rescue and first meeting

L'acqua gelida sembrava entrarmi nelle vene mentre affondato incapace di riemergere, il calore che ormai abbandonava il mio corpo e i polmoni che ormai erano a corto di aria. Davanti a me solo buio. Stranamente, in un momento come quello, mi venne da pensare all'ironia di quel destino. Se prima avevo cercato di imitare Titanic ora stavo affondando, proprio come la nave, una delle poche persone che avessi mai amato che mi aveva abbandonato alla mia sorte. Chiusi gli occhi e aspettai la mia inevitabilmente morte, rivedendo i miei ricordi, quattrocento anni di vita. Quando ormai fui al limite sentì delle possenti braccia afferrarmi da dietro e l'acqua intorno a me divenne tiepida mentre venivo spinto verso l'alto. Sussultai non appena sentì qual contatto, ma non potevo allontanarmi, non ne avevo le forze. La mia mano venne chiusa ad un oggetto sferico, delle dimensioni di una perla, che iniziò ad emanare calore. Non ero neanche sicuro di essere cosciente, forse quella era solo un'allucinazione dovuta alla mancanza di aria, però fui comunque invaso da una sensazione di sollievo. Non sembrava stessimo nuotando, sembrava più che fossimo sospinti dalla corrente stessa. Riemergemmo in superficie e non persi occasione di fare un lungo respiro, forse troppo presto perché dell'acqua mi finì in gola e iniziai a tossire, ancora incapace di aprire gli occhi. Ebbi appena la consapevolezza di essere preso in braccio, con la testa sostenuta dalla spalla della persona che mi aveva salvato. Sembrava essere vestito di una maglietta in cotone, attraverso la quale potevo sentire il calore del suo corpo. Era asciutto. Pensai a questo mentre continuavo a tossire senza sosta, appena consapevole del fatto che stavano continuando a salire, nonostante fossero già fuori dall'acqua. Percepii di essere posato su una superficie dura, di roccia ricoperta di erba, forse la scogliera da cui ero caduto. Sentii un dico sfiorarmi la fine dello sterno e salire fino a percorrere la trachea e improvvisamente l'acqua che avevo ingoiato mi risalì in gola e mi piegai istintivamente su me stesso per sputarla. Sentivo l'erba soffice sotto le mie dita, il vento fresco che mi scostava i capelli. Mi accasciai nella mia precedente posizione supina, prendendo dei grossi respiri, con la paura di restare di nuovo a corto di aria, sentendo i muscoli rilassarsi e il piacere di respirare di quando si sta senza aria per troppo. Provai ad aprire gli occhi, la mia vista era annebbiata e il mondo sembrava girare, riuscivo ad aprirli solo per poco. Nella mia mano destra, che giaceva sull'erba con il palmo rivolto in aria, giaceva una perla che brillava di luce dorata, illuminandomi l'arto e infondendomi calore. Poi lo vidi. Era chinato su di me e mi scrutava preoccupato, forse delle mie condizioni. Era un ragazzo di circa diciotto anni, con una cascata di capelli corvini, neri come le profondità marine, tra cui compariva una ciocca bianca perlacea. Era vestito con quelli che sembravano normali jeans neri è una maglietta dello stesso colore, ma il materiale non era cotone, come aveva ipotizzato. Riconoscevo molto bene i tessuti dei vestiti, è quello non era un materiale che aveva mai visto. Sembravano più come filamenti grezzi, come alghe intrecciate. Portava al collo una conchiglia piatta che risplendeva di azzurro. Ma ciò che mi colpì di più furono gli occhi. Erano di tutte le sfumature possibili di azzurro, come se contenessero tutti gli oceani esistenti. Davano quasi l'impressione di poterci nuotare dentro. Li teneva fissi nei suoi, quasi cercasse di leggere la sua anima. Il ragazzo rivolse poi il suo sguardo davanti a lui, verso il mare. Poi, senza alcun preavviso, si alzò da lui e si diresse da quella parte.
«A... asp...etta!» riuscii a dire con voce flebile mentre giravo la mia testa verso di lui, cercando di seguirlo con lo sguardo. Sentivo il cranio esplodermi mentre facevo quel movimento. Mi accorsi che eravamo davvero sulla scogliera dalla quale mi ero buttato, ma quello era l'ultimo dei miei pensieri. Il giovane teneva in mano un arco che sembrava dello stesso materiale della conchiglia che aveva al collo. La sua maglietta si apriva sotto il collo, lasciando scoperta la schiena, per poi richiudersi nel bordo inferiore. Fu allora che notai il tatuaggio. Un tridente che attraversava la spina dorsale, che risplendeva di verde acqua. Poi svenni e il buio tornò ad assalirmi.

