- ', [Μερακι - ScaramoucheXF!Reader] ꒱ ↷🖇

-𝘗𝘳𝘦 3.3, 𝘮𝘪 𝘴𝘤𝘰𝘤𝘤𝘪𝘢𝘷𝘰 𝘥𝘪 𝘳𝘪𝘴𝘤𝘳𝘪𝘷𝘦𝘳𝘭𝘢, 𝘲𝘶𝘪𝘯𝘥𝘪 𝘵𝘦𝘯𝘦𝘵𝘦𝘷𝘦𝘭𝘢 𝘤𝘰𝘴ì 𝘤𝘰𝘮'è. 𝘝𝘪 𝘢𝘮𝘰<3
𝘚ì 𝘩𝘰 𝘢𝘣𝘶𝘴𝘢𝘵𝘰 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘥𝘪 𝘕𝘢𝘩𝘪𝘥𝘢, 𝘮𝘢 𝘭𝘰𝘸-𝘬𝘦𝘺, 𝘥𝘢𝘷𝘷𝘦𝘳𝘰 𝘪𝘯 𝘧𝘰𝘯𝘥𝘰 𝘢𝘭 𝘮𝘪𝘰 𝘤𝘶𝘰𝘳𝘦, 𝘢𝘷𝘦𝘷𝘰 𝘣𝘪𝘴𝘰𝘨𝘯𝘰 𝘥𝘪 𝘶𝘯 𝘱𝘰' 𝘥𝘪 𝘢𝘧𝘧𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘵𝘳𝘢 𝘲𝘶𝘦𝘭 𝘥𝘶𝘦, 𝘪𝘥𝘬 𝘴𝘪𝘣𝘭𝘪𝘯𝘨𝘴 𝘦𝘯𝘦𝘳𝘨𝘺. 𝘍𝘢𝘤𝘤𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦 𝘭𝘢 𝘥𝘦𝘥𝘪𝘤𝘰 𝘢𝘨𝘭𝘪 𝘚𝘤𝘢𝘳𝘢 𝘒𝘪𝘯 𝘤𝘩𝘦 𝘥𝘦𝘴𝘪𝘥𝘦𝘳𝘢𝘯𝘰 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘧𝘰𝘳𝘵𝘢𝘵𝘪 𝘥𝘢 𝘕𝘢𝘩𝘪𝘥𝘢.
𝘔𝘪 𝘥𝘪𝘴𝘱𝘪𝘢𝘤𝘦 𝘢𝘷𝘦𝘳𝘭𝘢 𝘧𝘪𝘯𝘪𝘵𝘢, 𝘱𝘦𝘳ò 𝘯𝘰𝘯 𝘱𝘰𝘴𝘴𝘰 𝘳𝘪𝘮𝘢𝘯𝘦𝘳𝘦 𝘲𝘶𝘪 𝘱𝘦𝘳 𝘴𝘦𝘮𝘱𝘳𝘦, 𝘲𝘶𝘪𝘯𝘥𝘪 𝘺𝘢𝘺, 𝘣𝘶𝘰𝘯𝘢 𝘭𝘦𝘵𝘵𝘶𝘳𝘢.-

L'anima è ciò che è più caro a noi come esseri viventi; sembrerà stupido, ma senza l'anima non potremmo incontrare l'anima gemella, per quanto sembri un gioco di parole. Il concetto di anima gemella non è il classico "amore a prima vista" o "familiarità inspiegabile", quanto ad una lenta scottatura del sole di giorno in giorno, di secolo in secolo, di millennio in millennio; eternità, solo per poi magari non incontrarsi mai.

Per chi, invece, non è una creatura della natura quanto ad una degli dei, è inutile soffermarsi su questi dettagli: tali persone non hanno un'anima gemella.
Possono delle persone che non sono tali, delle macchine divine, quindi almeno provare dei sentimenti? La risposta è no, come potrebbero mai, loro, senza anima, essere partecipi del caos di emozioni che spinge l'uomo a vivere?

Ciò che è triste è quando anche una creatura umana non ha un'anima gemella: questo può capitare ad un'unica persona, perché nel mondo le persone sono dispari: un'anima nata da sola, spaiata. E quando un essere umano, viene privato di ciò che lo rende più gioioso- quando viene privato del suo obbiettivo, della sua capacità di amare la persona giusta scelta dagli dei per lui, cosa gli rimane? Quando è solo, su questa terra?

Il primo incontro avvenne quando ella aveva poco più di tre anni e lui era un misero burattino nelle mani della dea in lutto. Non soleva egli allontanarsi troppo dalla corte, non sapendo ciò che si trovava al di fuori del palazzo- né avendo effettivamente la possibilità.
L'incurante Yokai che doveva sorvegliarlo, però, tra un sogghigno e un commento stupido, l'incaricò di trovare dei petali di ciliegio che le sarebbero dovuti servire a breve per un rituale.
Nel camminare, notò la bambina nel bosco cupo ai piedi della montagna rincorrere delle farfalle di cristallo, mentre i Tanuki la osservavano curiosi, desiderosi di giocare con lei.
Il giovane burattino si avvicinò con passo lento, richiamando l'attenzione però delle piccole creazioni della sua stessa natura che, rassicurate, gli si avvicinarono.
La più piccola si girò e si avvicinò, incuriosita dalla figura.

<<Gli piaci! Tu gli piaci!>>

Disse, ridendo ed applaudendo. Girò intorno a lui un paio di volte, così il giovane burattino richiamò su una delle sue dita la piccola creatura elementare che, a contatto con la sua pelle, divenne un piccolo cristallo.
Lo passò alla bambina, sorridendole: che creature interessanti gli esseri umani. Quelli di cui aveva visto l'ombra erano seri, tristi- ma questa bambina era così felice, felice semplicemente di esistere. Avrebbe voluto provare la stessa felicità.

