9. Realtà e sogno

Quella mattina lo studio dello psicologo era freddo e stantio, decisamente non accogliente. Le finestre erano chiuse e le tende erano tirate giù, lasciando come unica fonte di luce la lampada da scrivania del signor Edwards, che gli illuminava il viso tondo e paffuto. Annotava le cose che Aaron diceva mentre si massaggiava la barba scura e incolta come faceva sempre, ma c'era qualcosa nel suo sguardo che il ragazzo non aveva mai notato: curiosità, una curiosità tutt'altro che genuina, bensì falsa, non finalizzata ad aiutarlo come paziente. C'era quel qualcosa nei suoi occhi castani che riuscì a paralizzare Aaron, nonostante il suo aspetto innocuo.

-Quindi tu hai dei terrori notturni- concluse.
Aaron scosse la testa, ancora perso nei suoi pensieri. -Come scusi?-
L'uomo accavallò le gambe, mostrando i mocassini consumati. -Terrori notturni- ripeté. -Ne hai mai sentito parlare?-
Aaron abbassò lo sguardo, iniziando a giocherellare con il filo delle sue cuffiette. -No, signore.-
Benjamin Edwards sorrise, posando il quaderno di appunti sulla scrivania accanto alla sua poltrona di velluto. - Mi piace definirli come una dimensione tra il sogno e la realtà, un limbo...- Si incurvò in avanti con le mani giunte, appoggiandosi sulla gamba piegata. -Quello che succede nei tuoi incubi è in parte reale.-
Aaron deglutì nervosamente, mentre l'immagine di quel mostro gli annebbiava la vista. -Come faccio a capire cos'è reale e cosa invece è frutto della mia immaginazione?-
Il dottor Edwards gli lanciò uno sguardo penetrante, come se volesse leggergli dentro. La testa gli iniziò improvvisamente a girare, e la stanza intorno a lui sembrava deformarsi piano piano. Lo psicologo continuava a fissarlo ma cambiava continuamente aspetto, prima era il dottor Edwards e poi era qualcun'altro, un uomo che Aaron non aveva mai visto, come se il suo aspetto potesse mutare. E in quella confusione, sentì tre semplici parole che lo fecero rabbrividire:

-È tutto reale.-

La voce del dottore era diversa, meno rauca e più seducente, come se fosse ringiovanito.

-Aaron!-

Il ragazzo aprì gli occhi e si guardò intorno ansimando. Sentiva una forte nausea, e le dita delle mani tremavano.
-Aaron, hai riposato abbastanza stanotte?- ripeté Edwards, tornato al suo aspetto normale. La sua voce era di nuovo rauca, come se avesse la tosse, e la sua posizione sulla poltrona era la stessa di poco prima. Il ragazzo abbassò la testa e vide che il filo delle cuffiette si era stretto intorno al suo polso destro, quasi bloccandogli la circolazione. Lo sciolse immediatamente e ripose tutto nella tasca.
-Aaron- lo chiamò di nuovo lo psicologo. -Hai riposato abbastanza?-
-Parlavamo dei terrori notturni, giusto?- Lo ignorò il più giovane, allungandosi sulla sedia per ritrovarsi faccia a faccia con il dottore. -Ne abbiamo parlato, no?-
Il signor Edwards lo fissò aggrottando le sopracciglia, visibilmente turbato, eppure Aaron era certo di aver visto un sorriso sghembo farsi spazio sul suo viso.
-Ora è meglio che tu vada- lo congedò. -Oggi ritorni a scuola, non vorrai fare tardi.-
Aaron si alzò di scatto dalla poltrona e uscì di corsa fuori dallo studio, lasciando il dottore da solo. Appoggiò la testa contro la porta dell'appartamento, sembrava gli stesse per scoppiare. Si lasciò cadere a terra, esausto, ripensando a tutte le visioni che aveva avuto. Gli sembrò di sentire la voce del dottor Edwards, quasi ovattata, in lontananza; stava parlando da solo o forse con qualcuno, ma Aaron riuscì a sentire chiaramente solo una frase:

