CAPITOLO 51 - NUOVO GIORNO

I primi raggi del sole svegliarono Naya. Ci mise qualche secondo a realizzare che era avvinghiata a Nemiah. Poggiava una mano all'altezza del suo collo, sfiorandogli leggermente la barba ispida. Si irrigidì e lo fissò con gli occhi sbarrati. Quella posizione era troppo intima, per qualcuno di così pudico come lei.

«Va tutto bene» la rassicurò lui, abbassando il mento e rispondendo con un sorriso.

Era sveglio da un pezzo, ma era rimasto assolutamente immobile per non disturbare il suo sonno. L'aveva sbirciata a lungo con la coda dell'occhio, aveva goduto di quella vicinanza ogni istante. Avrebbe voluto svegliarsi accanto a lei ogni giorno.

Il suo viso sereno, gli occhi chiusi sotto le lunghe ciglia, la pelle morbida illuminata dal giorno nascente. Non poteva più farne a meno.

Il suo fantasma, la sua essenza, quel dolce ricordo appartenuto al passato che si era insinuato tra i suoi pensieri, mettendo radici profonde ora era lì tra le sue braccia, cosi concreto eppure così sfuggente.

Naya si scostò, districandosi impacciata da quella stretta. Si era spinta oltre il suo perimetro di sicurezza, quello che la spingeva a lasciare cadere nel vuoto le sue provocazioni o abbassare lo sguardo quando quello dell'amico si faceva troppo insistente.

Era difficile in quel preciso momento decifrare cosa gli passasse per la testa, i suoi occhi azzurri brillavano e in quel sorriso non pareva esserci ombra di malizia.

«Naya» sussurrò lui, poggiandole una mano sulla spalla. Quella lo guardò frastornata. «Non devi sforzarti di dare un nome a ogni cosa».

Quelle parole la rassicurarono, senza veramente comprenderne la ragione. Per lei nella vita esistevano solo il bianco e il nero, la sua vita era stata scandita da regole severe, c'era ciò che era permesso e ciò che era proibito, inutile cercare scappatoie con zia Emma. Le sfumature non erano permesse, soprattutto quando si trattava di sentimenti.

Ora lui le rivelava che l'incertezza era umana e non c'era bisogno di tentare di controllare tutto.

Pareva quasi un'esortazione a vedere il mondo con occhi diversi, a lasciarsi andare di fronte all'inspiegabile e abbracciare il libero fluire dei sentimenti.

Si godettero il calore di una nuova alba dalle tinte rosa in assoluto silenzio, finché il sole non fu alto sulla linea dell'orizzonte.

«Ti va di tornare al campo base?» chiese lui.

Pareva una domanda vera, come se la sua opinione contasse davvero, ma solo il tempo le avrebbe confermato il reale cambiamento di Nemiah.

«Gabor mi manca molto» rispose lei, annuendo.

Se ne rendeva conto solo in quel momento. Non era stato al centro dei suoi pensieri durante quegli ultimi giorni in cui era stata presa da mille problemi, sballottata a destra e sinistra, ma solo grazie a lui c'era stata la svolta nella sua avventura personale e nonostante la sofferenza gliene era grata.

«Manca molto a tutti» rispose l'altro solenne. Naya si voltò verso l'amico, che si era portato una mano sul viso. Sembrava sul punto di piangere. «Un bravo ragazzo lo devo ammettere, non ci resta che onorare la sua memoria» aggiunse, tirando leggermente su con il naso.

Il ragazzo aprì le dita che gli coprivano gli occhi per sbirciare la sua espressione angustiata e sorrise divertito

«Nemiah» disse spazientita.

«Insomma cos'altro ti aspettavi? Conosci bene la legge del branco, il tradimento ha gravi conseguenze» aggiunse mentre il suo petto si alzava con un finto singhiozzo.

«Sei un buffone. Trovi spassoso farmi credere ogni volta che i miei amici siano morti?» chiese dandogli un leggero scappellotto.

«Ancora devo capire come sei sgattaiolata fuori dal campo» disse portandosi una mano tra i capelli e scostando i riccioli dalla fronte.

«Non cambiare argomento».

«Non trovi incredibile come la notte ci trasformi?».

«Che vuoi dire?».

«Ci concediamo parole e gesti che alla luce del sole non oseremmo nemmeno immaginare. Nel buio non devi fingere che ti sto antipatico».

Aveva ragione, ancora una volta. Si era instaurata una singolare dinamica, una sorta di circolo vizioso, per cui al calare del sole maschere e inibizioni cadevano. Si godevano quei momenti rubati, al riparo da tutti e da tutto.

«Andiamo» disse lui alzandosi e porgendole la mano.

Lei la afferrò e si mise in piedi, aggiustandosi la gonna, trovandosi a pochi centimetri dal suo viso.

«Ti è cresciuta la barba» balbettò lei con il cuore sottosopra. Quello inclinò il capo, non sapendo cosa rispondere. «È più lunga».

Era la prima cosa che le era passata per la testa e l'aveva detta ad alta voce.