<<Whooooa! Grazie! Mamma dice sempre che è buona educazione ricambiare i regali->>

E così dicendo, voce stridula ed impacciata delle prime parole, si tolse uno dei fermagli di stoffa che portava nei suoi capelli: decorato affinché fosse a forma di bocciolo di ciliegio. Lo passò al ragazzo- Avrebbe voluto ringraziarla, ma una voce in lontananza chiamava un nome delicato: (Y/n). Lei si girò di scatto, poi guardò di nuovo il burattino umano; salutò con la manina, incamminandosi a passo veloce verso la voce.

Tornato in cima al monte, consegnò un cestino pieno di petali di ciliegio alla Kitsune, mentre teneva stretto nella sua mano pallida il piccolo regalo.

Si incontrarono di nuovo, dopo non molto tempo, era una sarta di Liyue che, per seguire l'uomo amato, si trasferì sull'isola di Narukami: egli la lasciò poco dopo, ma ella decise comunque di rimanere.
Kunikuzushi l'incontrò negli ultimi anni della sua vita: l'abbandono della madre, la morte di suoi ancora cari amici- il rivedere un volto familiare- un'anima familiare, gli fece battere veloce il cuore che egli non aveva.
Le si avvicinò in un giorno in cui (y/n), anziana, portava una cesta con dei Meloni Lavanda. Si offrì di aiutarla, ascoltando nel tragitto storie di oltre l'oceano.
Tutti i giorni il più giovane- per modo di dire- si recava presso la piccola casetta della donna per aiutarla e tenerle compagnia. Lei non aveva figli, quindi era più che felice di occuparsi del ragazzo, cucinargli saporiti pasti e raccontargli storie che altrimenti sarebbero perse nel vento con la sua morte.

<<Oh piccolo Kuni, tu sei innamorato?>>

Disse un giorno, porgendogli d'avanti il piatto ligneo contenente degli onigiri fatti in casa: non erano perfettamente regolari, ma Kunikuzushi avrebbe potuto riconoscerli tra tremila ad occhi chiusi- il loro sapore era semplicemente unico, pieno di amore, ricordi (e una spolverata di Jueyun Chili). Lui la guardò con occhi sofferenti che ella non seppe notare: oh la sua vista, al lungo andata, stava drasticamente peggiorando.

<<No, non sono innamorato...non posso ecco->>

Disse, mentre guardava la pallottola di riso avanti a sé prima di addentarla, come se un velo di drammaticità si fosse calato su di lui.

<<Spero incontrerai la tua anima gemella, un giorno. Purtroppo questa anziana signora non è mai riuscita a trovarla>>

Disse, sedendosi di fronte a lui appoggiando il bastone dalle incisioni delicate contro la sedia.

<<Ti ho già parlato di Artyom, vero? Devi sapere che lui era un commerciante della lontana Snezhnaya, lì c'è un inverno perenne...>>

Versò de tè nelle tazze di entrambi continuando con le sue mani tremolanti, la teiera era sul tavolo da un po' ma il contenuto ancora tiepido. Kuni vedendo la sua difficoltà allungò le mani per aiutarla.

<<Oh grazie ragazzo mio. Cosa stavo dicendo? Ah sì. Eravamo felicemente innamorati, decidemmo di volerci sposare e trasferirci qui, ad Inazuma; lavoravamo entrambi come commercianti e io non vedevo l'ora di indossare un bel vestito da sposa- Ma lui ebbe dei problemi con le guardie reali del suo paese? O forse era un'associazione a delinquere legalizzata? Non lo ricordo, non ricordo chi erano i Fatui, so solo che lui mi lasciò per seguire loro.>>

Continuò, guardando il ragazzo attento all'ascolto. Aspettò perché lei continuasse e, dopo aver bevuto un sorso, lo guardò di nuovo.

<<Spero tu possa trovare una donzella- o un ragazzo, non giudicherò, che catturi il tuo cuore per sempre. E proprio per questo...vorrei vivreste qui dopo la mia morte.>>

Lei lo disse con una calma che solo una donna anziana soddisfatta della sua vita è in grado di usare. Il terrore fu come impossessarsi del corpo di Scaramouche che allungò le mani per prendere quelle dell'anziana signora, nel tentativo di rassicurarle che lei sarebbe vissuta ancora a lungo. (Y/n) si alzò, in tutta risposta, e prese un delicato fermaglio/spilla che somigliava ad un fiore di seta rosato di Lyue. Glielo porse, senza dire niente e tornò a parlare di sciocchezze.
Il giorno dopo Kuni si presentò alla casa, ma era già vuota. Una giovane contadina che spesso li aveva visti insieme gli si avvicinò, riferendogli la triste notizia.

Oh come gli dolse il cuore, come pianse quella notte, raggomitolato nel vecchio futon dove ella esalò l'ultimo respiro. Perché lo abbandonavano tutti, era la sua personalità poco gradevole? Era il suo essere troppo disgustoso per rimanere con loro per sempre? Era lui l'odio, era lui il disgusto?
Un giovane Fatuus entrò nella casa, mentre la piccola divinità mancata esprimeva il proprio dolore. Era lì per recuperare delle memorie fondamentali del nonno che erano rimaste ad Inazuma con il suo primo amore- e quando vide, quando vide il sigillo divino dietro al suo collo, corse subito ad allertare i suoi superiori: da qui il viaggio nella terra della neve.