-Il demone è sveglio.-







Kayla rimase a fissare Elijah con un'espressione confusa. -Che hai detto?-
Il ragazzo si alzò di scatto con una velocità sovrumana e le passò accanto, dirigendosi verso la sacca a terra.
-Che disastro- disse, osservando la scia di sangue sul pavimento.
-Elijah- lo chiamò scocciata. -Sono qui per Hailey, fammi incontrare questa psicopatica di cui parli.-
Il ragazzo iniziò a pulire per terra con un panno. -Ti ha scelto, non è così? Devi averla impressionata.-
Kayla sbuffò. -Hai intenzione di aiutarmi o no? Tu fai già parte della sua setta di aspiranti assassini...-
Elijah strinse il panno tra le dita, sbattendolo sul pavimento. -Non sono in vena di scherzare, Kayla- la rimproverò. -È una cosa più grande di quello che pensi.-
-Elijah- esclamò lei esasperata. -Dov'è Hailey?-
Il ragazzo lanciò il panno contro il muro, macchiandolo di sangue. -Non lo so, cazzo!- gridò. -Io non lo so!-
Si sdraiò sul pavimento, con la schiena sopra il sangue, e si coprì il viso con le scarne mani, ora più venose del solito.
Furiosa, Kayla sollevò il minifrigo, trovandolo più pesante di quanto pensasse, e lo rovesciò per terra, spargendo tutte le sacche piene di liquido purpureo. Per fortuna di Elijah, nessuna di queste scoppiò.
Kayla guardò di nuovo il ragazzo: era ancora rannicchiato come un animale spaventato. -Non pensare che resterò qui ad autocommiserarmi con te.-
Elijah si appoggiò sui gomiti e la fissò digrignando i denti.
-Troverò la strega che tiene la mia migliore amica senza il tuo preziosissimo aiuto- concluse, senza nascondere il secco sarcasmo.
Il ragazzo aprì la bocca per replicare, ma Kayla era già uscita sbattendo la porta.







Alex si sentiva come stregato; seguiva ogni passo di Destiny quasi emulandolo, e osservava tutti i suoi più impercettibili gesti come se la volesse studiare in ogni dettaglio. Quella ragazza era speciale, ne era certo, e voleva sapere tutto di lei: chi era, cosa ci faceva lì, e perché aveva scelto proprio lui.

-Siamo quasi arrivati- annunciò lei con la sua voce melodiosa, era un piacere sentirla parlare. -Potete lasciarci da soli ora.-
Alex era talmente preso ad osservare Destiny che non si era accorto dei due ragazzi alle sue spalle, gli stessi di prima.
-Abbiamo cose più importanti a cui pensare dei tuoi desideri sess...-
-Sta' zitto, Jonah- lo interruppe lei alzando una mano. -Devo parlargli della Mezzanotte Oscura.-
Jonah incrociò le braccia. -Bene, la tua storia della buonanotte preferita- rispose con sarcasmo.
Ora che Alex aveva distolto lo sguardo da Destiny poteva finalmente vedere quel ragazzo con cui stava parlando. Era alto, notò, perfino più di lui. Aveva le spalle larghe e il fisico asciutto, evidenziato da quella che sembrava una vecchia tenuta da cacciatore, simile a una delle tante che Alex aveva visto nei libri che suo padre teneva tanto gelosamente nel proprio studio. Jonah aveva i capelli ricci e castani, abbastanza lunghi da coprirgli le sopracciglia, e una piccola cicatrice appena sotto il labbro inferiore, ben visibile anche da lontano. Accanto a lui c'era un altro ragazzo, più basso e magrolino, che fissava attentamente la ragazza come se si aspettasse di essere colpito.
Destiny fece una smorfia a Jonah, poi rivolse di nuovo i suoi bei occhi verdi ad Alex. -Vieni, Alex- gli disse dolcemente. -Lasciamo da soli questi due guastafeste.-
Alex passò accanto all'altro ragazzo, che lo fissava in silenzio, e fu fermato da Jonah, che gli afferrò un braccio.
-Svegliati, prima che sia troppo tardi.-
Alex lo ignorò e seguì Destiny nella stanza, chiudendo la porta dietro di sé.







Kayla non aveva decisamente voglia di andare a scuola dopo tutto quello che era successo; faceva avanti e indietro per il quartiere dove abitava Elijah, Fort Heim, nella periferia della città. Era una zona tranquilla, a poco più di un miglio da casa sua e piena di villette a schiera fornite di un notevole giardino. Kayla ormai conosceva la strada a memoria per tutte le volte che anni prima ci aveva accompagnato una timida e insicura Hailey, quando si era appena fidanzata con quel cretino di Elijah. Non era mai piaciuto né a Kayla né al fratello di Hailey, mentre quest'ultima era pazza di lui: diceva sempre che era una persona straordinaria, e che la amava con tutto se stesso.
Eppure Elijah se ne stava chiuso nella sua camera pretendendo di trovarla senza muovere un dito.

