CAPITOLO 58 - L'ILLUSIONE PERFETTA

Una settimana dopo, ecco Nemiah in carne e ossa, proprio dove l'aveva immaginato senza sosta per mesi, in piedi davanti all'entrata delle grotte.

Indossava una larga casacca rossa e un pantalone nero e in vita portava due asce e un pugnale dell'impugnatura di cuoio.

I suoi lunghi capelli biondi erano raccolti alti sulla testa, il cranio era stato rasato appena sopra le orecchie, dandogli un'aria di feroce predatore. Era come se il tempo passato lontano dal branco lo avesse reso più selvaggio, proprio come era capitato in passato a Fidian.

Al suo fianco c'erano due uomini, con dei cappucci di tela marrone sulla testa.

Gli occhi di Nemiah erano vuoti e freddi come se una spessa lastra di ghiaccio lo separasse dal resto mondo. Pareva impermeabile alle emozioni, nemmeno l'entusiasmo dei ribelli sembrava riuscire a penetrare quella corazza. Il suo volto era impassibile anche davanti al sorriso dei bambini. Pareva l'ombra di sé stesso, come se la sua anima fosse intrappolata altrove.

Era tarda serata quando la ragazza, avvertita da Gabor, era arrivata davanti alle grotte per unirsi ai curiosi. La folla era già troppo numerosa per permetterle di avvicinarsi, così aveva deciso di osservare da lontano quella scena surreale. Tilanio, giunto velocemente, attirato dal trambusto, aveva abbracciato l'amico, dandogli una vigorosa pacca sulla schiena e poi dopo alcuni bisbigli aveva stretto le mani dei due sconosciuti in segno di benvenuto.

I presenti erano perturbati dal nuovo Nemiah, ma anche dall'atteggiamento di Tilanio verso quelle misteriose presenze. Lo osservarono scortare i due sconosciuti incappucciati fino alla Sala del Consiglio. Uno di loro zoppicava vistosamente e il cuore di Naya iniziò a tremare, avrebbe riconosciuto quel passo incerto tra mille. Il passato tornava a bussare alla sua porta.

Non sembravano prigionieri, non nel senso classico del termine. Indossavano abiti puliti, le loro mani erano libere e Tilanio era sembrato molto cordiale nei loro confronti.

La folla rimase fuori dalla costruzione ad aspettare a lungo, nonostante fosse ormai notte, finché Tilanio uscì fuori per fare un annuncio. I due uomini erano accanto a lui, non portavano più il cappuccio sulla testa, ma delle semplici bende che rendevano i loro visi ben visibili. Uno era biondo dalla mascella importante e squadrata, l'altro era moro, dall'incarnato pallido, alto almeno una spanna più del primo, con una parte del viso sfigurata. Tadeker e Hektrien.

Nemiah non era con loro.

«Non è mai stata mia abitudine avere dei segreti e non ho intenzione di iniziare ora, ma sono conscio che ciò che sto per comunicarvi potrebbe generare ansia in molti di voi. Oggi Nemiah ha condotto al campo degli ambasciatori della resistenza di Herken. Quest'uomo nato nel Regno di Luce si è infiltrato da anni tra i soldati senza volto, per minare dall'interno la struttura della Tetra Armata» esordì poggiando la sua mano sulla spalla del biondo. «È nostra intenzione collaborare con questa persona, perché entrambi i Regni possano avere giustizia. E qui alla mia destra ...».

Un brusio si alzò, impedendogli di continuare il suo discorso.

«È il Generale della Tetra Armata» urlò un uomo tra la folla, interrompendolo.

Un moto di panico si propagò tra i presenti, mentre Tilanio stentava a mantenere la sua compostezza.

«Verranno prese le dovute precauzioni, ma questi uomini sono nostri ospiti. In nessun caso verranno trattati come prigionieri. Non conoscono l'esatta ubicazione del campo e non portano armi con sé. Siete al sicuro».