Non la vide per molto, finché un giorno, non fu emanato l'ordine di cattura per una povera cavia umana scappata dalle grinfie di Dottore. Scaramouche tendeva a non avvicinarsi a quella zona del palazzo, ma essendo comunque superiore in graduatoria, doveva almeno la concessione di un aiuto al Dottore. Ciò che non si aspettava era di rivedere il suo sguardo terrorizzato nel corpo di quella giovane ragazza. (y/n) tremava, guardando il ragazzo di fronte a sé, i capelli rasati a zero, gli occhi pieni di lacrime, le labbra secche, il corpo quasi scheletrico.

<<Ti prego...ti prego risparmiami...voglio solo rivedere la mamma..>>

Di pianti di bambini, in quell'area del castello, se ne sentivano in quantità eccessive, pure per lui: il laboratorio era posto nell'area più lontana delle camere della Taritsa, in modo che non potesse udirlo. Come si suol dire, occhio non vede, cuore non duole.
Nascosta nelle cucine, piangeva ed implorava di risparmiarla, di non riportarla lì. Ma il cantastorie dal cuore appassito non si sprecò nell'ascoltare la sua inutile richiesta. Per vendicarsi, forse, come se il suo abbandono fosse ancora un tasto dolente, la prese per il colletto della maglia, stringendo così forte la presa quasi da stracciarla. Oh, che freddo dovrà sentire con solo questo indosso.
La trascinò a peso morto fino all'uscio della cucina, con le grida di quest'ultima, terrorizzata, terrorizzata da lui.
La sua voce, che prima lo aveva ringraziato e poi accudito, ora lo supplicava di ucciderla piuttosto che riportarla in quella gabbia. Sbatté chiuse le porte della cucina.

<<Tieni, non parlare più o ti stacco la testa seduta stante>>

Disse, prendendo da uno dei banconi metà pagnotta e ficcandogliela in bocca come se fosse un ciuccio. Si guardò intorno, non riusciva a capire che cosa gli fosse preso. (Y/n) lo guardava altrettanto stranita, mentre però mangiava affamata ciò che generosamente le era stato dato. L'oramai non più Kunikuzushi, nella rabbia, iniziò a rompere quegli stessi piatti da dove mangiava: non erano pregiati, ma non sarebbe stato comunque un gesto gradito da chi dopo avrebbe dovuto rimettere in ordine.
La ragazza guardava in silenzio, terrorizzata, ma allo stesso modo grata di quel gesto di gentilezza ricevuto. Allo stesso modo la paura era ammortizzata dalla gratitudine quando il più grande iniziò a gridarle contro. La minacciava di uccidere, di fargliela pagare, quello che gli aveva fatto era terribile, ma ora era cambiato.
(Y/n) non capiva nulla, ma diede per scontato che non ci fosse con la testa.
Tornò a reagire solo quando la prese nuovamente a trascinarla, questa volta per il polso, portandola di peso verso il laboratorio nuovamente.
Gridò, supplicò di smetterla, ma lui la trascinò fino alla sua camera, cella, di nuovo, buttandola sul pavimento lurido e freddo.

Impugnata la spada che portava con sé più per bellezza che per effettiva utilità -si trovava di più a fare attacchi elementali- si inginocchiò al livello della ragazza, trafiggendola come se fosse un gentile abbraccio pieno di rabbia e risentimento. Come faceva lui, un pupazzo, a sentire sofferenza, adesso? Perché sentiva il dolore? Il dolore di un altro abbandono? Il dolore di dover dire addio un'altra volta a qualcuno che si ama, che si vuole bene? La prima amicizia, il primo calore familiare, la prima gratitudine...

<<G-grazie...gra-grazie..>>

Tossì sangue, poggiando la testa sulla sua spalla.

<<anima g-genti-le...pietà-..g-grazie...>>

Oh, come faceva ad avere un pupazzo del genere sentimenti? Come faceva a provare quel filo di tristezza nel suo cuore, come se fosse un ago sottile? Sopratutto adesso?
Almeno, se ne era liberato.
Ma perché aveva reagito così, ringraziandolo? Perché dal terrore è passata al sollievo?

<<Oh mia regina, a cosa assistono i miei occhi...Scaramuccia, devi cercare di prestare più attenzione. Devi imparare e contenere la rabbia, non puoi semplicemente uccidere una delle mie cavie più preziose come se non fosse nessuno. Dovrei puni->>

Scaramouche lasciò velocemente il corpo esanime, alzandosi e dandogli un piccolo calcetto come a dimostrarne l'odio non veritiero. Girandosi verso Dottore, lo interruppe.

<<Mh, che aveva di speciale, una voce più stridula e fastidiosa delle altre? O ti piaceva perché era già nell'età dello sviluppo>>

Con spregio, guardò il più alto, mentre questo incrociava le braccia al petto e scuoteva la testa con dissenso, prendendo una scatola malconcia e mostrandogli il contenuto.

<<Aveva una visione già da adesso, volevo studiare la sua relazione, ma a quanto pare è troppo tardi. E io che avevo conservato pure tutta la sua spazzatura perché aveva ancora tracce elementari su di essa.>

Gli passò la scatola lanciandola. Dentro vi era una visione di Mondstat offuscata e un vestito macchiato di sangue tutto stracciato, mentre in fondo a tutto vi era un piccolo fermaglietto a forma di Calla Lily.

<<Fammi il favore di buttarla, ripagami così dell'immenso danno. Non voglio più vedere quella roba.>>

Nella neve, quella sera, seppellì il vestito e la visione, tenendo per sé il fermaglio.

Kusanali gli permetteva di girare per l'accademia come se fosse uno degli studenti, diceva che sarebbe stato l'ideale per lui, l'ideale per il suo reinserimento nella società. Quel luogo però odorava ancora delle disgustose gesta compiute dai Fatui e, quindi, non attirava più di tanto la sua attenzione.
In un momento di distrazione, (Y/n) gli si avvicinò, prendendogli la mano e dandogli un bacino sulla guancia come se si conoscessero da una vita. La sua grande fortuna fu che quando il ragazzo che cercava di forzarla ad uscire con lui le fece delle domande sulla loro palesemente finta relazione, Scaramouche avesse un viso arrossato ed impassibile fisso su di lei, annuendo senza pensare a ciò che ella diceva.

