CAPITOLO 40 - IL CUORE
Le giornate sembravano non finire mai, l'attesa era sfiancante. Nemiah era partito ormai da sei giorni con il branco e una decina di uomini ben addestrati per sventare un saccheggio.
Uno dei villaggi sulla costa.
Il mare non doveva essere lontano, quanto avrebbe voluto vederlo. Non conosceva nulla di quel mondo che un giorno sarebbe stata chiamata a governare, ma più ci pensava più si consumava all'idea di esplorarlo. Decise che era giunto il momento di saperne di più. Chiese a Paminia di organizzarle un incontro con Tilanio e lo ottenne il pomeriggio stesso nella sala del Consiglio.
«Mi chiedevo se esistessero mappe del Regno che potrei consultare» esordì lei. Il ragazzo si grattò la testa, sembrava perplesso di fronte a quella richiesta. Nemiah probabilmente l'aveva messo in guardia. «Vorrei prepararmi al meglio al ruolo che mi attende».
Tilanio sembrò riflettere ancora, poi si avvicinò a un vecchio baule, si inginocchiò e tirò fuori una pila di vecchie carte. Le distribuì sul grande tavolo di legno che troneggiava nella sala, si appoggiò con entrambe le mani al bordo e iniziò a studiarle con attenzione. Ne selezionò rapidamente una.
«Vieni» disse facendole un cenno con il dito senza guardarla. «Non posso darti il permesso di portarle fuori da qui, ma puoi darci un'occhiata quando vuoi».
Iris si sporse su una di quelle mappe ingiallite e logore. In alto a sinistra troneggiava una parola.
Alonytha.
«E' shindy. Alonytha, "tutto è uno". Un mondo senza confini e rivalità. Un'utopia probabilmente» disse ironico, poi puntò il dito sulla carta. «Noi siamo qui. E' un luogo che ufficialmente non esiste, per questa ragione siamo al sicuro».
Un luogo dove Hektrien non potrà mai trovarmi. A meno che Fidian sia ancora in vita e gli indichi il cammino, a patto che i due siano veramente insieme...
La zia le aveva insegnato che non si doveva mai fare affidamento sul prossimo, bisognava essere pronti a cavarsela da soli in ogni situazione. La guerra sarebbe potuta durare anni e lei non sarebbe certo rimasta intrappolata in quella grotta tutto quel tempo. Presto o tardi avrebbe trovato il modo di ritrovarlo.
Iris guardò più a sud, verso le coste frastagliate, cercando di ricordarsi il nome del villaggio che Nemiah le aveva nominato durante il loro ultimo incontro. Tilanio le indicò con l'indice un punto ben preciso, anticipando la sua domanda.
«Bremer, un piccolo villaggio di cento anime arroccato su un'alta scogliera di roccia bianca. Da lassù pare che il mare si estenda fino all'infinito. Si trova circa a due giornate dal campo base».
La ragazza fece un rapido calcolo, due giorni per arrivare e due per tornare. Ne erano già trascorsi sei.
«Non dovrebbero essere già qui?».
«Torneranno» rispose quello con voce ferma.
Per quel poco che conosceva Tilanio, sembrava il tipo di persona sulla quale si poteva sempre contare, positiva e sicura di sé. La ribellione aveva bisogno di qualcuno così rassicurante e posato, senza di lui Nemiah non sarebbe mai riuscito a creare di qualcosa di così ben organizzato.
Iris si incupì e continuò a vagare con gli occhi su quella singolare mappa senza confini, individuando una fitta foresta che delimitava in modo naturale una piccola zona scura, separandola dal resto. Era sicuramente il Regno di Tenebra, così piccolo e così incredibilmente vicino alla loro posizione.
Senza rendersene veramente conto la giovane stava memorizzando alcuni punti fondamentali.
Gola di Arendir. Rocca Bruma. Valle di Barimar. Foresta di Nyr.
Un largo fiume attraversava prima da nord a sud e poi da sinistra a destra l'intera mappa, incurante dell'eterna rivalità tra Regni. Non vi era nulla di più semplice che seguire il suo corso per arrivare direttamente a Kadik, la capitale di Herken. Un fugace pensiero le attraversò di nuovo la mente, trovare il modo concreto per raggiungere la persona che occupava costantemente i suoi pensieri, ma non vi era alcuna certezza che si trovasse lì.
«Barimar, il fiume della vita. Nasce dal monte Fulgor e si narra che la nascita di Alonytha sia strettamente legata a esso» disse lui, mentre l'espressione di Iris era sempre più perplessa. «A te Principessa, vengono da laggiù le tue origini».
