Capitolo 2

“hei bellissima!”
Anne venne, sorridendo, verso di me.

“vediamo che ti sei fatta!”
Avevo cinque anni, ero caduta dalla bicicletta facendo una gara con Harry.

“si è fatta male mamma!”
I ricci sudati gli cadevano sulla fronte, era dispiaciuto, pensava fosse colpa sua. Io non piangevo, mi guardavo intorno, forse cercando mio padre, che non c’era…

“vieni qui”
Anne mi prese in braccio portandomi in casa ed Harry ci seguiva a ruota. Appena entrammo dentro vedemmo mio padre baciare un’altra donna, era bionda, non capivo chi fosse e guardai Anne. Aveva le lacrime agli occhi. Non capii molto, ero solo una bambina.

“mamma! Mamma! Chi è quella?”
Chiese Harry tirando la sua gonna per richiamare l’attenzione.

“chiedilo a lui!”
Disse con disprezzo. Mi mise per terra.

Mio padre, sentendo le voci, si girò e si allontanò dalla ragazza bionda accanto a lui.

“Anne non è come sembra!”
Disse mio padre cercando di scusarsi.

“invece credo di si!”
Prese la mano di Harry e con le lacrime agli occhi uscì fuori. Cercai di correre fuori zoppicando, la gamba faceva ancora male.

“Anne! – urlai – Harry aspettami!”
Volevo andarmene con loro, volevo scappare da quel mostro.

Poi tutto buio.

Aprii gli occhi, non avevo più cinque anni, ne avevo 18. Avevo il fiatone ed ero sudata.

“Renèe!”

Mi richiamò la voce delicata di una bambina e mi girai.

“tutto bene?”

Disse lei sulla soglia della porta. Era in pigiama, il viso assonato e il suo orsacchiotto preferito in mano. Leila.

“hei! – cercai di sorridere – s-si sto bene, perché?”

Chiesi alzandomi dal letto e andandole incontro.

“hai urlato”

Disse abbassando la testa ma continuando a guardarmi. Aveva 10 anni, non era molto piccola. In tutti questi anni l’ho sempre accudita io, le facevo da mamma, perché il padre era come se non ce l’avesse.

“no…ho fatto solo un brutto sogno, tranquilla.”

La tranquillizzai abbassandomi alla sua altezza e accarezzandole il viso.

“va bene.”

Disse sorridendomi.

La presi per mano e scendemmo sotto. Di mio padre nessuna traccia, i cocci erano ancora lì per terra, figurati se avrebbe pulito. Stavo per entrare in cucina ma Leila mi fermò bruscamente.

“perché il vaso è rotto?”

Chiese ingenuamente.

“bhe…l’ho urtato ieri notte, stavo andando a bere.”

Mentii. Non doveva sapere tutte quelle cose, era solo una bambina e non avrei permesso a mio padre di rovinare anche la sua infanzia, aveva già rovinato la mia vita ma lei non l’avrebbe dovuta toccare neanche con un dito.

Si sedette al tavolo ed io le preparai la colazione.

“Renèe…”

Mi richiamò Leila.

“dimmi!”

Dissi senza girarmi e continuando a preparare il suo latte ed il mio caffè.

“perché hai dei graffi sulle mani ed un livido sulla guancia? – mi fermai di colpo – ti sei fatta male con il vaso?”

Chiese. Aspettai un po’ prima di parlare.

“si. È per i cocci.”

Dissi tra i pensieri.

Dopo aver fatto colazione ci preparammo e poco dopo sentii bussare alla porta.

Saranno i miei amici.

“hey Renèe! Leila!”

Urlò Abbie. Io e lei siamo molto amiche, ci siamo conosciute alle medie e siamo ancora insieme. Neanche lei sa di mio padre, non sa che a volte mi picchia, non sa che piango in silenzio, non sa niente. Non lo conosce neanche mio padre. In tutti questi anni l’avrà visto due o tre volte, non di più. Abbie è alta, occhi verdi e capelli castano chiaro. Si veste sempre alla moda e cerca di far vestire me come lei. Dice che se voglio trovare qualcuno devo smetterla di stare rintanata a casa a studiare e dice che devo cominciare ad andare alle feste.

“hey bellissime!”

Dopo Abbie entrò Jason. Lui è il mio migliore amico, siamo stati insieme per due settimane, ma poi abbiamo capito che nessuno dei due voleva una relazione con l’altro. È alto, capelli neri e occhi azzurri. Il ragazzo che tutte vorrebbero, ma lui cerca la ragazza giusta, vuole una relazione seria e non una relazione così.

