CAPITOLO 62 - UN PEZZO DI VITA
Cavalcarono di nuovo per tre giorni, prendendo solo piccole pause per rifocillarsi e dormire.
Naya, nei ritagli di tempo, cercava di insegnare a leggere a Nemiah, tracciando pazientemente con un bastoncino le lettere dell'alfabeto per terra. Il suo allievo si distraeva facilmente, bastava una sfumatura particolare del cielo o il cinguettio degli uccelli perché il suo sguardo vagasse a destra e sinistra e le lettere si mescolassero l'una con l'altra davanti ai suoi occhi mentre ne imitava i suoni. I suoi progressi erano davvero minimi, ma la giovane non si perdeva d'animo ed era convinta che presto o tardi il suo compagno di viaggio sarebbe stato in grado di decifrare quei simboli misteriosi. Non le importava che fosse rapido, lo incoraggiava e festeggiava ogni passo avanti come un vero e proprio trionfo.
«Come si scrive serpente?» chiese quello un giorno.
«Sono troppe lettere, prima dovresti imparare a riconoscere parole più semplici» rispose lei, scuotendo la testa.
«Mi interessa davvero saperlo».
Naya aveva ceduto e aveva iniziato a tracciare le lettere per terra, mentre lui si accovacciava accanto a lei per osservare meglio.
All'improvviso una singolare vibrazione dietro il suo orecchio la fece sobbalzare. Voltò leggermente il capo alla sua sinistra e si immobilizzò quando vide una minuscola testolina dagli occhi grandi e dal muso affusolato che la stava fissando.
Cadde goffamente a terra e indietreggiò come un granchio. Nemiah aveva un enorme serpente dalle squame sgargianti poggiato attorno al collo.
«Vuoi toccarlo?» chiese avvicinandosi.
«Sei forse impazzito?» chiese stizzita, rimettendosi in piedi.
«Ha solo voglia di giocare».
«Può scordarselo».
«Hai proprio un caratteraccio» disse lui in tono annoiato. «Vieni Fifi, andiamo a scoprire il mondo. Io e te, insieme» aggiunse rivolto al rettile, protendendo le labbra per schioccargli un bacio.
«Fifi» ripeté lei.
«In questo periodo dell'anno odia la luce del sole, si muove furtivo nell'oscurità e preferisce le ombre e i segreti» rispose ironico.
Alzò un sopracciglio, cogliendo l'allusione a Fidian. Nemiah non le rendeva certo la vita facile con il suo singolare senso dell'umorismo, ma ogni momento passato con lui era prezioso.
Il cammino che stavano facendo sembrava portarli sempre più lontano dalla costa, percorso apparentemente più logico per raggiungere la Contea.
La Principessa aveva passato notti e notti con la testa china sulla mappa che aveva rubato a Tilanio e quella che stavano percorrendo non sembrava proprio la via più rapida per arrivare a destinazione. Aveva provato a chiedere spiegazioni a Nemiah, ma lui con il suo solito sorriso la supplicava di smetterla di fargli domande e di limitarsi a fidarsi del suo infallibile senso dell'orientamento.
«Hai un sogno?» le chiese lui un tardo pomeriggio di inizio settembre, cavalcando verso il tramonto.
«Realizzabile?».
«Qualcosa di folle. Altrimenti che sogno è?».
«La fine della guerra allora» disse ironica.
«Qualcosa solo per te».
«Non saprei».
«Io vorrei cambiare vita e diventare un pirata» rispose sicuro di sé.
«Un pirata» ripeté lei stranita.
«Vorrei poter andare ovunque, navigare verso l'orizzonte e scoprire terre lontane. Godere di ogni alba e ogni tramonto sul mare, sentendo il vento sul viso e l'odore del sale nell'aria».
«Perchè non diventi pescatore?».
«Non voglio regole o padroni» spiegò lui. «Forse è soprattutto il senso di libertà che mi attrae. Allora quale è il tuo sogno?».
«Il mio cammino è già tracciato» disse amara.
«Fai uno sforzo».
«A che servirebbe dire che voglio essere libera? La realtà sarà sempre in agguato al mio risveglio».
«Chiudi gli occhi» disse lui, mentre lei si voltava leggermente verso di lui alle sue spalle. «Chiudi gli occhi e allarga le braccia».
Naya obbedì, mentre lui le poggiava le mani sul bacino, inchiodandola saldamente alla sella.
«Qualunque cosa accada, non aprirli. Fidati di me e di Cavallogabor».
«Cavallogabor» ripeté divertita.
«Tutto attaccato, per evitare malintesi».