«Sei uno shindy anche tu?» chiese la ragazza, cambiando argomento per stemperare l'imbarazzo.
«Così pare, sicuramente il meno shindy di tutti. Si dice che siamo testardi, imprevedibili e io non sono nulla di tutto ciò».
«Non si può dire lo stesso di Nemiah» commentò lei ironica
Tilanio rise e annuì. Era d'accordo con lei.
«Per questo ci completiamo a vicenda, io sono la mente di tutto ciò che vedi attorno a te e lui...» iniziò.
«Il braccio, la forza bruta» concluse lei.
«Il cuore. Lui è il cuore» la corresse quello. «Nemiah non sarà mai un porto sicuro, non cercare di domare la tempesta. Ancora meno il fuoco».
Era difficile capire cosa l'avesse spinto a dire qualcosa del genere. Forse voleva metterla in guardia da lui.
«Perchè ci nascondiamo così vicino al Regno di Tenebra?».
«Siamo tutt'altro che imprudenti» esordì cogliendo la sua preoccupazione. «I soldati senza volto si muovono solo di notte e grazie alle tenebre non siamo visibili dalla bocca del cratere e anche se trovassero l'entrata del labirinto, senza conoscerlo impiegherebbero giorni e giorni per trovarci. Conosciamo ogni angolo di quel dedalo sotterraneo, non avrebbero scampo durante un'imboscata».
Sarebbe stato troppo azzardato domandargli il cammino per uscire, senza destare sospetti. Non voleva scappare, almeno non nell'immediato, ma conoscere il percorso verso la superficie le avrebbe dato la sensazione di essere libera di scegliere. Si sentiva nuovamente prigioniera, nonostante tutto.
«E' davvero così grande?».
Tilanio annuì, non avrebbe detto di più. Faceva bene a rimanere cauto e a diffidare di lei.
La Principessa, durante quei giorni d'attesa, trascorreva il suo tempo, seduta su un masso, poco lontano dal passaggio, nella speranza che Nemiah finalmente apparisse. Giocava spesso con i bambini del villaggio. Erano tantissimi e quasi tutti orfani e adoravano ascoltare le sue fiabe seduti attorno a lei. Quel momento era un'ottima distrazione, il tempo sembrava trascorrere più veloce quando era circondata da quei volti illuminati di gioia.
Con la coda dell'occhio però spiava il passaggio e aveva scoperto che c'era un via e vai di gente che andava e veniva, senza alcun controllo apparente. C'era il gruppo di cacciatori, armati fino ai denti, che ogni giorno usciva dal campo base per cercare cibo per la gente la comunità, c'erano le donne che andavano a lavare i vestiti nelle grotte o a recuperare l'acqua e poi un altro gruppo che si occupava di recuperare tutto il necessario per camuffare i tetti del villaggio, rientrando carico di piante, legna e fogliame.
La mente di Iris era in fermento, Gabor non sarebbe mai venuto meno al suo giuramento di fedeltà a Nemiah. Se avesse voluto uscire da lì avrebbe dovuto contare solo su sé stessa.
Il momento più duro era la notte, perché la sua testa partiva in giro senza darle tregua. Prima di addormentarsi pensava a Hektrien e la voglia di ritrovarlo si faceva sempre più violenta. Ad occhi chiusi le distanze si annullavano e immaginava di sfiorare la sua mano nel buio.
Non era vero che ci si poteva abituare a tutto, quella assenza si faceva sempre più pesante. Si chiedeva se anche lui stentasse a trovare il sonno e pensasse un poco a lei.
Avrebbe voluto sentire ancora una volta la sua presenza accanto a sé e dirgli ciò che sentiva.
Probabilmente la felicità era fuori dalla sua portata, in fondo era una campionessa delle cause perse, però sentiva che la prossima volta avrebbe osato dirgli tutto ciò che aveva sul cuore, a costo di sembrare ridicola.
Si sorprendeva a pensare come fosse meglio avere qualcosa per cui soffrire che nulla per cui vivere. Senza il pensiero di Hektrien che l'aspettava da qualche parte, quella vita piatta non avrebbe avuto senso.
L'emozione che provava quando pensava a lui la faceva stare male, ma grazie a quel dolore si sentiva viva e determinata a raggiungerlo. Non voleva più subire e vivere nell'apatia.
