CAPITOLO 76 - INCOMPRENSIBILE, INDISTRUTTIBILE

Naya mise al polso di Nemiah la pietra di luna come se fosse un bracciale e istantaneamente i lineamenti del ragazzo si rilassarono. Si chinò su di lui e gli baciò la tempia.

«Sei più forte del dolore» gli sussurrò all'orecchio.

Era lei quella fragile, sul punto di andare in pezzi, piegata dal peso della responsabilità.

Era stato Hektrien a procedere con calma glaciale, alla luce fioca delle lanterne, mentre Fidian teneva fermo Nemiah, poggiando su di lui tutto il peso del suo corpo, dopo averlo stordito con un misterioso intruglio, che aveva faticato a fargli ingurgitare. Durante l'incisione un urlo agghiacciante aveva riempito la stanza ed era risuonato nelle orecchie della ragazza per giorni, tanto da impedirle di dormire se non per sfinimento. Il ragazzo si era contorto per il dolore diversi infiniti minuti, senza mai riprendere conoscenza, poi i suoi lamenti erano diventati muti e si era arreso a un torpore simile alla morte.

Naya aveva cercato di ignorare i brividi e il senso di nausea per seguire alla lettera le istruzioni di Hektrien e grazie al suo dono non era stato necessario ricorrere a metodi barbari per cauterizzare la ferita. La sua energia era stata sufficiente per gestire il flusso sanguigno e bloccare l'emorragia. Il sangue era stato copioso e i gemiti di Nemiah insopportabili, ma lei aveva tenuto duro.

Il licantropo aveva perso solo l'avambraccio destro. Hektrien all'ultimo momento aveva reputato possibile non andare oltre con l'amputazione, per dargli una maggiore possibilità di recupero fisico e mentale. La sua esperienza sui campi di battaglia era stata preziosa, era stato lucido dall'inizio alla fine di quella difficile operazione. Lui, abituato a vedere l'orrore, sapeva trovare la calma in mezzo alla tempesta interiore che doveva agitarsi dentro di lui ogni volta che era obbligato a compiere quel gesto per tentare di salvare uno dei suoi uomini. Una vita era pur sempre una vita, un'amputazione per quanto orribile per lui rappresentava una possibilità di sopravvivenza.

Naya aveva osservato tutto con lo sguardo appannato dalle lacrime, rendendosi conto di quanto fosse fragile la vita.

Per un attimo si voltò verso Hektrien,  concentrato sul suo atto ed ebbe un capogiro immaginando quanto dovesse aver sofferto quando qualcosa di molto simile era successa a lui. Si ricordò delle parole di Fidian, pronunciate una sera durante un allenamento. Riverso a terra con la vista offuscata e piegato dal dolore, era quasi soffocato nel suo stesso sangue, mentre nessuno attorno a lui aveva osato intervenire. Suo padre aveva tentato di punirlo e umiliarlo, ma non ci era riuscito, la volontà di vivere di suo figlio era più forte della sua crudeltà.

L'uomo si accorse di quello sguardo.

Puoi andare.

Naya era uscita dalla stanza barcollando, aggrappandosi allo stipite della porta e imbrattando di sangue tutto ciò che aveva toccato lungo il suo cammino per ritornare nella stanza in cui si era svegliata quel giorno. Si era rannicchiata nel letto tremante, portandosi le mani al petto, con gli occhi sbarrati e il fiato corto mentre il mondo esterno cessava di esistere.

Hektrien l'aveva raggiunta chissà quando e aveva preso posto accanto a lei, sfiorandole il dorso della mano. Non si era nemmeno accorta che fosse entrato nella stanza, non sapeva quanto tempo fosse trascorso da quando se n'era andata. Si era seduta con fatica ed era scoppiata a piangere, nascondendo istintivamente il viso contro il suo petto. L'uomo le aveva poggiato una mano dietro la nuca, carezzandole i capelli e cullandola incessantemente per ore e ore, ripetendole sempre la stessa frase.

Andrà tutto bene, andrà tutto bene, andrà tutto bene.

