Capitolo IV: Magia araba
Capitolo IV: Magia araba
Il giorno seguente, Logan si presentò puntualmente in atrio e trovò che le ragazze erano già tutte arrivate: Rogue, Jubilee, Kitty e Dani Elk River. Miriam sopraggiunse qualche istante dopo, proveniente dall’ala est della magione invece che dal piano superiore. Era abbigliata con un paio di jeans neri, adornati da una cintura-gioiello di metallo e turchesi, ed un maglione di mohair in tinta con le pietre dure della cintura, portati sotto un lungo cappotto nero sciancrato. Logan pensò che, così vestita, sembrava una coetanea di Rogue e Jubilee, e trovava molto difficile ricordare che invece aveva più di cento anni. Poi notò che dalla spalla le pendeva un borsone sportivo: si chiese che cosa contenesse, e soprattutto perché se lo stava portando appresso.
“Ciao!”, li salutò la donna con evidente buon umore, “Ci siamo tutti, vedo: andiamo?”
Dopo essersi scambiati un sorriso, Miriam e Logan si incamminarono fianco a fianco in direzione del garage; le ragazze si accodarono. Qualche istante dopo, Dani diede di gomito a Kitty:
“Ehi, non sarebbero una coppia fantastica?”, la interpellò sottovoce, accennando ai due adulti che li precedevano.
Shadowcat lanciò loro un’occhiata: lui alto e aitante, lei piccola ed aggraziata, entrambi bruni e belli. Sorrise all’amica e rispose sommessamente:
“Già, hai ragione!”
Rogue, leggermente più vicina a loro di Jubilee, udì il commento ed a sua volta guardò Wolverine e Darkarrow. All’improvviso li vide sotto un’altra luce: ora che ci pensava, effettivamente le era sembrato che quei due avessero legato velocemente. Era vero che Miriam era affabile con tutti, almeno finché non le si pestavano i piedi, e che era facile fare amicizia con lei, ma Logan per contro tendeva ad essere alquanto scostante con chi conosceva poco, mentre invece si era subito affiatato con Miriam. Più che con la dottoressa Grey, a ben pensarci, e Marie conosceva il sentimento che Wolverine aveva provato per la bella telepate dai capelli rossi. Tutto ciò andava a sommarsi al fatto che li amava entrambi come se fossero stati suoi famigliari, forse addirittura di più. Sì, pensò con un piccolo sorriso, le sarebbe piaciuto che tra loro nascesse lo stesso sentimento che c’era tra lei e Bobby…
Nel garage, Miriam si diresse verso la Ford Galaxy a sette posti, la scelta più ovvia dato il loro numero, ed aprì il portellone posteriore per riporre la sua sacca. Il bagagliaio era piuttosto spazioso anche con tutti i sedili in posizione, ma potevano ribaltare uno di quelli posteriori se non fosse bastato a contenere gli acquisti.
“Tutti in vettura!”, li invitò allegramente, facendo il verso ad un capostazione ottocentesco, mentre apriva la portiera del guidatore, “Il diretto per Harrod’s è in partenza!”
Ci fu un momento di confusione quando le ragazze si misero a discutere su chi doveva salire sul sedile davanti, cui Wolverine pose subito fine accaparrandosi il posto. Rogue lo fulminò con gli occhi, ma lui si limitò a stringersi nelle spalle:
“Chi tardi arriva male alloggia”, disse serafico. Miriam sghignazzò mentre infilava le chiavi nel cruscotto:
“Hai salvato la situazione”, gli confidò a bassa voce, per non farsi sentire dalle ragazze che, sbuffando, salivano dietro, “Di solito sono costretta a fare la conta per non offendere nessuna.”
Era una prova della popolarità di cui godeva tra le ragazze della scuola. Logan non faticava a capirne il motivo: era allegra, spigliata e non si dava arie, come ci si sarebbe potuti invece aspettare da una donna molto più anziana di loro e che, oltre a ciò, era anche un’esponente dell’alta nobiltà europea. Come trovava difficile ricordarsi la sua vera età, Wolverine trovava difficile anche ricordare che era una principessa. La sera prima, quando per un momento si era sentito inadeguato di fronte a lei, rappresentava un’eccezione, ed era dovuta soltanto al fatto che aveva toccato con mano cosa significasse il suo rango aristocratico, vedendo la fotografia del suo castello ancestrale.
