CAPITOLO 74 - IL SACRIFICIO
Naya era corsa direttamente sotto il riparo dove avevano lasciato il cavallo la sera prima e dopo avergli fatto una carezza era riuscita goffamente a salirgli in groppa, dopo vari tentativi infruttuosi.
Non aveva udito Nemiah gridare al cielo il suo oscuro desiderio, in caso contrario sarebbe probabilmente tornata indietro a dargli un altro schiaffone.
La mano le faceva male, si era lasciata andare a un gesto imperdonabile, ma la pazienza era finita. Avrebbe fatto meglio a usare parole affilate per riportarlo alla realtà, ma l'istinto aveva avuto la meglio. Quello schiaffo era il risultato di tutte le frustrazioni accumulate nel tempo. Le azioni sconsiderate del ragazzo potevano causare ripercussioni negative sulla vita di molti e lei non poteva permetterglielo.
Voleva andarsene, mettere della distanza da lui, nonostante il temporale, ma attese pazientemente in groppa all'animale, carezzandogli il capo e facendolo passeggiare sotto quel grande portico che l'aveva vista bambina. Voleva che si abituasse a lei. Non era mai stata a suo agio a cavallo, ma la bestia scelta da Gabor sembrava docile.
La ragazza fissava quel poco del parco reale che poteva scorgere dalla sua posizione e ascoltava il suono ipnotico della pioggia, cercando di rilassarsi.
Quando finalmente gli scrosci d'acqua si attenuarono pensò fosse un segno di tregua dalla parte di Tata Odile. Forse aver urlato a Nemiah di non amarlo sarebbe bastato per salvargli la vita. Non aveva messo in conto la mancanza di buon senso del giovane e la sua ennesima provocazione.
Era tutto più complicato di quanto potesse apparire.
Spronò il cavallo ad avanzare in quell'aurora dalle tinte grigie, sentendosi libera e terrorizzata allo stesso tempo. Risalì il viale alberato aggrappandosi alle briglie e sobbalzando in sella a ogni falcata, attraversò quella città fantasma avvolta da una leggera nebbia e giunse fuori le mura del borgo, dove fu accolta da un piacevole sole autunnale che rendeva più netti i contorni di un paesaggio fino a quel momento sbiadito.
La temperatura era dolce e la sua rabbia era scemata, ma non sarebbe tornata indietro. Conosceva i suoi limiti, la sua emotività l'avrebbe riportata al punto di partenza e lei doveva avanzare a ogni costo.
Intravide un sentiero in terra battuta che si snodava tra gli alberi secolari. Quello davanti a lei doveva essere Granbosco. Secondo i suoi ricordi si estendeva a nord del campobase, ma conduceva ugualmente al Regno di Tenebra se si procedeva verso est seguendo il fiume.
Chiuse gli occhi e si concentrò, sentiva il suo eco in lontananza, proprio come era avvenuto per la fonte sotto il Tempio. Non le restava che procedere, in attesa di decidere se scendere a sud o continuare verso Herken, dove forse avrebbe potuto recuperare una pietra di luna per Nemiah, che nonostante tutto era sempre in cima alla lista delle sue priorità.
L'aria era tiepida, l'odore di terra umida le pizzicava il naso. Avanzò lungo quel sentiero fangoso e sempre più ombroso, provando piacere per quella cavalcata con il suo compagno senza nome.
Il sole era alto nel cielo, quando arrivò a una vasta radura. Doveva essere fine mattinata o primo pomeriggio.
Chiuse gli occhi per decidere che direzione prendere, ma qualcosa non andava. I suoi sensi erano in allerta ben prima che un ululato spezzasse quel momento di fragile concentrazione.
La ragazza si voltò, un lupo dal pelo color miele la stava fissando.
Nemiah tornò in forma umana e alzò un braccio facendole un cenno. Quella visione la fece rabbrividire, pareva tenersi in piedi nello stesso scorcio in cui Tata Odile aveva fatto sparire il sole.
Scese rapidamente dalla collinetta per raggiungerla.