Un mattino, dopo l'ennesima notte in bianco, quando ormai iniziava a temere il peggio, qualcuno attraversò il passaggio. Erano gli uomini di Nemiah e il branco al completo.
Una folla entusiasta si radunò rapida attorno a loro. Erano tutti lì, con il sorriso stampato sul volto. Avevano salvato il villaggio di Bremer dall'attacco della Tetra Armata. Persino i fratelli Tuck sembravano contenti di essere tornati.
L'unico che pareva altrove era Nemiah, accennava a qualche sorriso tirato, ma non l'avrebbe di certo data a bere a Iris. Era davvero nervoso, qualcosa non andava.
Decise di provare ad avvicinarsi, ma lui la scansò abilmente, iniziando a parlottare della spedizione con un ragazzo del campo.
L'alfa era rigido ed evitava lo sguardo della ragazza, spostandolo altrove in continuazione, ma cercandola con la coda dell'occhio. Nascondeva sicuramente qualcosa.
Hektrien.
Per un secondo un pensiero insopportabile attraversò la mente di Iris e il cuore le si strinse nel petto. Forse era morto in battaglia. Si rifiutava di crederci, se gli fosse capitato qualcosa era certa che lo avrebbe sentito.
Tilanio si fece largo tra la folla e diede una vigorosa pacca sulla spalla al suo compagno di scorribande. Quello si chinò su di lui e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. L'amico annuì gravemente, deglutì e prese un gran respiro.
«I nostri compagni si sono meritati un po' di riposo. Rimandiamo a stasera la narrazione delle loro avventure» disse prendendo la parola.
Nemiah schivò abilmente l'ennesima occhiata di Iris e si allontanò al fianco dell'amico, scomparendo nella costruzione che ospitava il Consiglio. Lei li seguì e rimase seduta fuori nell'attesa che il capobranco uscisse, ma quando la porta si aprì vide Tilanio.
«Non è più qui, è uscito dal retro» le disse il ragazzo avvicinandosi.
«Vigliacco». In quel momento il drappo che copriva la finestra si mosse leggermente. «Ti ha detto di dirmi che non c'era» disse spazientita. Il ragazzo sorrise e allargò le braccia. «E' successo qualcosa vero?».
Quello le poggiò la mano sulla spalla.
«E' solo maldestro» disse poco prima di allontanarsi.
Non aveva risposto alla sua domanda.
Iris attese che Tilanio si allontanasse e poi si avvicinò alla costruzione. Sbirciò dalla finestra quel poco che il tessuto le permetteva di intravedere. Nemiah stava in piedi davanti a Gabor, sembrava stessero avendo una discussione animata. L'alfa inveiva contro di lui, puntandogli il dito contro, mentre l'altro allargava le braccia e scrollava il capo, mostrando così tutto il suo disaccordo.
Rientrò nella sua capanna, determinata ad affrontare Nemiah quella sera durante la cena nella sala comune. Non avrebbe potuto sfuggirle per sempre.
Gabor si presentò alla sua porta poco prima che lei uscisse, con un panno pieno di cibo da condividere, nel tentativo di tenerla lontana da quel raduno.
«Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere ascoltare le mie mirabolanti avventure» disse l'amico.
Quella notò il rossore sulle sue guance. Era a disagio. Stava mentendo.
«Che succede?» chiese.
L'altro non rispose. Iris gli sfilò a fianco e corse alla sala dove la cena non era ancora iniziata. Nemiah era in piedi con un bicchiere di vino in mano, sul punto di celebrare qualcosa insieme ai commensali.
«Il Generale della Tetra Armata è stato condannato a morte, verrà impiccato nella piazza di Kadik domani» disse alzando il suo calice ancora di più.
Fu il vuoto nella testa e nel cuore di Iris. Si sentì mancare, le sue gambe cedettero e cadde a terra in ginocchio sul pavimento di legno. In molti si voltarono verso di lei, attirati da quel rumore, ma nessuno intervenne.
Rimase qualche istante occhi negli occhi con Nemiah, che nonostante avesse visto il pallore sul suo volto, ma non mosse un muscolo.
I presenti di fronte a quell'annuncio iniziarono a esultare e darsi pacche sulle spalle, mentre lui rimaneva rigido con il braccio ancora disteso a mezz'aria a fissare la giovane accasciata a terra.
Gabor arrivò rapidamente al fianco dell'amica e si chinò su di lei per aiutarla a rialzarsi. Riuscì a uscire dalla sala in cerca d'aria fresca. Senza il suo aiuto sarebbe caduta ancora.