Nemiah con un colpo dei piedi spronò l'animale ad accelerare la sua andatura senza darle alcun preavviso. Lo lanciò in una folle corsa nella vasta vallata che si estendeva a perdita d'occhio davanti a loro, come un infinito mare di alghe verdi, mentre si lasciavano i boschi alle loro spalle.
Naya ebbe un sussulto. La sua testa all'inizio sballottò violentemente avanti e indietro, come se fosse una bambola di pezza. Strinse ancora di più gli occhi, inspirò l'odore dell'erba fresca a pieni polmoni. Il suo cuore iniziò a battere più forte, sincronizzandosi con il ritmo di quella frenetica galoppata, mentre l'adrenalina scorreva nelle sue vene. Si godette quell'incredibile sensazione, assecondando via via i movimenti del destriero, mentre le sue braccia spalancate fendevano l'aria della sera, come se fosse un uccello in volo.
«Apri gli occhi e guarda su» le ordinò.
Il cielo e le sue nuvole bianche e soffici come cotone scorrevano veloci sotto i suoi occhi meravigliati.
Un sorriso apparve sulle sue labbra, mentre realizzava di quanto fosse folle ciò che le stava accadendo.
Nemiah le aveva regalato un momento di libertà assoluta. Stava volando, lasciando a terra ogni inquietudine, librandosi sempre più in alto, puntando dritta dritta a un mondo fatto di possibilità infinite.
«La libertà è dentro di te. Porta sempre con te questo pezzetto di cielo» disse lui, avvicinandosi al suo orecchio.
La spensieratezza di quella giornata svanì quando arrivarono davanti alle alte mura di una cittadella diroccata. Il cielo si fece grigio e la temperatura si abbassò.
Il licantropo si fece improvvisamente più serio, come se qualcosa lo turbasse.
«Vorrei che indossassi questa benda» disse estraendo un pezzo di stoffa.
«Sono di nuovo prigioniera?» chiese lei ironicamente.
«Stiamo per attraversare la città di Eiten, temo ci siano cose che non dovresti vedere, cose che potrebbero ferirti e cambiarti per sempre».
«Quali cose?».
«Moniti ai trasgressori delle leggi di Herken. Potrebbero esserci impiccati o impalati a ogni angolo di strada».
«Io devo vedere» reagì irrigidendosi.
«Non hai nulla da dimostrare, soprattutto non a me».
«Un giorno sarò Regina. Devo sapere per cosa lotto, anche se farà male».
Nemiah annuì, davanti alla sua determinazione. Non l'avrebbe contraddetta.
Avanzarono lentamente in quella specie di città fantasma, mentre il sole svaniva definitivamente dietro nuvole cariche di pioggia. L'aria era pesante, il silenzio era denso. Le costruzioni dai muri scrostati e le porte scardinate parevano disabitate da anni. Tutto era in rovina e c'erano scheletri a ogni angolo di strada, distesi a terra, nella posizione in cui avevano esalato il loro ultimo respiro.
Arrivati a quella che pareva la piazza principale, Naya chiuse gli occhi e si appoggiò al petto di Nemiah, cercando riparo dall'orrore che si trovò dinnanzi. Un patibolo di legno, dalla classica piattaforma rialzata, mostrava dei cadaveri in avanzato stato di decomposizione, ancora appesi per il collo, con gli abiti consunti dal tempo. Immobili, con il viso coperto da logori cappucci, privati della vita e della loro identità.
Era come se la sua mente registrasse ogni dettaglio di quella macabra visione, senza riuscire ad accettarla.
L'odore della morte era insopportabile.
Non poteva permettersi di farsi sopraffare, doveva reagire e trovare quella pietra a ogni costo per mettere fine a tutto ciò.
Aveva visto abbastanza e perso la sua innocenza per sempre.
All'improvviso il richiamo di un corvo la riportò alla realtà.
«Dobbiamo tirarli giù» disse scossa.
«Dobbiamo essere invisibili» la corresse.
«Non c'è nessuno» protestò lei.
«Ricostruiremo ogni casa, daremo un senso a tutto questo, ma non ora» disse lui per confortarla.
Proseguirono in silenzio e giunsero a un imponente portone di legno. Nemiah smontò da cavallo, lo spinse con entrambe le mani, rivelando qualcosa che riempì di lacrime gli occhi di Naya. Un antico e maestoso castello di pietra bianca si ergeva in fondo a un lungo viale alberato. Era bello e silenzioso, avvolto quasi interamente di edera, come se la natura tentasse di proteggerlo a ogni costo in un disperato abbraccio.
