betrayal and broken heart

Il portale risplendeva di azzurro, inondando la casa del consueto odore di zucchero bruciato. Dalle mie dita fuoriuscivano scintille del medesimo colore del portale, azzurre e violette, mentre compivo gesti che avevo imparato secoli or sono. Camille entrò nella stanza trascinando una valigia rossa. Aveva un vestito attillato dello stesso colore sanguigno della valigia e tacchi vertiginosi abbinati ai vestiti. Era di una bellezza letale e pericolosa, con la pelle diafana e quasi trasparente, le labbra come se avesse appena finito di dissetarsi con il sangue umano e i canini che mostrava quando le andava, anche se voleva convincere qualcuno delle proprie idee. Fece un sorriso freddo, privo di calore, che era il massimo che poteva fare, e poggiò la sua valigia vicino alle mie. «Andiamo caro?» mi dice con voce melensa. Io sorriso e faccio un lieve inchino. «Dopo di te, ma cherie» dico indicando il portale, attraverso il quale si può scorgere la facciata dell'hotel dove avevamo prenotato. Era come guardare attraverso uno specchio d'acqua. Lei non se lo fece ripetere e attraversò il portale, lasciandomi la sua valigia accatastata vicino alle mie. Con uno schiocco di dita, le spedii direttamente nella nostra camera, mentre davo un ultimo sguardo al mio loft prima di partire per una settimana. Feci mentalmente l'inventario delle cose che dovevo aver fatto prima di partire: il presidente miao, il mio gatto, era dalla mia migliore amica Catarina, avevo chiuso il gas e spento le luci, in più avevo avvisato il conclave e i suoi clienti che per una settimana non sarebbe stato reperibile. Ero pronto per partire per una vacanza con la mia ragazza. Attraversai il portale. A prima vista si poteva pensare somigliasse ad uno specchio d'acqua, ma, quando lo si varcava, sembrava più di essere all'interno di una tromba d'aria e, se non ci eri abituato, rischiavi di sentirti male. Avevo alle spalle secoli di persone che mi avevano pagato per creare portali senza averne mai usufruito prima è che avevano vomitato subito dopo. Uno spettacolo disgustoso, soprattutto se a rimetterci erano le sue poltrone di seta e mogano. Vide la destinazione come una luce che gli si apriva davanti, poi si trovò davanti alla facciata dell'hotel, con Camille che si guardava le unghie simili ad artigli laccate di nero con aria annoiata. Se a Brooklyn erano le cinque del pomeriggio, in nuova Zelanda era notte fonda, circa le nove di sera. Molte persone erano già andate a dormire, e le strade erano quasi deserte, tutto intorno regnava in silenzio interrotto solo dalle onde del mare che si infrangevano sulle scogliere. Per un mondano a quest'ora era già ora di tornare a casa, per alcuni, mentre per un vampiro la giornata era appena cominciata. E questo lo sapevo bene. Mi ero abituato ai ritmi di Camille, ormai erano due anni che stavamo insieme. Le stelle splendevano luminose inviarlo, rendendo la sua pelle ancora più bianca, quasi argentea, donandole un bagliore soprannaturale. L'inquinamento luminoso di Brooklyn non permetteva di vedere le stelle, ma lì, in quel posto illuminato a malapena da qualche lampione, si poteva scorgere la profondità della notte, le galassie, le stelle e i pianeti. Avevo sempre amato viaggiare, per allontanarmi dalle grandi città e dal caos che ne deriva, andando in posti belli come quello, dove si poteva ancora godere della vista della luna sul mare. L'oceano in quel momento sembrava un grande velo macchiato di bianco, più scuro della notte stessa.
