CAPITOLO 36 - FARABUTTO
Quel pomeriggio di gennaio il branco, eccetto i due maggiori dei fratelli Tuck, raggiunse Iris nella sua capanna, per convincerla a partecipare alla cena nella sala comune. Vederli riuniti quasi al completo nel tentativo di strapparle un sorriso le scaldò il cuore. Sedevano a terra a gambe incrociate sulle morbide pelli che ricoprivano il pavimento, parlottavano, battibeccavano e ridevano di gusto, facendole provare un senso di appartenenza che non sentiva da tempo. Un sincero affetto la legava a quegli strambi individui, con loro al suo fianco quella sera forse si sarebbe sentita a casa, anche in mezzo a tanti sconosciuti.
Fu Iodik a fare leva sulla sua emotività dicendole che la strega, come continuava affettuosamente a chiamarla, non avrebbe voluto vederla così sola.
«Presentati lì dentro con il tuo abito per farle onore. Testa alta e passo deciso» disse leggermente commosso, posandole la mano sulla spalla.
Così fu. Iris quella sera, scortata dai licantropi, raggiunse la costruzione dove era allestita una grande tavolata. C'erano pane e formaggi in abbondanza, piatti a base di carne e verdure e varie ciotole di frutta secca. I commensali, seduti su sedie e sgabelli sgangherati, parlavano animatamente. L'atmosfera era spensierata. Paminia le aveva raccontato come venissero tutti da contee differenti e come ognuno avesse una storia tragica alle spalle, c'era chi aveva perso un figlio in combattimento, chi aveva visto la propria casa rasa al suolo durante un saccheggio o chi si era improvvisamente ritrovato solo al mondo dopo un rastrellamento. Nemiah e Tilanio, fondando il primo nucleo dei ribelli, non avevano promesso solo riscatto, ma avevano dato conforto, trasformando tutto quel dolore in forza. Erano sicuramente tutti diversi, ma uniti per la loro causa.
Osservandoli non c'era nulla che potesse fare pensare che all'esterno di quella comunità infuriasse una guerra civile, il caos esterno era qualcosa di apparentemente dimenticato durante quei momenti di condivisione.
Iris si domandò come fosse possibile che Nemiah con l'aiuto dell'amico fosse riuscito a canalizzare tutta quella sofferenza per farne qualcosa di buono. Il suo successo aveva dell'incredibile.
Nella sala piombò il silenzio quando la Principessa fece il suo ingresso, tutti gli occhi dei presenti si spostarono su di lei. Portava i capelli raccolti in una treccia come avrebbe voluto la zia ed era fasciata nel suo splendido abito nero e argento, come le avevano suggerito i suoi amici. Si pentì all'istante di non aver optato qualcosa di più semplice, temendo che quella scelta la facesse apparire presuntuosa. Si levò un coro di sussurri sommessi. Iris deglutì e si inumidì le labbra, in cerca di un'idea per rompere il ghiaccio, riflettendo se fosse stato il caso di dire qualcosa. Si sentiva vulnerabile, ma decisa a non farsi intimidire.
Nemiah, seduto a capotavola, scattò immediatamente in piedi. Non si aspettava di vederla, fu come se la sua sedia avesse preso fuoco e con quel suo gesto istintivo la fece cadere a terra, causando un gran baccano e attirando l'attenzione di tutti. Indossava la sua camicia rossa leggermente aperta, che permetteva di intravedere il suo misterioso ciondolo ricadere sul petto nudo e un paio di calzoni neri, i capelli gli ricadevano come sempre disordinati sulle spalle. Aveva un'aria più selvaggia del solito e i lineamenti del suo viso tradivano la stanchezza accumulata nell'ultimo periodo e forse i segni di una qualche battaglia interiore. La morte della madre, tutti quei non detti e rimpianti avevano lasciato una ferita profonda nel suo cuore.
Si chinò per sistemare la sedia visibilmente imbarazzato, senza staccare gli occhi dalla giovane. Tilanio alzò un sopracciglio, mentre il suo maldestro compagno cercava di ricomporsi.