“La verità è che volevo starti seduto vicino io”, confessò provocatoriamente. Lei sollevò un sopracciglio fingendo sorpresa:
“Cos’è, ci stai provando?”, ritorse la provocazione, mettendo in moto. Fu la volta di Logan di sollevare un sopracciglio con fare fintamente stupito:
“Chi, io? …Sì!”, ribatté, sogghignando, ed anche Miriam sbottò in una risata.
Dietro la ragazze avevano finito di sistemarsi.
“Beh, cos’avete da ridere, voi due?”, volle sapere Jubilee, “State architettando qualcosa?”
Miriam usò il telecomando per aprire il portone del garage.
“Logan non so, ma io sì”, rispose tranquillamente, inserendo la marcia.
“Davvero?”, indagò Dani, “E che cosa?”
“Se ve lo dico vi rovino la sorpresa”, disse la donna, scuotendo il capo, “Vedrete oggi.”
Resistette ad oltranza alle insistenti domande delle ragazze, che alla fine rinunciarono, fingendo di mettere il broncio; non durò a lungo, e ben presto la vettura fu piena del loro vivace chiacchiericcio. Anche Logan era incuriosito, ma si limitò a lanciare un’occhiata in tralice a Miriam, che la ricambiò con un sorrisetto misterioso. Chissà cosa stava tramando?, si domandò l’uomo. Okay, lo avrebbe comunque scoperto in giornata, così lei aveva detto. Avrebbe esercitato la poca pazienza di cui gli dèi lo avevano dotato.
Circa cinquanta minuti più tardi, Miriam posteggiò la Galaxy al secondo livello del parcheggio sotterraneo di Harrod’s; poco dopo erano nell’atrio del grande centro commerciale.
“Allora, ragazze”, esordì Miriam, “vi ricordate cosa abbiamo stabilito?”
“Certo”, rispose Jubilee, assentendo con serietà, “Possiamo girare per conto nostro, ma tenendo i cellulari sempre a portata di mano per ogni evenienza.”
“Ed inoltre”, aggiunse Marie con pari gravità, “dobbiamo sempre stare insieme.”
“Bene”, annuì Darkarrow, “Se vi perdete d’occhio chiamatevi subito col telefonino. So che siete abbastanza grandi, ma vi ricordo di non dare retta agli estranei, intesi?”
Le quattro ragazze fecero di sì con la testa, con espressioni molto serie.
“Okay”, sorrise Miriam, soddisfatta, “Come vi ho detto, potete comperare quello di cui abbiamo parlato scegliendo ciò che vi piace di più, badate solo che il prezzo sia equo alla qualità. Come sapete, tutti i negozi hanno una convenzione con me, quindi basta che gli dite di mettere sul mio conto; la password di oggi è Madame Pompadour.”
Le ragazze annuirono di nuovo in segno d’aver capito.
“Allora potete andare”, concluse la donna, “L’appuntamento per il pranzo è alle dodici e trenta al Sheherazade, il ristorante arabo del secondo piano. Mi raccomando la puntualità, o la sorpresa di cui vi dicevo va in fumo!”, le avvertì.
“Okay! Va bene!”, risposero le ragazze in coro, poi con cenni di saluto si lasciarono.
Wolverine aveva assistito a tutta la scena in silenzio.
“Permetti loro di comperare qualunque cosa?”, indagò, la fronte aggrottata: era molto contrario al fatto che i giovani moderni potessero avere tutto senza fatica, invece di guadagnarselo.
“Non qualunque cosa”, rispose Miriam, “Solo quello di cui hanno effettivamente bisogno. Ogni tanto pure qualcosa di dilettevole, perché anche lo spirito ha le sue necessità. Comunque alla fine controllo io gli acquisti, e se qualcosa non mi convince, viene reso al negozio. Devo dire però che, a parte qualche rara eccezione, i ragazzi non hanno mai approfittato dell’opportunità.”
“No?”, domandò Logan, scettico.