Si sentiva soffocare, il battito del suo cuore era accelerato oltre immaginabile. Non riusciva a capire cosa le stesse dicendo l'amico per calmarla, la sua voce era solo un mormorio lontano che lei non era in grado di tradurre.
Nemiah apparve sulla soglia della costruzione e lei udì ancora le urla di gioia della gente del campo.
Iris lo vide e barcollò verso di lui, riuscendo a rimettersi in piedi più volte con enorme difficoltà. Bastò un solo sguardo per capire che non c'era speranza. Se il ragazzo avesse avuto intenzione di fare qualcosa l'avrebbe già fatta o le avrebbe almeno parlato, invece di nascondersi per l'intera giornata.
L'alfa fece cenno a Gabor di riaccompagnarla alla sua capanna.
«Ti prometto che tenteremo qualcosa» le sussurrò lui, per convincerla ad allontanarsi.
Giunsero alla capanna, dove la ragazza riuscì finalmente a calmarsi dopo molti minuti di stordimento. Non era riuscita a piangere e quel groviglio di emozioni era rimasto lì bloccato in gola, rendendo il suo respiro difficoltoso. Sentiva un macigno sul petto.
Gabor l'aveva fatta distendere un poco e le aveva sussurrato parole di conforto, promettendole ancora una volta che non sarebbero stati con le mani in mano.
Quando Nemiah bussò alla porta, fu il giovane licantropo ad aprire.
«Se non ha intenzione di togliere Hektrien dai guai non sei il benvenuto» disse deciso, senza dargli modo di parlare.
«Abbassa i toni. Ti sei forse dimenticato che mi devi obbedienza?» ribatté l'altro.
«Servo la futura Regina. La sua autorità sarà sempre superiore alla tua» disse con più fermezza.
«Fatti da parte» disse il biondo scocciato, facendo un passo avanti.
«Lascialo entrare» disse Iris con voce piatta dall'interno. «E rimani fuori sulla porta, pronto a buttarlo fuori in caso di bisogno».
Quello annuì e fece un passo indietro, accostò la porta per poter intervenire rapidamente.
«Naya» sussurrò Nemiah.
Nulla di ciò che avrebbe potuto dire avrebbe avuto il potere di consolarla. Non poteva in alcun modo lenire la sua sofferenza.
«Chiudi la porta e parla» disse lei seria. Doveva mantenere la calma e tentare il tutto per tutto per convincerlo ad aiutarla. Quello si avvicinò in silenzio, in cerca delle parole giuste, ma non fiatò. «Non muoverai un dito, mi sbaglio?».
«Non posso».
«Non puoi o non vuoi?».
«Non rischierò la vita dei miei uomini in una missione suicida».
«Non parlo dei tuoi uomini. Parlo di te e di me».
«Non rischierò mai la tua vita» si corresse lui.
«Non mi importa di vivere, se devo vivere con il rimorso di non aver tentato nulla».
Il suo sguardo era vuoto, sentiva che il mondo attorno a lei stava ancora una volta andando in pezzi.
«Non dire assurdità» disse lui facendo un passo avanti.
«E' tuo fratello. Cosa direbbe tua madre se ti vedesse ora?» chiese determinata, voltando di nuovo il suo sguardo verso di lui.
«Non provarci. Mia madre non avrebbe esitato a sacrificarmi per salvargli la vita e pare che per te sia lo stesso» disse digrignando i denti. «Perchè credete che lui sia l'unico ad aver sofferto? Al mio dolore chi ci pensa? Chi?» chiese alzando la voce.
Ancora una volta le sbatteva in faccia la sua sofferenza.
«A me importa» rispose sincera. Lui non reagì. «Credi che io sia egoista?».
«Sei la persona più altruista che io conosca, ma sei cieca davanti alla realtà. Nessuno morirà nel tentativo di salvare la vita a un morto che cammina» disse lui deciso.
«Sono certa che sia stato lui a fare correre la voce del saccheggio. È stato condannato a morte, perché ha salvato quel villaggio» disse lei.
«Io ho salvato quel villaggio» tuonò, puntandole il dito contro. Inspirò forte, si leccò le labbra e ritrovò la calma. Il suo tono si fece più pacato e abbassò la mano. «Non hai alcuna prova di ciò che dici. La tua mente vede cosa vuole vedere, perché non sei lucida, perché sei innamorata di lui».