Layla, la bimba che aveva offerto un fiore a Iris il giorno del suo arrivo al campo base, le andò incontro e la prese per mano. C'era qualcosa in quella bambina che le ricordava un poco sé stessa quando era piccina, sicuramente il visino incorniciato da una cascata di capelli rossi, ma soprattutto la sua incontenibile curiosità. Invidiava la sua innocenza e il fatto che la bimba non si lasciasse mai frenare dalla paura di sbagliare, nonostante tutto sembrava molto più serena di lei, che aveva vissuto con il freno a mano tirato tutta la vita. Le sorrise e si fece trascinare nel bel mezzo della sala, solo all'ultimo momento comprese che la piccola la stava conducendo proprio al posto a sedere accanto ai capi dei ribelli. Tentò di puntare i piedi e indirizzarla altrove, ma fu tutto inutile. Giunse davanti al ragazzo, che stava ancora in piedi.
«Siamo onorati di averti qui con noi» disse quello composto, abbassando il capo.
Iris non lo guardò, non rispose e prese posto in mezzo a lui e Tilanio, abbozzando un sorriso a quest'ultimo che l'aveva invitata a sedersi, scostandole una sedia. Si voltò leggermente di spalle, in modo da mettere una certa distanza tra lei e il biondino. Era in trappola.
Il brusio si placò e la cena riprese.
Durante il pasto la ragazza schivò ogni tentativo di interazione di Nemiah, facendo cadere abilmente nel vuoto ogni suo intervento. Si mostrò fredda e distaccata, interessata unicamente alla conversazione con Tilanio alla sua destra, a cui annuì e fece domande pertinenti sul funzionamento del campo e della vita comune. Scambiò delle chiacchiere piacevoli anche con Paminia, ringraziandola per le sue continue attenzioni nel corso delle settimane.
Capiva dai movimenti nervosi e dai profondi sospiri del suo vicino che la sua frustrazione non faceva altro che aumentare e provava una singolare soddisfazione di fronte alla sua irritazione. L'accenno di un sorriso le si dipinse sulle labbra più volte. Aveva abilmente eretto un'invalicabile barriera non solo per proteggersi, ma anche perché godeva a vederlo così in difficoltà.
Tilanio sembrava divertito da quella scena surreale, era la prima volta che vedeva l'espressione del suo migliore amico contrarsi in quel modo a causa di una donna che lo snobbava. Gli lanciò uno dei suoi sorrisi beffardi, l'altro scrollò il capo visibilmente innervosito.
«Il nostro eroe ti ha mai raccontato di quella volta in cui fece irruzione a Kadik creando scompiglio?» chiese il moro nel tentativo di aiutare l'altro.
«No, non ho avuto questo piacere Effettivamente non fatico a immaginare che un personaggio simile possa creare il caos ovunque vada» rispose lei sprezzante, mentre le labbra di Nemiah si piegavano in una smorfia. «Trovo però sorprende che ne sia uscito indenne. Non so se ti ha raccontato di quando si fece scappare due prigionieri da sotto il naso a Devon» aggiunse, mentre il suo interlocutore stentava a trattenere una risata. «Gli eroi spesso tendono a presentare una versione distorta della realtà per convenienza».
Tilanio aprì la bocca per dire qualcosa, ma Nemiah gli fece cenno di lasciare perdere. La discussione si spostò rapidamente su altri soggetti che non avrebbero rischiato di ferire l'ego dell'alfa, che aveva iniziato a rivolgere occhiatacce anche all'amico, interessato a scoprire di più sui misteriosi mesi trascorsi lontano dal campo. Il branco era tornato diversi mesi dopo ciò che era stato stabilito nel piano originale e Nemiah era stato reticente sugli eventi che si erano svolti in quel periodo.
I presenti non facevano troppo caso alla Principessa, chiacchieravano tra di loro, mentre Serine, tra un boccone e l'altro, lanciava senza sosta sguardi velenosi nella sua direzione. Poi non le bastò più, alzò la voce per essere sicura che la diretta interessata udisse la sua ennesima frecciatina.
«Non assomiglia per niente alla Principessa Nekziria, si racconta che avesse una tale grazia» disse la ragazza con finto sguardo sognante, guardandola con la coda dell'occhio. «E non parlo solo di quell'abito nero che pare una provocazione verso noi tutti».
