The Past Recedes


Svegliarsi ogni mattina prima delle sette, infilarsi la divisa scomoda e antiestetica, fare colazione nel giro di qualche minuto - rischiando anche di strozzarsi -, prendere l'autobus insieme ai comuni mortali per poi rinchiudersi all'interno delle mura fredde della scuola per qualche ora al giorno, insieme ad una massa di compagni con le facce smunte e delle grosse occhiaie sotto agli occhi e con una lingua troppo lunga.

Quella era stata la mia vita per cinque anni, gli anni del temibile liceo, gli anni della difficile adolescenza, gli anni che, col senno di poi, gli adulti definiscono "i più belli della loro vita". Ovviamente, per me non è stato così.

Non ero la tipica figura femminile disegnata dalle scrittrici romantiche americane, non avevo bulletti alle calcagne, né qualcuno che mi prendesse in giro per qualche difetto fisico o semplicemente per il fatto di essere troppo silenziosa: semplicemente, ero invisibile. Ogni mattina varcavo la soglia dell'entrata in punta di piedi, stringendo con forza le bretelle dello zaino pesante, e ascoltavo la musica con gli auricolari, non degnavo nessuno né di uno sguardo né di un saluto, anche perché quei pochi amici che avevo si trovavano sempre già in classe. Pensandoci, però, ogni tanto un'eccezione la facevo: Julian gironzolava per la scuola prima del suono della campanella con gli occhi illuminati e curiosi come quelli di un bambino, salutava qualche ragazzo e qualche ragazza qua e là o spiava i titoli dei libri esposti sugli scaffali. La maggior parte delle volte nemmeno mi vedeva, o almeno, stavo attenta a non farmi vedere, perché mi piaceva veramente tanto guardarlo mentre era solo, senza quei trogloditi dei suoi amici e quella poco di buono di Ariane. Altre volte, invece, i suoi occhi scuri si posavano per sbaglio su di me, e meccanicamente alzava la mano in segno di saluto, probabilmente per educazione. Eravamo in classe insieme, ma ci eravamo parlati forse due volte, e sempre a monosillabi. Eppure, nonostante ciò, non riuscivo a non avere una cotta per lui, a non pendere dalle sue labbra.

Julian aveva molte spasimanti in giro per la scuola, e come biasimarle, era un promettente calciatore - tutti sapevano che prima o poi sarebbe arrivato a giocare per la Mannschaft -, e poi aveva un sorriso dolce che avrebbe potuto far sciogliere anche il cuore della ragazza più fredda e rigida. A me, ovviamente, poco importava che fosse un calciatore e che, probabilmente, un giorno sarebbe arrivato ad alti livelli, tanto di calcio non ne sapevo niente. A me piaceva lui, mi piaceva l'espressione terrorizzata che aveva durante le interrogazioni, mi piaceva il modo che aveva di togliersi la giacca blu della divisa, mi piaceva vederlo sorridere con i suoi amici e persino vederlo concentrato durante le verifiche.

Per cinque anni, ininterrottamente, mi sono limitata ad amarlo in silenzio, facendomi bastare quei pochi sguardi, quelle poche parole, e costudendo il tutto come fossero pietre preziose.

Da allora sono passati quattro anni, e fino a cinque mesi fa non avevo la minima idea di dove fosse andato a finire Julian. Non posso negare di non averci mai pensato, di non aver mai avuto la tentazione di scrivere il suo nome su Google per constatare se, effettivamente, aveva realizzato il suo sogno, ma semplicemente mi sono sempre data l'ordine di lasciarmi il passato alle spalle, di non farmi intrappolare da esso, e godermi il presente. La mia missione sarebbe stata più semplice se non l'avessi rincontrato.

Fuori, la notte si è impossessata del cielo già da qualche ora, in fondo siamo in pieno inverno e le tenebre calano già nel tardo pomeriggio. Guardando dalla finestra, si può intravedere la luna piena che illumina la piana in cui si innalza la città, e tutto visto da questa piccola stanza buia sembra essere un pochino più magico.

