//Da soli//
Fu quando alzai lo sguardo e vidi le prime ombre allungarsi sui prati che capii che stava scendendo la sera e che era giunto il momento di rientrare, cosa che sinceramente non mi andava affatto. Mi alzai di malavoglia e ciondolai verso l’accampamento che sorgeva alle mie spalle, sotto il cielo ormai di un azzurro cupo, privo di sole.
Il buon odore di cibo messo a cuocere sul fuoco mi venne dolcemente incontro, consolando la mia malinconia con la prospettiva di una cena deliziosa. Stavo già pregustando le dolcezze della buona cucina narniana, quando una figuretta esile vestita di azzurro mi corse incontro dalle prime tende, urlando di gioia e tuffandosi tra le mie braccia con una forza impensabile per una bambina così piccola.
«Penny!» gridò Lucy. «Oh, Penny, sapessi cos’è successo! Non ti hanno attaccata i lupi, vero?»
«I lupi? Lucy, di che cosa stai parlando?»
«Mentre eri via, io e Susan siamo state aggredite da due lupi che ci stavano seguendo da giorni. Per fortuna è arrivato Peter e ci ha salvate!» spiegò la bambina a velocità record, lasciandomi a un tempo sorpresa e spaventata. «Ma ora stiamo tutti bene. Anzi, la sai la novità? Edmund è tornato!»
Fui immediatamente presa da una sensazione sgradevole. «Edmund…?» balbettai ancora più allibita.
«È qui!» strillò Lucy allargando ancora di più il suo sorrisone. «I soldati di Aslan hanno seguito uno dei lupi e l’hanno trovato!»
«Ah.»
Si vedeva proprio che sprizzavo entusiasmo da tutti i pori.
«Non vieni a salutarlo?»
Ecco, me l’aspettavo una simile domanda. Col cavolo che ci sarei andata!
«Mi dispiace, Lu,» mi scusai facendo le spallucce «ma non credo di sentirmi molto bene. È stata una giornata molto lunga e sono a dir poco stravolta. Non credo farei una buona impressione a tutti voi e non sono in vena di figuracce, così conciata. Magari domattina, va bene?»
Lucy assunse un’aria profondamente implorante, spalancando i suoi enormi occhioni azzurri proprio come il Gatto con gli Stivali di Shrek, in un modo che avrebbe intenerito persino la Strega Bianca, ma non me! Povera Lu, ma cosa potevo farci io se aveva un fratello così odioso.
«Scusami, tesoro» ripetei dolcemente, accarezzandole i capelli ramati. «Davvero, sto poco bene.»
«Domani verrai, non è vero?» mi implorò la bambina.
«Domani» assicurai io, sperando che ciò bastasse a tenerla buona almeno per la nottata.
La mia risposta sembrò sortire l’effetto desiderato, perché la piccola accennò a esultare, gridando: «Allora buonanotte, Penny!» e correndo via, verso il resto dell’accampamento.
«Buonanotte, Lucy» risposi io in tono tutt’altro che convincente, avviandomi poi verso la mia tenda, anche se in quel momento avrei preferito di gran lunga pernottare in un dormitorio comune. C’era poco da stare tranquilli, con un criminale del genere in libera uscita per il campo!
***
Quella notte dormii tre ore scarse, la spada stretta al petto e una candela rigorosamente accesa, rischiando di mandare a fuoco tutto alla mia minima distrazione, ma non volevo dare al nemico la soddisfazione di sorprendermi nel sonno. Non mi preoccupavo tanto di quell’essere spregevole di Edmund Pevensie, che secondo me sapeva sì e no camminare autonomamente (oltre che a mangiare), ma dei suoi nuovi amici là fuori. Possibile che se lo fossero lasciati sfuggire così facilmente? E se fosse stata una trappola e quell’idiota li avesse condotti fino al campo? In tal caso, bel macello per noi e soluzione di tutti i problemi da parte del nemico. Cercai disperatamente di non pensare a quella simpatica prospettiva, stringendo ancora più forte la spada tra le mani. Avrei venduto cara la pelle, questo era più che certo! Altro che femminuccia da quattro soldi!