“A parte qualche rara eccezione”, ripeté Miriam, con una smorfia, “Un paio di ragazze e tre ragazzi, per la precisione. Tutti con caratteri difficili. Due di loro non siamo riusciti a raddrizzarli, né io né Charles”, concluse, con un sospiro: adolescenti instabili, erano diventati adulti sociopatici.
“Uno di loro è Piro?”, domandò Logan in tono sommesso. St.John Allerdyce, detto Piro per il suo potere di manipolare il fuoco, ad Alkali Lake si era unito a Magneto e Mistica, abbandonando Xavier ed i suoi compagni al loro destino.
Miriam strinse le labbra:
“No, non ci ha mai provato. Spero di poterlo sottrarre all’influenza di Erik e di Raven, ma non so se avrò mai l’opportunità di farlo…”
“Se ha scelto di stare dalla parte di Magneto, noi non possiamo farci molto”, commentò Wolverine con amaro cinismo.
“Non ha scelto”, dissentì la donna, scuotendo il capo, “Sono sicura che Erik lo ha attirato dalla propria parte affascinandolo con chissà quali promesse o ragionamenti contorti. John non è malvagio: come molti ragazzi della sua età è alla ricerca della propria identità ed è perciò altamente suggestionabile. Magneto deve essere veramente disperato per arrivare a plagiare un ragazzo… La prossima volta che lo incontro, lo faccio nero.”
Logan rilevò una qualità davvero poco rassicurante nella sua voce e le credé sulla parola.
Ma Miriam mutò subito argomento, tornando dell’umore gaio di prima:
“Dunque, Logan, preferisci andare a zonzo da solo o vuoi che giriamo insieme?”
“Se devi visitare il negozio di Victoria’s Secret vengo con te!”, sghignazzò l’uomo, non riuscendo a resistere alla tentazione di proseguire la schermaglia cominciata nel garage della scuola.
Ci voleva ben altro per mettere in difficoltà Miriam.
“Oh? Non credevo che tu fossi il tipo che si mette lingerie da donna!”
“Diavolo, no!”, sbottò Wolverine, scandalizzato, prima di rendersi conto che lei si era limitata a rispondergli per le rime, ed allora sogghignò, cercando un altro modo per provocarla, “E va bene… confesso che non mi dispiacerebbe vederti sfilare in biancheria intima.”
Lei lo squadrò da sotto in su, senza il minimo imbarazzo:
“Sai cos’ho risposto una volta ad un tipo che si è vantato di avermi visto le mutandine?”
Logan capì che con questa donna tutto pepe non l’avrebbe mai avuta vinta in un duello verbale. Afflosciò le spalle in una comica mimica di resa e scosse la testa:
“No, che cosa gli hai risposto?”
“E meno male che me le hai viste: significa che le avevo indosso, pensa se non le avevo!”
Wolverine rimase un istante assolutamente basito, sbattendo le palpebre; poi sbruffò in una risata che faticò a tenere sotto controllo, non volendo attirare l’attenzione di tutto il centro commerciale.
“Sei impareggiabile!”, dichiarò alla fine, quando riuscì a tirare il fiato. E lo pensava alla lettera: nessuno, uomo o donna, gli aveva mai saputo tener testa così.
“Mi fa piacere che tu lo pensi”, ribatté lei con aria innocente, “E allora, che mi dici?”
“Beh, io devo andare al negozio di articoli sportivi, e poi anche dal ferramenta ed al centro di bricolage. Penso che ti annoieresti. Facciamo così: stamattina giriamo ciascuno per conto proprio, poi nel pomeriggio ti accompagnerò, tanto io avrò finito.”
“D’accordo. Metti anche tu sul mio conto, a fine anno mi fanno un abbuono sul totale degli acquisti. Ci vediamo al ristorante.”
“Alle dodici e trenta in punto”, annuì Logan.
Si congedarono, ognuno diretto ai suoi acquisti, ma prima di darsi allo shopping, Darkarrow si recò allo Sheherazade.
“Mia cara amica!”, l’accolse il proprietario, un robusto cinquantenne di origine yemenita, inchinandosi alla maniera della sua gente, “Mia salvatrice! Come sono lieto di vederti!”