Julian, con il suo quasi metro e novanta d'altezza, scruta attentamente i cartelloni appesi sulle pareti di quella che, una volta, era la nostra classe. Il mio sguardo non può fare a meno di abbandonare il cielo notturno e posarsi su di lui, che stasera è vestito più elegantemente del solito: ha una camicia bianca che sembra esser stata disegnata apposta per lui, semplicissima ma adatta all'occasione, e sotto un paio di pantaloni neri, stretti al punto giusto, che gli fasciano perfettamente le cosce toniche. Dal liceo, Julian è diventato più bello, più maturo, sebbene il suo viso mi ricordi sempre quello di un bambino dagli occhi vispi e dalla pelle liscia.

Si volta, improvvisamente, e come folgorato da un fulmine a ciel sereno, mi dice con un sorrisetto innocente: "perché non eravamo amici al liceo?"

Incrocio le gambe sopra al banco in cui sono seduta, e non posso fare a meno di assumere un'espressione pensierosa, anche se c'è veramente poco da pensare. Julian mi ha posto questa domanda con l'innocenza di un bambino, come se davvero non si fosse mai reso conto della gerarchia sociale che c'era - e probabilmente c'è - al liceo. Lui era il ragazzo per eccellenza, io ero una delle tante invisibile che c'erano per la scuola.

"Semplicemente perché appartenevamo a due gerarchie sociali diverse, e lo sai che questo accade quando si è adolescenti" sorrido, cercando di apparire serena, nonostante io sappia che, spesso, il passato mi turba ancora. Io e Julian, ora, siamo amici. Ma cosa significa essere "amici"? Forse lui saprebbe rispondere meglio a questa domanda. Io, nel profondo, non ne sono capace perché per me Julian non sarà mai un amico: sarò sempre innamorata di lui, finché potrò.

"E dimmi, se potessi, cosa diresti al Julian diciottenne?" una domanda innocua, può sembrare. Julian si siede in un banco di fronte a quello nel quale mi trovo io ed aspetta la mia risposta con un sorriso leggero dipinto sul volto. Quello stesso sorriso in cui mi perdevo, al liceo. Quello stesso sorriso in cui mi perdo ora, incapace di dare una risposta che non si riferisca nemmeno minimamente a quello che provavo, a quello che provo per lui. E' forse per questo motivo che, in un modo o nell'altro, in questa notte con la luna piena dove io e Julian siamo soli, decido di essere finalmente sincera.

"Avrei un bel po' di cose da dirti - sospiro, facendo ordine nella mia mente - e ti direi che ho passato cinque anni e guardarti senza che tu ti accorgessi di niente, perché mi piaceva terribilmente guardarti di nascosto, e conoscevo ogni tua minima espressione. Ti direi che quando mi sorridevi, mi rendevi la ragazza più felice del mondo, ma anche che quando ti vedevo con qualche ragazza, il mio cuore si frantumava in mille pezzi, anche se non lo davo mai a vedere. Ed infine ti direi che ti ho sempre amato, anche se non ho mai avuto il coraggio di dirtelo" con gli occhi lucidi e la voce tremante, racconto tutto a Julian, non riuscendo però a sostenere il suo sguardo che, via via, diventa sempre più vuoto. Alla fine i miei occhi scrutano interessati il pavimento, perché hanno paura di ciò che potrebbero scorgere sul viso di Julian. L'ho fatto, è l'unica cosa che riesco a pensare, il mio passato non è mai realmente passato.

Dopo qualche secondo di silenzio, mi alzo e mi concedo di guardare Julian: le labbra serrate, lo sguardo perso nel vuoto e le mani che stringono con forza la stoffa dei pantaloni. Ho fatto un casino, lo so, ma l'unica cosa che posso dire, con quella poca forza che mi rimane è: "mi dispiace".