Iris si alzò in piedi di scatto e poggiò i palmi delle mani sul tavolo. Osservò in silenzio i volti dei presenti uno a uno e sentì la rabbia montare quando incrociò lo sguardo arrogante di Serine. La Principessa era bella e risoluta, avvolta da un'aurea magnetica, aveva ancora il controllo di sé stessa ed era decisa a ribattere.
«Troppo a lungo ho creduto che essere me stessa non fosse abbastanza, perché cercavo di essere all'altezza delle aspettative degli altri, ma la vita è una sola e l'autenticità è un dono prezioso. Basta maschere, siate orgogliosi essere voi stessi e non cercate di apparire ciò che non siete» tuonò puntando il dito alla sua sinistra verso Nemiah.
Quelle parole risuonarono nella stanza, dove calò improvvisamente il silenzio. Paminia serrò le labbra e si irrigidì sulla sua sedia, comprendendo immediatamente a chi fosse rivolta quella frecciatina e a Tilanio andò di traverso il vino. Serine abbassò lo sguardo imbarazzata.
«Alla Principessa» urlò Iodik alzando il suo calice.
«Al coraggio di essere noi stessi» incalzò Gabor, alzandosi addirittura in piedi.
«A Naya» disse Tilanio, versandosi un nuovo bicchiere.
Iris guardò il branco con affetto per il loro sostegno, regalando un radioso sorriso che illuminò l'intera stanza. Quasi tutti i commensali si unirono al brindisi in suo onore, sinceramente impressionati dal suo intervento. La giovane se ne andò dopo averli ringraziati, lasciando uno sconfitto Nemiah dietro di sé con l'amaro in bocca.
«Un bel caratterino» disse il moro.
«Fuoco che brucia» lo corresse l'altro, senza staccarle gli occhi di dosso.
Quella notte scoppiò un violento temporale. La potenza della natura aveva sempre affascinato la ragazza e si ritrovò molto naturalmente a sbirciare attraverso la finestrella della sua capanna per ammirare i lampi che squarciavano quel poco di cielo notturno visibile dalla sua posizione. Quando la pioggia si fece più fine, sgattaiolò fuori per godersi quel momento tutto per lei. Era inverno, ma la temperatura era mite.
Iris si piazzò proprio sotto quel piccolo fazzoletto di cielo, abbassò il cappuccio del suo mantello e guardò in alto. Sentiva ogni singola goccia carezzare il suo viso e ripensò alla notte tempestosa in cui era uscita di casa per cercare Hektrien. Sembrava trascorsa un'eternità da quella pazzia. Disfece rapidamente la sua treccia e scrollò il capo, liberando la sua folta chioma di cui andava tanto orgogliosa.
Chiuse gli occhi e iniziò a roteare lentamente su sé stessa con le braccia aperte rivolte al cielo. Percepì una connessione speciale con la natura che la circondava, si sentì libera e leggera. Era zuppa, con i capelli incollati al viso, ma quella sensazione era tutt'altro che fastidiosa. Era come se quell'acquazzone stesse lavando via tutta la tensione accumulata durante le ultime settimane. Sorrise danzando tra le braccia della pioggia, mentre i tuoni, ormai distanti, rimbombavano ancora sulle alte pareti della grotta, creando echi suggestivi.
Trascorse un arco di tempo indefinito, poi improvvisamente sentì che qualcosa non andava, una fastidiosa sensazione si fece spazio all'altezza del cuore, come una specie di presentimento. Stava ancora piroettando quando, in mezzo a quella fine cortina d'acqua, incrociò un paio di occhi azzurri fissi su di lei. Sentì la rabbia bruciarle nel petto e fu allora che successe qualcosa di inspiegabile. La gocce di pioggia attorno a lei si trasformarono in schegge di ghiaccio che schizzarono come impazzite nella direzione di Nemiah. Quello si abbassò riuscendo a schivarne la maggior parte, ma non fu abbastanza rapido. La sua manica sinistra in pochi secondi fu zuppa di sangue. Attonito fissò la giovane.
L'aria si fece fredda e opprimente, la pioggia sembrava essere diventata di colpo gelida. Iris, confusa e spaventata, iniziò a tremare e corse via, verso la sua capanna.
«Naya» urlò quello, cercando di tamponare la ferita con la mano.