Finalmente, il sonno pose definitivamente fine alle mie spaventose fantasie, coronandosi di incubi che mi tennero così impegnata, che neanche le cannonate sarebbero state in grado di svegliarmi.
***
Il mattino seguente mi svegliai decisamente tardi per i miei gusti, quando il sole era già alto da un pezzo e la temperatura si era fatta calda e accogliente. Mi tirai su a sedere con la testa che mi pulsava dolorosamente, rivestendomi distrattamente e legandomi i capelli castani in una coda bassa; poi uscii dalla tenda, avviandomi verso un ruscello che scorreva poco lontano per lavarmi il viso e le labbra secche. Il piacere delle fredde goccioline d’acqua mi allontanò momentaneamente dalle mie preoccupazioni, fino a quando non alzai involontariamente il capo verso la cima della collina.
Soffocai a fatica un gemito. Lui era là, davanti ad Aslan, un’aria remissiva e innocente che sembrava miracolosamente pervaderlo da capo a piedi, come un ragazzino troppo cresciuto che sta ricevendo la ramanzina da un genitore. Soffocai a fatica l’istinto di andare fin lassù per riempirlo di botte e mi voltai di scatto, avviandomi a grandi passi nella mia tenda, decisa a non uscirvi più per nessuna ragione.
Non so per quanto tempo rimasi lì dentro a rimuginare pensieri omicidi, più simile a una pentola a pressione che a una ragazza di quattordici anni; l’unica cosa certa era che tutto questo non durò meno di un paio d’ore, fino a quando un rumore di passi timidi e impacciati sopraggiunse dinanzi alla tenda, scostando il drappo che fungeva da porta senza stare a fare troppo cerimonie.
Saltai su come se fosse appena entrato un serpente velenoso, sguainando la spada d’istinto.
Edmund Pevensie mi lanciò un sorriso carico di imbarazzo, scostandosi nervosamente un ciuffo di capelli neri dalla faccia.
«Ehm, ciao» mi salutò, le mani nelle tasche e l’aria colpevole.
Io gli lanciai un’occhiata carica di tutto l’odio che avevo in corpo. Non riuscivo a credere che un ragazzo della mia età sapesse comportarsi in un modo così assurdamente infantile. «Ciao» risposi con freddezza.
«Temo che chiederti scusa non basti, vero?»
«Precisamente.»
Cadde un silenzio imbarazzato, in cui nessuno di noi sembrava voler parlare, entrambi incapaci di trovare un modo per cominciare e sciogliere definitivamente quella tensione carica d’imbarazzo che era calata fra di noi.
«Mi dispiace» disse a un certo punto Edmund.
Fu sufficiente per farmi esplodere. «Mi dispiace?» sbottai. «MI DISPIACE? Prima tenti di farmi ammazzare da quella pazza assassina e poi te ne esci con un semplice ‘mi dispiace’? Ma hai la minima idea di quello che hai fatto, piccolo bugiardo? Giocare in questo modo con la vita di una persona che si era mostrata gentile con te, che aveva cercato di aiutarti anche se eri stato tu stesso a dirmi di non farlo, perché credevo di aver visto nei tuoi occhi qualcosa che non c’era, ma nonostante tutto io mi fidavo di te, ti consideravo un amico! E tu? Mi hai tradita come se niente fosse! Devi solo vergognarti, piccola serpe che non sei altro!»
«Hai ragione ad arrabbiarti, scusa» borbottò il ragazzo, lo sguardo basso e le mani affondate nelle tasche. «Ma non avevo altra scelta» aggiunse poi, sollevando improvvisamente gli occhi su di me. Soffocai a stento un sussulto. «Se non l’avessi fermata, la Strega Bianca ti avrebbe trasformata in una statua, come fa sempre con i suoi prigionieri. Credimi, ha tentato di farlo anche con me, la notte scorsa. Se invece fossi caduta di sotto… beh, ammetto che non è stato proprio il modo migliore per mandarti via, ma avevo visto da tempo gli arbusti e sapevo che avrebbero attutito il colpo.»