Nemiah le tese le braccia, invitandola a scendere, poi dopo aver liberato il cavallo dalle bisacce da viaggio lo congedò con una carezza sul muso. L'animale si allontanò emettendo un lieve nitrito.
Le piante del parco reale reclamavano sempre più spazio e crescevano ormai in modo disordinato, creando intricati grovigli di foglie e l'erba alta rendeva i sentieri quasi invisibili. Poco lontano i rami di alcuni grandi pini si allungavano fino a toccare terra, riempiendo l'aria di un forte odore di resina.
Le antiche fontane erano ormai percorse da larghe crepe da cui spuntavano fiori colorati.
«Sei a casa».
Naya guardava tutto con attenzione, cercando di afferrare i frammenti di ricordi che turbinavano attorno a lei. Ogni angolo pareva sussurrarle qualcosa del tempo che fu.
Si immaginò bambina, innocente e spensierata, rincorrere a piedi nudi farfalle e raccogliere mazzolini di fiori per sua madre tra quei vialetti ricoperti di foglie secche. Riconobbe i resti sbiaditi di vecchie lanterne colorate appese ai rami degli alberi secolari di quello che doveva essere il viale principale.
Tante immagini erano custodite in fondo al suo cuore. Sorrise, nonostante la malinconia.
Nemiah le aveva reso un pezzo di vita.
«Ho esitato molto, non sapevo se...» iniziò quello, mentre lei si avvicinava alla fontana davanti alla quale aveva visto sua madre l'ultima volta. «Spero che...».
Poggiò la mano sulla pietra della fontana ottagonale di pietra chiara, dove un tempo aveva ballato, mentre la voce del ragazzo si faceva solo un mormorio lontano. Il suo ciondolo emise il suo solito bagliore azzurro, mentre l'acqua iniziava a sgorgare come per magia.
Vi immerse la mano, era simile a un velo di seta, fresca e limpida, come se fluisse direttamente da una fonte.
Sovrappensiero sollevò gli occhi verso la torre più alta del Castello, da dove si era lanciata sua sorella e i ricordi felici parvero sfumare. Un fastidioso brivido le percorse la schiena, arrivando fino alla base del collo.
Mi auguro che tu non sia la prossima.
Naya aggrottò la fronte e strinse in pugni. Non si sarebbe fatta manipolare.
Stai lontana da lui, non è un consiglio.
Prima che potesse reagire, un urlo straziante che sembrò perforarle i timpani la costrinse sulle ginocchia, ai piedi della fontana. Si tappò le orecchie con le mani, mentre la paura e il dolore si impossessavano di lei, trafiggendola da parte a parte.
«Naya» disse il licantropo, abbassandosi e cingendole le spalle.
La sua testa scoppiava. Ricordava chiaramente la descrizione che zia Emma aveva fatto della morte di sua sorella, aveva scritto nero su bianco che la Principessa Nekziria precipitando nel vuoto non aveva emesso alcun suono.
«Vuoi che ce ne andiamo?» le sussurrò quello. «Mi dispiace, non è stata una buona idea».
Naya guardò il ragazzo, era sinceramente preoccupato per lei, ma era certa che non avesse udito nulla.
«Ho solo bisogno di tempo, sono solo ricordi» lo rassicurò, sfiorandosi la tempia.
Mentiva, sapendo di mentire, ma non poteva spiegare qualcosa che non capiva. Quel lamento agghiacciante era un eco proveniente dal profondo della sua testa, ma era reale.
«Che ne dici di esplorare un po' prima che faccia notte?» chiese, cambiando argomento.
«Sei sicura?» chiese aiutandola a rialzarsi.
Naya annuì, abbozzando un sorriso. Non voleva apparire debole, non voleva andarsene.
Esplorarono con cautela varie stanze, ricoperte da spesse coltri di polvere e al calar del sole furono obbligati a fermarsi. Nemiah scelse le cucine, un ampio spazio occupato da un lungo tavolo di legno massiccio, ancora ingombro di utensili, padelle e vasi di terracotta. Mangiarono velocemente e si distesero l'uno accanto all'altro di fianco a un enorme camino spento.
«Voglio che tu sia felice» disse lui prendendole il mento tra pollice e indice per carezzarlo, lei abbozzò un sorriso poco convincente. «Perchè sei così tesa?».
«Mi sento osservata» bisbigliò.
«Hai paura del buio?».
«Ho smesso di avere paura del buio quando ero bambina, immaginando che tu fossi accanto a me a stringermi la mano».
Nemiah sorrise e intrecciò le sue dita con le sue.
«Quando mia madre ti ha portata via, ho immaginato di essere con te con così tanta intensità da convincermi che certe notti tu fossi davvero al mio fianco» le sussurrò.
