non te lo avrei proposto”, replicò lei, con semplicità disarmante.
“Allora lo farò volentieri”, concluse Wolverine. Aveva cessato di essere sorpreso di se stesso per quanto riguardava gli argomenti spirituali, quando coinvolgevano Miriam: prima del loro incontro, come le aveva detto non era mai stato interessato alla religione, e sebbene sentisse famigliare la fede cristiana, in realtà non era mai stato a suo agio con essa. Ma la cosa più strana di tutte era che, anche se prima dell’incontro con Miriam non conosceva affatto l’antico culto della Dea, in nessuna delle forme sopravvissute fino all’era moderna, gli era parso subito di essere in perfetta sintonia con esso. E la sua attrazione per la sacerdotessa non c’entrava affatto, di questo era assolutamente sicuro: era qualcosa che la trascendeva completamente. Che facesse parte anche questo dell’inspiegabile senso di riconoscimento che entrambi avevano provato? Forse un tempo tutti e due erano stati seguaci di quell’arcaica religione? Sapeva che erano domande che sarebbero rimaste senza risposta, ma non poteva fare a meno di porsele.
Poi gli venne in mente una cosa ben lontana da quegli insoliti pensieri metafisici:
“Il ramo intero non starà dentro al caminetto…”
“Certamente no”, confermò Miriam, fermandosi davanti al suo ufficio dove avrebbe finito di sbrigare qualche incombenza prima di cena, “Andrò a prendere l’accetta e lo farò a pezzi prima di gettarlo nelle fiamme.”
Logan sollevò una mano e la strinse a pugno, ma senza sguainare i suoi letali artigli di adamantio: gli faceva male, ed anche se lui aveva una resistenza eccezionale al dolore, non aveva senso infliggerselo per nulla.
“Ci penserò io, se permetti”, suggerì.
Per un momento, Miriam non seppe cosa rispondere: aveva appreso da Marie che le affilatissime lame di metallo gli perforavano dolorosamente la carne ogni volta che le sfoderava. D’altra parte, però, se si era proposto significava che riteneva ne valesse la pena.
Gli prese il pugno tra le mani e lo guardò negli occhi.
“Te ne ringrazio, Logan”, disse a bassa voce, “Apprezzo la tua offerta, e ritengo che la apprezzerà anche la Dea.”
Logan annuì lentamente: usare per un fine pacifico, addirittura per un rito religioso, l’arma esiziale di cui era stato dotato, era la dimostrazione ultima che lui non era solo una macchina per uccidere, il soldato assoluto in cui Stryker aveva voluto trasformarlo. Mutante o no, era stato un essere umano, e continuava ad esserlo, in barba all’infame colonnello. Se prima aveva potuto nutrire qualche dubbio, ora con Miriam non ne aveva più: grazie a lei aveva riscoperto la propria umanità.
*********
Mancavano venti minuti alla mezzanotte; nel grande caminetto monumentale ardeva un fuoco vivace. Le luci del salone erano state abbassate al minimo, e le fiamme erano quindi diventate la fonte luminosa principale.
Miriam e Logan erano in piedi davanti al focolare: tra poco la donna avrebbe dato inizio alla piccola cerimonia.
Wolverine si girò a guardare l’albero dei desideri, che era festosamente addobbato con nastri, fiocchi, cordoncini e piccoli oggetti. Vi era stata appesa perfino una mela, con un filo di cotone legato al picciolo. Giocherellava con qualcosa nella tasca del gilet di jeans che aveva indossato sopra la camicia felpata, esitando di fronte ad un dilemma. Infine si decise a chiedere consiglio alla druida.
“Miriam…”, richiamò la sua attenzione. La donna voltò subito la testa verso di lui; il suo viso illuminato dalla luce danzante delle fiamme era lievemente arrossato dal calore, ed era incantevole. Logan si prese qualche istante per ammirarla, poi proseguì:
“Mi piacerebbe appendere anch’io una decorazione, ma sono molto confuso: non so quale desiderio chiedere. Ne ho molti, e non riesco a decidere quale sia quello a cui tengo di più. Potresti aiutarmi a sceglierlo?”
“Oh no”, rispose lei in fretta, scuotendo la testa, “la faccenda è esclusivamente fra te e la Dea… Se ti dessi un consiglio, rovinerei tutto.”
“Capisco…”, borbottò lui, deluso; allora Miriam gli posò una mano sul braccio in un gesto rassicurante e gli sorrise:
“Non devi esprimere per forza un desiderio”, proseguì, “La Dea sa meglio di noi cosa realmente vogliamo. Appendi la tua offerta, e lascia fare a Lei.”
Rincuorato, Logan fece come gli aveva detto; prese dalla tasca del gilet una stringa di cuoio ed andò a legarla ad un ramo.
Dea, non ti conosco, pensò, ma ho fiducia in te. Tu di certo sai qual è il mio desiderio più vero.
Poi tornò accanto a Darkarrow e rimase in attesa.
