~One.~
2021
Toge Inumaki x Reader ( F )
[T/N] = Tuo Nome.
[T/C] = Tuo Cognome.
[C/C] = Colore Capelli.
Colore occhi: Nero.
Sesso: Femminile.
Anime: Jujustu Kaisen.
Personaggio: Toge Inumaki.
Parole: 2049.
*
*
*
[T/N] non credeva nel destino.
Non credeva nelle scelte che seguivano un binario e neanche in un grande disegno, fatto da un Bene Superiore.
[T/N] non credeva nel fato, non credeva nelle coincidenze fortuite e non credeva neanche nella bizzarra eventualità della sorte.
[T/N] non credeva in cose assurde come "l'amore a prima vista" o il "colpo di fulmine".
Non credeva nelle "sensazioni a pelle".
Lei era certa che vite straordinarie fossero solo per persone straordinarie.
Che i sentimenti travolgenti fossero solo per coloro che, forse un po' ingenui e forse un po' coraggiosi, si sforzassero di vederli.
Si definiva cieca, [T/N] poiché sapeva che la felicità, per lei, non era altro che una parola vuota, priva di significati e di ricordi.
Le vite straordinarie erano solo per persone straordinarie.
Vite mediocri erano per persone mediocri.
[T/N] si definiva, a stento, una persona mediocre.
Non si sentiva bellissima, non aveva un corpo altissimo e snellissimo - come le modelle nelle riviste - e non aveva neanche quelle taglie forti, capace di far posare gli occhi degli uomini su di lei.
Era una ragazza normale, dalla normale statura, dal viso anonimo, dal corpo comune.
Non spiccava tra la folla, anzi lei faceva di tutto per mescolarsici a fondo.
Ma aveva solo una cosa che la rendeva unica, nella sua banalissima normalità: la sua tristezza.
Per qualcuno potrebbe sembrare qualcosa di raccapricciante, avere come unico punto di forza un animo tormentato, ma per [T/N] era un privilegio.
La sua vita non era per nulla stata facile.
Era nata da un amore clandestino e giovanile, tra uno Stregone e sua madre, una semplice umana.
Suo padre, per motivi a lei sconosciuti non si prese mai cura di quella famiglia, abbandonando entrambe quelle donne al loro triste destino.
[T/N] crebbe con la sola donna, ed un fratello, nato da un successivo amore, tanto travolgente quanto rapido a spegnersi.
Imparò sin da subito che cosa volesse dire aver paura, che cosa volesse dire soffrire e che cosa volesse dire vivere quella vita.
Non era vita per lei, quella che conduceva in quella casa, sotto le costanti minacce della madre di abbandonarla poiché frutto di un uomo che ormai lei detestava.
Non era vita per lei, subire abusi e percosse, non era vita per lei piangere nel cuore della notte poiché stremata dalla sete.
Per quanto suo fratello provasse un senso di pietà per lei, volendo stringere un rapporto diverso con la sorella, non era facile disobbedire alla loro madre.
[T/N] si rese presto conto che non poteva esistere un destino, non poteva esistere un Bene Superiore, che avesse scelto questa vita per lei.
Non poteva essere destinata a queste sole sofferenze, non poteva credere che la sua intera esistenza fosse una semplice combinazione di orrori e tristezze.
Scelte sbagliate producono conseguenze sbagliate.
Lei era l'effetto degli errori dei suoi genitori, e lei ne stava adesso, scontando la pena da sola.
Un giorno, un ragazzo appena adulto, dall'aspetto bizzarro e peculiare, attirato- come le aveva detto lui- dalla forte Energia Malefica, che aleggiava in quella casa, bussò alla porta.
Si presentò come uno stregone, divenuto da poco professore all'Accademia di Arti Oscure di Tokyo.
[T/N] non riuscì a sentire il suo nome, poiché troppo concentrata a ricordare ogni dettaglio del suo viso.
"Gli occhi, voglio vedergli gli occhi."
Fu tutto quello che riuscì a pensare.
Gli eventi di quel giorno furono ancora più confusi:
La sua casa prese fuoco, suo fratello morì in quell'incidente, sua madre mentre moriva, arsa viva, maledisse il suo nome.
<< La tua tristezza, ti renderà unica.>>
Quell'uomo non le disse più nulla, la lasciò in balia di se stessa, come se fosse un ceppo di legno che presto o tardi, sarebbe servito per ardere il fuoco.
Le succedeva spesso di venir ignorata, le succedeva spesso di autocommiserarsi, nonostante quel giorno, avesse solo 9 anni.
Nessuno le aveva mai detto, però, che la sua tristezza potesse essere qualcosa di bello.