«Devi andartene» disse lei guardandosi attorno in panico.
«Mi dispiace per ogni parola e ogni gesto» iniziò quello.
Un'altra scusa che prima o poi avrebbe sicuramente accettato dopo aver digerito l'ennesima delusione, a patto che fosse sopravvissuto.
Uno strano presentimento la trasportò altrove, le pareva che la sua testa fosse immersa nell'ovatta. Il bosco stava trattenendo il fiato.
Una brezza gelida spazzò quel luogo, gli uccelli smisero di cantare. Calò il silenzio, stava accadendo qualcosa.
Proprio lassù dove un minuto prima c'era Nemiah ora c'era un'ombra scura dai contorni indefiniti. Non erano più soli.
Naya aveva già vissuto quella scena, sapeva bene cosa li attendeva.
La figura si fece via via più nitida.
La fattucchiera dalla pelle rugosa e ruvida come la corteccia di un albero secolare stava leggermente ricurva di fronte a loro, aggrappandosi con una mano nodosa a un lungo bastone.
«Sali» gli intimò la giovane.
«È qui per me».
La strega distese il braccio libero verso di loro e aprì la sua mano, qualcosa turbinava nel suo palmo. Non era il sole, era una accecante bagliore argenteo. Poi lentamente lo levò verso il cielo e quel vortice impazzito si trasformò in una luna che coprì il sole.
L'oscurità calò, Nemiah si piegò su sé stesso, l'espressione del suo viso era contorta dal dolore.
«Non è una luna piena, non è una luna piena» gli gridò lei.
L'eclissi era solo parziale, un minuscolo spicchio di sole spuntava da dietro la luna, ma il suo corpo pareva dilaniato tra due forze, tra istinto e ragione. Aveva paura e la bestia approfittava di quella sua debolezza per nutrirsi della sua essenza umana.
L'incantesimo non poteva piegare completamente la natura, eppure quel velo freddo che oscurava il sole aveva oscurato anche la sua mente, convincendolo di essere schiavo di quel parassita che si agitava dentro di lui.
Sentiva di essere sul punto di perdere il controllo.
«Vattene» ruggì dando una forte pacca sul sedere del cavallo.
Quello si imbizzarrì, ma Naya aggrappandosi al suo collo e serrando le coscie riuscì a rimanere in sella, mentre l'animale iniziava a galoppare a tutta velocità verso la boscaglia.
Erano al riparo nel fitto della vegetazione quando qualcosa lo spaventò, facendogli cambiare bruscamente direzione e tornare indietro.
Delle ombre si muovevano veloci dietro i cespugli. Erano bestie nere e massicce dalle zanne affilate, un incubo a occhi aperti che conosceva bene.
Il cavallo in preda al panico galoppava a velocità sostenuta, l'avrebbe ben presto sbalzata dalla sella, nonostante si piegasse in avanti e cercasse di resistere con tutte le sue forze.
La ragazza guardò a destra a sinistra, poi dritta davanti a lei in cerca di una soluzione. Intravide un possibile appiglio, un grosso ramo che sporgeva verso il sentiero. La sua unica via di scampo. Puntò i piedi sulle staffe, si rizzò e vi si aggrappò al volo, rimanendo penzolante nel vuoto per una una manciata di secondi infiniti. Vide il cavallo scomparire in lontananza, braccato dalle quattro bestie, sfilate veloci sotto di lei, che seguivano fameliche la sua scia.
Si lasciò cadere sul terreno morbido e tornò indietro, tutta inzaccherata, seguendo le impronte degli zoccoli.
A tutto si attendeva tranne a ciò che si palesò davanti ai suoi occhi. Temeva di vedere la radura in fiamme, le bestie carbonizzate o agonizzanti di fronte alla furia di Nemiah, invece regnava ancora un silenzio surreale. Lui era in ginocchio davanti a Tata Odile, accerchiato dalle bestie immobili, ma impazienti di saltargli addosso. Non si muoveva, non mostrava segni di panico o di insofferenza.