Dopo qualche istante, Miriam controllò l’ora e gli fece un cenno per indicargli che era tempo; seguendo le istruzioni che gli aveva dato mentre si recavano nel salone, Wolverine si avvicinò al ramo e lo svelse dalla torba, senza fare particolare fatica grazie alla sua forza eccezionale, poi lo trasportò davanti al caminetto, dove lo porse alla druida. Darkarrow posò le mani sul legno, vicino a quelle di Logan, e guardandolo in viso disse solennemente:
“O Dea, Tu che sei per noi madre amorevole, guarda con benevolenza a noi, Tuoi figli. Ti prego, esaudisci i desideri dei nostri cuori, riempi le nostre anime di gioia e le nostre menti di letizia.”
Quando tacque, Wolverine pensò che gli sarebbe piaciuto dire qualcosa anche lui, ma non era bravo coi discorsi, così preferì tacere, accontentandosi di annuire per mostrare il proprio accordo con l’invocazione della sacerdotessa.
“Comincia pure”, lo invitò Miriam, rilasciando il ramo. Logan lo rimise in piedi, poi sguainò gli artigli della mano destra e con un movimento secco del polso tagliò una delle diramazioni più basse, proseguendo sistematicamente fino a ridurre l’albero dei desideri a pezzetti non più lunghi di mezzo metro, ancora adorni delle decorazioni che simboleggiavano le richieste, che Darkarrow accatastò vicino al caminetto.
Quando ebbe finito, Miriam cominciò a buttarli nel fuoco; vedendo Logan esitare, incerto sul da farsi, gli disse serenamente:
“Puoi aiutarmi, se vuoi.”
Logan lo fece volentieri, e le fiamme si levarono alte in virtù del nuovo combustibile che avevano ricevuto.
Quando ebbero finito, la druida fece un passo indietro ed impose le mani sul fuoco; guardando il fumo che saliva nella cappa, disse:
“Che i desideri di questa notte speciale oltrepassino il cielo e giungano nel regno della Dea per essere visti, considerati ed esauditi.”
Rimasero a fissare le fiamme crepitanti per qualche minuto, poi Logan voltò il viso verso Miriam.
“Grazie per avermi permesso di aiutarti in questa cerimonia”, disse, “Mi sono sentito… utile.”
Era un vocabolo inadeguato ad esprimere il profondo coinvolgimento che aveva provato, ma dopotutto lui non era bravo con le parole; non era un bardo.
“Grazie a te per aver accettato di farlo”, lo ricambiò Miriam, sorridendogli.
Ed al improvviso il solitario Wolverine, che per quasi un decennio e mezzo era vissuto come un vagabondo senza casa e senza famiglia, pensando soltanto a se stesso, si rese conto che non solo la sua vita, ma anche il suo atteggiamento verso di essa era mutato radicalmente. Un cambiamento che era stato provocato da una serie di incontri concatenati: dapprima Rogue, lassù in quel freddo paesino del Canada; poi Charles Xavier, Jean, Scott, Ororo; perfino Magneto e Stryker; e infine Miriam, per ultima ma non da ultima, e forse la più importante.
Fu troppo per lui. Distolse lo sguardo e disse in tono casuale:
“Attendiamo che il fuoco finisca di bruciare, prima di andare a dormire?”
Come qualche settimana prima, dopo che avevano parlato dell’attrazione nascente tra Ro e Kurt, Miriam si sentì delusa: per qualche istante, aveva sentito Logan così vicino, ed ora si era di colpo allontanato un'altra volta. Razionalmente sapeva che quel suo atteggiamento altalenante era dovuto ad un cambiamento che stava sopravvenendo in lui e che, evidentemente, non era ancora completato; ma emotivamente ne era disturbata.
“No, aspettiamo solo che le fiamme si abbassino, poi possiamo mettere il parafuoco e lasciare che si spenga da solo”, rispose nello stesso tono casuale.
Così fecero, poi salirono al secondo piano e, augurandosi reciprocamente la buona notte, andarono a dormire.
***********
Una eccezionale nevicata proprio il mattino della vigilia suscitò l’entusiasmo di grandi e piccini. Tutti sciamarono all’esterno, camminando, saltando e perfino tuffandosi nell’immacolata distesa di soffice neve. Poi Iceman ne raccolse una manciata e gettò la prima palla.
La conseguenza fu un’ilare battaglia di tutti contro tutti, che si svolse sul campo da pallacanestro e coinvolse indistintamente studenti ed insegnanti, con la sola eccezione di Xavier che si mantenne ai margini ma si divertì immensamente ad osservare le acrobazie degli altri.
Quando la battaglia ebbe termine, senza vincitori né vinti, Miriam si scrollò di dosso la neve e si rivolse a Tempesta:
“Non è che ci sia il tuo zampino, Ro?”, domandò, indicando con un gesto circolare il parco coperto dal candido manto.
La bella donna di colore la guardò sollevando un sopracciglio e cercando disperatamente di assumere un’aria innocente; fallì miseramente, perché si stava divertendo troppo.