La folla impaurita iniziò a reclamare che il figlio del Tiranno fosse legato e qualcuno lanciò un sasso per colpirlo, ma Hektrien, nonostante la benda, riuscì a bloccarlo con la mano. Non poté nulla contro gli altri oggetti che gli furono scagliati contro, cadde a terra dove si raggomitolo su sé stesso, proteggendosi alla cieca da quel vile attacco. Alzò le mani in segno di resa e abbassò il capo senza più reagire.

«Basta» urlò Naya parandosi davanti.

Non si era nemmeno accorta di aver percorso quei pochi metri che la separavano dal gruppetto.

Iris.

«Basta odio. Ciò che voi vedete come un problema è in realtà la soluzione. Quest'uomo è qui per aiutarci. Se avesse voluto sarebbe venuto con un'armata, invece è qui in ginocchio davanti a voi a subire questo attacco vergognoso».

Iris. Iris.

Non poteva essere certo che lei riuscisse a sentirlo.

Iris, ti prego.

«Ha decapitato il Principe Tadeker» urlò Serine.

Naya trattenne il fiato, guardò suo fratello con la coda dell'occhio. Anche lui aveva smesso di respirare e aveva abbassato leggermente il capo. Non avrebbe mosso un muscolo, non avrebbe pronunciato alcuna parola per venire in aiuto del suo Generale.

Gli abitanti del campo guardavano la loro futura Regina con un misto di sospetto e incredulità.

«Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo creare il nostro futuro. Insieme. Io lo perdono, qualunque sia la sua colpa, io lo perdono. Confido che voi sappiate fare altrettanto, per il bene comune. Tilanio sarà ben lieto di chiarire ogni vostro dubbio» esclamò con voce ferma, guardando quella miriade di occhi pieni di disprezzo. «Una simile violenza non sarà più tollerata».

Quelle parole risuonarono nel silenzio della notte, rimbombando sulle pareti del campo base e riuscirono a calmare un poco gli animi.

La ragazza, sopraffatta dall'emozione, si allontanò mentre Tilanio ne approfittava per scortare gli uomini lontano dalla folla. Era riuscita a sciogliere la tensione, almeno per quella notte.

Si rifugiò nella sua capanna, dove iniziò a camminare avanti e indietro per lunghi minuti, prima di riprendere in mano le lettere di Hektrien. Le lesse decine e decine di volte, nella speranza di avere una risposta a quel dubbio che aveva iniziato a tormentarla, da quando il suo cuore si era messo a battere così violentemente nel suo petto, come un uccellino in gabbia che cerca di liberarsi dalla sua prigione. Quelle parole danzavano davanti ai suoi occhi stanchi, rendendola incapace di distinguere la realtà dalla finzione.

L'assenza di Hektrien era diventata qualcosa di normale, ma non voleva dire che l'avesse realmente accettata. Il suo ricordo era stato sommerso dalla marea del tempo, relegato in un angolino del cuore e la vita era continuata, tra alti e bassi, in equilibrio tra passato e presente, perché è così che avviene. Nessuna emozione sparisce, semplicemente si trasforma e quella per il Principe non aveva più un nome. Era necessario dargliene uno, stabilirne i confini, per mettere fine alla confusione ed avanzare.

Qualcuno bussò la porta insistentemente, mentre era assorta nei suoi pensieri, senza darle il tempo di ripiegarle per bene. Le lasciò sul tavolino accanto alla finestra. Prese un gran respiro e andò ad aprire.

«Non voglio più essere ciò che ero» disse Nemiah senza darle il tempo di realizzare.

Aveva un'aria da cane battuto, gli occhi tristi e il viso costellato di vecchi lividi.

Naya era a un passo dal perderlo per sempre, ma percorse quel piccolo spazio che li separava per stringerlo forte, mentre lui rispondeva timidamente al suo abbraccio, nascondendo il viso sulla sua spalla.