Tendendo l'orecchio si sentiva un mormorio, stavano discutendo, ma non poteva cogliere alcuna parola da quella distanza.
Si nascose dietro un tronco d'albero, guardandosi attorno in cerca di qualcosa da usare come arma, quando udì uno scricchiolio sinistro. C'era qualcosa nascosto nel buio, dietro un cespuglio proprio davanti a lei e quella certezza le mozzò il respiro. Uno dei lucyon l'aveva trovata.
Un paio d'occhi scuri brillò dietro le frasche. Un uomo emerse dall'oscurità, la sua pelle chiara brillava sotto i raggi lunari che filtravano tra le fronde degli alberi e i lunghi capelli neri cadevano disordinati incorniciando un viso che raccontava di dolori e avventure. La fissava intimandole il silenzio poggiandosi un dito sulle labbra.
Aveva già vissuto qualcosa di simile l'autunno di un anno prima. Ancora una volta un bosco era testimone silenzioso della magia di un loro incontro sospeso nel tempo.
Il soldato si avvicinò alla ragazza e le porse un pugnale. Era quello che aveva gettato nel fiume pochi giorni prima.
Fidian dovrebbe essere qui a momenti.
«Non c'è tempo».
Quello si incupì, parve riflettere. Si avvicinò a lei, sfiorandole la spalla con il suo petto, premendo una mano sul tronco d'albero dove lei poggiava la schiena e sbirciò la radura. La giovane inspirò il suo profumo, legno di cedro e forse una nota di pepe nero e sentì una strana sensazione di calore al basso ventre. Intravide la sua spilla con le due spirali scintillare e una consapevolezza si fece strada nel suo cuore. Il sentimento che la legava a lui era davvero meno complesso di quello che la legava a Nemiah, ma non meno autentico.
Rimani qui.
«Posso aiutarti, posso parlarle».
Lui tornò a guardarla e il peso del mondo parve sparire dalle spalle della ragazza. Si sentì avvolta da una calma profonda, come se la sua zattera alla deriva avesse visto un faro in mezzo a una tempesta o forse addirittura ritrovato il suo porto.
Devi rimanere in vita.
«Per la sopravvivenza dei Regni» concluse amara.
Per me. Maledetto egoista.
Un flebile e malinconico sorriso gli sollevò un angolo della bocca. Un amore autentico era ciò che mancava a una vita vissuta intensamente, un amore che lei gli aveva negato. Non serbava rancore. Quella ragazza dallo spirito selvaggio, a prescindere da come volesse essere chiamata, era la sua luce nelle tenebre, anche se non era mai stata sua e mai lo sarebbe stata veramente. Era disposto a tutto per lei, senza chiedere nulla in cambio.
Naya strinse l'elsa del suo pugnale con forza, pareva incredibilmente pesante. La sua mente era in subbuglio, non capiva come potesse esserne in possesso e forse non le importava.
Te lo riporterò a casa, fosse l'ultima cosa che faccio.
L'uomo le carezzò la tempia con delicatezza. Lei annuì, lui sorrise. Erano due anime in bilico, che lottavano contro qualcosa che non riuscivano a spiegare.
Lui abbassò il capo e dopo aver preso un grande respiro si allontanò con uno scatto deciso, diretto alla radura. Era imponente, malgrado la sua andatura zoppicante. Lei sbirciò, trattenendo il fiato. Il soldato sarebbe andato incontro a morte certa se non si fosse piegato al volere della strega.
«Vattene Principe di Herken» ordinò quella alzando la voce.
Il Generale avanzò ancora e si piazzò davanti alle quattro bestie, sguainando la spada per proteggere il fratello. Lo sguardo determinato, il respiro regolare, il suo atteggiamento era fiero ai limiti della follia per uno spettatore ignaro dei suoi anni di servizio nella Tetra Armata. Sapeva controllare alla perfezione l'adrenalina e trasformarla in sangue freddo. Era un guerriero anomalo, per lui c'era sempre il tempo per pensare, non contava solo l'azione.