“Solo un pochino”, ammise, “Le nubi sarebbero passate qualche chilometro più a nord, io ho solo deviato leggermente i venti in quota…”
Darkarrow le sorrise:
“Hai avuto un’idea fantastica”, la lodò, “Il Natale con la neve è un’altra cosa.”
Sebbene nessuna delle due fosse cristiana, la ricorrenza era troppo bella per non essere festeggiata adeguatamente.
Dall’altro lato del campo da pallacanestro, Logan osservava le due donne. Una in particolare, per la verità. Nel mese trascorso da quando l’aveva vista esibirsi allo Sheherazade, aveva sentito crescere giorno per giorno la sua attrazione per lei. All’inizio si era sentito un poco in colpa nei confronti di Jean: possibile che il suo sentimento per lei fosse stato tanto debole da svanire in così poco tempo? Poi tre giorni prima c’era stata la celebrazione del solstizio, che lo aveva obbligato a prendere atto che Darkarrow stava diventando sempre più importante nei suoi pensieri. Compiendo uno sforzo per lui davvero inusuale, aveva analizzato le sue emozioni, e proprio la sera prima era giunto ad una conclusione scomoda, ma che era l’unica possibile: il suo amore per Jean era stato in gran parte frutto di una fantasia. Aveva visto come lei guardava Scott e, per la prima volta in vita sua – nella vita che poteva ricordare – aveva spasimato per essere amato così anche lui. Solo che aveva scelto la donna sbagliata, la donna di un altro; se Jean si era sentita attratta da lui, era stato solo per una debolezza momentanea, perché il suo cuore era e sarebbe sempre rimasto soltanto di Scott.
E poi nella vita di Wolverine era entrata Miriam. Così diversa da Jean, tanto nell’aspetto quanto nel carattere. Una era stata alta, magra, rossa di capelli, dall’incarnato candido; teneva strettamente sotto controllo le sue emozioni, salvo poi dimostrarle liberamente a coloro di cui si fidava, e la sua forza era solo apparente, costantemente minacciata com’era da una fragilità di fondo, un’insicurezza che nasceva dal timore nei confronti del suo eccezionale potere. Si sentiva sicura soltanto laddove era riuscita ad esercitare un controllo assoluto. Di contro, Miriam era piccola, con un fisico a clessidra tipicamente mediterraneo, bruna di occhi e capelli, dalla carnagione rosata tendente all’olivastro. Al contrario di Jean, era espansiva e non nascondeva i suoi sentimenti, salvo assumere una maschera gelida quando trattava d’affari. La sua forza interiore doveva essere superiore a quella di chiunque altro, perché in caso contrario non sarebbe stata in grado di gestire il suo dono secondario, quello legato all’empatia. Ciò le consentiva di buttarsi in cose nuove senza grandi esitazioni, solo per il desiderio di sperimentarle; e se falliva, il che comunque doveva accadere molto raramente data la sua esperienza di ultracentenaria, non se ne faceva grandi crucci.
Qualsiasi cosa fosse ciò che provava per Miriam, era molto più forte di qualsiasi cosa fosse stata quella che aveva provato per Jean.
Darkarrow sentì su di sé lo sguardo insistente di Logan e si voltò a ricambiarlo. Accidenti se era attraente, anche con l’informe parka che nascondeva in parte la sua figura atletica. Wolverine aveva un fascino semplicemente irresistibile, dovuto ad un magnetismo non comune, quello del maschio alfa, il leader del branco. Perfino Scott, il comandante degli X-Men, pur essendo una persona carismatica ed un gran bel ragazzo, non aveva quel particolare tipo di capacità di attrarre l’altro sesso.
Da così tanto tempo Miriam non si sentiva affascinata da un uomo, che aveva quasi dimenticato quello che si prova. All’inizio aveva pensato che fosse solo attrazione fisica, dato il notevole sex appeal di Logan, una nota animalesca che suscitava in lei una risposta altrettanto animalesca. Ma col passare dei giorni e delle settimane, mentre la loro conoscenza si approfondiva – o si rinnovava, nella prospettiva che si fossero incontrati in un’altra vita – il suo interesse per lui aveva cominciato a trascendere la mera sfera erotica per inoltrarsi su sentieri intellettuali, spirituali e sentimentali.
Ma il suo cuore, tenuto sotto stretto controllo per anni, per decenni, non era ancora pronto ad accendersi alla fiamma dell’amore. Nonostante la consapevolezza che non rischiava di perdere Logan così come, nel corso della sua vita, era destinata a perdere tutti coloro che amava, nel momento in cui oltrepassavano la soglia per l’Altromondo, Miriam non se la sentiva di lasciarsi andare al sentimento che stava nascendo in lei.
E comunque, non aveva la più pallida idea se Wolverine lo ricambiava; magari il suo interesse era puramente sessuale…
Miriam si sciolse dalle catene dello sguardo di Logan e scrollò mentalmente le spalle: forse poteva risolvere tutto con una bella scopata e via.
Ma chi credeva di prendere in giro?
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