Scomparvero l'uno nelle braccia dell'altro, avvolti da un profondo sospiro che aveva il sapore del perdono. Divennero un tutt'uno, stretti e intrecciati in silenzio, lontano da tutto. Un solo corpo, un solo battito.

«Nemiah, mi dispiace per tutto ciò che ho detto, non lo pensavo veramente» disse lei con voce flebile.

«So cosa senti, non me lo devi spiegare» reagì, tornando a guardarla.

Il ragazzo le carezzò i capelli ormai cresciuti e si leccò le labbra, abbozzando un sorriso. Era ancora più bella di prima.

La strinse ancora, nessuno dei due pareva intenzionato a lasciare la presa. Quando finalmente si staccarono, lo fecero lentamente, per entrare mano nella mano all'interno della capanna, dove si coricarono l'uno accanto all'altro, sempre occhi negli occhi.

Non fecero altro che guardarsi, in una sorta di dialogo intenso e silenzioso, poi lui le prese una mano e la posizionò all'altezza del suo cuore.

«Credo che stia per esplodere».

Naya prese la sua mano e fece lo stesso, i loro cuori battevano all'unisono, allo stesso ritmo e alla stessa intensità.

Non sapeva se quel ragazzo fosse l'amore, ma era certa che sentissero le cose allo stesso modo. Lui era la sua casa, il suo posto nel mondo, un luogo della mente dove poter essere sé stessa con pregi e difetti, dove fragilità e sincerità si confondevano incessantemente, incuranti delle conseguenze.

«Se anche questa volta sei solo un'illusione, sei l'illusione perfetta» disse, strappandole un sorriso.

«Quella notte sul tetto quando abbiamo fatto volare la lanterna e quella nella cella sono reali. Incomprensibilmente reali».

Le sopracciglia di Nemiah si sollevarono e i suoi occhi si fecero più grandi. La strinse a sé con delicatezza, voleva solo dimenticare i giorni di prigionia e godersi ogni istante.

Rimasero così a lungo, godendo della presenza dell'altro e quando tornarono a guardarsi lui sembrava voler dire qualcosa.

«Naya, non sai che cosa ti farei».

Il suo desiderio era forte, quasi insopportabile. La giovane gli soffiò sul naso, cercando di spegnere quella fiamma selvaggia che aveva negli occhi. Non era pronta a qualcosa di così irrazionale.

«Vorrei sapere che sapore hai, sentire le tue labbra sulle mie» continuò, incurante dell'imbarazzo che avrebbe potuto causare. I suoi occhi sembravano supplicarla. «Affronta la tempesta, implora il tuo bacio».

«Vorrei che stanotte tu fossi il mio riparo dal temporale».

Nemiah annuì, avrebbe aspettato ancora.

Non era chiaro se fossero un semplice soffio di vento o qualcosa di più, sicuramente non quello che accarezza, piuttosto quello che scompiglia. Forse sarebbero potuti essere entrambe le cose, se solo avessero messo da parte l'immaturità e le insicurezze.

«Mi autorizzi a farti la corte?» chiese lui timidamente.

«Credevo avessi già iniziato».

«Vorrei fare le cose per bene questa volta».

La giovane si rabbuiò e non rispose. Aveva sognato quel ritorno, ma aveva paura che al risveglio tutto tornasse come prima, che i battibecchi ricominciassero. La posta in gioco era alta, non c'era in ballo solo il suo fragile cuore, ma anche le sorti del mondo.

«Ascoltami, siamo un disastro, ma la voglia di stare insieme prevarrà sempre su tutto il resto» disse lui, leggendole nei pensieri, nel tentativo di rassicurarla. «Probabilmente litigheremo ogni giorno, ma sono certo che faremo pace ogni notte. Regalami un sogno, raccogliamo i cocci di questa vita e continuiamo fianco a fianco».

Il rumore del mondo si fece solo un eco lontano all'interno di quella insensata bolla di follia. Naya gli sorrise, voleva credergli, ma non poteva fare a meno di pensare alle parole di Fidian.

«Qualcuno cerca di allontanarci» disse con gli occhi lucidi.

