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𝕆𝕜, 𝕟𝕘𝕝, 𝕔𝕚 𝕙𝕠 𝕞𝕖𝕤𝕤𝕠 𝕄𝔼𝕊𝕀, 𝕃𝔼𝕋𝕋𝔼ℝ𝔸𝕃𝕀 𝕄𝔼𝕊𝕀, 𝕡𝕖𝕣 𝕤𝕔𝕣𝕚𝕧𝕖𝕣𝕝𝕒. 𝔼' 𝕗𝕒𝕥𝕥𝕒 𝕓𝕖𝕟𝕖? 𝕟𝕠, 𝕟𝕖𝕞𝕞𝕖𝕟𝕠 𝕡𝕖𝕣 𝕤𝕓𝕒𝕘𝕝𝕚𝕠. 𝕄𝕀 𝕊𝕆ℕ𝕆 𝔻𝕀𝕍𝔼ℝ𝕋𝕀𝕋𝔸? 𝕊𝕀. 𝕄𝕀 𝕊𝕆ℕ𝕆 𝔻𝕀𝕍𝔼ℝ𝕋𝕀𝕋𝔸. 𝕀𝕟 𝕠𝕘𝕟𝕚 𝕔𝕒𝕤𝕠, 𝕤𝕖 𝕒𝕧𝕖𝕥𝕖 𝕢𝕦𝕒𝕝𝕔𝕙𝕖 𝕣𝕚𝕔𝕙𝕚𝕖𝕤𝕥𝕒, 𝕢𝕦𝕒𝕝𝕤𝕚𝕒𝕤𝕚, 𝕗𝕒𝕥𝕖𝕝𝕒 (𝕞𝕒𝕘𝕒𝕣 𝕟𝕖𝕝 𝕔𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 𝕒𝕡𝕡𝕠𝕤𝕚𝕥𝕠 𝕔𝕠𝕤ì 𝕟𝕠𝕟 𝕡𝕖𝕣𝕕𝕠 𝕚𝕝 𝕔𝕠𝕟𝕥𝕠, 𝕞𝕒 𝕒𝕟𝕔𝕙𝕖 𝕤𝕠𝕥𝕥𝕠 𝕢𝕦𝕖𝕤𝕥𝕠 𝕧𝕒 𝕓𝕖𝕟𝕖;;) ℙ𝔼ℝℂℍ𝔼' 𝔻𝕆ℙ𝕆 𝕃𝔸 ℙ𝔸ℕ𝕋𝔸𝕃𝕆ℕ𝔼 𝕏 ℝ𝔼𝔸𝔻𝔼ℝ𝔼 ℕ𝕆ℕ 𝕊𝕆 ℂℍ𝔼 ℙ𝔼𝕊ℂ𝕀 𝔸ℕ𝔻𝔸ℝ𝔼 𝔸 ℙℝ𝔼ℕ𝔻𝔼ℝ𝔼. 𝔼ℕℕ𝕀𝔼ℕ𝕋𝔼, 𝕤𝕡𝕖𝕣𝕠 𝕧𝕚 𝕡𝕚𝕒𝕔𝕔𝕚𝕒 𝕖 𝕔𝕙𝕖 𝕟𝕠𝕟 𝕤𝕚𝕒 𝕔𝕠𝕤ì 𝕖𝕤𝕥𝕣𝕖𝕞𝕒𝕞𝕖𝕟𝕥𝕖 𝕠𝕣𝕣𝕚𝕓𝕚𝕝𝕖 ℍ𝔸ℍ𝔸;; 𝔹𝕌𝕆ℕ𝔸 𝕃𝔼𝕋𝕋𝕌ℝ𝔸! (con sto font non si capisce nulla, sucks to be you e dover decifrare lol)

Si può cambiare per il meglio? 
Si può cercare di cambiare? Modificare ciò che è stato fatto e riparare i calici di cristallo rotti nella speranza di riuscire e nascondere un orribile fantasma di sé?
((Y/n)) si imbarcò con la nave per Inazuma quando appena fu emesso l'ordine di isolamento della nazione, lasciando i venti gelidi di Snezhnaya per abbracciare il tiepido calore dell'isola. Non aveva mai lasciato la sua amata terra, non aveva mai compiuto missioni al difuori della capitale, era sempre rimasta a servire nei pressi del castello. Questa volta, però, il carico era importante e prezioso e lei era conosciuta per essere una delle diplomatiche più persuasive: solitamente erano gli altri a venire a palazzo da lei, in questo caso sarebbe stata la ragazza a muoversi fino a quella città sperduta nel mare.
Arrivò esausta dal lungo viaggio in mare a Narukami per vie secondarie, come accordato con la commissione Tenryou. Dopo aver fatto un veloce inventario delle casse contenenti quegli oggetti divini che sarebbero entrati in gioco solo in seguito, salutò i suoi sottoposti, ringraziò chi li ospitava e si diresse verso la spiaggia. Non aveva mai visto la sabbia se non in foto e, si disse, che se era costretta a rimanere lì, almeno l'avrebbe reso piacevole ed interessante. 