“Salaam aleikum, Hassan”, lo salutò lei, ricambiando l’inchino e parlando in lingua araba, “Mi fa sempre piacere aiutare un amico, quando posso, lo sai.”
“Aleikum salaam, Miriam. La tua amicizia mi onora”, dichiarò Hassan, facendo un inchino ancor più profondo del primo, “Vieni, accomodati.”
Le prese il borsone, in un gesto cavalleresco insolito per la mentalità araba, poi la precedette verso il retro del locale, dove la introdusse in un camerino e posò il suo fardello su una poltrona.
“Di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, basta che mi avvisi”, le disse.
“Grazie, ma ho portato tutto con me”, rispose la donna, “Ci vediamo più tardi.”
* * *
Marie, Dani, Shadowcat e Jubilee si stavano divertendo come pazze: era tremendamente eccitante girare per tutti i negozi, prendere ciò che volevano – sempre nel rispetto dei patti, ovviamente – e dire metta sul conto. Le faceva sentire importanti. Adulte. Jubilee cominciò ad atteggiarsi ed a trattare i commessi con arroganza.
Accorgendosene, Rogue la prese da parte:
“Smettila subito di comportarti così”, le disse in tono pungente, “Chi ti credi di essere?”
Jubilation Lee non era un tipo facile: figlia di immigrati molto poveri, madre messicana e padre cinese, era cresciuta per la strada fino all’età di quattordici anni e le era rimasto appiccicato un residuo dell’insolenza tipica dei bassifondi; l’educazione ricevuta negli ultimi tre anni alla scuola di Xavier aveva nettamente smussato gli spigoli più taglienti del suo carattere, tuttavia ogni tanto essi riaffioravano.
La giovane ispano-asiatica aprì bocca per ribattere bruscamente, poi si accorse che anche le altre due la stavano guardando con disapprovazione e la richiuse. Pensò allora di mettere il broncio, ma concluse che era un atteggiamento da bamboccia. E lei era grande, no?
“Scusate”, borbottò a denti stretti, “Mi sono lasciata trascinare dal momento.”
Marie apprezzò il suo evidente sforzo di essere umile e le sorrise conciliante:
“La tentazione è forte”, ammise, “Anch’io mi sento una principessa, ma mi basta ricordare come si comporta Miriam, che una principessa lo è davvero, per farmela passare.”
Pensare a Darkarrow fece sbollire la superbia di Jubilee e la fece ritornare la ragazza che aveva imparato ad essere dopo aver abbandonato la vita da strada.
* * *
A mezzogiorno e mezzo in punto, le quattro ragazze misero piede nel ristorante arabo del secondo piano, chiamato Sheherazade in onore della principessa delle favole delle Mille e una notte. Il proprietario le accolse sorridendo: tre di loro le conosceva già, e la quarta, Rogue, se la fece presentare. Nel mentre sopraggiunse anche Logan, così Hassan li scortò tutti assieme al tavolo che aveva loro riservato. C’era una zona sgombra al centro della sala, ed i posti a sedere erano tutti rivolti in quella direzione.
“Miriam vi invita a cominciare senza di lei”, disse loro Hassan.
“Ma come?”, trasecolò Jubilee, “Prima ci raccomanda la massima puntualità, e poi è lei quella in ritardo?”
“Ha i suoi motivi, signorina, mi creda”, le rispose lo yemenita con un sorrisetto misterioso, “Prego, accomodatevi.”
Si sedettero, e Rogue manovrò in modo che il posto che rimaneva vuoto, e che poi sarebbe stato occupato da Miriam, fosse accanto a Logan.
Le pietanze erano già state ordinate ed i cinque commensali non ebbero che da gustarle. Come antipasto, portarono loro falafel, piccole polpette a pallina di ceci frullati ed insaporiti con aglio, cipolla, coriandolo e cumino, assieme con triangoli di pane abbrustolito ricoperti da baba ghannouj, una saporita salsa di melanzane tritate con aglio, prezzemolo e pasta di semi di sesamo tostati. Come bevande, vennero loro serviti infusi caldi di menta e di carcadè e semplice acqua fresca. Logan ne fu alquanto contrariato, dato che amava pasteggiare a birra, ed espresse la propria perplessità a Rogue.