<<Senti scusami, non mi sembravi dell'accademia e quindi eri perfetto per far allontanare quel rattus->>

<<Non osare mai più rivolgermi la parola, scompari dalla mia vista, immediatamente.>>

La interruppe mentre la ragazza straparlava del suo problema e delle sue motivazioni. Non si sarebbe fatto di nuovo ingannare da quello sguardo mortale; l'ha resa sua amica, l'ha resa una persona cara, l'ha resa una sua vittima, ma nulla è mai funzionato.
Ciò che gli rimane è quindi scappare da questa tortura infinita, ignorare la sua ignoranza come se non l'avesse mai vista.

<<Oh- Scusa- Addio, grazie>>

Con l'entusiasmo morto, fece una mezza cenno con la testa, girandosi ed avvicinandosi ad una libreria dalla parte opposta del corridoio.

<<Credevo avessimo chiarito questo aspetto del tuo comportamento, non puoi trattare male tutte le persone che ancora non conosci>>

La fastidiosa voce infantile che nel cuore lo confortava risuonava nella sua testa: Il viandante sospirò, continuando nella sua impresa di osservare tutti i vari titoli complicati dei vari volumi posti in ordine in quella libreria fermata nel tempo.

<<Non ignorarmi, hey! Non è carino..>>

Continuò, sbuffando leggermente la dea bambina, infastidita leggermente dal comportamento immaturo del burattino coetaneo.

<<Nemmeno entrare nella testa degli altri lo è, quindi smettila di parlarmi più del necessario>>

Asserì il ragazzo, prima di sentire un fastidioso mal di testa: Kusanali stava prendendo possesso della sua coscienza, per l'ennesima volta quella settimana. Qualcuno le avrebbe dovuto spiegare che forzarlo a scusarsi facendolo al posto suo non aveva nessun effetto positivo sulla sua crescita personale, ma a finale lei è solo una Dea alle prime anni, che può mai saperne di comportarsi come un tutore.

<<Non preoccuparti, davvero, allora ci vediamo questa sera? Ti aspetto alla Locanda, è il minimo per ringraziarti!>>

Salutò agitando la mano, lasciando la posizione tenendo stretto un libro e correndo fuori dalla porta dell'accademia.
Per quanto tempo aveva perso il potere del suo corpo? Per quanto tempo Kusanali aveva parlato a posto suo? Cosa si erano dette?
Sicuramente nulla di suo interesse in ogni caso, si risposte.
Meno aveva a che fare con la ragazza, meno avrebbe dovuto affrontare il suo dolore represso nelle profondità del suo inconscio- povero ragazzo, già stava superando l'abbandono della madre, non era pronto ad avere a che fare con il suo primo legame umano -che sembrava perseguitarlo-

Verso il tardo pomeriggio, tornò verso il santuario, dimenticatosi completamente delle parole confusionarie alle sue orecchie dette dalla ragazza. Una volta varcata la soglia, Nahida gli si avvicinò, confusa, tenendo tra le mani vari rotoli di probabilmente iscrizioni importanti.

<<Che ci fai qui? Non dovevi uscire con (Y/n)? Sei ancora qui? Hai bisogno di consigli?>>

Lo fissò per qualche secondo, poi conclusa la frase.

<<Te ne sei dimenticato- O meglio, non hai capito bene.>>

<<La smetti di leggere i miei pensieri? Per favore, inizia a diventare una violazione vera e propria.>>

Superò la dea, dirigendosi verso la stanza allestita per lui.

<<Va bene va bene, m-ma aspetta! Non lo leggerò se non vuoi dirmelo, ma il tuo terrore è più che evidente quando la guardi. Se vuoi parlarmene sono qui->>

<<IO non sono terrorizzato da nulla, quella è solo una delle tante, non mi interessa interagire con lei, non vedo nemmeno perché IO debba scomodarmi per rivederla>>

Marcò certe parole con la voce, girandosi di nuovo verso Kunisali, puntandole il dito contro ed avvicinandosi minaccioso; al che Nahida, presa alla sprovvista, fece cadere i rotoli.
Il ragazzo, come rinsanendo al rumore del legno toccare terra, si calò in ginocchio a recuperare i manoscritti, tremando leggermente.
In cuor suo si dispiaceva, Nahida era come una madre, una sorella, qualcuno a cui guardare. Semplicemente non si controllava.

<<Andrò all'incontro, ok? Solo non fare più quella faccia.>>

Disse, passandole i rotoli; non le diede il tempo di rispondere che scattò a passo svelto fuori dal Santuario. Se salutare una stupida studentessa che lo aveva invitato ad uscire poteva aiutare a migliorare il suo rapporto con la sua tutrice- se l'avrebbe resa fiera di lui, allora lo avrebbe fatto con piacere. Anche se quella persona era (Y/n).

Lei lo aspettava dondolandosi sui talloni, guardandosi intorno, annoiata ed impaziente. Quando lo vide camminò a passo veloce verso di lui, sorridendogli gentilmente e salutandolo con la mano. Lui non le sorrise, né ricambiò il saluto, la superò continuando a camminare dritto.

<<Andiamo dove volevi andare e chiudiamola subito, sono già infastidito da questa situazione>>

Disse, continuando a camminare verso la locanda, mentre lei lo seguiva con passo lento e un po' incerto. Forse aveva sbagliato a ringraziarlo- o forse era solo bipolare. Quella mattina pure era sembrato un vecchio burbero, ma poi dopo si era scusato ed era stato così gentile- Forse è il suo modo di fare, si disse la ragazza.
Una volta entrati, si sedettero ad uno dei tavoli, in un imbarazzante silenzio.
Poi lei scoppiò a ridere, guardandolo prima in faccia e poi abbassando lo sguardo, coprendosi il viso con la mano. Lui la guardò confuso e alquanto infastidito.

