Chapter 1: Creature delle Ombre
Inko si aggiustò una ciocca dietro un orecchio.
Il cielo era cupo, le nubi scure cariche di pioggia stavano colorando tutto di un bluastro-nero che non prometteva nulla di buono.
Un'improvvisa quanto forte folata di vento le strappò dalla mano il cestino di paglia e gran parte delle mele rosse di bell'aspetto rotolarono via, verso una fontana al centro del paesino di agricoltori in cui era nata.
«Oh, no!».
Nei suoi quindici anni di vita appariva con la pella diafana, grandi occhi verdi come due smeraldi e i capelli lunghi fino al coccige che amava spesso intrecciare in una treccia piena di margherite.
Per poco non inciampò nel risvolto del suo abito color nocciola di stoffa. Lei era una sarta e si confezionava da sola le cose. Non faceva molti affari nella bottega in paese che aveva ereditato dai suoi genitori, venuti a mancare quando lei aveva solo dieci anni.
Sua nonna l'aveva cresciuta, poi anche lei era venuta a mancare solo due mesi prima del suo quindicesimo compleanno.
La ragazza non badò allo strappo nella gonna lunga, né della polvere sulla camicia a maniche ampie bianca sotto la salopette.
Alcune mele si erano fermate nei rialzi dei ciottoli, accanto alla fontana ma si erano irrimediabilmente rovinate.
A Inko si strinse il cuore: il cibo che aveva comprato con i pochi risparmi era appena andato sprecato.
Mentre si chinava per raccogliere tutto, una mano fredda la sfiorò.
Sussultando, la giovane sollevò il capo... rimase stupita.
Un bel ragazzo che non poteva avere che diciotto anni, la guardava con un sorriso gentile. Aveva dei vaporosi capelli bianchi mossi e degli occhi rossi, come quelli di una creatura delle ombre.
«Sono tue le mele?».
Inko ci impiegò un secondo di troppo ad annuire.
La voce del ragazzo alto, dal petto largo e le mani forti era bassa, sensuale ma anche molto pacata. La camicia ecrù molto larga mostrava un po' della pelle ambrata, i pantaloni alti color rame avvaloravano le sue gambe muscolose e gli stivali neri sembravano regalargli un paio di centimetri in più.
«Ecco qui. Tutto raccolto. Sei stata fortunata che ci fossi io» sospirò il giovane.
Inko aveva le guance un po' rosse e non smetteva di osservare le mani del ragazzo che appoggiavano le ultime mele nel cestino che penzolava dal proprio braccio.
«A proposito, sono Hisashi».
«I-Inko».
Hisashi la guardò dritta negli occhi. Le cancellò timidamente un po' di polvere da una guancia. La ragazza sussultò ma poi si allontanò.
«Grazie per il tuo aiuto, Hisashi» e corse via.
L'uomo sorrise. Qualcosa le diceva che l'avrebbe di nuovo vista. Si voltò con tutta l'intenzione di tornarsene a casa verso dall'altra parte della fontana ma improvvisamente fu testimone di qualcosa di incredibile.
Un fulmine che squarciava le nubi scaricò poco dinanzi a lui, in una pozzanghera d'acqua. Un banco di nebbia fitta si alzò ad anello e ben presto il giovane ne venne inghiottito.
«Che cosa sta succedendo?!» esclamò spaventato.
Più affondava le mani nel banco di nebbia, più non riusciva ad afferrare che il vuoto. L'aria stava diventando sempre più gelida; non passò molto tempo prima che il respiro si mutasse in nuvolette bianche.
Hisashi iniziò a tremare. Uno strato di brina ricopriva il suo corpo tremante. Faceva così tanto freddo che gli battevano i denti e le palpebre si stavano appesantendo di uno strato spesso di ghiaccio bianco.
«Oh, che bell'espressione».
Il giovane guardò dinanzi a sé e per la seconda volta il cuore gli rimbalzò nella gola.
Una figura incappucciata lo guardava con un solo occhio rosso come il sangue appena versato. Il mantello nero gli copriva tutto ed era difficile capire che tipo di creatura fosse.
«Mi prenderò il tuo corpo e darò orgine a un erede. Il mio potere non morirà mai e io sopravviverò per sempre e per l'eternità!».