Kayla si fermò davanti al parco giochi: era la terza volta che passava davanti alla stessa altalena rossa e arrugginita, con una delle corde staccata.
Si avvicinò al sellino e lo osservò mentre si scontrava con le assi di legno laterali, cullato dal leggero vento.
Kayla alzò leggermente lo sguardo e si rese conto che qualcuno la stava osservando dall'altra parte del parco. Da quella distanza era difficile capire chi fosse, però una voce dentro di lei le stava dicendo che era proprio lui. Kayla indietreggiò lentamente, distogliendo lo sguardo per non inciampare su un gradino, e quando si voltò di nuovo, quella persona era appena dietro l'altalena. Non c'era alcun dubbio: la sua figura era inconfondibile, e la luce del sole illuminava il suo viso pallido e la mascella squadrata; i capelli corvini erano raccolti in un cappello portato al contrario, il suo preferito, e la maglietta che gli aveva regalato lei, con il simbolo della squadra della scuola: i Reptiles.
Ma nonostante sembrasse davvero lì, era tutto troppo assurdo per essere reale: lui era stato portato via davanti ai suoi occhi solo cinque giorni prima, portato forse nel posto peggiore della contea... Eppure se ne stava lì, con il suo solito sorriso sghembo, come se la stesse aspettando.

-Alec?-

Quel nome uscì delicatamente dalle sue labbra e si perse nell'aria, dal tono troppo basso perché il ragazzo lo sentisse. Avrebbe voluto avvicinarsi ma sentiva che era una pessima idea, eppure non aveva la forza di indietreggiare ulteriormente. Forse era solo un'illusione, ma Alec sembrava così reale, e Kayla aveva paura di averlo perso per sempre. Lui era stato il suo primo vero amico, anche se all'inizio entrambi pensavano che ci potesse essere qualcosa di diverso. Lui la capiva, e sapeva sempre qual'era la cosa giusta da fare; Kayla avrebbe dovuto ascoltarlo al momento giusto, forse le cose sarebbero state diverse allora... Forse avrebbe avuto la forza di affrontare la realtà, quella di cui aveva così paura.

-Kayla!-

Per un attimo, la ragazza credette di aver sentito la voce di Alec, ma quando riaprì gli occhi vide una scena diversa davanti a sé: un uomo dall'aria pericolosa, vestito completamente di nero e ricoperto di sangue, era inginocchiato a terra e mordeva il collo di una giovane donna, stesa sull'erba senza vita.

-Kayla!-

Quella voce, incredibilmente vicina, la trascinò di nuovo nella realtà.
Si ritrovò sul ciglio della strada, a circa quattro metri dall'altalena. Di Alec e di quell'uomo con la sua vittima non c'era traccia, e la ragazza si sentiva frastornata, come se fosse stato tutto solo un sogno.
-Ei, tutto bene?-
Kayla alzò lo sguardo e incontrò l'espressione visibilmente perplessa di Jade; a quell'ora si sarebbe dovuta trovare già a scuola, eppure non aveva lo zaino.
-Sì, io stavo...-
Lasciò la frase incompleta perché non sapeva cosa dire; "stavo avendo delle allucinazioni mentre cercavo una psicopatica che ha rapito la mia migliore amica" era un ottimo approccio per una conversazione, ma decisamente poco credibile.
-Non ho proprio nessuna voglia di andare a scuola oggi- inventò, alzandosi e pulendosi le mani. -Stavo facendo una passeggiata e ha iniziato a girarmi la testa.-
Jade aveva uno sguardo strano, come se fosse molto preoccupata per lei, e per nasconderlo fece un sorriso innocente. -Forse è meglio se ti accompagno a casa, sembri molto stanca.-
Kayla non riusciva a reggere il suo sguardo. -No, tranquilla- rispose, allontanandosi da Jade che cercava di avvolgerle le spalle. -Mi capita ogni tanto.-
-Mi sentirei più sicura se ti accompagnassi.-
Jade allungò di nuovo un braccio verso di lei ma Kayla fu più veloce e la scansò educatamente. -Grazie comunque, vado subito a casa a riposare.-
Si allontanò senza nemmeno salutarla, sapendo bene che il suo istinto sarebbe stato di crollare tra le braccia di Jade e parlarle di Alec. Era il momento adatto per chiedere alla ragazza cosa ci faceva lì quella notte, cosa sapeva... ma Kayla non riusciva a ragionare in quel momento.
Si girò di nuovo verso Jade, quasi cercando conforto, e vide ancora Alec: era in piedi accanto alla ragazza, ma lei sembrava non accorgersi minimamente della sua presenza. Kayla sbatté gli occhi e si passò le mani sul viso, cercando di scacciare via quelle allucinazioni. Quando alzò la testa c'era solo Jade nel suo campo visivo, che non riusciva a staccare gli occhi da lei. Kayla finse un sorriso per tranquillizzarla e si incamminò verso casa.

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