<<Cosa hai da ridere.>>

<<Pensavo che non ci siamo nemmeno presentati, ma io ti ho quasi baciato, ci siamo tenuti per mano e adesso siamo a cena insieme. Credi che sia troppo tardi per presentarci? Ci dovremo chiamare con un generico soprannome per sempre? O fare finta di non vederci quando ci incontriamo per strada?>>

<<Per me non è un problema ignorare completamente la tua esistenza.>>

Disse con tono tagliente lui, ma lei lo prese come uno scherzo, ridendo ancora alle sue parole.
Lui sbatté i palmi sul tavolo, alzandosi buttando tutto il peso sugli avambracci per sporgersi verso di lei con fare minaccioso.

<<Che hai da ridere, sono serio>>

E lei gli porse la propria mano.

<<(y/n), piacere. Adesso non potrai ignorarmi nemmeno volendo.>>

Sorrise, ma lui non le prese la mano, semplicemente sedendosi nuovamente. La sua faccia aveva cambiato completamente espressione: sembrava aver visto un mostro. Non era possibile, si diceva, l'aveva salutata, l'aveva vista morire, l'aveva uccisa con le sue stesse mani e l'aveva ignorata- perché non riusciva a scapparle? Perché non riusciva a liberarsene? E ora era di nuovo qui, a rivivere il passato che cercava di buttarsi alle spalle.
Gli scappò una risata, rideva al suo essere patetico, rideva all'universo che lo sbeffeggiava come se fosse il suo più grande fallimento, la sua pecora nera-

<<Io non devo ridere ma tu puoi ridere del mio nome? E' così buffo?>>

Disse lei, sorridendogli divertita, credeva stesse ridendo per qualcosa di effettivamente simpatico.

<<Ohh ho capito, perché è un nome che non sembra di qui, vero? Che devo dirti, i miei genitori hanno sempre detto che quando sono nata, è come se avessi avuto quel nome. Ma su, fammi sentire il tuo normalissimo nome allora.>>

Aveva già ritirato, forse non era tanto a suo agio al contatto fisico con lei dopo quella mattina- chi era lei per giudicare. Il Viandante la guardò confuso, non aveva seguito il suo discorso, era perso nella sua dannazione-

<<Vuoi fare il misterioso? Ho capito, ti darò io un soprannome...vediamo...Soter? Non sono lettere messe a caso, sai, il mio campo di studi sono le religioni minori, divinità che non esistono più e che magari non sono mai esistite. Soter era un appellativo che si dava a molte di quelle divinità, significa salvatore, protettore dal male->>

<<E Soteria è il contrario di fobia, un oggetto desiderato a tutti i costi che fa sentire al sicuro, mi credi un oggetto?>>

<<No, ma questa mattina mi hai aiutata, quindi pensavo ti si addicesse. Se non ti piace, semplicemente ne troverò un altro- o se proprio non vuoi dirmi il tuo nome mi inventerò qualche modo per richiamare la tua attenzione.>>

Lui ci pensò un attimo, guardando da tutta altra parte e parlando in bocca.

<<Soter va bene.>>

Un appellativo utilizzato per le divinità? Forse era giusto che si riferisse a lui così. A finale non aveva bisogno di sapere il suo vero nome, quindi a questo punto perché non farsi trattare con massimo rispetto?
Lei sorrise alla risposta positiva dell'altro, chiamando poi il cameriere con tono amichevole e, non con poca fatica, riuscirono ad ordinare entrambi nonostante i gusti particolari e il carattere alquanto scontroso del ragazzo.
Anche quando arrivò il cibo, lei continuò a parlare di tutto ciò che le passava per la testa, l'altro non rispondeva, né cercava di inserirsi nel discorso, semplicemente la guardava con sguardo vitreo mentre consumava il pasto.

<<E' stupido occupare il silenzio con chiacchiere inutili.>>

Disse, all'improvviso, come unica risposta al suo flusso di parole e pensieri.

<<O-oh...beh, spero allora che le mie non siano inutili.>>

Con la risposta posò la forchetta, un po' esitante per poi pulirsi il viso col fazzolettino. In quel momento cadde il silenzio, come modo di dire. Tutto intorno a loro era un eterno brusio di parole dette da persone di cui il Viandante non si poteva curare meno. Ordini, risate, litigi, tutto insieme. Il rumore di gente che mastica a bocca aperta era forse il più fastidioso. O forse il silenzioso tintinnio delle posate contro il piatto della ragazza di fronte a sé che in silenzio cercava di finire il pasto.

<<E poi, non capisci che tutta la parte su Inazuma è completamente sbagliata>>

Lei alzò lo sguardo, sbattendo un paio di volte le palpebre incredula: non si aspettava che effettivamente partecipasse alla discussione- o che a finale le stesse veramente prestando attenzione tutto quel tempo. 

<<In che senso è errata?>>

Lo guardò, battendo il pugno sul palmo e poi sorridendogli, come se non le avesse detto di zittirsi qualche secondo prima. 