“Una volta siamo andate a mangiare in un ristorante giapponese”, gli raccontò la sua giovane amica e sorellina putativa, “e Miriam ha ordinato da bere tè al gelsomino. Vedendo che storcevo il naso, mi ha detto che, se mangi giapponese, devi anche bere giapponese, se vuoi veramente apprezzare le pietanze. Suppongo che lo stesso valga per la cucina araba.”
Wolverine borbottò qualcosa di incomprensibile, ma si adattò. Tra l’altro, scoprì che l’infuso di menta, pur caldo, era molto rinfrescante e lavava bene il palato dai sapori fortemente speziati delle vivande.
Poco dopo, lo spazio sgombro venne maggiormente illuminato da luci provenienti dal soffitto ed attaccò una musica araba di sole percussioni. Infastidito perché il volume disturbava la loro conversazione, Logan si accigliò, ma un istante più tardi per poco il mento non gli cadde sul tavolo.
Sul limitare della zona illuminata era comparsa Miriam, in un magnifico costume da danzatrice del ventre bianco e verde.
La donna avanzò muovendosi in sintonia con la musica, agitando le medagliette che adornavano la fascia che le cingeva i fianchi a ritmo con le percussioni. Con le braccia intrecciava sinuose movenze, e rivolgeva al pubblico un sorriso luminoso e del tutto disarmante, che rendeva ben chiaro che la sua non era una danza erotica, a dispetto del costume succinto, ma pura bellezza e arte antica. Non era lap dance, insomma.
Logan si dimenticò di respirare, gli occhi fissi su quella splendida visione che si muoveva elegantemente sulla pista.
Era semplicemente incantevole.
Anche le sue quattro giovani commensali erano rimase sbalordite, ed ora seguivano rapite l’esibizione di Miriam; Rogue si voltò verso Logan per fare un commento ammirato, ma si accorse che il suo fratellone elettivo era così intento a guardare Miriam da non battere neppure ciglio. Letteralmente.
Un piccolo sorriso increspò gli angoli della bocca di Marie: Wolverine era chiaramente molto preso da Darkarrow. Non lo aveva mai visto così, con Jean.
Il brano durò diversi minuti, durante i quali Miriam fece mezzo giro della pista, soffermandosi brevemente a ciascun tavolo. Poi tornò verso il centro e danzò ancora qualche secondo, prima che il pezzo terminasse con un sonoro colpo di tamburo, che lei sottolineò con un secco movimento dell’anca dall’alto in basso.
La platea eruppe in un caloroso applauso, conquistato dalla sua bellezza e dalla sua bravura. Jubilee esplose in uno squillante bravissima!, imitata subito da altri nel pubblico. Logan batté le mani in silenzio, ancora completamente ammaliato.
“Questa sì che è stata una sorpresa!”, proruppe Dani, ridendo, “Miriam è proprio fantastica, non trovate anche voi?”
“Sì, davvero fantastica!”, concordò Shadowcat, “Sapevo che aveva studiato danza del ventre, tempo fa, ma non l’aveva mai vista ballare. Non immaginavo quanto brava fosse.”
“Eccezionale”, convenne Rogue, “Io neppure sapevo che ballasse la danza del ventre.”
“Una volta mi ha detto che l’ha studiata per dieci anni”, le riferì Jubilee, “ma neanch’io l’avevo mai vista prima, ha smesso prima che arrivassi alla scuola.”
“E tu che ne dici, Logan?”, lo stuzzicò Rogue, deliberatamente. Wolverine si strinse nelle spalle:
“Molto brava”, bofonchiò, incapace di trovare altre parole. Vide Marie sollevare un sopracciglio con aria scettica, e poi gli venne in mente la definizione giusta, “Direi straordinaria”, aggiunse quindi.
“Volevo ben dire”, sbuffò Rogue, roteando gli occhi.
Intanto Miriam si era congedata con un inchino ed era sparita alla loro vista, mentre le luci della pista tornavano ad attenuarsi.
Ormai Logan e le ragazze avevano finito gli antipasti, così il cameriere che si occupava di loro portò altre pietanze: un grande vassoio di cous cous, ovvero semola di grano cotta a vapore con carne di montone e verdure, insaporiti con coriandolo, peperoncino e chiodi di garofano, e un altro con spalla d’agnello all’uvetta, contornato da hummus, un purè di ceci condito con aglio e paprika; a parte, servirono una salsa rosso-arancio.