Camille mi face segno di entrare e ci ritrovammo nella hall del più lussuoso hotel della città. Il pavimento era in marmo bianco e il bancone era in legno dello stesso stesso colore, con rifiniture in oro. Dal soffitto pensava un lampadario di cristallo. Ritirammo le chiavi della stanza e ci dirigemmo in ascensore, schiacciando il bottone del primo piano. Il corridoio era arredato con quadri che sembravano molto antichi, e di quanto in quando, erano posizionati delle mensole con sopra dei vasi di ceramica cinese. Il tutto concordava con i colori che predominavano nella hall. Preferivo di gran lunga i colori sgargianti e gli abbonamenti di colori complementari, ma dovevo ammettere che non era arredato male. Avevo prenotato la stanza migliore, che era grande quanto il mio loft, a sinistra, attaccato alla parete, c'era un enorme letto a baldacchino bianco. Un lampadario come quello dell'atrio pendeva dal soffitto, sopra un'enorme vasca idromassaggio. Il pavimento era in parquet di ciliegio. Nella parete di fronte al letto, una vasta libreria colma di libri fungeva da supporto ad una televisione al plasma. Camille si diresse verso il lussuoso bagno e si risistemò il trucco. Cominciai a disfare le valigie, finché lei non riemerse dal bagno annunciando: «Caro, io vado a fare una passeggiata in spiaggia per vedere un po' il luogo. Tu sistema i bagagli io torno subito» mi disse sorridendo, i canini che rilucevano appena sotto la luce del lampadario. Detto questo si incamminò verso la porta con passo ancheggiante, il rumore dei tacchi che riecheggiava nella stanza, e uscì dalla stanza. Non mi preoccupavo molto il fatto che andasse in giro da sola, era la capoclan dei vampiri di New York, sapeva difendersi e Wellington è una città tutto sommato tranquilla. Ogni volta che facevamo un viaggio andava in giro, come se facesse un sopralluogo, scrutava le vetrine forse, o guardava se c'erano dei mondani con cui poteva nutrirsi. Dopo un quarto d'ora cominciavo a stufarmi di mettere a posto a mano, così schioccai le dita e le valigie si svuotarono, mi cambiai d'abito, indossando un completo blu marino che sfumava fino al bianco, come la spuma dell'Oceano, con dei glitter del medesimo colore, e mi diressi in spiaggia per trovare Camille. Attraversai il centro della città, fino ad arrivare a dove i palazzi venivano sostituiti da semplici case in legno con il tetto fatto di fronde, dove l'asfalto vedeva il posto alla sabbia. Il mare era calmo quel giorno e rifletteva la luce argentea della Luna e delle stelle. Cielo e mare sembravano fondersi all'orizzonte, due immensità in una sola. La brezza marina mi solleticava la faccia e mi portava indietro i capelli pieni di gel. Rimasi qualche secondo in piedi davanti a quello spettacolo, beandomi di quella tranquillità scaturita da quell'immagine. Poi la sentii. Delle voci che provenivano da dietro di me. Al primo impatto sembrava che due adolescenti stessero facendo baldoria dietro una siepe, si sentivano vari gemiti e delle voci. Poi Magnus riconobbe la voce di Camille. «Sebastian sbrigati, che se no quell'idiota del mio ragazzo si insospettisce! Ah...che ingenuo! Pensava davvero che lo amassi!» fece una risata stridula, che per Magnus ebbe l'effetto di un martello che usava il suo cuore come incudine. «Dovresti vedere i regali che mi fa! Avere un fidanzato ricco che è il sommo stregone di Brooklyn ha i suoi vantaggi! È stata un'idea fantastica farti venire qui. E dire che Bane non sospetta nulla!» un'altra risata seguì quelle frasi. Ogni parola era come un coltello che mi trafiggeva il petto, mentre la consapevolezza che la ragazza che amavo l'aveva solo usato per tutto quel tempo. Prima della tristezza sopraggiunse la rabbia. Scostai uno dei cespugli entrando furiosamente nel loro campo visivo. Era avvinghiata sulla sabbia sotto una coperta da picnic con un altro ragazzo, dai capelli bianco avorio e gli occhi più neri della notte. Anche così, con i capelli scompigliati e gli occhi lucidi, Camille manteneva quella bellezza pericolosa che l'aveva sempre caratterizzata. Non sembrava essere preoccupata di essere stata scoperta, sembrava più che altro infastidita, e questo fece ancora più male. Avevo voglia di piegarmi in due dal dolore e urlare, ma la mia voce rimase fredda, come il cuore di Camille nei miei confronti. «Addio Camille. Stammi bene. Buona fortuna per tornare a New York senza di me.» dissi con voce atona. Lei mi guardò con un misto tra lo shock e l'indifferenza.
Mi girai e, con tutta la calma che riuscivo a mostrare mi allontanato da quella scena, mentre gli occhi mi si annebbiavano per le lacrime.
Quando fui sicuro di essere fuori dalla loro vista, mi misi a correre. Corsi lungo la battigia, con i piedi che venivano bagnati dalle onde, corsi lungo la strada è attravarso una foresta. Corsi ed arrivai ad una scogliera. Le lacrime scendevano inesorabili dai miei occhi e mi rigavano le guance, il mio corpo era scosso da singhiozzi, ma non era stato niente in confronto al sentire il mio cuore spezzarsi come cristallo che cadeva, sentire i pezzi acuminati conficcarsi nel petto sempre più in profondità. Mi promisi che non avrei avuto più fiducia di nessuno, non dopo questa volta. Avevo il respiro ansante per la corsa e stavo tremando, nonostante ci fossero quasi trenta gradi. Cercai di calmarmi. Non volevo dimostrare a me stesso di essere così sconvolto. Mi posizionai sul ciglio della scogliera e guardai l'orizzonte, il rumore dell'acqua sotto di me che si infrangeva contro la rocca, e niente a parte quel suono. Allargai le braccia facendomi investire dal vento, che portava con sé l'odore del sale. Era una posa che ricordava vagamente il film Titanic. Riusciva a capire come mai quel gesto gli era venuto spontaneo, perché nel film lo mostrassero. Ti dà l'impressione di stare volando, di poter sovrastare una cosa immensa come l'oceano, di poter toccare il cielo con un dito. Di avere il controllo di qualcosa. E in quel momento avevo davvero bisogno di avere l'impressione di avere il controllo su almeno qualcosa nella mia vita. Il mio mondo si era infranto come l'ennesima onda sullo scoglio più vicino. Non ho mai saputo nuotare, adoro il mare ma mi spaventa entrarci. Sono giunto alla conclusione che le persone hanno paura del mare perché non ne si possono vedere i confini, non si può vedere la sua fine, e quindi non lo si può controllare. È immenso e fa sentire gli uomini piccoli e impotenti. E se c'è una cosa che gli uomini temono è sentirsi impotenti.