«Io credo che sia vero, anche se è folle pensarlo».
«Ciò che c'è tra di noi va oltre il tempo e lo spazio, oltre qualsiasi maledizione».
«Me lo prometti?».
Un violento tuono fece tremare il castello fino alle fondamenta, prima che lui potesse promettere. Lei sobbalzò.
«Credevo che non avessi paura del buio» osservò divertito, stringendola a sé.
Non era l'oscurità la causa delle sue angosce, ma non avrebbe aperto bocca prima di avere le idee chiare sul da farsi. Temeva reazioni avventate di Nemiah, quindi voleva essere prudente, per non mettere a rischio la loro missione.
Decise di tenere per sé i suoi timori, cercando di analizzare le potenziali conseguenze delle sue azioni. Non era il momento di agire d'istinto.
«Sognami se hai paura, verrò a tenerti la mano» le disse prima di chiudere gli occhi.
Fuori aveva iniziato a infuriare un temporale e nel silenzio della notte le immagini dell'infanzia di Naya si erano messe ad agitarsi nella sua mente con la stessa violenza. Passò un'oretta in uno stato di fastidioso dormiveglia, finché la sua attenzione non fu catturata da un leggera corrente d'aria proveniente dal corridoio alle sue spalle, accompagnata da un sussurro quasi impercettibile. Si liberò dall'abbraccio di Nemiah, profondamente addormentato e si alzò. Dormire era fuori discussione, ogni volta che aveva provato a chiudere gli occhi aveva sentito quell'urlo acuto e disperato che le faceva accapponare la pelle.
Si guardò attorno, afferrò una torcia incandescente dal muro e presa da un singolare impulso si allontanò verso l'oscurità.
Camminò a lungo in quei corridoi bui, illuminati solo da brevi lampi e dalla luce tremolante della sua fiaccola. I suoi piedi conoscevano quel percorso che si snodava tra ombre e ricordi.
Una fragranza familiare la riportò indietro nel tempo. Il profumo di sua madre.
Sei tornata.
Le parve di udire un eco distorto dal rumore della tempesta e addirittura di vedere una sagoma evanescente in fondo al corridoio che stava percorrendo. Fu questione di un secondo, l'oscurità si fece più densa e quel sussurro dolce e malinconico svanì come una ninnananna portata via dal vento. Un'inspiegabile sensazione la spingeva a credere che potesse davvero essere lei. Voleva illudersi che fosse così.
«Voglio ricordare» disse tra sé e sé come se rispondesse a una domanda.
Strinse ancora di più la sua torcia e proseguì fino ad arrivare a una porta socchiusa, la spinse e si ritrovò sull'uscio di una grande sala da ballo, decorata da vecchie ghirlande appassite e allagata per metà dal violento temporale.
L'ambiente aveva un'aria spettrale e si sentiva inspiegabilmente osservata, ma non era il momento di avere paura, perché sentiva che qualcuno la stava aspettando.
La volta era sfondata in più punti e grandi travi di legno pendevano pericolosamente verso l'interno. Una grande pozza d'acqua nera come l'inchiostro occupava la zona sottostante.
Avanzò verso di lei con passo incerto, guardandosi attorno, aiutata dalla luce fioca della sua torcia. Intravide in un angolino buio delle grandi arpe impolverate e si ritrovò inconsciamente a canticchiare a fior di labbra un'antica melodia che credeva dimenticata.
Per un attimo un ricordo le traversò la mente. Immaginò la grande sala addobbata a festa, traboccare di risate, vide una enorme tavola imbandita, invitati vestiti con abiti eleganti, bardi, musici e giocolieri.
Quel tempo però non esisteva più e all'improvviso il picchettio della pioggia sulla pozza d'acqua calamitò tutta la sua attenzione.
Spinta da una forza invisibile, arrivò all'acqua e vide che le gocce creavano sulla superficie infiniti cerchi concentrici, capaci di ipnotizzarla. La tempesta stava aumentando di intensità e quel rumore si stava facendo quasi insopportabile per le sue orecchie.
Naya si inginocchiò al bordo e protese la mano per toccare l'acqua lurida. Stava tremando. Sembrava molto più profonda del previsto e sul fondo melmoso si agitava qualcosa, ma sentiva di doverlo fare.
Un tenue sussurro alle sue spalle, seguito da un forte odore di muffa e di morte le fece girare la testa di scatto, costringendola a ritirarla, prima che qualcosa potesse afferrarla e trascinarla giù.
Agitò la sua torcia nella direzione di quel suono, ma udì solo l'assordante battito del suo cuore.
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