«E perché loro non se ne sono accorti, me lo spieghi?»
«I nostri nemici sono tipi pratici e in quel momento pensavano solo a farti fuori. Spero solo che non ti sia fatta troppo male, ma ribadisco che come statua saresti stata decisamente peggio.»
Mi sentii avvampare, fissandolo con un’espressione indecifrabile. Non riuscivo a credere a una parola di quello che stava dicendo. Lui che salvava me?
«Non riesco a fidarmi di te» risposi schiettamente.
Edmund accennò a un gesto che pareva di assenso. «Posso capirlo. Neanch’io lo farei, fossi in te» disse piano. Incredibile a dirsi, ma sembrava davvero dispiaciuto.
«Perché sei tornato?» domandai.
«Non è stata una mia scelta. Sono stato salvato. Penso sia stato un miracolo giunto proprio all’ultimo istante, perché quando sono entrati nell’accampamento mi stavano uccidendo.»
«Cosa? Dopo che gli hai fatto un favore?» chiesi in tono sarcastico.
Edmund fece una smorfia. «Con i miei fratelli al campo di Aslan, l’unico modo per impedire alla profezia di avverarsi è evitare che ci congiungiamo tutti e quattro» rispose amareggiato. «Così aveva mandato il suo nano a tagliarmi la gola, mentre lei progettava di attaccare voi una volta sbarazzatasi di me.»
Solo allora mi resi conto che aveva una profonda spaccatura sul labbro, segno tangibile della colluttazione. Rabbrividii involontariamente.
«Dunque te la sei vista brutta» commentai acida.
«Diciamo che non vado matto per i palazzi di ghiaccio e le donne che si divertono a pietrificare la gente» rispose il ragazzo.
«E Aslan cosa dice?»
«Dice che non potevo farci nulla. È stata un’esperienza che mi ha aiutato a diventare forte. Così la prossima volta starò più attento a non ferire chi mi sta intorno. Magari sono persone che mi vogliono davvero bene.»
Quella frase mi fece sorridere involontariamente. Eccola di nuovo, quella luce che per un attimo mi era sembrato di scorgere nei suoi occhi neri la notte in cui ci eravamo incontrati.
«Io non te ne voglio neanche un po’, sappilo» lo presi in giro.
«Peccato» rispose lui fingendosi offeso. «Per un attimo avevo pensato che potessimo diventare buoni amici.»
Io scoppiai a ridere di gusto. «Beh, perlomeno proverò a vederti sotto una luce meno antipatica» dissi senza più un briciolo di rabbia nella voce.
Mi chinai accanto al mio giaciglio ed estrassi un paio di fette di pane e la marmellata che mi aveva portato la Signora Castoro la sera prima, nascoste nella bisaccia.
«Tieni» dissi, offrendogliele. «Non è molto come pasto, ma non ho niente di meglio da offrire a un estraneo che si intrufola nella mia tenda senza permesso.»
Edmund mi ringraziò sorridendo e afferrò la sua fetta di pane, addentandola con l’aria di uno che non mangia da giorni.
«Credo che la mia cucina sia leggermente migliore di quella della Strega Bianca» commentai, mordendo la mia razione.
«Decisamente» fece eco Edmund con la bocca piena.
Scoppiai a ridere ancora una volta, quella vista era troppo buffa. «Spero che almeno la marmellata ti faccia diventare più buono» commentai.
«Ma io sono buono, solo che nessuno mi dà mai l’occasione per dimostrarlo! Sono tutti troppo impegnati a darmi della pecora nera della famiglia» si difese il ragazzo inarcando le sopracciglia nere, subito sulla difensiva.
«Io non credo che tu sia una persona cattiva. Almeno questa è la prima impressione che ho avuto di te, sul primo momento» mi affrettai a precisare. «Ti capisco, Ed. Tu non sai quanto.»
«Anche tu hai dei fratelli?» domandò Edmund, facendosi interessato.