Stesa sulla sabbia umidiccia, sospirò rumorosamente. Era troppo caldo lì, per i suoi gusti. Avrebbe dovuto acquistare dei vestiti nuovi: ma il suo orgoglio patriottico le faceva passare la voglia di indossare stili di altre città. Ma era troppo caldo lì, per i suoi gusti.
L'aria calda ed umidiccia si appiccicava alla pelle abituata al freddo secco, l'odore del sale in contrapposizione delle narici gelate che spesso facevano fatica a sentire gli odori a causa di un'influenza o del freddo fin troppo forte che atrofizzava il viso. Prese tra le mani la propria visione, sospiro di nuovo e si concentrò, creando una piccola zona ghiacciata intorno a lei.
Sembrava casa.

<<Vieni qui, Blanco, ti bagnerai tutte le zampe di questo passo->>

Aveva i capelli biondi, disordinati e sciolti che gli ricadevano sul viso e che si spostavano correndo, l'Haori gli copriva il corpo nudo se non per quello e l'intimo. Rincorreva un gattino che saltellava curioso per la riva, divertito da quel gioco. ((Y/n)) alzò la testa sentita qua voce, il sussulto quasi di paura -non aveva con sé la sua arma, solo la sua visione, né indossava l'uniforme che avrebbe potuto incutere timore- le fece allargare involontariamente l'area ghiacciata: il micio, colto di sorpresa, scivolò verso di lei, schiacciato con le quattro zampe ai lati, una posizione quindi alquanto scenica.
La ragazza lo prese in braccio e lui non sembrò ribellarsi: il ragazzo si avvicinò e fece un mezzo inchino di ringraziamento per aver salvato il suo gattino indisponente.

<<Perdonami per le condizioni in cui vesto- o meglio, non vesto. Stavamo per entrare in acqua e Blanco si è improvvisamente riscoperto avventuriero>>

Cacciò una risata rimanendo lontano dall'area congelata. Lei sorrise e si mise in piedi, passandogli il micio, scuotendo la testa, non disse ancora una parola, ma lui non sembrò infastidito; prese il gatto ed iniziò ad accarezzarlo dietro le orecchie.

<<Piacere, Tomo, lavoro per la famiglia Kamisato come messaggero e segretario. Messaggero, soprattutto, in effetti. Mi piace viaggiare, anche se la vedo difficile con questa questione delle frontiere chiuse...>>

Blanco salì sulle spalle del padrone come se fosse un peluche e lui si sposto leggermente con il busto in avanti per non farlo cadere.

<<((Y/n)), di Snezhaya- Faccio qualche lavoro qui e lì. E' un bel gatto.>>

Provò con tutta sé stessa a sembrare calorosa e, forse, si disse, ci riuscì, perché il ragazzo d'avanti a sé si girò indietro, poi riprese il gatto in braccio e le sorrise.

<<Io ed un mio amico stiamo organizzando un falò, vuoi venire? Di solito ci raggiungono anche altri, ma oggi ci hanno dato tutti un palo>>

La casata Kamisato; sembrava una persona che comunque sarebbe potuta tornare utile. Sorrise e annuì, ringraziando il ragazzo per l'invito. Non sembrava una cattiva persona, lei in ogni caso sarebbe stata in grado di proteggersi. Lui le raccontò di come il tempo era bello lì già in quel periodo e di come non fosse mai stato nel paese della neve; fu una camminata breve, soprattutto per la compagnia. 
Arrivati, si ritrovarono d'avanti un ragazzo un po' più basso, i capelli bianchi con una vistosa ciocca rossa legati in uno chignon abbozzato, il kimono aperto similmente a quello del ragazzo che aveva incontrato all'inizio. 

<<Vedo che hai fatto amicizia, Tomo. Piacere>>

Il ragazzo sorrise placidamente mentre gli veniva incontro, ((y/n)) si presentò a colui scoprì si chiamasse Kahedara kazuha. 
Fu una sciocca serata dove fecero il bagno in mare mentre mangiavano meloni lavanda arrostiti: il dolce del frutto si mischiava al sapore di brace e di acqua salata, creando con se un gusto particolare e strano, ma buono. Sarebbe diventato un sapore di famiglia, nel tempo. Un sapore da cui tornare quando il mare si sarà schiarito dalle tempeste della guerra. 