Che poteva trarre forza, dal suo immenso dolore, e che lei era l'unica in grado di sopportare tale peso.
Non pianse quel giorno, per la morte di sua madre.
Si strinse negli abiti usurati di suo fratello, e si incamminò.
Doveva scegliere se morire anche lei lì, assieme alla sua famiglia, o se scegliersi una morte migliore.
Lei credeva nelle scelte che solo lei intraprendeva.
Così scelse, quel giorno, di trovarsi un posto diverso nel mondo, in cui morire, lontano da tutto ciò.
Visse per 7 anni in un orfanotrofio.
Dapprima uno a Tokyo, poi uno ad Osaka e per finire uno ad Hiroshima.
Posti diversi ma l'aria che si respirava al loro interno era sempre opprimente, sempre la stessa, carica di delusione e di rimpianti.
Forse per lei, alla fine, quella era proprio l'aria di casa.
Rimasta sola, non ebbe molta scelta se non quella di crescere, e di farlo anche più in fretta degli altri.
Aveva 16 anni ormai.
Le rimanevano solo 2 anni da passare in orfanotrofio prima che la mandassero via.
[T/N] non pensava mai al futuro, non faceva piani a lungo termine e cercava, di non vedere più lontano di quello che i suoi occhi potessero percepire.
Per questo non vide il giorno in cui quell'uomo si ripresentò nella sua vita.
Per questo non si accorse che era tornato a prenderla.
Per questo non riuscì ad accettare il fatto di dover tornare a Tokyo con lui, di ritrovarsi nuovamente in mezzo a robe assurde come " L'Accademia di Arti Occulte".
[T/N] voleva dimenticarle tutte quelle cose, voleva abbandonare ogni residuo della sua vecchia vita.
Voleva vivere la sua esistenza mediocre, in mezzo alla normalità delle persone mediocri.
Voleva recidere il legame con quelle radici così dolorose del suo passato.
Ma Satoru Gojō, l'uomo bendato dei suoi incubi, era tornato per lei, l'aveva adottata e l'aveva portata con se, facendola ripiombare in quell'opprimente realtà dalla quale aveva faticato per allontanarsene.
[T/N] voleva odiarlo, quello stregone, così come odiava tutti gli altri; però non ci riusciva.
Era l'unica figura che l'aveva accolta, seppur in ritardo di 7 anni, nella sua vita.
Le aveva promesso un'esistenza migliore, nonostante avesse solo 32 anni.
[T/N] non credeva nella fiducia, non credeva nell'amore e non credeva neanche nel destino.
Eppure adesso era lì, in preda ad una crisi isterica, dopo aver urlato contro Satoru Gojō per l'ennesima volta, dicendogli che quel posto per lei, non sarebbe mai stato casa.
Non era fatto per essere padre, Satoru Gojō, allora perché l'aveva cercata in tutto il Giappone?
Perché proprio lei, tra tante orfanelle tristi e disadattate?
Perché aveva faticato, per anni, al solo scopo di trascinarla nuovamente a Tokyo?
Perché aveva voluto lei, se alla fine, le stava nuovamente dicendo che sarebbe partito per qualche settimana?
[T/N] non lo sapeva, forse non voleva neanche saperlo, poiché aveva la sensazione che sarebbe stata una verità troppo grande per lei.
[T/N] non credeva nel destino.
Non credeva nelle scelte che seguivano un binario e neanche in un grande disegno, fatto da un Bene Superiore.
[T/N] non credeva nel fato, non credeva nelle coincidenze fortuite e non credeva neanche nella bizzarra eventualità della sorte.
[T/N] non credeva in cose assurde come "l'amore a prima vista" o il "colpo di fulmine".
Non credeva nelle "sensazioni a pelle"
Allora perché, davanti quello sguardo violaceo, stava tremando?
L'attimo in cui le loro iridi si incontrarono, fu davvero breve, poiché [T/N] abbassò gli occhi subito dopo, ma fu sufficiente per lei per farla sentire messa a nudo.
Si sentì improvvisamente spogliata dalle sue debolezze, dalla sua inettitudine e dal suo senso di inadeguatezza.
Non si sentì, per un brevissimo istante, una persona mediocre alla quale era destinata una vita mediocre.
Che cos'era quella sensazione?
Che cos'era quell'incerto palpitare?
Che cos'erano, quegli intensi zaffiri porpora, che avevano incontrato i suoi insulsi e tristi occhi scuri?
[T/N] attendeva, mentre vacillava, nella sua convinzione di avvicinarsi.
Ma la persona a cui appartenevano quegli occhi rapaci, non diceva alcuna parola.
La fissava, facendola sentire scossa più di quanto già non fosse.