Naya nel frattempo si era avvicinata. Non avrebbe potuto fare nulla, non aveva armi, udiva il basso ringhio dei lucyon vibrare nell'aria.
Hektrien austero alzò il mento e fissò la strega muovendo leggermente le dita per aggiustare la sua presa sull'elsa della spada. Mai la paura avrebbe avuto la meglio.
«Vuoi davvero che stanotte Euniria perda tutti i suoi figli?».
Naya non l'avrebbe permesso. Si alzò, corse in mezzo alla radura e si piazzò davanti a Hektrien.
«Il tempo è scaduto Principessa Perduta» disse la fattucchiera spostando i suoi occhi dall'iride bianca su di lei.
«Se loro muoiono, questo mondo non sopravviverà».
Tata Odile sapeva che la giovane aveva ragione, eppure sentiva che era spinta da una motivazione diversa dall'interesse per quel mondo. Poteva percepire l'amore fluire nelle sue vene.
«Non sei qui perché è in gioco la salvezza del mondo».
«Loro questa notte sopravviveranno, perché così deve essere» continuò la giovane.
«Sopravviveranno fino a quando uno di loro morirà» sibilò la strega, abbozzando un sorriso malevolo.
«Nemmeno tu sai chi causerà la caduta del Tiranno, non puoi correre il rischio di fare del male alla persona sbagliata».
«E se ci fosse un modo? Se stanotte potessimo finalmente sapere chi è il prescelto?» chiese la donna, guardando i due uomini. «Ti concedo la possibilità di indirizzare la maledizione sulla persona di tua scelta».
Quella proposta era una opportunità che le avrebbe spezzato il cuore e Nemiah sarebbe morto in ogni caso. Se avesse designato Hektrien come il prescelto, il licantropo non le sarebbe più servito a nulla e se ne sarebbe sbarazzata.
«Perchè mai dovresti accordarmi questa possibilità?».
«Per assicurarmi che sei pronta a tutto e degna di portare sulle spalle il gravoso compito di mantenere l'equilibrio del mondo costi quel costi» disse puntando su di lei le sue pupille bianche. «Sarà la natura ad avere l'ultima parola, il sacrificio è la risposta».
«Il sacrificio è la risposta» ripete Naya.
Lei era l'arma, l'arma che si sarebbe fatta scudo per proteggerli.
Scegli me.
Nemiah non teneva più il capo basso, guardava l'amica senza batter ciglio. Voleva essere scelto, voleva decidere come morire.
Tata Odile alzò un dito bitorzoluto nell'aria puntandolo verso la volta celeste, poi lo abbassò lentamente al suolo, disegnando un cerchio perfetto nel fango senza nemmeno sfiorarlo. Dei simboli incandescenti e misteriosi apparvero tutto intorno.
«Un nome» la incalzò la fattucchiera.
«Ti mostrerò chi sono realmente e tu concedendomi questa scelta non interferirai mai più con i nostri destini» iniziò la ragazza con determinazione. «Nessuno né stanotte né mai morirà per un tuo capriccio».
Non poteva fare altro che strapparle una promessa, senza essere certa che quella tenesse fede alla sua parola.
«Nessuno né stanotte né mai morirà per un mio capriccio» ripetè divertita.
Naya sapeva esattamente cosa fare, si inginocchiò e scrisse ogni lettera lentamente, affondando le dita nella terra bagnata. Voleva cambiare il corso della storia, voleva seguire il cuore.
«Scelgo la vita, scelgo l'amore» sussurrò, senza che la strega potesse sentire.
Un milione di stelle apparve nel cielo nero, solo Hektrien se ne accorse. La sua stella pareva immensa in quel momento. Allentò la presa sulla sua arma e osservò la ragazza china su quel cerchio. Fu il primo a comprendere che si stava ribellando al destino, era la sua determinazione a illuminare la volta celeste. Non sarebbe intervenuto, era una guerriera senza armatura e l'avrebbe lasciata libera di compiere la sua scelta.