-

Era il suo primo viaggio lontano di casa e la nostalgia durò poco; gli incontri e i bagni notturni, le amicizie nuove e sempre piacevoli, tutti i suoi passi che venivano accompagnati da quelli dei due ragazzi che l'avevano presa a cuore. 
Tutti ricordi che si andavano a contrapporre con il suo lavoro, adornato di tradimenti, morti e inganni, truffe, rapimenti e stratagemmi. 
Era stranamente confortevole quando Tomo, soprattutto, la proteggeva da irrequieti cittadini estremisti pro decreto che trovavano nociva la presenza di stranieri nella "loro" isola. Era sempre pronto a duellare contro giovani o adulti che fossero che tentavano di ferire la sua piccola "dariin"; la chiamava in questo modo buffo, non le spiegò subito il significato- e lei non glielo chiese. Una parola che sembrava così particolare pronunciata da lui di certo non poteva avere un significato negativo.
C'era qualcosa di estremamente bello nell'essere protetti da qualcuno che non sia sé stessi; c'è qualcosa di bello di essere protetto da qualcuno paradossalmente più debole, ma che con affetto punta la katana ben curata contro l'avversario, la visione che risplende sicura come i suoi occhi, dello stesso colore. 
Ed era bello pettinargli i capelli elettrizzati mentre l'altro gli fasciava le mani con le bende, ricondendogli quanto fosse imprudente iniziare una faida con chiunque solo perché ha commentato in modo volgare l'accento nordico di ((Y/n)).

<<Puoi biasimarmi, 'zuha? Primo, ho avuto io la meglio, secondo, non dobbiamo dare un cattivo benvenuto alla nostra ospite! Cosa racconterà poi quando tornerà a casa? Che ad Inazuma siamo volgari ed inospitali?>>

E cacciò una delle sue risate fiere, buttando indietro la testa e peggiorando la situazione nei capelli aggrovigliandoli ulteriormente intorno alla spazzola che la ragazza stava usando. Lui mugolò dolorante, loro risero anche se in modo contenuto, il figlio della libertà e il fiore di ghiaccio.
Se non ci fosse stato lui, avrebbe respinto quelle offese semplicemente continuando a camminare, magari esponendo alla luce del sole il proprio emblema da fatuus posizionato sulla bella divisa, divisa che per la stessa amicizia smise di indossare per uno yukata dopo poco tempo. 
Avrebbe mentito se avesse detto che l'amicizia dei ragazzi l'aveva cambiata, come un fulmine a ciel sereno- che però, ad Inazuma, in effetti, non erano tanto insoliti.
Ella era, pur sempre, legata alla Taritsa e non avrebbe mai tradito la sua signora. La si può biasimare? Era cresciuta in un contesto di amore distante e desideri irrealizzati, di neve fredda come gli altrettanto caratteri. Non sarebbe potuta venire su in altro modo ma, indiscutibilmente, non sarebbe potuta non cadere tra le braccia di tale e gratuito calore umano che il gruppetto di cittadini devoti ai fulmini le offrivano. 

Lui aveva capito, in cuor suo, il lavoro meschino nella giovane donna: quando le guardava il viso stanco la sera, quando la vedeva per la prima volta dopo averla aspettata tutto il tempo sulla spiaggia del primo incontro, vedeva lo specchio dei sentimenti di lei riflettersi completamente rispetto a chi teneva d'avanti. Per intendersi, quando la incontrava, i suoi occhi si illuminavano, l'andatura del passo aumentava e le compariva un accenno di sorriso in volto.
E quando invece spiava la sua figura per caso nella folla? 
Quando la vedeva discutere con certi uomini di fronte una tazza di tè tiepido in una tavola calda dove si recava spesso con Kazhua o quando scorgeva la sua figura in angoli della città poco frequentati a dialogare con altri della terra delle nevi, il suo viso era vuoto.
Non triste, non serio, vuoto.

E poi semplicemente, aveva visto la sua insegna, una volta.

<<Tomo, tu mi vuoi bene?>>

Disse una sera, ebbra, con i seni coperti da fasciature e l'intimità da una subligatula. Kazhua si era addormentato sul telo vicino al falò ed erano rimasti solo loro due seduti sul bagnasciuga a guardare le stelle. Il biondo batté un paio di volte gli occhi, lei riformulò la domanda.

<<Mi vuoi bene, anche solo un pochino? Ci tieni a me?>>

Lui, che già da prima si era girato verso di lei, la vide alzarsi di scatto dopo quella domanda ripetuta: si buttò nuovamente in mare. Lui la seguì ma lei si girò di spalle. Singhiozzava. Si era emotivamente legata a due sconosciuti di un paese che cercava di conquistare per la sua signora. Era lo straniero in una terra di sconosciuti; e non per l'etnia. Tomo non si perse d'animo; gli occhi viola che al buio sembravano neri e scuri, i capelli biondi appiccicati in testa in modo totalmente antiestetico ma caloroso. Le onde coprivano di poco il pianto della giovane brilla, lui le passò lentamente una mano nei capelli umidicci, dividendoli in tre ciocche più grandi e iniziando lentamente ad intrecciarli. Lei non si mosse né gli intimò di lasciarla da sola. Quando finì, le fermò la treccia col nastro che teneva al polso con il quale solitamente si legava la coda e lei si girò, aveva smesso di piangere.