Quel giorno stavo perlustrando da solo il tratto di mare vicino alla terra dove sono nato, a causa di un gruppo di ippocampi che era fuggito dalle stalle di mio padre è che ora scorrazzava da quelle parti. Erano anni che non tornavo in quell'isola e non morivo dalla voglia di rivivere i ricordi che essa custodiva. Nonostante non fossi più emerso in superficie, mi venivano recapitate notizie del mondo esterno. Era così che avevo saputo che, dopo la mia presunta morte, la polizia aveva indagato su di me e su mio padre, scoprendo, grazie a dei testimoni, cosa mi aveva fatto. Non posso dire di non essere stato contento quando lo hanno mandato in prigione, ma continuo a provare un sentimento distaccato per quello che era la mia vecchia vita, come se, da quando sono immortale, ciò che mi è successo prima fosse accaduto a qualcun'altro, e questo non può che giovarmi, in quanto i ricordi sono meno dolorosi.
Nuotavo sospinto dalla corrente com'ero solito fare, facendo vagare lo sguardo tutto intorno a me, cercando le sagome degli ippocampi.
Ormai era notte fonda, l'acqua era scura e non si sarebbe potuto vedere oltre ad un palmo dal naso, se non fosse stato seguito da un particolare tipo di pesci, che illuminavano il palazzo e venivano usati come torce, che gettavano un bagliore sulla sabbia, rischiarandola e permettendomi una chiara visuale dell'acqua intorno a me.
Dopo mezz'ora mi fermai di colpo. Il mio orientamento era impeccabile in quell'elemento, quasi come se riuscissi a vedere le coordinate geografiche davanti ai miei occhi. Ero a qualche decina di metri dalla scogliera dalla quale mi ero buttato anni prima, in preda alla disperazione. Lì la mia vita era cominciata. Rimasi a fissare davanti a me i contorni della roccia dello strapiombo, rivedendo le immagini di quel giorno.
Poi accadde qualcosa. Con un tonfo l'acqua inghiottì una figura. Un uomo. Lo vidi agitarsi per cercare di tornare in superficie, poi il movimento cessò e l'uomo si lasciò affondare, come se avesse rinunciato, come se non volesse più vivere. Stava sicuramente affogando. Quasi automaticamente, mi avvicinai velocemente a lui, comandando le correnti in modo che mi facessero arrivare in fretta da lui. Quando gli fui dietro lo cinsi con le braccia, facendo riscaldare l'acqua intorno a lui per non mandarlo in ipotermia, e mi feci spingere verso l'alto. Mentre salivamo, presi dalla mia tasca una delle perle che tenevo in un sacchetto attaccato alla cintura, che usavamo per infondere energia e rimarginare le ferite. Avevano la stessa funzione dell'ambrosia, ma le potevano usare anche le creature marine e non divine. Presi la sua mano e la strinsi intorno alla perla, che subito si illuminò di una luce dorata, segno che stava sprigionando il suo potere. Sentì la persona davanti a me irrigidirsi. Solo in quel momento notò che stava tremando. Doveva fare in fretta.
In pochi secondi riemergemmo in superficie, mentre l'acqua mulinava intorno a noi spingendoci verso l'alto. Sentii il mortale inspirare profondamente, ma lo fece troppo presto e iniziò a tossire cercando di espellere l'acqua ingoiata, il corpo scosso dagli spasmi. Lo presi in braccio, appoggiando la sua testa sulla mia spalla, in modo che così non avrei ostacolati movimenti della sua cassa toracica. Ordinai alla corrente di posarci sulla scogliera e lo adagiai sulla schiena, mettendomi sopra di lui e passando un dito dai suoi polmoni fino alla sua gola guidando l'acqua salmastra fuori dal suo organismo. Si piegò su se stesso e arpionò l'erba di fianco a lui, sputando il liquido che aveva nei polmoni.
Una volta che la tosse si fu placata, vidi l'individuo adagiarsi di nuovo a terra, traendo dei profondi respiri, tenendo gli occhi chiusi e aprendo la mano, che fino a quel momento era stata inconsciamente serrata intorno alla perla.
Fu solo allora che potrei osservare meglio la persona che era stesa davanti a me. Era un uomo sui vent'anni, dalla pelle ambrata e dai tratti orientali. I capelli neri erano bagnati e gli ricadevano sulla fronte in modo disordinato. Era vestito in modo stravagante e sul viso aveva i residui di qualche trucco e di quelli che riconobbe come brillantini. Era davvero bello, pensai mentre osservavo il suo viso rilassato, finalmente fuori pericolo. Li vidi tentare di aprire gli occhi, a fatica, e osservare i dintorni. Aveva gli occhi da gatto, dorati come la luce della perla nella sua mano, con riflessi verdi come le alghe che ricoprivano le rocce più antiche dei muri esterni del palazzo. E avevano le pupille verticali. Rimasi ammaliato da quegli occhi, ma prima che potessi fare qualunque cosa fui invaso dal panico. Ciò che avevo salvato dalla morte era uno dei figli di echidna? Era da escludere, non aveva l'aura che emanavano i mostri di solito. Forse era un'altra creatura, ma di tutti i miti che conoscevo, non l'avevo mai sentita nominare. Ma perché lo avevo salvato? Il mio istinto protettivo aveva di nuovo preso il sopravvento. Non sopportavo di veder morire le persone innocenti, soprattutto se a mietere le vittime era quella scogliera. Il suo respiro si fece più regolare e mi accorsi che mi stava guardando. Mi presi qualche altro momento per osservare gli occhi del ragazzo, poi, accertarmi che le sue condizioni fossero stabili, mi alzai, diretto a casa. Non potevo fermarmi un minuto di più, era meglio che non interagissi con il mondo in superficie.
Lo sentii pronunciare un debole "aspetta", e mi buttai di nuovo giù dalla scogliera, per la seconda volta, diretto a casa.