<<Sei di Inazuma vero? In effetti, il tuo stile è alquanto particolare, era abbastanza scontato che non fossi di qui. Però da quanto vivi qui? La visione è di Sumeru...ma continui ad indossare i tuoi abiti tradizionali, sei ancora molto legato alla tua casa vero? E' una cosa bella, sai? Anche io non sono di qui, in verità vengo da->>

<<Ne ho abbastanza di questa conversazione. A mai più.>>

Disse, lasciando sul tavolo abbastanza mora per pagare il pasto di entrambi così come consigliato da Kusanali, per galanteria, diceva. (y/n) lo guardò allontanarsi incredula, le labbra leggermente separate con ancora le parole su di esse, la forchetta in mano col boccone conficcato su di essa. Provò a scusarsi, pulendosi velocemente le labbra per poi alzarsi e finì col seguirlo. Lui camminava a passo veloce, sentendo il passo ticchettante delle scarpette della ragazza contro la pietra liscia e levigata da tutte le persone che percorrevano quella strada dalla sua creazione. Le strade erano quasi vuote, il mercato chiuso, solo qualche studente o mercenario camminava per le strade allegro di vino. 

<<Aspettami, aspettami, eddai Soter, non volevo offenderti, non andartene semplicemente così- non mi hai nemmeno lasciato offrire la cena! Devo ancora ringraziarti->>

Il viandante si fermò, girandosi e guardando la ragazza rallentare passo passo, con un mezzo sorrisino quando lo vide completamente fermo verso di lei- ma a quel punto egli si avvicinava nervoso. Afferrandola per la maglia, lei rimase ferma, cacciando una risatina.

<<Hai un bel visino anche da arrabbiato->>

<<Ascoltami forte e chiaro, io ho provato a dirtelo la prima volta che ci siamo visti. IO non sono tuo amico, la TUA vista mi disgusta. Non sei più che un parassita che respira la mia stessa aria, quindi considerati fortunata anche solo di ESISTERE. TU che morirai SOLA questa volta.>>

La fece cadere a terra e, quando stava per tirarle un calcio preso dall'ira, la guardò veramente in viso, la guardò negli occhi. Stava piangendo, piano, in silenzio. E stava comunque cercando di sorridergli, cercava comunque di trattenere i singhiozzi. 
Una camera dalle fattezze di una gabbia si formò intorno a lui, come se il tempo si fosse effettivamente fermato. La dea bambina lo guardava infondo alla strada, quasi al margine del perimetro, con la delusione negli occhi. Forse sarebbe stato meglio solo fare finta che non esistesse. Sopprimere centinaia di anni di rabbia nei confronti di un'anima che l'aveva ferito così tante volte- forse doveva smettere di pretendere che questa si mostri colpevole dell'agonia che gli fece provare.
Chiuse gli occhi, nella speranza che sia Nahida che (Y/n) scomparissero in quel momento preciso.

Li riaprì in biblioteca, lei si era già allontanata dopo la sua uscita infelice e si dirigeva ora verso l'uscita della struttura.

<<Dobbiamo parlare, ti stai portando dentro un dolore troppo pesante per poterlo gestire da solo...>>

Nahida quella sera lo guardava mentre dondolava dalla sua altalena lentamente e sgranocchiava quello che sembrava del torrone fatto in casa.
Non era la prima volta che usava quel trucco con lui, ma purtroppo i cascava tutte le volte.
Seduto su un divanetto fatto posizionare di proposito da Kusanali per le "serate famiglia" nel santuario, Scaramuche guardava la dea con disappunto. Odiava quando violava la sua mente, l'unico suo spazio vitale, per pura curiosità- ma era di certo sollevato di fronte all'idea di non aver commesso tali atroci atti nei confronti della ragazza che aveva mandato via quella mattina.

<<Hai intuito che sto aspettando le tu scuse dopo quello che mi hai fatto?>>

Rispose, sfogliando uno dei libri che aveva preso quella mattina. Non si sarebbe mai immaginato che un romanzo così infantile facesse parte della raccolta della biblioteca di Sumeru- chi faceva la selezione dei libri, un bambino?

<<Mi dispiace di averti ferito, però non puoi continuare a nasconderlo...qualcosa ti ha ferito, infinitamente. E in qualche modo quella ragazza c'entra qualcosa- ma non ho trovato nessun ricordo doloroso riguardante te->>

<<Vita sbagliata.>>

Disse, sbuffando e stendendosi sul divanetto con la faccia quasi appiccicata al libro. Era diventato improvvisamente molto interessante. 

<<L'avevi già incontrata?>>

<<Te l'hanno mai detto che chi si fa i fatti suoi campa cent'anni?>>

<<Quante volte?>>

<<Non ne voglio parlare, non è chiaro?>>

Nahida posò il dolce su un tavolino fatto della stessa materia dell'altalena e si avvicinò al ragazzo che nel frattempo le aveva dato le spalle, continuando a "leggere" il libro.
La dea bambina si fermò di fronte a lui: non portava il cappello ma i capelli erano tutti arruffati come se se lo fosse appena tolto. Gli accarezzò lentamente la testa, come se si trattasse di un gatto arrabbiato. 

<<Sicuro di non voler parlarmene? Lo sai che non ti giudicherò- e inoltre siamo nel Santuario, sei al sicuro qui, puoi mostrarti debole>>

Il Viandante trattenne il fiato per tutto il tempo in cui la dea parò, girandosi poi verso di lei, quasi a guardarla in faccia per quanto era bassa.

<<E' stata la prima persona con cui io abbia mai parlato.>>

Nahida gli sorrideva calorosamente, invitandolo a continuare.

<<E quando mi hanno mandato via dalla corte ad Inazuma, ho vissuto gli ultimi anni della sua nuova vita con lei...>>

Si mordicchiava l'interno della guancia, il ragazzo, aveva gli occhi leggermente umidicci.

<<E poi...nel freddo...basta così, te ne ho parlato, contenta?>>

<<Hai paura ti abbandoni di nuovo?>>

<<E' umana, cosa può fare? Semplicemente smettere di morire? Non posso mica rinchiuderla in una stanza simile a quella della- come si chiama? La signorina con i due codini, Furan?>>

<<Miss Furuzan?>>

<<Eh sì lei>>

<<No, non puoi farlo.>>

<<Lo avevo intuito sai?>>

Tornò a girarsi di spalle, tornando a leggere il libro.