La vecchia lesse quel nome che brillava di energia con i suoi occhi ciechi. Aprì leggermente la sua bocca sottile senza emettere alcun suono, pareva smarrita davanti a quelle lettere che sembravano pulsare sul terreno.
«La maledizione è stata scagliata per proteggere, non per offendere. È l'amore che ha mosso Euniria quella notte, è l'amore che muove me stanotte. L'amore autentico, l'amore che trascende il sangue, l'unico sentimento che può salvare questo mondo. Iris, è Iris la mia scelta. La figlia del suo cuore» esclamò la ragazza, alzandosi in piedi.
Quel nome fu assorbito dal terreno, la natura, che aveva ascoltato il suo accorato appello solo qualche giorno prima sulle sponde del fiume, poco prima di arrivare alla Contea, aveva apprezzato quel gesto di altruismo e accettato quello scambio.
«Così sia, piccola sciocca» sancì la strega indispettita indietreggiando. «Vattene Principe di Herken prima che sorga il sole. La Principessa Perduta morirà, sei l'unica speranza per la sopravvivenza di questo mondo».
Hektrien non mosse un passo, sarebbe rimasto al fianco della giovane fino alla fine.
Nemiah ci mise qualche secondo a comprendre ciò che era accaduto. Risvegliandosi come da un sogno scattò in piedi e iniziò a urlare e scagliare palle di fuoco verso la strega, la cui figura si stava ormai dissolvendo nell'aria.
«Nessuno né stanotte né mai morirà per un mio capriccio, ma qualcuno morirà per la sua stupidità» disse quella al licantropo, abbozzando un ghigno malevolo, poi sparì.
I lucyon rapidi e letali fecero un balzo verso di lui, ma due furono intercettati e colpiti dalla spada di Hektrien. Naya si era istintivamente abbassata e le altre due belve l'avevano schivata e si erano gettate su Nemiah.
Una di loro azzannò il licantropo all'altezza di un braccio e lo trascinò via verso la boscaglia e una morte certa. Quello si dimenò urlando di dolore, cercando di usare il fuoco per sottrarsi a quella prese mortale, ma era tutto inutile. I muscoli della sua mascella erano fatti per uccidere e lui ancora spossato dalla trasformazione della notte precedente.
Fidian arrivò in groppa a uno stallone nero dal manto lucente. Calzava degli stivaloni neri con delle borchie d'argento che richiamavano dei boccioli di rosa, lo stesso valeva per la sua divisa dai dettagli floreali. Era bello e nobile, una creatura delle notte. Balzò a terra e corse verso Nemiah.
La sua tecnica di combattimento era simile a una danza ipnotica. Era agile, leggero e preciso, tirava di spada con metodo. Ben presto Hektrien, liberatosi dei suoi avversari, arrivò a dargli man forte, era meno aggraziato, forse più lento, ma i suoi affondi erano davvero sorprendenti.
Erano una accoppiata vincente. Si coprivano l'uno con l'altro, i loro movimenti erano sincronizzati e i loro colpi coordinati che si susseguivano senza sosta riuscivano a confondere i lucyon.
Fu proprio lui a liberare suo fratello dalle fauci delle bestie, dopo aver ucciso l'ultima con un colpo in mezzo agli occhi.
Naya accorse incespicando, quando Hektrien si scostò per lasciarla passare vide la carne del braccio lacerata e il sangue che si mescolava alla terra. Nervi, tendini e ossa erano maciullati.
«Non può farti più niente, non può farti più niente» disse lei chinandosi su di lui.
«Era una cosa tra me e lei» le disse il biondo con le lacrime agli occhi.
«Tra lei e te ci sono io, sempre» rispose lei.
Quello sorrise debolmente, poi chiuse gli occhi e la sua testa cadde all'indietro.
Naya si guardò le mani tremanti sporche di quel sangue che continuava a zampillare e portandosele alla gola urlò la sua disperazione al cielo, rompendo quel silenzio assordante che era calato sulla radura.
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