«Solo un fratello più piccolo. Ma lui, come del resto i miei genitori, non sono quasi mai a casa. Non parlo con nessuno e quel poco che ci vediamo lo passo a sentirli cianciare dei loro affari, ignorando praticamente tutto della mia vita. Eccetto le cose che non vanno, ovviamente, quelle si ricordano sempre di rinfacciarmele.»
«Sei una ragazza molto sola, quindi.»
«Sì. In una grande città, non c’è molto spazio per le persone piccole come me.»
«Capisco» annuì Edmund. «Neanch’io frequento molte persone. Anzi, a dire il vero, neanche una.»
«Perché?»
«Semplicemente non le trovo interessanti» fu la semplice risposta.
Scossi il capo divertita. «Non credo che la mia epoca ti piacerebbe» commentai.
«Perché? Io penso che un’era valga l’altra» commentò il ragazzo. «Basta che ci siano sempre buone cose da mangiare, naturalmente.»
«Oh, beh, a Roma non muori certamente di fame.»
E cominciai a fargli una rapida panoramica dei posti che avevo scoperto in centro negli ultimi mesi, quando faceva freddo e non mi andava di rifugiarmi nella mia grande casa gelida, attratta dal buon profumo di pane e pizza appena sfornati che fuoriuscivano dai negozi delle strette viuzze del ghetto, mescolandosi con l’odore umido della pioggia in un unico, inebriante elisir di lunga vita fra dolci e focacce. Inutile dire che in meno di cinque minuti Edmund mi implorò letteralmente in ginocchio di portarlo a Roma, in un modo o nell’altro. Io gli risposi che, se solo fosse stato possibile, ce lo avrei portato anche subito.
Una volta finita la colazione, decidemmo di fare un giro fuori. La giornata era particolarmente calda e il sole picchiava forte sulla testa.
«Era ora che l’inverno finisse» commentai mentre avanzavamo verso la vallata che mi aveva vista così triste il giorno precedente.
«Da me era estate» disse il ragazzo.
«A Roma, invece, era quasi Natale» risposi io.
«Sai, io credo che non sia così impossibile vincere la Strega» aggiunse lui con decisione. «Insomma, ho avvertito una certa differenza fra lei e Aslan. È come se Aslan fosse… la cosa giusta, ecco che cosa ho pensato quando mi sono trovato per la prima volta di fronte a lui. È strano, è come se tutto fosse parte di lui in questo mondo, come se la vita di Narnia partisse direttamente dentro di lui.»
«Ma tu sai chi è Aslan?» domandai a quel punto.
Edmund alzò le spalle. «Sinceramente non lo so» rispose. «È qualcosa che non riesco a definire.»
«Hai paura?»
«Un po’. Ma non vi abbandonerò, stai tranquilla. Sono pur sempre un principe!»
«Ehi, adesso non montarti la testa con questa storia dell’eroe» lo canzonai io.
«Ma sul serio!» si schermì il ragazzo. «Peter da solo non basterà mai a proteggere Susan, Lucy… e te, naturalmente!»
Io arrossii violentemente. «Guarda che so benissimo cavarmela da sola!» protestai. «Pensavo ci fossi arrivato da solo!»
«Ma sei pur sempre una donna» rognò lui.
Per poco non si prese una sberla in piena faccia.
«Mai sottovalutare l’avversario» ghignai, facendo una smorfia che prometteva molte cose.
Detto questo, raccolsi un lungo ramo da terra e lo spezzai in due, gettando l’altra estremità al ragazzo.
«In guardia!» esclamai in tono di sfida.
«Non farmi ridere! Questa non è roba da femmine!» brontolò Edmund perplesso.
«Guarda che da bambina i miei idoli erano Zorro e D’Artagnan. E non mi sono persa una puntata di Xena la principessa guerriera»
«Ma…»
«Che c’è? Paura?»
Ecco, avevo colto nel segno.
«Poi non dire che ti ho fatto male» mi avvertì il ragazzo un attimo prima di gettarsi contro di me e di incrociare i nostri bastoni come se fossero spade.