La giovane era a poco a poco caduta in una specie di trance. Si sentiva intrappolata in un vortice d'orrore, in un incubo rosso cremisi, mentre le lacrime le scorrevano lungo le guance e poi si era arresa alla fatica.

Il mattino seguente il ricordo di un urlo lontano, proveniente da un angolo remoto del suo inconscio, l'aveva risvegliata. Aveva incrociato lo sguardo di Hektrien e si era sottratta a quell'abbraccio imbarazzata.

Aveva gli occhi rossi e gonfi, il viso stropicciato, l'anima a pezzi, ma per un attimo le immagini della notte precedente cessarono di tormentarla. Vide solo il nero brillante delle sue pupille fisse su di lei, piene di promesse.

Proprio come durante i suoi sogni a occhi aperti ebbe l'istinto di prendere un ultimo grande respiro e scendere sempre più giù nel buio dell'abisso, lasciandosi avvolgere dall'oscurità. Se avesse ceduto non sarebbe più stata in grado di risalire in superficie. Lo voleva, lo desiderava con tutta sé stessa. Voleva abbandonarsi a ciò che sentiva, stretta per sempre nel suo abbraccio rassicurante, ma la vita o ciò che ne restava la chiamava.

«Devo andare» balbettò.

Quello tentò di trattenerla per la mano, ma lei sgusciò via e scomparve oltre la soglia, mettendolo di fronte all'ennesimo rifiuto.

Trascorsero i giorni, la giovane aiutava Fidian per le medicazioni. All'inizio non era stato facile, ma il licantropo le disse qualcosa di prezioso, vedendola in difficoltà a guardare ciò che restava del braccio di Nemiah e da allora la ragazza tenne a mente quel consiglio ogni volta che si occupava di lui.

«Se provi disgusto, non lo aiuti» disse colpendola dritta al cuore. «Quando si sveglierà niente compassione, ha bisogno di te, non della tua pietà. Trattalo come l'hai sempre trattato, a pesci in faccia se necessario».

Naya aveva iniziato a sostituirlo per quella parte di cure più delicate che l'uomo non si sentiva di fare. Quando si trovava da sola con Nemiah apriva la finestra e lasciava entrare l'aria fresca d'autunno e i tiepidi raggi di sole, gli parlava, con la speranza che ogni parola si facesse ponte per risvegliare qualcosa in lui e riportarlo da lei. Riempire il silenzio di parole la aiutava a rendere ogni gesto, anche il più intimo, meno imbarazzate. Gli lavava il viso e il corpo con un panno umido, lo asciugava con meticolosità, si assicurava che si idratasse abbastanza, avvicinandogli alle labbra decotti e tisane che lui leccava, senza mai veramente riprendere conoscenza. Teneva viva la sua scintilla di vita e credeva con tutte le sue forze che prima o poi avrebbe aperto gli occhi.

Le giornate erano tutte uguali, le ore trascorrevano lentamente. Naya, Fidian e Hektrien mangiavano poco nulla, brodi, croste di pane, latte caldo e qualche frutto bacato trovato nel parco, sopravvissuto alla fine dell'estate. Il tempo era scandito dalle medicazioni e da quei pasti frugali alla luce di una tremula lanterna, dove restavano tutti in silenzio.

Fidian pregava un dio sconosciuto, convinto che la sua fede potesse influenzare la guarigione. Non osava allontanarsi troppo per la caccia, il suo bottino era sempre misero per sfamarli tutti. Preferiva restare al capezzale di Nemiah per dare il cambio all'amica le poche volte in cui riusciva a trascinarla fuori da quella stanza. Naya aveva paura di dormire, perché l'eco di quel grido di dolore tornava a tormentarla in ogni momento di incoscienza. Crollava solo dopo interminabili veglie.

Hektrien era silenzioso e scostante, spesso assente, faceva delle ronde attorno al Castello o almeno così le aveva detto Fidian.