«Non te la farò toccare. Levatelo dalla testa» disse carezzandosela, per prendersi gioco di lei. Naya sorrise, scrollando il capo e fece un passo indietro. «Datti una rinfrescata, apri i bauli e prendi ciò che ti pare. Partiamo in mattinata».

Prima di scendere la scala la ragazza diede un'ultima occhiata a Nemiah, che radunava le coperte e le stuoie.

«Nemiah, grazie di avermi portata qui» disse lei, scomparendo prima che lui potesse rispondere.

L'alfa sorrise. Iniziava a comprendere i meccanismi con cui funzionava Naya. Era simile a lui. Era tante donne in una, forte e fragile, semplice e complicata, ma i suoi occhi grandi rimanevano sempre gli stessi. Quella notte aveva faticato ad addormentarsi, cercando di individuare in natura una sfumatura di verde che somigliasse a quelle iridi che gli facevano perdere la testa. Era rimasto impigliato in quello sguardo quella sera nel salotto di casa di sua madre o forse tanto tempo prima, impossibile stabilirlo con esattezza.

Si ricordò che c'era stato un momento, quasi un anno prima, quando Tilanio l'aveva raggiunto per comunicargli la decisione del Consiglio degli Anziani, riguardo il bisogno di ritrovare una volta per tutte la Principessa Perduta, in cui il solo pensiero di rivederla gli aveva fatto vedere il mondo in modo diverso. Aveva finalmente il permesso di attraversare il portale con i suoi uomini, ma non era stata l'eccitazione per l'imminente missione a pervaderlo, piuttosto una sensazione di gratitudine che veniva dal profondo. Avrebbe colto la sua occasione.

Quel pomeriggio le foglie del grande albero secolare sotto il quale aveva trovato una tregua dal sole erano improvvisamente diventate di un verde intenso, come quel paio d'occhi che si posavano su di lui da bambino, incoraggiandolo e rassicurandolo.

Era stato come risvegliarsi da un lungo sonno, tutto sembrava aver preso vita e brillare attorno a lui, grazie all'ingenua convinzione che ritrovandola non sarebbe stato più solo. Tutto pareva ritrovare un senso.

Mentre Nemiah fantasticava ancora, dando un'ultima occhiata alle nuvole, Naya nella capanna stava scegliendo di indossare una camicia di zia Emma e un paio di vecchi calzoni marroni, appartenuti quasi certamente a suo padre, che aveva trovato in fondo a un altro baule. Tutto era piegato con cura, come se da un momento all'altro l'uomo dovesse varcare la soglia di casa.

Aggiunse una cintura di tessuto colorato di zia Emma per stringerli in vita.

Quando il ragazzo entrò in casa, rimase stupito da quella scelta.

«Spero non ti dispiaccia se...» iniziò indicando il baule. «Io sono questa» aggiunse seria, con una punta di fierezza.

La guardò. Era lei, solo lei. Semplice, ma fuori dagli schemi. Spettinata, stropicciata, imperfetta, senza fronzoli e pura. Non poteva fare a meno di ammirarla.

Lei con quegli occhi profondi e quel sorriso spesso solo appena accennato era la sua complice in quel disordine.

L'aveva già vista indossare dei pantaloni, ma ora era diverso. In quella realtà fatta di apparenza, in cui qualunque altra ragazza sarebbe sembrata fuori luogo, lei appariva semplicemente autentica.

Avrebbe continuato a nascondersi tra la gente, sognando di essere vista e lui la vedeva, la voleva notte e giorno.

Partirono in tarda mattinata e cavalcarono verso il campo base, con andatura lenta, ma regolare, sostando solo una volta per fare riposare il cavallo, che Nemiah si ostinava a chiamare Gabor. Si rinfrescarono sulle rive del fiume Barimar e battibeccarono come sempre per quella scelta assurda.

Riprendendo il cammino, Naya si fece di poche parole, osservava il paesaggio mutare velocemente sotto i suoi occhi attenti e si godeva quegli ultimi scorci di libertà, lasciandosi avvolgere dalla malinconia.

«A cosa pensi?» chiese lui, senza ottenere risposta. «Vuoi sapere a cosa penso io?».

«Servirebbe a qualcosa dire no?».

«Sto riflettendo molto da quando siamo partiti. Ho preso una decisione, voglio essere più intraprendente».

«In che senso?».

«Da quando ho scoperto di incarnare la speranza, mi sono detto che devo approfittarne per fare qualcosa che mi spaventa. Nemiah non deve restare solo un nome, potrebbe essere il motore per realizzare i miei sogni».

Quel discorso ingarbugliato le fece aggrottare le sopracciglia. Sapeva essere contorto e pieno di sé quando ci si metteva.

«Ecco, insomma ciò che voglio dirti...» iniziò, cercando le parole giuste, mentre lei gli puntava addosso i suoi occhi. «Te lo dirò stanotte quando sarai più ben disposta».

«Chiuderò a chiave la porta».

«Non ci sono serrature».