<<Vuoi parlarne?>>

Lei scosse la testa, lui annuì. 

<<Ti voglio bene, comunque, te lo dico affinché tu lo sappia dato che non era chiaro...>>

Lei annuì a sua volta, poi si girò verso il fuoco che si stava spegnendo e guardò Blanco accucciolarsi più vicino a Kazhua che dormiva ancora sereno. Tomo fece lo stesso, poi tornò a guardarla avvicinando ulteriormente il suo viso. Lei gli strappò il primo bacio con la gentilezza delle onde che dondolavano intorno ai loro corpi dolcemente. Era anche il suo, di primo bacio, peccato che non lo sarebbe stato veramente, poiché di quella serata si dimenticò il mattino dopo. 

Si svegliò di mattina nel suo letto, probabilmente l'avevano riaccompagnata. Non ricordava molto, forse del pianto, ma non se ne fece il problema. Quando la sera rivide Tomo, lui la prese in disparte per qualche secondo e le chiese riguardo quella sera: ((T/n)) gli rispose che non doveva darci troppo peso e che le sarebbe passato presto, le capitava nei momenti di debolezza, era felice che fosse stato lui e non uno sconosciuto.

Non si spiegò quel sorriso finto sulle labbra di Tomo, né perché quella sera se ne andò prima, né il motivo del suo silenzio nei suoi confronti, spezzato solo da frasi brevi dette con un tono forzatamente allegro. Forse glielo voleva chiedere, ma un comportamento così bizzarro di un ragazzo così gentile sicuramente non poteva essere cattivo, vero?

-

Il suo lavoro era facile, ma gli incarichi e le riunioni le stavano prendendo sempre più tempo: talvolta non ritornava nella sua abitazione che la mattina presto, giusto in tempo per un paio di ore di sonno e per rinfrescarsi velocemente prima di tornare in servizio. La guerra civile iniziava a prendere forma e lei non era più circondata dal clima tranquillo di una vacanza, ma quello secco e vuoto della guerra. Tomo e Kazhua erano diventati meno facilmente reperibili essendo entrambi portatori di visioni e il comportamento del più alto l'aveva praticamente allontanata. Il più piccolo aveva provato a parlarle, ma nei suoi occhi si vedeva sempre un velo di tristezza e un leggero astio, come se lei avesse commesso un tale reato dal distruggere per sempre la fiducia dei due ragazzi.

Che avesse parlato del suo lavoro? O aveva fatto una battuta fin troppo volgare? Avrà parlato di qualche evento rivelatosi traumatico per i ragazzi o chissà cosa?

Si diresse alla sala da tè dove solitamente si intrattenevano i fratelli Kamisato e alcuni dei loro inservienti o domestici. Lei personalmente non vi era mai entrata, ma spiegò alla cameriera al difuori la situazione e questa le permise di aspettare lì il ragazzo che era nella sala con il suo capo per una questione "importante e personale". 

Tomo e Ayato solevano avere conversazioni private su donne e uomini che suscitavano il loro interesse, da uomini adulti quali erano, e si davano consigli di tanto in tanto: consigli che non sempre funzionavano, ma era già carino che se ne scambiassero. Con questa premessa quindi la reazione del capostipite, una volta che l'amico e messaggero gli aveva rivelato che perdeva il sonno la notte per una giovane di Snezhnaya, e perché egli reputò la questione di massima urgenza: scioccamente non aveva ancora realizzato la gravità della guerra che stava per avvenire, quindi quella, in quel momento sì, era la priorità assoluta. 

Aspettava Tomo mordicchiandosi l'interno della guancia e tiracchiandosi distrattamente le pellicine dalle dita, un brutto vizio che credeva di essersi finalmente tolta dopo l'addestramento per diventare parte dei fatui. Si dondolò sui tacchi, si guardò intorno, intrattenne una piccola conversazione con la donna che fuori dalla struttura annaffiava i fiori e poi lo vide uscire con un'aria un po' cupa.

Nonostante questo, la sua vista era abbastanza per farla disperare. Gli era mancato così tanto. Così tanto che se fosse stata un'altra persona gli sarebbe corso incontro, lo avrebbe abbracciato, si sarebbe fatta cogliere dal momento e avrebbe pianto e lo avrebbe baciato e gli avrebbe detto "perdonami, per quello che ti ho fatto, che sto facendo alla tua terra, scappiamo lontani e facciamo finta che nulla sia successo".