“Ah, harissa!”, esclamò Jubilee, servendosene un cucchiaino nel piatto, “L’adoro!”
Ne spalmò una punta di coltello su un pezzo di morbido pane arabo e se lo mise in bocca.
“Mmmmhhhh!”, mugugnò con evidente piacere.
“Non so come fai a mangiarla”, commentò Kitty, ”È così piccante che mi fa venire le lacrime agli occhi!”
“Sono stata abituata fin da piccola alla cucina messicana”, le ricordò l’amica, “Mia madre cucinava sempre muy picante.”
Incuriosito, Logan ne prese un cucchiaino e seguì l’esempio di Jubilee. Il primo boccone gli arse le papille gustative, ma poiché anche lui era un estimatore della cucina piccante, si limitò a masticare un pezzo di pane senza nulla per attenuare il bruciore e poi proseguì l’assaggio.
“Buona davvero”, dichiarò poi, con apprezzamento.
In quella, le luci della pista si riaccesero e Miriam fece nuovamente la sua comparsa. Si era cambiata e stavolta indossava uno spettacolare costume di colore lilla con lunghe frange che scendevano dal reggiseno e dalla cintola bassa sui fianchi. La musica attaccò, un brano più melodico del precedente, ma sempre molto ritmato. Per questa esibizione, la donna aveva scelto di adoperare i cimbali, piccoli dischi di metallo fissati alle dita mediante elastici – uno strumento dall’utilizzo assai simile alle nacchere spagnole – che batteva gli uni contro gli altri accompagnando le percussioni del brano.
Le frange ondeggiavano a tempo con le sue movenze flessuose, che tornarono a catturare completamente l’attenzione di Logan. Stavolta Rogue gli lanciò intenzionalmente un’occhiata in tralice per controllarne la reazione, e ciò che vide le confermò la prima impressione. Soppresse una risatina divertita: mai aveva visto Wolverine in quello stato.
Durante questa esibizione, Miriam percorse l’altra metà del perimetro della pista, quello su cui si trovavano anche loro. Come prima, si soffermò brevemente presso tutti i tavoli, ed infine giunse davanti al loro. Guardò sorridendo le ragazze, che le rivolsero grandi sorrisi ammirati e sillabarono silenziosamente chi bellissima, chi bravissima, e poi la sua attenzione si spostò su Logan.
Il cuore le balzò in gola e per un soffio non si bloccò nel bel mezzo del suo numero, tanto lo sguardo di Wolverine la mise sottosopra.
Era lo sguardo stralunato di uno che guarda il più grande tesoro del mondo. C’era in esso incanto, e desiderio, e incredulità, e qualcos’altro che non riuscì a riconoscere.
Fu solo la sua lunga esperienza di vita che le consentì di continuare, ma dovette guardare altrove; proseguì l’esibizione con in battiti cardiaci a mille, ben consapevole degli occhi di Logan puntati addosso. Le sembrò che il tempo non passasse mai, ma infine la danza giunse alla conclusione; in una tempesta di battimani, si inchinò graziosamente al pubblico e corse via.
Avendo terminato le esibizioni, Miriam tornò ad indossare i panni con cui era arrivata al centro commerciale, cercando nel mentre di calmarsi. Si obbligò a persuadersi che era stato uno scherzo della sua immaginazione: molto probabilmente, Logan non aveva mai visto un numero di danza del ventre ed era semplicemente rimasto molto colpito. Forse perfino basito. Ma non certo altro! Non poteva essere…
Con questa convinzione rassicurante, Darkarrow si recò al tavolo; notò subito che l’unico posto vuoto era accanto a Logan, a capotavola; le tremarono le ginocchia, mentre la tranquillità così difficoltosamente raggiunta sfumava come uno sbuffo di nebbia al sole. Ma che diavolo le pigliava? Aveva più di un secolo di vita, non era una quattordicenne alla sua prima cotta, per la miseria!
Concentrandosi su quel pensiero indispettito, Miriam si riprese e si accomodò, salutando tutti con un sorriso circolare che mascherava perfettamente il suo turbamento.