Una parte di ciò che diceva era vera, ma non avrebbe esitato di fronte a nulla anche se fosse stata la vita di qualcun altro a essere in pericolo. Un membro del branco o Nemiah stesso.
«Lo conosco e so che è così. Se mi aiuti quando sarò Regina ti darò tutto ciò che vuoi, qualunque cosa. Qual'è la cosa che desideri di più al mondo?».
«Ciò che vorrei non potrò mai averlo se lui vive».
«Cosa desideri?» chiese lei.
Nemiah non rispose. Il fuoco bruciava nei suoi occhi e fu difficile reggere il suo sguardo.
«Tu vuoi che lui muoia» disse lei.
«Non è puro come vuole farti credere. Ti ha riempito la testa di bugie. Non lo conosci veramente».
Si mise ai suoi piedi e prese le mani che teneva in grembo.
«Nemiah...».
«Ha commesso atrocità, lui ..» iniziò in palese difficoltà, scuotendo il capo. Voleva dire qualcosa, ma esitava. «Ha ucciso il Principe Tadeker. L'ha decapitato ed è entrato nella sala del Trono con la sua testa in mano, offrendola in dono a suo padre».
«Stai mentendo» disse Iris inorridendo.
Non riusciva a credere a ciò che il ragazzo le aveva appena rivelato. Hektrien era un guerriero e sicuramente un assassino, ma non avrebbe mai compiuto un atto di puro sadismo del genere. Non era possibile.
Quello le strinse le mani più forte, ma lei si liberò da quella stretta e si alzò in piedi. C'era compassione in quegli occhi azzurri e nemmeno l'ombra di menzogna.
«Non farai nulla. E' la tua decisione?» chiese severa, avvicinandosi alla porta. Era delusa di fronte a quel silenzio. «Dov'è il tuo cuore?».
Il ragazzo inclinò la testa, non comprendendo appieno quella domanda.
«Se ne avessi uno avresti pietà di lui o almeno di me, invece non mostri nemmeno un briciolo di compassione».
«Non ti basterò mai vero?» chiese in tono dimesso, avvicinandosi e sfiorandole la mano. Lei non rispose, si limitò a guardarlo e scostò di nuovo la mano. «Non esiterei a rischiare la mia vita per te, ma non sono disposto a fare altrettanto per lui, non prima di essere certo che ti meriti, non prima di aver trovato una soluzione...».
«Una soluzione a cosa?» chiese lei spazientita. Nemiah la guardò intensamente, senza rispondere. «Una soluzione a cosa?» chiese con più veemenza.
La testa le scoppiava, non riusciva a mettere in ordine i pensieri.
Nemiah abbassò il capo.
«Essere senza cuore» disse lei, mentre la voce le si spezzava.
Aprì la porta, era sull'orlo delle lacrime, ma le trattenne con forza e fece cenno a Gabor di entrare. Avrebbe per il momento ignorato la tremenda rivelazione che ancora una volta faceva vacillare ogni sua certezza, ma non poteva credergli ciecamente, visti i loro trascorsi. Era capace di mentire per manipolarla.
«Puoi andare, non voglio sentire altro» disse, cercando di calmarsi.
Quello non mosse un passo.
«Apri gli occhi» insistette lui.
«Nemiah, la tua presenza non è gradita» disse il rosso, indicandogli la porta. «Se non te ne vai di tua spontanea volontà, sarò costretto a usare la forza».
«Gabor hai perso la testa?».
I suoi fratelli maggiori comparvero sulla soglia. Guardavano il loro alfa con disprezzo, mani incrociate sul petto e sopracciglia aggrottate.
«Traditori» ringhiò Nemiah, ribollendo di rabbia.
«Non sfidiamo il tuo potere. In nessun momento giurandoti fedeltà abbiamo promesso di seguirti per permetterti di importunare una fanciulla che non gradisce le tue attenzioni, tanto meno la futura Regina» rispose uno dei due.
Il suo discorso aveva un senso, li metteva al riparo da rappresaglie da parte del loro capobranco.
«Me la pagherete» disse Nemiah.
Ci voleva ben altro per intimidirlo, ma non aveva senso perdere tempo con loro. La Principessa quella notte non l'avrebbe fatto restare, sarebbe tornato all'attacco il giorno dopo per cercare di farla ragionare.
I tre fratelli Tuck si ritrovarono soli con Iris.
«Eor» disse uno abbassando il capo.
«Dayan, per servirti» disse l'altro, imitandolo.
«E per dare il tormento a Nemiah se possibile» aggiunse il primo in tono beffardo.
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