Si sentiva sopraffatta da una nuova sensazione, l'orrore verso sé stessa. Si liberò del mantello e della gonna e si rannicchiò ancora bagnata nel suo letto, tirandosi la coperta fin sopra la testa come le accadeva da bambina. Sembrava non avere più alcun controllo sulla sua volontà, qualcosa si era rotto dentro di lei per colpa di quel miserabile farabutto. Quando chiudeva gli occhi vedeva ancora quelle iridi azzurrine fisse su di lei, avevano contaminato la sua essenza più profonda. Era diventata come lui, un pericolo ambulante, incapace di gestire la sua tempesta emotiva.
Io e te siamo uguali.
Nemiah entrò nella baracca poco dopo. La ragazza udì i suoi passi attutiti dalle pelli varcare la soglia, intravide la sua ombra riflessa sul muro, ma rimase immobile, trattenendo il fiato. Il ragazzo andò direttamente al braciere e accese il fuoco con la semplice imposizione delle mani, per riscaldare l'ambiente, poi prese posto sul letto, proprio accanto al lei. Iris aveva chiuso gli occhi e in quel silenzio riusciva chiaramente a percepire il suo respiro. Stava forse cercando le parole giuste.
«Se solo avessi pace forse non sarei un farabutto» esordì all'improvviso.
La sua voce era calda e tranquilla. Se non fosse appartenuta a quel delinquente forse si sarebbe lasciata avvolgere da quell'ondata di dolcezza e malinconia e sarebbe entrata in empatia con lui. Pareva avesse lasciato da parte la rabbia, per fare spazio a una sincerità disarmante. Quelle parole continuarono a risuonare nella sua testa anche quando l'ambiente cadde di nuovo nel silenzio.
«Tu non sai cosa ho dentro, non conosci questo mondo e non puoi sapere che non c'è altro che conti a parte l'apparenza, soprattutto quando guidi una rivoluzione. Ci provo da una vita a essere all'altezza, ma non c'è ruolo che io sappia indossare. C'è però una cosa in cui sono bravo, a provare indifferenza verso chi mi odia».
Iris trattenne il fiato ancora una volta, la sua mano, come ogni notte, era ben salda sull'impugnatura del pugnale d'argento. Non le importava nulla di ciò che aveva da dire, ma le sue parole la colpirono davvero. Quella sera a cena pensava di averlo ferito, ma aveva fallito.
«So che sei sveglia» la incalzò, poggiando una mano sulla coperta. «Guardami per favore, vorrei che tu mi vedessi veramente».
Non l'avrebbe fatto non gli avrebbe dato quella soddisfazione. Si morse il labbro inferiore, nell'attesa che il suo cervello le suggerisse una risposta acida appropriata.
«Ragazzina non essere testarda» disse lui. Aveva sicuramente un talento per la provocazione. «E' il minimo per aver tentato di farmi fuori con il tuo giochetto là fuori» aggiunse in tono più nervoso.
«Non sei un farabutto, sei un assassino e non perderò tempo con te. Svegliami quando la guerra sarà finita, a meno che tu non muoia prima» disse stringendo la sua arma con più forza.
Bruciava dalla voglia di dirgli della maledizione, ma qualcosa la frenava. Credeva di essere pronta per ucciderlo, ma contro ogni logica in quel momento non era disposta a ferirlo, rivelandogli un ulteriore tradimento da parte della madre. Scelse di tacere.
«Non riesco a essere indifferente al tuo odio nei miei confronti, mi fa male sapere che mi detesti così tanto» disse quello con voce tremante, scostando la coperta.
«Non potrebbe essere altrimenti. Vattene» tagliò corto, interrompendolo.
«Vieni con me» disse lui sfiorando la sua spalla nuda con la punta delle dita.
Il suo tocco era caldo e leggero come una piuma, le causò un brivido che la percorse da capo a piedi, come una scarica elettrica. Tutti i suoi muscoli si contrassero, la sua presa sul pugnale si fece così forte da farle male al palmo della mano e lei si voltò in una frazione di secondo, pronta ad attaccare.
«Non toccarmi animale» ringhiò, puntandogli la sua arma alla gola.
Iris si ritrovò occhi negli occhi con lui, che senza scomporsi sorrise divertito da quella reazione inaspettata. I loro sguardi si sfidarono in un duello silenzioso per un lungo momento, mentre il suo calore persisteva sulla sua pelle, come se le sue dita la stessero ancora sfiorando.