La situazione tra Naya e il Generale era alquanto ambigua. Si parlavano a stento, lui aveva sempre un'espressione turbata e i suoi gesti si facevano nervosi in sua presenza. Quando inaspettatamente si trovavano soli pareva sempre sul punto di dover dire qualcosa, ma non appena lei lo guardava per cogliere i suoi pensieri quello sfuggiva il suo sguardo e lasciava la stanza. La sua presenza, così come la sua assenza, era ingombrante. Poteva percepirlo anche senza guardarlo direttamente, l'aria si faceva inspiegabilmente elettrica e il suo cuore accelerava quando varcava la soglia per chiedere notizie sullo stato di salute del fratello e la delusione della giovane era tanta quando annuiva e se ne andava scuro un volto.

Un pomeriggio Nemiah finalmente si svegliò, era qualche ora che sembrava dover emergere dal quel sonno pesante. Reagiva agli stimoli esterni, muovendo il capo verso i raggi del sole che filtravano nella stanza e il suo respiro si era fatto più regolare. Ad un certo punto aveva persino stretto la mano di Naya, mormorando il suo nome.

«Sei al sicuro» disse lei non appena lui aprì veramente gli occhi, per guardarla. «Ti ho recuperato una pietra di luna, andrà tutto bene».

«Tu non morirai, Naya. Io non lo permetterò» mormorò lui, facendo fatica a tenere lo sguardo fisso su di lei. Quella gli carezzò la barba lunga. «Che è successo? Ho la testa che mi scoppia».

Naya esitò a rispondere, non sapeva cosa dire.

«Acqua» disse, leccandosi le labbra secche.

La ragazza gli avvicinò un bicchiere alla bocca e lui bevve avidamente, facendosene colare metà addosso.

Cercò di tirarsi sù, percepiva il braccio destro molto più leggero del sinistro. Sbatté le palpebre più volte, poi si immobilizzò, inchiodato davanti alla verità.

La sua espressione mutò leggermente, quasi in modo impercettibile, poi fu travolto dal panico. Si strappò completamente il lenzuolo di dosso, nonostante la debolezza accumulata in quei giorni di lotta tra la vita e la morte e vide il moncherino, avvolto nelle bende.

Non riusciva a vedere altro che quella parte mancante di sé stesso. Quell'amputazione andava al di là della ferita visibile. Si ricordò del dolore, delle voci ovattate, dei volti che lo circondavano e di quelle bocche che dicevano cose incomprensibili per le sue orecchie.

«Come hai potuto?».

«Hektrien e Fidian» iniziò lei in cerca delle parole giuste. «Loro...»

«Tu come hai potuto?» ringhiò quello.

«Stavi morendo».

«Con che diritto mi hai fatto questo?» urlò. Naya si alzò in piedi, scossa da quella reazione rabbiosa. «Ti avevo chiesto di bruciarmi, ti avevo chiesto di bruciarmi».

«Non è la fine, non sarà la fine» reagì lei. «Non sarà quel braccio a impedirti di fare cose meravigliose».

«Vattene» urlò quello, lei scrollò il capo. «Di a quei due che se osano avvicinarsi li brucerò a fuoco lento».

Un lampo omicida balenò nei suoi occhi, non scherzava.

«Allora dovrai bruciare anche me, perché sono la mia famiglia, la famiglia che ho scelto».

Stava in piedi, testarda almeno quanto lui.

«Hai rovinato tutto» disse, annaspando in cerca d'aria. «Hai rovinato tutto».

La ragazza mantenne la calma, decisa a seguire i consigli di Fidian. Andò alla finestra, tirò completamente le tende con un gesto brusco e fece entrare la luce del giorno.

«Voglio riparare al torto fatto» dichiarò lei, indicando la finestra spalancata. «È un volo di qualche decina di metri, morirai sul colpo».

Si allontanò verso l'uscita.

«Dove stai andando?».

«A preparare la tua pira».

«Ti odio, mi hai sentito? Ti odio».

Naya uscì fuori, poco prima che un gran baccano scoppiasse nella stanza. Nemiah doveva aver spaccato il servizio di terracotta che era poggiato accanto al suo letto.

Hektrien era accorso, trovandola ancora spalle alla porta, con le braccia allargate e i palmi delle mani poggiati contro il legno che vibrava ancora.