In punta di piedi esco dalla stanza, lasciandovi dentro Julian ed il mio passato. Forse dovevo farlo, forse è questo il modo giusto per far sì che il passato non intralci più la mia vita. Forse. Ma sicuramente, lo amo ancora. Sicuramente, non ho mai smesso.

Percorro il lungo corridoio della scuola e torno in aula magna, dove la festa riservata agli ex studenti va avanti senza problemi, perché in fondo nessuno, qua dentro, è a conoscenza del vuoto che quella confessione ha portato dentro di me.

Raggiungo i miei amici - che sono anche quelli di Julian - e cerco di sorridere spensiaratamente ad Anneke e Carolin, cerco di ballare e di divertirmi, di non pensare allo sguardo perso di Julian, che ancora non ha fatto ritorno alla festa. Ci provo, ma non ci riesco. Nessuno lo nota.

Dopo qualche lungo, lunghissimo minuto il dj cambia canzone, annunciando l'arrivo di un lento dedicato alle coppiette presenti. Perfetto, penso, facendo una smorfia poco percettibile.

"When your legs don't work like they used to before

And I can't sweep you off of your feet

Will your mouth still remember the taste of my love

Will your eyes still smile from your cheeks"

Le note di "Thinking Out Loud" di Ed Sheeran si diffondono per la grossa aula magna, ed i miei amici cominciano a fischiare ridendo: hanno sempre odiato i lenti, specialmente perché sono tutti felicemente single. Io, in cuor mio, non posso fare a meno di pensare che questa canzone l'ho cantata, l'ho cantata pensando a lui.

"And darling I will be loving you 'til we're 70

And baby my heart could still fall as hard at 23"

"Ti va di ballare?" una voce lieve, proveniente da dietro le mie spalle, mi accarezza con delicatezza le orecchie e, con una lentezza estenuante, anche il cuore. Riconoscerei la voce di Julian tra mille. Mi volto, con un sorriso che si sta insinuando sulle mie labbra, anche se non dovrebbe. Non si deve mai sorridere al passato, se ci tormenta.

Eppure, non ci riesco. Non riesco a non sorridergli, non riesco a non notare i suoi occhi che brillano di luce propria e la sua mano liscia tesa verso di me, in attesa di una risposta che in fondo già conosce. Non gli direi mai di no, così l'afferro.

"And I'm thinking 'bout how people fall in love in mysterious ways

Maybe just the touch of a hand

Oh me I fall in love with you every single day

And I just wanna tell you I am"

Mi stringe a sé, e deve passare solo qualche secondo per far sì che l'imbarazzo mi abbandoni del tutto. Non esito ad appoggiare la testa sul suo petto, a guardare il suo profilo da bambino dal basso, a respirare il suo profumo come se fosse il mio. Non ne posso fare a meno.

"Mi hai fatto sentire amato con le tue parole, mi fai sentire amato ogni volta che mi stai accanto" sussurra lievemente, con gli occhi chiusi e le mani che, appoggiate sulla mia schiena, mi tengono ben stretta lui.

"Forse perché ti amo sul serio" e lui apre gli occhi, sorpreso, con uno sguardo che luccica. Si abbassa quel che basta per unire le sue labbra alle mie in un bacio semplice, inaspettato, desiderato. Un bacio che sa di tutto, tranne che di passato.

"So honey now

Take me into your loving arms

Kiss me under the light of a thousand stars

Place your head on my beating heart

I'm thinking out loud

Maybe we found love right where we are"

"Non potevo chiedere di meglio che esser amato dalla persone che amo" soffia, ad un passo dalla mia bocca. Vorrei rispondere, vorrei dirgli che per me è la stessa cosa. Tuttavia, ogni parola sarebbe superflua. Semplicemente, il passato si allontana.

SPAZIO AUTRICE

Ciao a tutte! Eccomi qua con una one-shot su Julian Draxler, fatemi sapere cosa ne pensate! :) 

Un abbraccio, bellamysvoice

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