[T/N] si disse che era ancora turbata per la furiosa litigata che aveva avuto con Satoru Gojō, che non c'era niente di speciale in quegli occhi, che sembravano scrutarla dentro l'anima.
Il suo sguardo si posò sulla divisa di quel ragazzo.
Era semplice, nera, con il colletto rialzato fin sopra la bocca.
Un unico bagliore, fece il bottone dorato posto sulla parte destra del suo petto.
Era uno stregone.
[T/N] inorridì nel vedere che anche quegli occhi, che la mettevano così a disagio, appartenevano in qualche modo, ad una di quelle categorie di persone che lei detestava.
Il subbuglio che aveva dentro, fece largo ad una nuova ondata di delusione.
Un altro stregone nella sua vita, in quell'Accademia così inusuale per lei, che la guardava da cima a fondo senza proferir parola.
<<Ma non parli?>> disse [T/N], piegando leggermente il capo di lato, per scorgere altri dettagli di quel viso in penombra.
*
<<Salmone.>> rispose Inumaki.
Che altro avrebbe potuto dirle?
Che altro avrebbe mai potuto dire, uno come lui, ad una come lei?
<< S-Salmone?>> ripeté lei, trattenendo a stento una nuova crisi.
L'aveva spaventata? L'aveva infastidita?
Inumaki proprio non sapeva come comportarsi, in quella situazione.
Non avrebbe potuto consolarla, per tanto si limitava a guardarla, come se stesse studiando a fondo l'espressione dipinta sul suo viso.
Era curioso Inumaki.
Curioso e vorace di conoscere ogni più insignificante sfaccettatura della realtà.
Voleva sapere di più su quella ragazza, voleva conoscere le sue motivazioni dietro quel viso così dolente, voleva vedere più da vicino che suono facessero le sue emozioni e di che sfumatura fossero.
Voleva imparare Inumaki a conoscerla meglio, ma non potendo farlo nel modo più convenzionale, si limitava a registrare ogni dettaglio nella sua mente.
*
Perché incontrava solo gente bizzarra e stramba?
Perché non poteva vivere la sua vita ordinaria in tranquillità?
Perché si ritrovava sempre in mezzo a quelle peculiarità assurde che finivano, inevitabilmente, per ferirla?
Prima suo Padre.
Poi Satoru Gojō e adesso questo ragazzo, immobile, che diceva solo poche cose strane.
[T/N] sospirò, voltandosi per andarsene, quando sentì nuovamente quel ragazzo aprir bocca.
<<Tonno.>>
Ma che diamine voleva dire?
Prima "Salmone", poi "Tonno"; ma che situazione ambigua era quella, in cui si era cacciata?
Voleva chiedergli se l'avesse sentita piangere, voleva scusarsi per essersi mostrata così patetica agli occhi di questo sconosciuto, ma alla fine [T/N] andò via, consapevole del fatto che lui non le avrebbe mai dato le risposte di cui lei necessitava.
*
Inumaki ricadde a terra, continuando a tenere i piedi in quella fontana, che ora gli sembrava assurdamente fredda.
Si sbottonò il collo della divisa, rivelando i suoi caratteristici segni del clan Inumaki.
Si sentiva distrutto, stanchissimo Toge Inumaki, aveva il fiato corto e necessitava di prendere aria.
Ansiava, mentre si portava un braccio sugli occhi.
Nell'oscurità a cui si costringeva, Inumaki, si sentiva ancora attratto da quegli occhi.
Inumaki, per proteggere gli altri e ancora prima se stesso, limitava fortemente il suo vocabolario, ai soli ingredienti necessari alla realizzazione degli Onigiri.
Si sentiva, per la prima volta, un perfetto idiota, per non averle chiesto il nome.
Si morse la lingua, da solo, sentendo per la prima volta il peso del suo amato silenzio.
Voleva fortemente, un qualcosa che non avrebbe potuto avere.
Non poteva dare una forma ai suoi pensieri, ma dentro di se sapeva bene che cosa gli fosse appena successo.
Adesso doveva solo scegliere che strada imboccare:
Se negare con tutte le sue forze, di aver visto quel vibrare, di aver percepito quel suono e quel colore, di quella sensazione.
Oppure se lasciarsi andare, accettando quello che aveva visto e percepito; ammettere che era stato colto impreparato, da quell'emozione tanto nuova quanto antica.
Inumaki cercò in tutti i modi di far tacere la sua testa, di serrare il flusso dei suoi pensieri, così come sigillava le sue labbra.
Sospirò, mentre si trascinava nella sua camera, nel vuoto silenzio dell'Accademia, in quella nottata non più così tranquilla, di un giorno di inizio estate a Tokyo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top