«Hai ucciso Fidian, meriti di morire» sibilò lei.
«Sicura che l'argento abbia effetto su di me? Mi hai mai visto trasformarmi in lupo?» chiese quello.
La risposta era negativa, l'aveva sentito emettere bizzarri suoni gutturali, aveva visto i segni della sua furia cieca in giro per casa, ma non l'aveva mai visto trasformarsi con i suoi occhi.
«Sei un licantropo» rispose, come per autoconvincersi.
«Ne sei certa?» chiese cercando di instillare il dubbio. «Potresti semplicemente ferirmi e farmi innervosire, hai un certo talento. Non sei malvagia e ancora meno un'assassina. Sei solo una piccola impertinente proprio come me».
«Non potremmo essere più diversi» ribatté lei.
«Dimostralo. Posa il pugnale».
«L'hai ucciso».
«Prendi la tua decisione, ma fai in fretta prima che io sia tentato di spezzarti il braccio. Ero venuto qui con buone intenzioni, per regalarti una speranza. Non rovinare tutto» disse senza staccarle gli occhi di dosso.
«Mi disgusti».
«Uccidimi allora» disse sfidandola.
Esitò, una parte di lei lo voleva veramente, poi si vide riflessa nella sua lama e inorridì.
«Ti distruggerai da solo, distruggi tutto ciò che tocchi» concluse quella alzando la voce. Allentò la sua presa sull'arma, che ricadde sulla coperta. «L'arroganza e la violenza ti consumeranno poco a poco o forse morirai ancora prima. Quando la tua testa finirà su una picca a nessuno importerà nulla, perché sei un essere spregevole, una lurida serpe».
Quelle parole ebbero il potere di colpirlo in pieno come uno schiaffo ben assestato, se non fosse stato seduto forse avrebbe perso l'equilibrio. La sua fragile corazza andò in pezzi, smise di respirare.
«Perchè mi hai dimenticato?» domandò finalmente con un filo di voce. «Naya, perché?».
C'era tristezza e rassegnazione nei suoi occhi, le sue parole si persero ancora una volta nel vuoto.
«Iris» disse in un sussurro, correggendolo.
Non le rimaneva nient'altro che il suo nome a cui aggrapparsi, non era disposta a rinunciarvi.
Nemiah annuì mesto e uscì dalla capanna senza dire altro.
La giovane si sentì tremendamente in colpa, ma non ne capì la ragione. Rimase qualche minuto a fissare il vuoto, la sua mente si riempì di immagini e suoni confusi, impossibili da decifrare. Nulla aveva un senso, udiva delle urla, mischiate a sussurri, vedeva il pesciolino di legno e del sangue sulla sua mano. Quei frammenti disordinati la spinsero ad alzarsi in piedi, infilare al volo i suoi stivali e correre fuori, questa volta avrebbe ottenuto le sue risposte.
Affondò nel fango, mentre continuava a correre sotto una pioggia che sembrava essersi fatta di nuovo violenta. Il suo flusso di pensieri non le dava pace, la sua mente era in tumulto e sentiva il suo cuore battere in gola. Era vicina a una soluzione, Nemiah aveva la chiave per uscire da quel'intricato labirinto di pensieri.
Lo chiamò più volte, ma lui sembrava deciso a ignorarla, continuando dritto per la sua strada, a testa bassa, incurante della pioggia scrosciante. Il suo nome rimbalzava sulle alte pareti della grotta, risvegliando ricordi sconnessi e sensazioni sfuggenti. Giunse finalmente alle sue spalle e lo tirò per una manica per fermarlo. Quello si voltò lentamente e la guardò con occhi stanchi. Iris si accorse di avere la mano ricoperta di sangue appiccicoso, il suo sangue. Un viso si materializzò davanti ai suoi occhi, il viso di un fantasma. Fu allora che tutti i pezzi si fusero insieme come in un mosaico perfetto.
«Sei proprio tu?» chiese in un sussurro.
Nemiah le sorrise, le gocce di pioggia che scorrevano lungo il suo viso si mischiarono alle sue lacrime, così come presente e passato si intrecciarono in quello sguardo.
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