“cosa volete fare?”

Chiesi sorridente.

Vidi Abbie guardarmi stranita.

“c-che succede?”

Chiesi.

“hai un livido in viso? Come l’hai fatto?”

Cosa potevo rispondere? Leila mi guardava con viso interrogativo e Jason era con le braccia conserte a fissarmi.

“si è fatta male con un vaso, anche le mani – mi prese le mani per mostrargliele – vedete?”

“con un vaso?”

Domandò Jason sospettoso.

Ritirai immediatamente le mani e sorrisi nervosamente.

“s-si, ieri notte avevo sete, ho urtato il vaso e mi sono tagliata, poi m-mentre andavo in camera la porta era chiusa e…bhe…sono sbattuta – ingoiai – sapete, sono abbastanza sbadata..”

Mi giustificai…odiavo mentire ai miei amici e anche a mia sorella, ma dovevo farlo. Non potevano saperlo…

Il sole di Brighton era alto nel cielo, era una bella giornata e speravo durasse. Abitavo qui da molto tempo ormai, amavo questo posto. Anche se fin da piccola avevo sempre desiderato vivere a Londra, era una delle mie città preferite e anche se ci voleva un’ora e mezzo di macchina non sarei potuta andare, visto che mio padre mi rinchiudeva in casa.

Arrivammo nel parco più famoso della città: Preston Park. Uno dei miei parchi preferiti, venivo sempre a giocarci…ovviamente non con mio padre, ma con le mie “tante madri..”

Se fosse stato per mio padre sarei rimasta sempre a casa, dopo la scuola, oppure si sarebbe dimenticato di me lì fin quando le maestre non l’avrebbero chiamato. Questo è successo un paio di volte, poi cominciai a tornare con dei miei compagni a casa. Sono dovuta crescere in fretta.

Io ed Abbie ci sdraiammo sul prato mentre Jason e Leila si rincorrevano e giocavano insieme.

“sai – cominciò Abbie – vorrei essere come te. Senza pensieri per la testa, senza genitori a casa che ti rompono le palle…”

Disse guardando il cielo, di un azzurro intenso.

Risi per quello che aveva detto. Ero davvero così brava a fingere? Veramente la gente pensava che avessi una vita fantastica? Non leggevano nei miei occhi la paura, il bisogno di qualcuno che mi salvasse? Bhe, meglio così forse.  Avevo seriamente bisogno di qualcuno che mi salvasse.

“perché ridi? – continuò mettendosi seduta – io dico seriamente, tuo padre non ti rompe le palle, non ti fa andare alle feste si…ma se scappassi non gliene fregherebbe nulla…e tua madre…bhe non la conosco..”

Quelle parole fecero male, molto male…ma era la verità, a mio padre non fregherebbe nulla…anzi, sarebbe felice. Abbie diceva le cose in faccia, spesso, non pensava alle conseguenze ma non lo faceva con cattiveria. Gli occhi cominciarono a pizzicare, io non conoscevo neanche mia madre..

“non conosco mia madre.”

Dissi alzandomi di scatto andando verso Leila.

“andiamo a casa forza.”

Dissi chiudendole il giubbino e prendendola per mano.

“hey aspetta! – Abbie mi prese per un polso – ho detto qualcosa che non andava?”

Non la guardai, si sarebbe accorta delle lacrime nei miei occhi.

“tranquilla, solo che voglio far trovare tutto pronto all’arrivo di mio padre…”

Mi lasciò ed io e Leila andammo verso casa.

Appena entrammo corsi in camera mia e mi chiusi lì. Come sempre, scappavo dai problemi, dalla gente, dai discorsi e soprattutto dalle domande.

Mi misi sotto le coperte e cominciai a piangere, piangere e piangere. Dopo un paio di ore mi addormentai fra tutti quei pensieri.

Dopo un po’ mi sentii scuotere, così mi svegliai di soprassalto.

“ma che cazz..?”

Vidi mio padre prendere tutti i libri posati sul tavolo e metterli in una valigia.

“p-papà cosa fai?”

Chiesi alzandomi frettolosamente.

“dobbiamo parlare.”

Disse serio, guardandomi accigliato.

“c-che succede?"

...

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#SPAZIOME#
allora? Come vi sembra la storia fino a qui? Lasciate un commento e fatemi sapere, spero vi piaccia e spero che non venga la solita storia monotona.

Ora mi dileguo! Alla prossima! Ciaoo! ❤

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