<<Perché invece non provi a riavvicinarti a lei? Potrebbe farti bene, potrebbe fare bene ad entrambi- e poi il fatto che sia di nuovo qui, significa che non ti ha mai effettivamente abbandonato.>>

Quella notte ci pensò tanto a quella cosa. In effetti era vero, si erano sempre incontrati, come se fossero anime gemelle- solo che lui non aveva un'anima gemella.
Non riuscendo a prendere sonno, si incamminò per la strada principale della città, scendendo e salendo come se fosse stato su un altalena da i vari piani su cui era costruita. La vide che sedeva su una panchina da sola, faceva dondolare le gambe sembrava leggermente abbattuta.

<<Posso sedermi?>>

Si sedette, senza aspettare una risposta. Non era vestito agghindato come al solito, però aveva sempre quello sguardo intimidatorio. Lei lo guardò, prima fece per alzarsi, poi semplicemente si fece verso il bordo della panchina, non rivolgendogli la parola. Un po' se l'era presa per come l'aveva trattata quella mattina.

<<Vuoi? Oggi mi hanno trascinato ad una lezione di cucina e sto cercando di liberarmi di questi cosi il prima possibile.>>

(y/n) si girò a guardarlo: le porgeva un fazzoletto di stoffa con dentro quello che sembrava torrone. Le avevano insegnato a non fidarsi degli sconosciuti, soprattutto se le offrivano da mangiare di notte. Ma lui era lo sconosciuto che si era quasi baciata neanche ventiquattr'ore fa.

<<Grazie...>>

E prese il dolce assaggiandolo piano, con un piccolo morso. Non sembrava amaro, non aveva un sapore strano. Era sicuro- ed era anche molto buono.

<<Allora? Sono bravo vero?>>

Lei annuì, sorridendo appena e poi coprendosi le labbra buttando giù il morso.

<<Piacere, (y/n), penso abbiamo cominciato col piede sbagliato>>

Gli tese la mano libera, si sentiva di nuovo al sicuro. Lui sembrò irrigidirsi un secondo, poi alzò lo sguardo per guardare le stelle.

<<La mano è tutta sporca di miele, non te la stringerò->>

Rise e si pulì col fazzolettino sorridendogli gentilmente dopo.

<<Questo è il momento dove tu dovresti dirmi il tuo nome. Ti ho sempre visto nei pressi dell'accademia ma nessuno mi ha mai detto come ti chiami, ti chiamano tutti "viandante">>

Sembrò rifletterci, tornando a guardare lei. Forse era vero che non l'aveva mai abbandonato, ma sentirla estranea ogni volta, in ogni vita, forse era una delle cose che lo faceva soffrire di più.

<<Non mi piace il mio nome, me ne puoi dare uno tu se vuoi.>>

<<Uno io?>>

<<Sì, una sorta di soprannome>>

<<Soter.>>

Questa volta non glielo spiegò, semplicemente gli sorrise. E lui la guardò con due occhi grandi così, forse dopo tutte quelle vite non l'aveva mai veramente abbandonato e forse il conoscersi ogni volta era una delle parti che più amava.

<<Davvero? Un nome religioso? Vuoi far adirare gli dei?>>

Rise, scuotendo la testa, a finale ciò a cui pensava lei era totalmente diverso, lei si sentiva solo attratta da lui, come a suo agio. Poggiò delicatamente la testa sulla sua spalla, prendendosi quella confidenza proibita con gli sconosciuti. E lui non si spostò, non provò nemmeno a muoversi- e di più, non si irrigidì, ma si sciolse, si rilassò. Lei non sapeva che egli aspettava quel contatto da anni ed anni. 

<<Dovremmo vederci più spesso, mi piace stare con te- O-oh ecco non prenderlo in modo strano non ci sto provando è solo come se ci conoscessimo da sempre scusami so che ti sembro pazza puoi benissimo andartene->>

Si spostò di scatto ed agitò le mani di fronte a se mentre si scusava, non voleva dargli una brutta prima- seconda impressione. Lui da parte sua le guidò nuovamente la testa sulla sua spalla, delicatamente. 

<<Sembri un maniaco, chiedere ad un ragazzo che nemmeno conosci una cosa del genere, di notte, non ti hanno proprio insegnato l'educazione a casa vero?>>

Il tono era severo, ma la sua testa ora poggiava su quella della ragazza. Era curioso, in cuor suo, lui. Erano stati amici- quando lei era piccola. Erano stati famiglia- quando lei era anziana. Erano stati nemici- quando l'aveva uccisa a sangue freddo nel laboratorio del Dottore.
E ora? Quante altre opzioni c'erano? 

<<Eddai, dici sempre una cattiveria quando parli? Guarda che mi potrei offendere.>>

E lei rise, scherzava, forse sì, se ne sarebbe potuto innamorare. Non erano mai stati una coppia.

<<Mi chiedo come tu ci sia finita allora qui a parlare con me, se hai una sicurezza tanto debole>>

Dopo quell'ultimo pensiero la sua voce si era ammorbidita e spostò la mano per cercare la sua- aveva visto così tante persone farlo, poteva farlo anche lui, no? Se lo meritava ora che faceva parte dei buoni, no?