Ma era pur sempre una guerriera della Taritsa, quindi gli sorrise appena e alzò la mano agitandola un po' in cenno di saluto. Lui si inchinò, avvicinandosi senza però guardarla in viso. Aveva gli occhi leggermente arrossati ma molto stanchi, la visione era praticamente nascosta, la notò solo quando si sistemò la pettinatura per cercare di sistemarsi almeno un po': era legata al nastro che usava per i capelli ed era coperta dalla coda spettinata. 

<<((Y/n)), perdonami, non è un momento eccellente questo- possiamo parlarne poi? Magari anche questa sera->>

Annuì, non disse nulla, lui sospirò e le fece il più grande sorriso che poteva, salutandola sottovoce sorpassandola e allontanandosi. Ora, se lei fosse stata un'altra persona, gli sarebbe andato incontro, gli avrebbe chiesto cosa era successo, a lui e a loro, perché aveva pianto, perché sembrava stanco, perché non glielo aveva detto? Non erano nulla quei mesi per lui? Non era niente lei per lui?

Ma lei era comunque una figlia della regina delle nevi.

E allora perché ora era sulla spiaggia dove si era recato lui, perché lo stava abbracciando mentre lo sentiva chiaramente piangere? Perché gli sta ripetendo la parola "scusa", meccanicamente, come se avesse perso il possesso del suo io? 

Rimasero così per tutto il tempo necessario a far calmare il ragazzo che nascondeva il viso poggiandolo sulla spalla mentre la teneva stretta, singhiozzando ma non rispondendo a nessuna delle sue scuse. Mai aveva sentito una persona così vicina, mai si era lasciata avvicinare così tanto da qualcuno, mai la sua pelle era stata bagnata dalle lacrime di altri. E gli stava per dire altro, quando un brivido percorse tutto il corpo nonostante il caldo abbraccio. Gridò e spinse via il ragazzo, quasi con il terrore negli occhi. Gli intimò di allontanarsi, di non toccarla più e si incamminò a passo veloce da quella zona che sembrava pericolosamente quella del loro primo incontro.

Ma Tomo, quella volta, non se la tenne.

<<Lo fai di proposito? E' perché sei un fatuus? Perché hai della cattiveria innata dentro?>>

Non lo pensava davvero, voleva solo ferirla come lei stava ferendo lui. ((Y/n)) si arrestò sul posto e si strinse nelle spalle, non girandosi. Le sue parole potevano pure farle del male, ma ciò che aveva sentito in quell'attimo gelido era assai più spaventoso. 

<<Tomo, vattene da qui. Dalla mia vista e da Inazuma. Non avrai altre occasioni, posso coprirti solo per oggi. Salutami Kazhua da parte mia.>>

Nell'abbraccio, mentre il calore le accarezzava le membra dolcemente e si sentiva scogliere in quella dolcezza malinconica, i ricordi della neve le avevano invaso la mente. Lei, della sesta maschera, si allenava sotto le direzioni sadiche ma attente del suo mentore. Lo stesso che propose il suo nome a sua maestà, lo stesso che quindi l'aveva portata a conoscere il giovane ragazzo. L'allenamento della scaramuccia seguivano delle tattiche che servivano ad evitare le scaramucce stesse: i sentimenti e i legami interpersonali dettati da qualcosa che non sia la strategia portava inevitabilmente ad un prolungamento delle guerre e delle battaglie. E una lunga lotta non andava a genio a nessuno, nel loro lavoro bisognava essere rapidi. 

Lei non era una delle messaggere della Taritsa, ma prima di questo viaggio, le parlò personalmente, essendo stata incaricata di un compito così importante. Non la guardò in volto, il suo viso era rivolto per terra mentre si inginocchiava in segno di rispetto; le parlò piano, ripetendo il suo nome mormorando. La voce di sua maestà era così dolce. 
 Si alzò dal trono dove sedeva scendendo gli scalini di marmo: la giovane diplomatica non alzò lo sguardo, continuando a guardare le venatura delle pietre lucide che costituivano il pavimento mentre sentiva il ticchettio dei passi della regnante. La stanza era vuota e freddamente illuminata, nessuno era presente meno che loro due, non c'era pericolo per la vita della dea, quanto per quella della ragazza. 

<<Nete, tu sei di un trio, o erro? No che non erro, ma non lavorate tutte insieme, giusto? Mese è della nona maschera- e Ipate? Ipate è morta, giusto? Quanto mi duole. Sai perché Ipate non ce l'ha fatta?>>

Non rispondeva, ((Y/n)), nome in codice, Nete, una delle tre orfane strappate alla libertà per diventare figlie della neve. Nete, la terza corda della lira, ironico.