*Angolo del gattoragno che vuole diventare un Avengers*
Volete sapere cos'è un gattoragno?
Ve lo spiego
*Parte la musichetta* ♪Non è un gatto, non è un ragno, è il gattoragno!♪
A cinque commenti in questa riga vi racconto la storia del gattoragno (anche della stessa persona, se è abbastanza disagiata da chiederlo)
Cooomunque
Scusate, chiedo perdono per non aver aggiornato per così tanto ma 1) sono ad Amsterdam 2) non avevo abbastanza minacce di morte nei commenti.
*Schiva i mango che le lanciano* *un mango la colpisce in testa* Ahi! Ok, forse me lo meritavo...(cit. Jack Sparrow)
È anche un capitolo abbastanza corto...e non ho voglia di correggerlo, perciò commentate, anche se manca un accento sulla e.
Bene: questo capitolo l'ho scritto io e...credo di non aver capito come funziona il fatto di scrivere insieme ad un'altra persona...Ci sono delle volte in cui scrivo da sola i capitoli e poi vanno bene così e poi ci sono altre volte in cui lei li scrive e io lo scrivo sulla sua traccia...allungandolo di tipo mille parole... Quindi boh, se avete dei suggerimenti o un manuale di istruzioni ditemelo.
Avviso importante! I gentili abitanti del regno del disagio sono pregati di cagarmi, perché sono pur sempre il vostro oracolo e se lo volessi potrei trasformarci lumascoricattole. Grazie.
Allora io stavo pensando di fare un'altra storia in cui ci metterei le storie disagiate che mi vengono in mente, tipo com'è nato il gattoragno e le domande esistenziali che mi vengono alle tre di notte, tipo la classica "i piccioni hanno sentimenti?" Oppure "un gatto sa di essere un gatto?". Quindi avrei davvero bisogno che mi caghiate e mi diciate se è una buona idea, perché ho bisogno di amici che mi dicano "fermo, non farlo, è una cosa stupida", quindi please. Se non mi rispondete blocco la produzione di fandomia così vi mando in astinenza *risata malvagia*
Fine della comunicazione di servizio
Quindi spero vi stia piacendo la storia, se non riuscite ad immaginare alcune parti della storia o non sono chiare scrivete qui la parola patata e vi faccio un disegnino... oppure ve lo spiego a parole come volete.
Detto questo vi faccio un elenco di alcuni animali disagiati al mio servizio (indovinate da quali animali derivano)
• piccioninguino (facile)
• gattoragno (molto facile)
• pandalamapescecorno (medio)
• lumascoricattola (difficile)
koalelfinallina (difficile)
Il primo che ne indovina almeno quattro vince una cipolla!
Eeeeeh niente. Alec con il tatuaggio luminoso sulla schiena è davvero figo. E su questo non ci piove...anche perché c'è un caldo tremendo. (No, ok, la smetto)
Detto questo... Graziepregociao!

L'oracolo del disagio
(Ok, ho sempre voluto firmare questi spazi)

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