Hisashi non ebbe il tempo neanche di aprir bocca che venne afferrato da una mano scheletrica e raggrinzita dalle lunghe unghie nere ed acuminate. Boccheggiò per la stretta feroce alla trachea, le forze iniziavano a scemargli.
La creatura gli stava risucchiando le energie...
No...
«Grazie per il tuo sacrificio».
La vita di Hisashi venne drenata via. Il ghigno del suo aguzzino fu l'ultima cosa che vide, poi smise di agitarsi.
Il mantello cadde in terra, d'un tratto e una polvere violacea-nerastra si insinuò nella bocca e nel naso dell'uomo morto.
Un attimo prima Hisashi piombava in terra, non più sorretto da nessuno.
Un attimo dopo si alzava e constatava quanto fosse bello essere giovani e potenti.
«E ora cerchiamo quella donna...»...
Qualche giorno più tardi, uno spavento si burlò di Inko di prima mattina.
Le stoffe accuratamente piegate dalle sue mani, il bouquet di margherite fresche e la chiave di ferro della sua piccola bottega... tutto crollò rumorosamente in terra.
Il suo piccolo mondo era collocato alla fine di uno dei viottoli del paesino, un po' in pendenza e a circa quattrocento metri dalla fontana.
«Scusami... ma avevo bisogno di te!».
«Tu sei Hisashi!» squittì sorpresa Inko.
Il giovane abbozzò un sorriso.
Un'enorme macchia di sangue al fianco sinistro che gocciolava tra le dita premute contro di essa spiccava in modo crudo. La camicia stava cambiando colore.
Hisashi provò a fare un passo in avanti ma una forte vertigine lo fece piombare con la spalla contro la finestra accanto all'ingresso della bottega di Inko.
Quest'ultima, senza pensarci, lo sorresse con il proprio corpo.
«Come ti sei procurato una ferita del genere?».
L'altro ingoiò aria, poi tirò fuori dalla tasca un ciondolo. Era di fattura semplice, con un sottile laccetto dorato e una perla di cristallo simile a una biglia. Inko si toccò istintivamente il collo nudo.
«Sono stato attaccato da un branco di cani».
«Mi dispiace...» sussurrò la ragazza. «Ti sei ferito a causa mia».
Hisashi sogghignò per un attimo ma durò troppo poco per essere notato da Inko che lo accompagnava verso la bottega. Lo fece stendere su un piccolo letto di paglia, sotto il davanzale zeppo di vasi con violette, sotto la finestra.
Il locale era minuscolo e sembrava essere stato scavato nel legno che odorava di buono.
Hisashi guardava tutto con interesse, perfino gli scaffali pieni di libri di botanica, forbici e stoffe avvolte a tubo.
«Ti piacciono i fiori?» domandò vagamente curioso.
«Sì. Hanno molte proprietà mediche» rispose l'altra. «Per favore, togliti la camicia».
Uno squarcio profondo e crudo: Inko dovette trattenere un conato di vomito. Da sempre la vista del sangue le provocava nausea e nei casi peggiori anche svenimenti.
Ma ingoiò tutto l'acido bloccato nella metà della sua trachea e iniziò a trattare lo squarcio con alcuni unguenti che aveva preso dagli scaffali dietro al largo bancone dove lavorava. L'odore di fiori freschi si mischiava a camomilla e all'aloe. Radici essiccate erano già pronte in un piccolo mortaio per divenire una poltiglia medicamentosa.
Hisashi non smise mai di guardare Inko che lavorava con decisione e delicatezza. Sì, lei era perfetta.
«Guardami» le disse in un fil di voce.
La ragazza lo fece e improvvisamente i suoi occhi si spensero per un secondo.
«Voglio che tu mi dia un erede. Contrariamente a ciò che avevo pensato, questo corpo non reggerà a lungo».
Inko piegò di lato il collo mentre iniziava lentamente a spogliarsi.
Hisashi si mise seduto con un ghigno infernale.
Era innegabilmente bella, con le forme generose e aggraziate, per questo non si stupì affatto del guizzo nei pantaloni. Il suo organo riproduttivo pulsava piacevolmente.
Hisashi si alzò in piedi: la ferita si stava già rimarginando. Baciò Inko con incredibile grazia, poi la adagiò sul letto.
«Mi darai un erede...».