Il corridoio era buio, tutte le finestre erano state sbarrate per impedire alla luce del giorno di entrare.

Che è successo? Ti ha fatto del male?

«Va tutto bene».

No, non va tutto bene.

«Sta male, cerca di capire».

Nulla giustifica la violenza, soprattutto verso di te che sei sempre stata dalla sua parte anche quando pareva incomprensibile.

«Non lo giustifico. Cerco solo di capirlo».

Non c'è nulla da capire. La vita va avanti, sempre, anche quando sembra impossibile.

«Hai mai vissuto qualcosa di simile?».

Voleva proteggere l'amico a ogni costo.

L'uomo annuì e lei si sentì stupida. Suo padre l'aveva ridotto al silenzio per sempre.

Quando una parte di me è stata strappata via. Quando quella notte non sono stato all'altezza di quel nuovo strano sentimento.

«Il rispetto».

Il rispetto non è un sentimento, lo sai bene.

Ci fu un breve silenzio, in cui lei inspirò forte e gonfiò il petto.

Mi perdonerai mai?

Lei non rispose, si rese conto solo in quel momento che una parte di lei gli serbava davvero ancora rancore. Era stato la sua prima vera delusione, quella che non si dimentica.

Forse hai ragione, devo iniziare a proteggere il mio cuore.

Si sfilò la spilla, appuntata sulla divisa e gliela porse. Naya fece qualche passo verso di lui e la prese, incapace di parlare.

Con te al proprio fianco qualunque uomo è invincibile. Nemiah se la caverà.

«Naya» gridò il ragazzo dall'interno.

«Devo andare, ha bisogno di me» disse timidamente, l'altro annuì severo come sempre. «Stasera ti andrebbe di passare un momento insieme? Solo io e te».

Quelle parole erano uscite da sole dalla sua bocca. Hektrien annuì ancora, poi sparì in fondo al corridoio.

Quando la giovane entrò nella stanza l'amico era a letto con l'aria da cane battuto.

«Hai bisogno che ti accompagni fino alla finestra?» chiese lei provocatoria, nascondendo in una tasca quella spilla che pesava quanto un macigno.

«Credo di essermi pisciato sotto» rispose in tono piatto.

Quando lei era uscita, si era reso conto che il suo letto era bagnato. Il dolore si stava risvegliando, ogni movimento era insopportabile, non riusciva nemmeno a alzarsi. Si sentiva umiliato, privato della sua dignità e non riusciva a formulare chiaramente la sua richiesta di aiuto. Avrebbe voluto dirle che aveva bisogno di lei, ma dalla sua bocca uscì solo quella frase secca.

«Il letto è bagnato e io...» continuò in difficoltà. Lei gli rispose con un sorriso divertito e si avvicinò a lui lentamente con aria compiaciuta. «Hai sentito cosa ho detto?» chiese sgarbato.

«Non è la prima volta e probabilmente non sarà nemmeno l'ultima» rispose lei pungente. «Vuoi chiedermi gentilmente che io ti aiuti o preferisci che io chiami Fidian?»

Naya gli porse la mano e lui la afferrò contro voglia.

«Questo non cambia nulla, non ho intenzione di perdonarti».

«E io non ho intenzione di chiederti scusa per averti salvato la vita» disse sprezzante. «Abbiamo una scorta infinita di lenzuola e coperte, non preoccuparti, puoi pisciarti sotto quanto vuoi».

Il suo sguardo che poco prima era ardente, ora era smarrito. Si vergognava.

«Preferirei fossi tu ad aiutarmi» disse lui, abbassando lo sguardo. Quella alzò un sopracciglio e rimase in attesa. «Per favore mi aiuteresti ad alzarmi?» domandò spazientito.

«Ti andrebbe un bagno mentre io mi sbarazzo di tutto questo?» chiese indicando il letto.

«Voglio solo cambiarmi e provare a dormire» iniziò con un filo di voce.«E possibilmente non svegliarmi più».

«Nemiah» disse lei in tono di rimprovero.