<<Sai come non si diventa come Ipate? Non si lascia che l'amore si intrometta nel lavoro.>>

Si fermò arrivata dietro di lei e si abbassò per metterle una mano sulla schiena, all'altezza del cuore. Il suo palmo era stranamente caldo, ma subito dopo sentì tutto il suo corpo diventare freddo, dalle punte delle dita, lentamente, fino alle braccia, dal naso fino ai denti. Ovunque, fino alle ossa, fino al cuore. 

<<Ricorda, non deludermi come hanno fatto le tue sorelle, non perdere tempo e non distrarti, non accontentarti, ricordati per cosa combatti. Sei molto promettente, ricorda che gli undici sono ora nove.>>

E rimosse la mano, tornando  a sedersi sul trono, battendo un paio di volte le mani e tornando a coprirsi il viso con un grazioso ventaglio. Il segnale fece aprire le porte alle guardie e la giovane potette finalmente congedarsi. 

-

La sua vita continuò tranquilla finché non fu Kazhua ad approcciarla. Da giorni, dopo il loro incontro, Tomo aveva iniziato a dire follie: continuava a ripetere che avrebbe chiuso lui questa situazione, che avrebbe sfidato l'arconte Electro con le sue stesse mani per riportare la pace ad Inazuma. Per quanto continuasse a dirgli che era una missione suicida, lui non voleva ascoltarlo, continuando con occhi vitrei ad allenarsi; quindi magari lei poteva convincerlo a desistere. 

<<O altrimenti, sarò disposto a segnalarlo. Senza la sua visione perderà magari le sue ambizioni, ma è per la sua salvezza- io non posso perdere anche lui.>>

Kazhua era visibilmente impancato, non l'aveva mai visto così agitato o spaventato. Il ragazzo solitamente aveva un comportamento molto pacato e tantomeno non si sarebbe mai aspettata che fosse il tipo di persona che tradirebbe un proprio amico in questo modo.

<<Non credo mi voglia ascoltare.>>

<<So chi sei, so cosa hai fatto e so tutto quello che c'è da sapere, ma devi aiutarmi. So che ci tieni a lui, so che non era tua intenzione ferirlo.>>

<<E se non fosse così?>>

<<Non ci avresti dato l'opportunità di scappare.>>

Si misero d'accordo per incontrarsi sulla spiaggia quella sera, lui avrebbe portato Tomo. Ma le voci circolano in fretta e non ci volle molto prima che vennero a scoprire che un "pazzo" si dirigeva verso il palazzo reale con l'obiettivo di sfidare la dea dell'eternità.

Fu una corsa contro il tempo, si mossero tra i curiosi che si tenevano a grande distanza ma che si accalcavano per le strade per assistere alla sorte del malcapitato. Era rimaneva in fondo alle scale, stava esitando, guardando il percorso che lo attendeva prima della sua potenziale morte. Si fermò per chiedersi cosa gli sarebbe rimasto se si fosse arreso adesso. Kazhua, per certo, ma sarebbero dovuti scappare da Inazuma. Ma allora perché ci provava? Perché così magari avrebbe potuto vivere con lei, una volta che la guerra sarebbe finita, anche se lei ne sarebbe uscita sconfitta e sarebbero dovuti scappare. Ma allora cosa desiderava? Un futuro dove avrebbe potuto vivere per sempre nella sua terra con entrambi i membri di questa famiglia costruita in quei mesi. Era davvero il tipo che cercava di ammazzarsi per la donna che ama? Non era pienamente così, non la conosceva da una vita, ma cosa gli sarebbe rimasto una volta scoppiata la vera e propria guerra? La sua patria sarebbe stata distrutta, la sua idea di famiglia inesistente poiché avrebbe dovuto scegliere dalla parte di schierarsi, la sua vita come la ricordava scomparsa per sempre. No, lui doveva impegnarsi per tutti, doveva almeno fare un tentativo. 

Si sentì tirare alla manica dello Yukata e dalla sorpresa si sbilanciò all'indietro, facendo un passo o due all'indietro.

<<Non lo fare, ti prego, vattene>>

Lei lo supplicava cercando di tenere stretta la presa sul suo braccio, ma lui aveva già bilanciato le proprie scelte con cura e attenzione. 

<<La tua vita è più importante di qualsiasi altro ideale, di qualsiasi guerra...>>

Kazhua rimaneva dietro con gli altri, guardandosi intorno in caso di individui sospetti, sperando che la loro amica sarebbe stata in grado convincere Tomo a desistere. Lo stesso Tomo che strattonò la manica per liberarsi dalla presa, girandosi solo al verso dolorante della ragazza. Le guardò le mani, le dita erano violacee e presentavano quella che sembrava della brina su di esse- e lei sembrava stranamente pallida.
Ma avrebbe concluso quella guerra, non importa cosa, e iniziò a salire i primi gradini.