“Vi sono piaciuta?”, domandò disinvoltamente.
“Fantastica!”, esclamò Dani.
“Eccezionale!”, ribadì Kitty.
“Incredibile!”, rincarò la dose Jubilee.
“Straordinaria!”, dichiarò Rogue, senza sapere che in tal modo aveva rubato l’aggettivo a Logan, che così si trovò ancora una volta a corto di parole.
Accorgendosi che tutte lo stavano guardando in attesa di un suo commento, si agitò sulla sedia, a disagio, ed infine gli sovvenne un’unica parola:
“Magica.”
Con sua stessa sorpresa, Miriam si sentì arrossire.
“Santi numi…”, mormorò, “In tutta la mia vita, nessuno mai mi aveva definita magica.”
“È la definizione giusta, sei stata proprio magica!”, strillò Kitty, entusiasta, del tutto inconsapevole di quanto stava avvenendo tra la sua eroina e Logan, “La principessa Sheherazade in persona!”
“Proprio così”, confermò una voce maschile, e voltandosi videro Hassan, che avvicinandosi aveva sentito le ultime parole di Shadowcat, “Sono assolutamente d’accordo”, andò accanto a Miriam e le prese una mano tra le sue, “Grazie, amica mia, mi hai salvato da una situazione davvero spiacevole. Sapete”, spiegò agli altri cinque, “ogni giorno le ballerine si esibiscono almeno due volte a pranzo e a cena per i nostri ospiti, ma oggi una aveva chiesto un permesso per motivi famigliari e l’altra mi ha chiamato stamattina per dirmi che non stava bene, così ho telefonato a Miriam per chiederle questo favore, di ballare lei al posto loro, ed è stata così cortese da accettare.”
“Questo ed altro per un buon amico come te, Hassan”, affermò Darkarrow, facendo spallucce, “Se fossi stata io ad essere in difficoltà, saresti stato tu ad aiutare me.”
“Ciò è assolutamente certo, mia carissima amica”, affermò lo yemenita con un gran sorriso, “Naturalmente, come d’accordo il compenso per la tua esibizione andrà alla fondazione che mi hai indicato.”
“Ottimo”, approvò Miriam, annuendo, poi vide arrivare un cameriere che sospingeva un carrello con sopra diversi vassoi coperti, “Il mio pranzo?”, s’informò, strofinandosi le mani, “Ho una fame da lupi!”
Hassan le servì personalmente i falafel ed i tostini con la salsa baba ghannouj, poi si congedò per tornare ad attendere ai suoi doveri.
Miriam attaccò a mangiare di lena, dimostrando di avere davvero appetito.
Logan si sforzò di trovare qualche cosa di intelligente da dire.
“Ci ha colti tutti di sorpresa”, esordì, “Nessuno di noi si aspettava niente del genere.”
Lei sorrise in quel suo modo che la illuminava tutta.
“Adoro ballare”, dichiarò, tra un boccone e l’altro, “Ho cominciato da ragazzina con il ballo da sala – all’epoca andava per la maggiore il valzer – poi nel corso degli anni è venuto il tango, il boogie-woogie, il rock, il latino americano. Ad un certo punto ho cominciato ad interessarmi alle danze etniche, dalla danza del ventre alle danze scozzesi, bretoni ed irlandesi, dal tamurè polinesiano alla danza indiana.”
“E le danze dei Nativi Americani?”, s’informò prontamente Dani Elk River, che era una Dakota.
“Ancora non ne ho avuto l’opportunità”, rispose Darkarrow, “ma mi interesserebbe.”
“Anche a me piace molto ballare”, disse Rogue, “finora però ho fatto solo discoteca e funky.”
“Io conosco la break dance”, li informò Jubilee.
Sentendosi messo da parte in tutto quel cicaleccio femminile, Logan mugugnò:
“Io invece non so muovere un passo, temo.”
“Però hai la struttura del ballerino”, osservò Miriam, che nel corso degli anni aveva naturalmente sviluppato un occhio particolare, “e sei molto coordinato nei movimenti. Secondo me non dovresti aver difficoltà a imparare.”