«Metterò Gabor a guardia della mia capanna».

«Il cavallo?» chiese l'altro. «Ah il tuo cucciolone da guardia. Farà una brutta fine. Mancherà molto a tutti» disse fingendo di piangere.

«Sei così infantile. Dovremmo concentrarci su quella pietra. Hai già in mente come organizzarci? Quanti uomini portare?».

«Non lo so, devo discuterne con Tilanio».

«Non azzardarti a lasciarmi fuori dalla spedizione» sbottò lei .

«Addirittura una spedizione?» chiese divertito. «Io e Tilanio prendiamo ogni decisione a due, non farò nulla senza il suo accordo».

«Verrò con te, saprò convincerlo».

«Stiamo parlando di una pietra che forse nemmeno esiste, nascosta da qualche parte in un territorio che nessuno conosce».

«Gabor lo conosce, ci aiuterà» lo interruppe.

Cavalcarono l'intera giornata e arrivarono sfiniti a destinazione poco prima del tramonto. Nemiah lasciò il cavallo, promettendo alla ragazza che avrebbe inviato qualcuno per occuparsene.

Prima di imboccare la grotta Naya guardò il cielo un'ultima volta. Era come se stessero per rubarglielo.

«Ti accompagnerò ogni volta che vorrai» disse lui leggendole nel pensiero.

Attraversarono la grotta fianco a fianco, mentre la luce del giorno svaniva alle loro spalle, fino all'entrata del campo base.

Come sempre una folla si radunò velocemente per festeggiare il loro ritorno.

Erano tutti interessati esclusivamente a Nemiah. Nessuno parve riconoscere Naya, che venne spintonata via dalla calca. Si ritirò in disparte, in fondo preferiva essere ignorata in quel frangente.

Gabor però la riconobbe, si avvicinò sorridente e la strinse forte. Non disse una parola, non osava chiedere se fosse riuscita nel suo intento, salvare Hektrien.

«Ti voglio bene, Gabor» disse lei.

«Ti voglio bene anche io» rispose lui.

Quella frase era uscita spontanea dalla sua bocca, non voleva più perdere tempo, voleva dire ciò che aveva sul cuore. Ogni momento contava. Quel ragazzino aveva preso enormi rischi per aiutarla, doveva sapere quanto contasse per lei.

I presenti realizzarono poco a poco che era proprio la Principessa Naya la persona che accompagnava il loro leader. La giovane, tra tutti quegli occhi incrociò quelli di Serine, che la squadrò dalla testa ai piedi.

Portava i lunghi capelli castani acconciati in sottili trecce ordinate, decorate da perline colorate.

Si avvicinò a Nemiah, senza staccarle gli occhi di dosso, sorpresa per il suo abbigliamento e il suo taglio di capelli così mascolino.

«Aspettavamo la Principessa e tu torni con un altro fratello Tuck» disse all'alfa, riferendosi al colore dei capelli di Naya.

Buttò la testa all'indietro, scoppiando in una risata troppo acuta per essere naturale.

«Provo tanta pena per chi, così schiavo delle apparenze, non ha mai provato cosa sia la libertà di essere sé stessa» rispose lei a tono.

Naya era tutt'altro che sicura di sé, ma avrebbe difeso la sua individualità.

L'altra si accigliò, non capendo appieno il significato di quella frase e guardò Nemiah, che fece una smorfia imbarazzata. Si portò una mano sul viso e si grattò la barba, in cerca di una frase adatta alla situazione.

Tilanio comparve, facendosi spazio tra la folla, con il suo solito largo sorriso.

«Benedetto sia il cambiamento» sancì, abbracciando l'amico e dandogli una delle sue vigorose pacche sulla schiena. Poi si voltò verso i ribelli e aprì le braccia. «Domani organizzeremo un banchetto per festeggiare il ritorno della Principessa, una vera festa in stile shindy che manca da tempo. Il cambiamento di cui avevamo bisogno è qui» terminò indicandola.

I presenti iniziarono ad applaudire e gridare di gioia.

Nemiah fece un passo avanti e poggiò una mano sulla spalla di Naya.

«Sono fiero di te» le sussurrò all'orecchio. «Ci vediamo più tardi?».

«Domani, ho davvero bisogno di riposare» rispose lei.

Nemiah annuì e si congedò facendole un lieve cenno con il capo.

L'amica lo osservò allontanarsi lungo il sentiero, accanto a Tilanio. Serine accelerò il passo per affiancarli e porse una mela all'alfa. Questo voltò il capo verso di lei e le sorrise, ringraziandola per quel gesto premuroso. Le loro teste si sfiorarono un po' troppo a lungo e fu allora che Naya si rese davvero conto di quanto Iris fosse ormai un'estranea.

La tempesta infuriava nel suo petto.

Si sforzò di sorridere a Gabor, cercando di ignorare quei pensieri che, sempre più spesso, iniziavano a fare capolino in un angolo della sua mente, conscia del fatto che avrebbe prima o poi dovuto fare i conti con sé stessa.

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