Lei corse di nuovo verso di lui, aggrappandosi disperatamente al suo yukata gemendo di dolore e supplicandolo di fermarsi, le gambe sembravano cederle, come se non riuscisse propriamente a muoverle. Ma lui se la scrollò di dosso di nuovo. 
Era stanco di lasciare tutte le decisioni importanti a lei; non solo perché lei era un generale o quello che è significa che lui non aveva il potere di ribellarsi. 

Lui continuava a salire le scale sfoderando la sua katana, le guardie all'ingresso prese dalla situazione non corsero ad arrestare l'uomo, ma rimasero a guardare mentre in un altro tentativo la ragazza cercava di correre su per le scale, quasi arrampicandosi, ma invece di aggrapparsi a lui, tentò di saltare, cercando di raggiungere con la mano i capelli dell'altro. Sembrava un movimento strano, dato che nessuno sapeva il luogo in cui occultava la sua visione. Ma lo mancò per poco, ricevendo un colpo con il manico della katana all'altezza dei fianchi e cadendo di peso sulle scale. Si girò a guardarla, il suo viso pallido come il latte, le labbra viola e gonfie, la brina che sembrava formare delle squame di ghiaccio sul suo viso. Non sembrava stare bene, ma sarebbe finito presto e Kazhua l'avrebbe aiutata. Lo guardava tremando e lo supplicava con un timido movimento delle labbra. 

Tomo continuò fino all'ultimo gradino, le guardie gli sbarrarono finalmente la strada. E lui iniziò ad inveire contro la dea dell'ambra, gettandole il guanto di sfida di fronte a tutta Inazuma. Le parole della dea rimbombarono come tuoni, potenti, introducendo la sua comparsa di fronte al ragazzo.

<<Chi osa sfidarmi, sei tu, mortale?>>

<<Un duello onesto, la forza deciderà qual è l'ideologia vincente>>

<<E quale sarebbe la tua ideologia?>>

Lui si girò a guardare verso la ragazza che veniva aiutata da Kazhua ad alzarsi dalle scale fredde che rispetto al suo corpo risultavano bollenti. 

<<Il sangue sporcherà inevitabilmente le mie mani, ma posso almeno scegliere di chi. E io credo che la libera decisione del proprio destino, del cambiamento. Un popolo, le usanze..ma anche una singola persona può cambiare.>>

E strinse la presa correttamente sulla katana, mentre la dea annuì, facendo comparire un'appariscente lancia nelle sue mani. 

<<Sarai una vittima per piani maggiori, sii fiero del tuo sacrificio>>

Iniziarono a combattere, ma si vide da subito che Tomo era in svantaggio, annaspando ad ogni parata, non riuscendo ad attaccare nemmeno una volta. Il rumore dei passi di Tomo era l'unico rumore udibile insieme al tintinnio metallico delle lame che sbattevano l'una contro l'altra: per la dea, invece, i passi erano pari a quelli di uno spettro.

Lo sconfisse, lo buttò a terra e gli trafisse la spalla con la lancia, lasciandolo bloccato per terra finché non se l'estrasse dalla spalla da solo con le proprie forze che andavano svanendo. Tutti potevano osservare la scena, persino la povera giovane delle nevi che non chiuse gli occhi quando vide la dea sfoderare l'arma che sembrava nascosta dai seni, quando invece era conservata nel suo cuore. Né chiuse gli occhi, la piccola Dariin di Tomo, quando la dea giustiziò il ragazzo d'avanti a tutta la città. 

La visione cadde poco distante da loro, Kazhua impallidito sembrava mantenere un contato di vomito nel vedere l'oggetto sacro.

<<Prendilo e scappa. Vai via Kazhua>>

Glielo disse mentre il suo viso sembrava prendere colore e i suoi occhi perdere luce. Il ragazzo ci pensò, guardandola con le mani che tremavano per poi derubare la dea dal suo bottino e iniziare a correre inseguito dalle guardie. Quella fu l'ultima volta che la vide, che ebbe l'occasione di parlarle. Lei, della sesta maschera, fu rimandata in patria a lavorare come soldato ordinario, compito già abbastanza generoso, dato che ella aveva disonorato la sua promessa fatta alla Tsaritsa. 

Ma una sera, mentre fuori continuava a nevicare come avveniva negli ultimi mesi, anni, notò nel suo armadio ancora la sacca contenente tutti i tuoi ricordi di Inazuma. E ritrovò il nastro di Tomo, così come della sabbia in una piccola boccetta, una bacchetta con iscritta la sua fortuna- "Un giorno speso sentendosi vuoti porterà ad un sentimento di impotenza". Una risata amara le scappò dalle labbra e gettò la previsione- che ormai si era avverata- nuovamente nella sacca. Si ricorda bene di quel giorno, era prima del loro litigio: dopo di quello, anche se scettica, pensò che si riferisse a quello, ma alla fine la sua più grande sfortuna fu di gran lunga maggiore. 