<<Mhmh, certo- ma quello è il sole? Che ore sono? O mia dea, ho lezione, devo andare- O-oh- uhm ti va di rivederci qui, domani? Cioè oggi? Cioè alla prossima volta in cui sorge la luna?>>

Si alzò, facendolo spostare appena, ancora con la mano a mezz'aria mentre stava per prenderle la sua. Annuì, le disse un "come ti pare, ma non ci sperare troppo" o qualcosa del genere e si alzò a sua volta, allontanandosi prima di sentirla dire un "buonanotte, Soter".
E quante lune passarono insieme, a volte lei arrivava ancora ubriaca di sonno, con i capelli ancora un po' stropicciati, perché si era addormentata nel pomeriggio. 
Talvolta gli parlava di come andava la ricerca e lui la aiutava con le cose che sapeva o che aveva visto. Lei non gli chiese mai come facesse ad esserne a conoscenza.
Talvolta rimanevano in silenzio e lei finiva per addormentarsi sulla sua spalla, lui non le chiese mai se non avesse davvero paura di mostrarsi così vulnerabile di fronte a lui.
E anche quando si incontravano di giorno, non si parlavano, come se fossero estranei, come se quegli incontri serali fossero solo frutto della loro immaginazione, un sogno bizzarro nel cuore della notte.
Quante volte però si erano guardati, quante volte nel prendere un libro uno cercava il contatto dell'altra. Ed erano tutti errori che piano piano diventavano volontari.
Per due o tre giorni lui non si presentò, si era perso nel deserto e solo quel giorno era riuscito a tornare a casa grazie all'aiuto di Nahida. La trovò che piangeva sulla panchina, le gambe al petto e i piedi premuti contro il legno della seduta. Nascondeva il viso a chiunque passasse per di lì, anche se era così isolato quel posto che nessuno provava a buttarci l'occhio. 

<<Perché piangi?>>

E lei alzò la testa, rimanendo ferma nella sua posizione. Si asciugò le lacrime-

<<Te-te ne sei andato...credevo...c-credevo per sempre>>

E lui la guardava immobile di fronte a sé, dentro di se qualcosa gli diceva di abbracciarla, ma si limitò a sedersi accanto a lei. Gli porse una bambolina di stoffa che aveva nello zainetto, una di quelle che faceva nella noia e nella solitudine.

<<Tieni, così pure se non me ne dovessi andare non ti mancherei più di tanto.>>

Lei allungò la mano umida di lacrime per prendere la bambola e lo ringraziò con un filo di voce. Lui si alzò di nuovo, allontanandosi più da quella situazione pericolosamente affettiva che da lei.
Forse non era pronto a decidere di intraprendere una relazione romantica con quella ragazza. 
Ma si pentì quando non la vide arrivare per qualche giorno. Si stava vendicando? O semplicemente aveva smesso di amarlo? Oh no Scaramouche, lei non ti amava, al massimo ti voleva bene. Volerti bene? Kunikuzushi, non essere stupido, al massimo apprezzava la tua compagnia. Apprezzarti? Oh tu che non porti nome, non sei nulla per lei.
Il povero Viandante prese coraggio e si recò al santuario per la prima sera dopo qualche mese. Solitamente passava lì tutte le notti, ma ultimamente rimaneva solo un po' di pomeriggio per tenere compagnia alla dea mentre questa staccava un po' dal lavoro per parlare con lui.

<<Ho bisogno di una mano. Contenta? Te l'ho detto, adesso aiutami>>

Kusanali riposava giocando a ripiglino sullo stesso divano su cui di solito si stendeva il ragazzo. Gli sorrise, era felice che avesse ammesso effettivamente di essere preoccupato, anche se a modo suo.

<<Fammi controllare...oh...non va proprio bene, dovresti parlarle. E' a casa, non è stata molto bene, per il periodo in cui non c'eri si è trascurata un po', soprattutto per quanto riguarda il sonno e il mangiare.>>

Lui corse fuori con la velocità del vento, cercando di ricordarsi l'indirizzo dettogli dalla dea. Non provava fatica, ma quando bussò alla porta, provava paura, per l'ennesima volta. Sentì le chiavi girare, poi la porta si aprì dall'interno e lei gli sorrise. 

<<Come hai trovato il mio indirizzo?>>

E lui l'abbracciò, questa volta. 

<<Brutta stronza non farlo mai più. Ok? Hai capito? Ti è chiaro?>>

E lo fece entrare, ridacchiando un po' debolmente. Non aveva avuto che un po' di febbre e si era indebolita, ma non stava male.

<<Ti posso chiedere una cosa?>>

Erano seduti sul lui letto, lei si stese e lo trascinò con sé.

<<Mi vuoi almeno un po' bene?>>

Lui non rispose, semplicemente si limitò a nascondere il viso nell'incavo del suo collo. Lì lei notò che non respirava. Si incuriosì, prendendogli il viso tra le mani.

<<Tu non sei un essere umano, vero?>>

E lui la guardò con gli occhi sgranati, le labbra leggermente socchiuse, mentre lei aveva un sorriso dolce ed avvolgeva le proprie braccia intorno al corpo freddo della marionetta.
Lui nascose di nuovo il viso e scoppiò in lacrime. Lei gli baciò la fronte, poi quando si calmò, si tolse una delle spille che aveva nei capelli e gliela attaccò sulla veste.

<<Così magari quando saremo lontani, ti ricorderai di me, anche quando non ci sarò più>>

E questa volta, invece di scappare, le prese il viso e la baciò. E questa volta, invece di esitare, le accarezzava piano le guance mentre abbozzava quell'effusione romantica che lei ricambiava felicemente.
In ogni vita tu sarai colei che cercherà, in ogni vita lui ricomincerà d'accapo, in ogni vita. Con passione ti stringerà i fianchi e con amore ti terrà per mano. Sarà tuo amico, sarà tuo tutore, sarà tuo amante, sarà tuo nemico. E ogni volta conserverà uno dei tanti fermagli, simbolo del vostro legame, finché Celestia non deciderà di porre fine a tale strazio, distruggendo il corpo della bambola e l'anima della creatura umana.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top