***
Il pianto di un neonato risuonava nella piccola camera da letto di Inko.
La giovane sedicenne piangeva, era felice di quell'inaspettato miracolo ma non riusciva a capacitarsi di come si fosse concessa a Hisashi.
«Sei così piccolo e rumoroso, tesoro mio...».
Il bambino aveva piccoli ciuffetti smeraldini sul cranio rosato e degli occhi verdi. Piccole lentiggini accompagnavano le sue paffute guance e le manine cercavano di afferrare i capelli disordinati della sua mamma.
Hisashi entrò silenziosamente nella stanza. Era sorridente ma la sua espressione era anche in parte beffarda. I rossi occhi simili a quelli di un predatore osservavano serafici il neonato nella copertina azzurra, al petto di Inko.
«E' un maschietto?».
«Sì. Vieni a conoscere tuo figlio, Hisashi» sorrise stancamente l'altra.
L'uomo si sedette sul bordo del letto, con le gambe elegantemente accavallate.
Fuori il cielo era scuro e la luna piena si mascherava con gli enormi nuvoloni neri che lasciavano presagire tempesta. Quel quindici luglio era stranamente fresco.
Le candele sul davanzale, il comodino e un tavolino con su appoggiato un catino e una brocca guizzavano. La stanza era rischiarata di arancio solo per metà.
Il piccolo non piangeva più. Era concentrato a nutrirsi al petto della donna che gli accarezzava il corpicino.
«Il mio erede perfetto...» sussurrò Hisashi.
Fu allora che Inko notò le unghie nere e affilate sulla mano dell'uomo che si stavano avvicinando al viso del piccolo. Il gelo della paura la fece tendere come una corda di violino.
«Hisashi...» pigolò.
«Hai messo al mondo il figlio del più grande Stregone di tutti i tempi. Ma essendo tu un'umana è un Demone, come mi aspettavo. L'antica magia che scorre nelle vene di noi Stregoni dà origine ai Demoni, non lo sapevi, mia cara?».
Inko si spostò istintivamente verso l'altro lato del letto, mentre il piccolo si contorceva, per nulla felice di quei movimenti disturbanti per la sua poppata.
«Come l'hai chiamato?».
«Izuku» rispose l'altra, in un soffio strozzato.
«Ora ti mostrerò il vero aspetto di questo bambino».
Un solo dito poggiò sul cranio di Izuku e improvvisamente particelle di polvere nera lo inglobarono per qualche istante. Inko urlò spaventata.
L'aspetto del neonato era mutato. La pelle bianca come porcellana, le sopracciglia marcate e nette, le unghiette nere... e gli occhi...
Inko si nascose la bocca dietro una mano.
I bulbi neri come la notte e le iridi smeraldo, profonde, con dei filamenti più chiari.
«Che cosa gli hai fatto, Hisashi?!» urlò.
Izuku scoppiò a piangere, spaventato.
«E' il suo vero aspetto, mia cara. Verrò a prenderlo tra otto anni».
Hisashi si dissolse in una spirale di polvere nera, le candele si spensero e un tuono rimbombò nel cielo. Inko strinse al petto il piangente Izuku mentre tentava di placare il suo pianto.
Aveva messo al mondo il figlio di un mostro!
Il piccolo la guardava, nonostante il pianto. Inko lo osservò a lungo, imprimendo a fuoco ogni più piccolo dettaglio di quel cucciolo vivo tra le sue braccia.
Era suo figlio.
«La mamma ti proteggerà, piccolo mio... non temere».
Quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe pianto.
Due giorni dopo Inko e Izuku lasciavano il paesino, diretti alle montagne del Nord.
Angolo di Watchie
Questo racconto è diverso da tutti gli altri.
In primis non è terminato ma è una sfida di finirlo prima del tempo per non smettere di pubblicare e di farvi rimanere con la curiosità a mille.
Ho deciso di iniziare dalle Cronache di Izuku per poi arrivare al Principe dei Barbari Katsuki.
No, non sbuffate. E'una KiriBaku, ricordatevelo.
Per cui, preparatevi a molta azione e un tocco di peperoncino. Che cosa ne pensate del mio nuovo stile di scrittura per questo Fantasy?
Come lo trovate? Snello? Abbastanza gradevole? Lasciate qualche commento.
A domani.
Ciao!
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top