Quello non disse più nulla, si aggrappò a lei e raggiunse una seggiola, dove rimase muto, mentre lei lo spogliava e lo ricopriva con una coperta. Non ebbe altra scelta che disfare e rifare il letto, sbirciandolo con la coda dell'occhio. Era l'ombra di sé stesso, il viso emaciato, le gambe lunghe e magre che spuntavano da sotto la coperta in cui pareva sparire. Osservava il bracciale con la pietra di luna, senza particolari reazioni, mentre brillava alla luce del sole. Lo aiutò a rivestirsi, fingendo di non notare le lacrime trattenute all'angolo degli occhi, lo imboccò e lo riaccompagnò a letto.

«Ho chiesto a Tata Odile di uccidermi» confessò all'improvviso coricandosi.

Era più di un'ora che non diceva una parola.

«Perchè?».

«Perchè...» iniziò, cercando le parole giuste.

La verità è che non riusciva a pensare a una vita senza di lei, ma sarebbe stato egoista dirlo ad alta voce.

«Perchè dovrei lottare per rimanere in vita in questo mondo che non mi ha mai voluto?».

L'abbandono era una forma di dolore che non l'avrebbe mai lasciato e che prima o poi l'avrebbe consumato.

«Non lo so, non sono la persona più adatta a dare consigli. Io so solo perché voglio morire, per salvare chi mi ha dato tanto. Devi trovare da solo la tua ragione. La vita è complicata, ma ci sono così persone che credono in te, forse questo è abbastanza. Al campo base tutti ti aspettano, sarai accolto come un eroe» disse lei, mentre lui scrollava il capo.

Il campo base era l'ultimo luogo in cui sognava di farsi vedere in quello stato pietoso.

«Per aver fallito la missione? Per aver rischiato di ucciderti e stuprarti? O per non essere nemmeno riuscito a morire?» chiese con le labbra che tremavano.

«Questa rivoluzione ha bisogno del tuo cuore. Io ho bisogno di te, Hektrien ha bisogno di te. Ha fatto di tutto per mantenerti in vita ed è tutto ciò che resta della tua famiglia» disse lei, mentre la bocca di Nemiah si piegava in una smorfia di fronte a quel nome. «Ti ha portato a braccia fino al Castello, mi ha supplicato più volte di salvarti la vita quando io pensavo ad arrendermi, sei vivo grazie a lui e un giorno gliene sarai grato».

«Rimanere in vita per trovare un modo di fargliela pagare non mi pare più una così cattiva idea» disse con l'abbozzo di un sorriso.

«Vorrebbe insegnarti a usare una spada con una mano sola».

«Credi che potrei diventare così bravo da infilzarlo da parte a parte?».

«Devo andare» disse, posandogli un bacio sulla fronte.

«Vai da lui?».

«Prendi questo» disse porgendogli un bicchiere. «Ti farà dormire, hai bisogno di riposare».

«Tornerai?».

«Certo» disse, rimboccandogli la coperta. La sua voce si era fatta più morbida. «Riposati».

La ragazza chiuse la finestra, tirò le tende e si avviò alla porta.

«Naya» chiamò quello, lei si voltò. «Vorresti essere la mia ragione?».

«Ciò che mi aspetta è un castello tra le nuvole. Non credo alla vita dopo la morte, ma spero che guarderai sù ogni tanto, non si sa mai» disse lei, sforzandosi di sorridere.

«Ragazzina ne dici di sciocchezze» la canzonò, arricciando le labbra e ricacciando le lacrime. «Avrai il tuo lieto fine, non permetterò a nessuno di farti de male. Scelgo di esserci, sempre al tuo fianco anche se a metà».

Il loro legame era indistruttibile, nonostante tutto. Il destino della ragazza era tracciato, ma quelle parole le ricordarono che non era sola e che la vita era un dono.

«Ti voglio bene e non smetterò mai di credere in te, ma morirò e va bene così».

L'aria era densa di ricordi, pianti e risate.

«Tu puoi scegliere di morire per me, ma lo stesso non mi è concesso».

«Sarò la tua Regina, mi devi obbedienza».

«Fino ad allora farò di testa mia».

«Buona notte».

«Buona notte».

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