Ammetto che all’epoca la nostra scherma era decisamente rudimentale, più simile a quella che ci immaginavamo dai libri e dai film che più amavamo, ma ciò non offuscava affatto il nostro entusiasmo, sfidandoci a vicenda con una tenacia e coraggio che avrebbero lasciato perplesso Jack Sparrow in persona. Alla fine, Edmund riuscì a spezzare in due il mio bastone, puntandomi il suo dritto al cuore.
«Allora, ti arrendi?» domandò, pregustando la vittoria.
«Col cavolo!» risposi io, divincolandomi dalla sua presa e prendendo a fargli il solletico alla pancia a tradimento.
Edmund soffocò a stento una risata e mi strappò con un solo gesto il laccio che mi legava i capelli, facendomeli ricadere disordinatamente sulle spalle e scompigliandomeli tutti con la mano libera. Io urlai e mi lanciai al suo inseguimento per i prati, cercando di farmi restituire il laccetto che teneva apposta fuori dalla mia portata, scatenando una lotta furibonda che lasciò decisamente perplessi tutti quelli che si trovarono a osservarci in lontananza, ormai convinti che la nostra salute mentale fosse completamente andata. Infine, ci accasciammo stravolti sul prato, io che stringevo trionfante il mio laccetto nel palmo della mano, ovviamente senza dare accenno a smettere di ridere.
«Sai, tu mi sorprendi ogni minuto di più!» commentò Edmund a un certo punto. «Non pensavo che voi femmine foste così incredibili!»
«Ma noi lo siamo!» risposi io, lasciandomi accarezzare dalla luce del sole.
«Mah, non è che abbia incontrato delle grandi cime fra di voi» proseguì lui risoluto. «Di solito, quelle come te pensano solo a truccarsi o a vestirsi alla moda, ai party e agli uomini danarosi, con l’unica prospettiva di mettere su una famiglia di ragazzini pestiferi e urlanti…»
«Devi aver conosciuto solo donne particolarmente raccapriccianti, per sparare a zero in questo modo» osservai io. «Guarda che non siamo tutte così. Solo che molte sono state costrette a diventarlo. Sai quante volte mi hanno dato del maschiaccio, o mi hanno rinfacciato che per colpa del mio carattere non troverò mai un ragazzo? Ma va bene così, non ci tengo affatto a diventare la parodia di me stessa solo per fare contento qualcuno.»
Edmund fece una smorfia, lanciandomi una lunga occhiata che lasciava trapelare perfettamente che, nonostante non lo avrebbe mai ammesso, in cuor suo ammetteva che avevo ragione. Sorrisi tra me e me, divertendomi a osservare il sole che giocava sul suo viso, colorandogli appena il lungo naso diafano cosparso di efelidi e dorandogli i ciuffi di capelli neri e i profondi occhi vispi. Era bello sapere che sapeva anche sorridere. Ed era ancora più bello sapere che non era un ragazzo cattivo.
«Posso chiederti una cosa? Basta che non ti arrabbi» mi domandò a un certo punto mentre prendevamo la tintarella distesi sul prato.
«Dimmi, Ed» lo esortai io.
«Potresti ripetermi il tuo nome? Non riesco proprio a ricordarlo...»
**** Okay, dopo questa, quante sberle si prenderà Edmund? 🤣
Ciao a tutti e, come promesso, eccoci arrivati a un nuovo capitolo. Devo ammettere che adoro questa seconda parte, in cui vedremo i fratelli Pevensie evolvere moltissimo come personaggi all'interno dell'accampamento di Aslan e anche un'evoluzione inaspettata nel legame tra Penny e Edmund (avrete notato che esiste una certa affinità, no?).
Mi fa sorridere che ai tempi, ben lungi dal crossover, già lo definivo 'piccola serpe' e qui mi fermo con gli spoiler!
Grazie ancora per tutto il sostegno che stare dando a questa piccola storia.
Vi mando un abbraccio forte <3
F.
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