Guardò la bacchetta di legno, poi ci ripensò e prese la sacca dal fondo, svuotandola in modo violento sul pavimento, facendone cadere il contenuto. C'era anche il suo yukata macchiato leggermente in un punto di melone, una poesia di Kazhua quasi illeggibile perché era stata bagnata dall'acqua salata e una lettera. Una lettera di cui non aveva la minima memoria. 

Il sigillo era stato fatto impacciatamente: era stato fatto imprimendo su di esso non lo stemma di una commissione quanto una conchiglia- inoltre, nella cera, era rimasto incastrato un pelo di Blanco. Ripensando a quel caldo umidiccio di Inazuma, ((Y/n)) quasi ebbe freddo. 

Quando Kazhua riuscì a seminare le guardie, si recò nell'abitazione di Tomo per prendere il gattino e lasciarlo a qualcuno di cui si fidava e una foto come ultimo ricordo. Nel farlo, però, trovò due lettere: una rivolta a lui stesso e una per "((Y/n)), dlya moyey malyshki". Le prese e, senza pensarci, le infilò nello zaino. 
((Y/n)), da parte sua, non se la stava passando bene. La sua scenata era arrivata ben presto all'orecchio di tutti i Fatui, tra cui i messaggeri. Fu riportata alla base con la violenza e le fu sottratta l'insegna in attesa del verdetto sul suo destino. Non ebbe accesso alla sua camera e fu trattenuta in un'altra stanza per quasi una settimana, mentre ogni secondo scandivano il suo avvenire che oscillava su un pendolo tra vita e morte. Fu questo il momento in cui Kazhua si introdusse nella sua vecchia stanza per nascondere nella sua sacca la lettera. 

Sorrise alla dedica, anche se la trovava leggermente sbagliata, ma era già molto per qualcuno che mai aveva parlato il dialetto di Sneznhaya. Aprì il sigillo lentamente facendo attenzione a non rovinarlo, pronta a leggere quell'ultimo messaggio di Tomo che l'era rimasto. 

"Mia Cara ((Y/n)),
spero questa lettera ti arrivi, è solo un piano B in caso l'A fallisca.
Ma non fallirà, sono certo che non fallirà.
Ma in caso fallisse, spero che qualcuno pulisca questa topaia e trovi questa lettera- e te la consegni. E' molto importante per me, ma non voglio dartela di persona, sono stato scortese e non vorrei tu la buttassi subito. Ecco, magari dovrei lasciare una nota vicino con su scritto <<datela a ((Y/n)), ma dopo un po'>>.

Ma questi sono solo i miei pensieri, anche se alla fine tutta la lettera tratterà di essi. Vorrei dirti mille motivazioni prima, scrivere un intero trattato- ma non sono il tipo, quindi arriverò al punto.
Quando finirà questa guerra, voglio sposarti. <<Ma Tomo, come fai a sposarmi se sei morto!>>, non lo farò, infatti, volevo solo togliermi lo sfizio di dirtelo. Non voglio morire con dei rimpianti. Non abbiamo avuto nulla, né lo avremo, ma mi sarebbe piaciuto dirtelo ed essendo questo il mio testamento riguardante i miei sentimenti per te, mi sembra di potermi permettere di dirtelo. 

Voglio sposarti, quando finirà questa guerra. Scapperemo dalle nostre costrizioni e vivremo in una bella casa, magari a Fontaine, con tutte quelle usanze strane e il cibo pieno di burro. Sembra una città molto elegante però, non credi? E cresceremo Blanco insieme finché non avremo un figlio tutto nostro. E lo chiameremo con un nome del posto, così da lasciarci alle spalle le nostre storie passate. Sono sicuro tu riusciresti a lavorare come diplomatica anche lì- io potrei continuare a fare il messaggero. E Kazhua potrebbe vivere vicino, anche se lui mi sembra più il tipo da viaggiare molto. 

Ma non succederà mai, non sembri il tipo da vita sedentaria- e nemmeno io lo sono. Quindi forse saremo in tre a viaggiare, quattro con Blanco. E sarebbe comunque una bella vita. 

Ma non succederà mai, perché come ti ho già detto sarò morto. E spero che tu sia sopravvissuta alla guerra. I conflitti lasciano a malapena speranza per sognare un futuro pacifico- ecco perché sto per fare quello che ho deciso di fare. Se riuscirò, allora forse, forse avremo ciò che desidero, se lo desidererai anche tu, s'intende. 

Mi mancherai, quando sarò morto.
Ma dopotutto, sento la tua mancanza anche ora che sono vivo. 

Con affetto, molto, molto affetto,
-Tomo"

Non pianse, la ragazza, ma nascose la lettera in un punto della stanza che, se dimenticato, sarebbe stato impossibile persino a lei da trovare. Era il suo piccolo tesoro, di una sposa senza matrimonio né marito.


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