Ero del tutto assorto in questi pensieri, il mio battito stava tornando normale, anche se quella sensazione di dolore, sordo e martellante al petto non se ne voleva andare. E un secondo dopo stavo precipitando nel vuoto. Non mi ero accorto di nulla. Non avevo sentito mentre qualcuno mi si avvicinava e si metteva dietro di me. Ma quel paio di mani dalle unghie abbastanza lunghe da graffiarmi la pelle le avevo sentire. Le avevo sentite spingermi giù dandomi uno spintone tra le scapole. E avevo sentito la voce. L'ultima voce che in quel momento avrei voluto sentire. La voce della persona che continuava a ferirmi nonostante non lo meritassi. La voce di Camille. «Non mi vuoi più? Vediamo se qualcuno vorrà te ora! È un grande peccato che tutti gli uomini ricchi siano così stupidi!» e poi la sentii ridere. Quella risata canzonatoria e stridula che faceva accapponare la pelle e rendeva le mie bidella com piombo liquido. L'impatto con l'acqua di come cadere sul cemento e l'aria fuoriuscì dai miei polmoni, facendomi bruciare come se fossero in fiamme. Chiusi gli occhi mentre il mio corpo veniva trascinato sempre più in profondità nell'acqua scura e fredda, tentando di tornare in superficie con tutte le mie forza. I muscoli mi bruciavano. Avrei potuto usare la magia, fare un incantesimo di respirazione, ma il panico aveva preso il sopravvento, mi sentivo in trappola, e non riuscivo a controllare i miei poteri. Rinunciai. Forse morire in quel modo sarebbe stato meglio che vivere con la consapevolezza che la ragazza che aveva amato lo aveva solo usato, gli aveva preso il cuore è lo aveva schiacciato con le sue mani, buttandolo nella spazzatura, senza mai dargli veramente qualcosa che fosse amore. Era tutta una farsa per lei. Era stata sempre, solo una farsa. Se l'amore fosse stato cibo, probabilmente sarei morto per le ossa che lei mi lasciava, convincendomi che fossero cosce di pollo. Faceva male, ma presto sarebbe tutto finito. L'ultima cosa che vide fu il blu intenso del mare in tempesta. Poi il buio.

*Angolo del pinguino*
PIIIIIIIIII! (è il verso del pinguino...credo...)
Ecco a voi il nuovo capitolo. 2001 parole esatte! Siate felici che non so più che pesci piglià con voi (capita? Perché i pinguini mangiano i pesci! HAHAHAHAHAHAHAHAHA QUANTO SONO SIMPY! AH AH ah...ok la smetto).
Questa storia, come forse già saprete perché siete una delle poche persone che hanno letto lo spazio precedente (se non lo sapete: siete senza speranza), la sto scrivendo in collaborazione con @LoveMalec2005 e volevo dirvi che lei pubblicherà questo capitolo sul su profilo tra poco, quindi tranquilli, non è stata rapita dagli alieni. Ma forse sì...oddio mi è venuto un dubbio! Bisogna chiamare l'FBI, anzi no, la CIA! È la CIA che si occupa dell'area 51 vero? VERO?!...Ah no, scusate, falso allarme, era solo in bagno...ops...colpa mia... Sorratemi!
Vabbè spero vi sia piaciuto perché sono cinque ore che scrivo quindi almeno un commento ci sta!
Bene detto questo aspettate che cerco di capire come uscire di scena tipo "uao Luc at mi ai em so faigo"...*gli ingranaggi del suo cervello lavorano*...ah sì aspettate: Ma io sono un pinguino! POSSO VOLAREEEEEEEEEE! *si lancia giù dal palco* *resta in aria per un po'* *inizia a precipitare* No, a quanto pare non posso.... AAAAAH! *cade con la faccia a terra* *Si rialza* a quanto pare non potevo...*la folla le lancia dei manghi* Ahi! Ok mi dileguo... Graziepregociao!
*Corre via*

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