“Uhm, non credo di esserci tagliato…”
Attesero che Darkarrow finisse di mangiare anche il cous cous e l’arrosto d’agnello, poi venne loro servito il dolce, la baklava, una pasta sfoglia ripiena di un composto di noci tritate e coperta di glassa al miele, quest’ultima una variante personale di Hassan alla ricetta classica, e dei pasticcini di fichi e miele.
“Una bomba!”, sospirò Dani, servendosi di una seconda fetta di baklava, “ma è troppo buona per resistere…”
Anche Logan si servì due volte, con grande soddisfazione di Hassan che era tornato al loro tavolo.
“Complimenti per la tua cucina, sempre deliziosa, Hassan”, disse Miriam, “E grazie per esserti occupato dei miei amici.”
“È stato un piacere, Miriam”, affermò lo yemenita, “e siete miei ospiti, naturalmente.”
Darkarrow aggrottò leggermente la fronte:
“Non era nei nostri patti, Hassan”, osservò pacatamente.
“No, ma spero che mi permetterai questo piacere.”
Miriam lo sogguardò con un sopracciglio sollevato.
“Se non lo facessi, ti riterresti offeso”, disse, ben conoscendo le usanze arabe, per cui l’ospite è sacro, alla lettera, “Pertanto, certo che te lo permetto.”
Hassan chinò la testa e si congedò:
“Salaam aleikum, amica mia e gentili ospiti.”
“Aleikum salaam, Hassan”, rispose Miriam per tutti, “Shokran (grazie).”
* * *
Finito il pranzo, di cui tutti si dichiararono assolutamente soddisfatti, le ragazze proseguirono il loro giro di shopping per le ultime cose, mentre Darkarrow e Wolverine si attardarono nel ristorante, in una delle nicchie arredate a salottini, per fumare il narghilè. Scelsero un tabacco aromatizzato agli agrumi, dall’aroma fresco, e bevvero infuso alla menta.
“Niente male”, dichiarò Logan, emettendo una nuvola di leggero fumo bianco dalle narici, “sapore delicato, ma miscela forte.”
“Infatti non riesco mai a fumare l’intera dose”, rivelò Miriam, “Dopo un po’ comincia a girarmi la testa perché non sono abituata. Basterebbe una sospensione di pochi minuti perché mi passi, ma a quel punto di solito ne ho abbastanza.”
Quando finirono, poiché entrambi avevano già terminato il loro acquisti, bighellonarono per il centro commerciale osservando le vetrine e la fauna umana che popolava il luogo, in attesa che le ragazze li chiamassero per dir loro d’aver concluso.
Ad un certo punto passarono davanti ad uno Starbuck, la catena di caffetterie più famosa degli States.
“Ho voglia di un espresso”, disse Miriam, “Il barista è italiano e sa farlo proprio come piace a me.”
“Anche a me piace il caffè espresso”, annunciò Logan, con sorpresa e delizia della sua accompagnatrice.
“Davvero? Allora devi proprio assaggiare quello che fa Alberto… Offro io!”
Entrarono, trovando posto a stento: gli Starbuck sono sempre assai affollati, a riprova che la caffetteria all’italiana è molto apprezzata dagli statunitensi.
Stavano sorbendo i loro caffè quando il cellulare di Miriam squillò: era Kitty, che le annunciava che avevano finito. Miriam le disse dove si trovavano lei e Logan, e quando qualche minuto dopo le ragazze li raggiunsero, cariche di borse e sacchetti, offrì anche a loro un caffè o un cappuccino. Dopo che ebbero bevuto, si incamminarono verso il parcheggio, caricarono la Galaxy e si accomodarono per il viaggio di ritorno. Jubilee tentò di sedersi sul sedile davanti, ma Rogue fu svelta ad acchiapparla per un gomito ed a trascinarla via; alla sua occhiata contrariata, le sibilò che le avrebbe spiegato dopo. Così, fu di nuovo Logan ad accomodarsi a fianco di Miriam, e i due chiacchierarono piacevolmente per tutta la durata del tragitto fino alla magione, mentre dietro le quattro ragazze ridevano e cicalavano tra loro, ancora eccitate dalla giornata di shopping.
La magia che si era creata tra loro nel locale arabo pareva dimenticata.
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