Avrebbe voluto dirgli cosa aveva sul cuore, raccontargli di Tata Odile e della profezia di Rodya, ma non ci riuscì. Lui sembrava non voler cogliere il vero senso di quella sua confidenza.

«Allora sarò costretto a stringerti di più» la interruppe avvicinandosi ancora, lei si irrigidì, sentendo il suo respiro caldo sul viso. «Voglio solo sentirti vicino. Stringimi forte, non chiedo altro».

Si addormentarono intrecciati, con i respiri ormai sincronizzati, lui con il viso poggiato sul suo seno, cullato dal battito del suo cuore e lei con la guancia sulla sua fronte.

L'alba parve arrivare in un attimo.

Quando Naya si svegliò, destata da alcune risate provenienti dall'esterno, trovò il viso di Nemiah a pochi centimetri dal suo.

«Buongiorno» disse lui.

La sua prima reazione davanti al suo sorriso fu nascondere il volto nel cuscino, perché lui la guardava come se fosse la cosa più preziosa al mondo, senza filtri e lei era troppo abituata a mantenere le distanze per poterne godere appieno.

«Ragazzina, hai rovinato il risveglio perfetto. Esci fuori prima che io sia costretto a venire a prenderti» disse, mentre lei scrollava il capo, sempre con il viso nascosto. «Sono io che ti metto così a disagio?» domandò scostandole una spallina della camicia e iniziando a giocare con le sue dita sulla pelle nuda.

«Si» rispose lei, con voce soffocata.

«Amore, buongiorno» la canzonò, sfiorandole la pelle con le labbra umide.

Lei rise divertita, lo lasciò fare, provando piacere a quel contatto e si girò sulla schiena per guardarlo dritto negli occhi.

«Sai che giorno è oggi?» chiese lui con sguardo malizioso. «Il primo giorno insieme».

La ragazza lo colpì in pieno viso con un vecchio cuscino, dando inizio a un goffo e affettuoso corpo a corpo. Nemiah però era più forte, la inchiodò rapidamente al materasso, si avvicinò al suo collo e iniziò a baciarglielo delicatamente. Lei non si oppose, si lasciò andare al piacere del momento, sentendo tutte le sue difese sbriciolarsi. L'alfa era delicato, sfiorava i pochi centimetri di pelle a sua disposizione con calma e dolcezza, carezzandola come farebbe l'onda del mare, arrivando fin sotto il suo orecchio, causandole un brivido dietro la nuca.

Stava per perdere il controllo, desiderava farla sua da troppo tempo. Ogni cellula del suo corpo bruciava. Emise un suono gutturale e la guardò dritta negli occhi. Vide il suo volto arrossato e la paura nel suo sguardo e comprese che non era pronta.

Calmò i suoi impulsi e la sua respirazione, poi le sorrise.

«Ho delle faccende da sbrigare, domani partiamo alla ricerca della pietra».

«Io e te?» chiese mettendosi seduta.

«Io e te» confermò prima di portare la sua mano alle labbra, per posarvi un leggero bacio. Le sistemò una ciocca dietro l'orecchio. «Nel frattempo preparati, perché ho intenzione di scegliere con cura la mia prossima promessa» aggiunse prima di scomparire fuori dalla capanna.

Naya si portò una mano sul collo, nel punto esatto in cui lui l'aveva baciata e sospirò, aveva la testa che girava, ma un grande sorriso sulle labbra davanti all'idea di intraprendere una nuova avventura con lui come compagno di viaggio.

Temeva il futuro e le sue sfide, ma quando si ritrovava a condividere con lui quei rari momenti di intimità, l'angoscia svaniva e sentiva di poter superare ogni ostacolo che il destino avrebbe avuto in serbo per loro.

Quei leggeri baci erano l'ossigeno che alimentava una scintilla nascosta, un desiderio sopito, pronto a trasformarsi in incendio.

Nemiah le regalava un sogno in cui credere.

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