CAPITOLO 34 - ALBA DI SANGUE
Iris si concentrò sulle lingue di fuoco che danzavano davanti ai suoi occhi, quel calore intenso l'aveva asciugata dalla testa ai piedi. Portò gli occhi al cielo, tinto di uno strano chiarore e si rese conto che stava per sorgere l'alba. Si voltò verso Hektrien e vide che si era allontanato. Mollò immediatamente la presa sulla mano di Nemiah e raggiunse il soldato che stava raccogliendo per terra proprio il suo mantello.
«Mi dispiace» disse lei prendendogli la mano.
Era anche tua madre ed era fiera di te.
L'uomo la strinse forte contro il petto e inspirò forte il profumo dolce della sua pelle. Le chiuse gli occhi, provando conforto in quel contatto e cercando di scolpire quella sensazione nella sua mente. Erano cambiate così tante cose in così poco tempo. Hektrien, che fino a qualche ora prima evitava il suo sguardo, ora la teneva stretta tra le sue braccia, senza esitazione e senza imbarazzo, come se potesse scomparire da un momento all'altro. Le aveva detto cose importanti quella notte, che avevano lasciato un segno e aveva l'impressione di conoscerlo davvero. Il sentimento che provava per lui in quel momento era singolare e intenso e la spingeva a pensare con fiducia alle dure sfide che l'avrebbero attesa.
L'uomo le mise il mantello nero sulle spalle e con un rapido gesto le fece scivolare il suo pugnale d'argento, protetto da una piccola custodia di cuoio, nel borsello che portava in vita.
Non esitare a usarlo per proteggere te stessa.
Non ci fu il tempo di aggiungere nulla, perché Nemiah sopraggiunse in quel momento, rompendo l'incanto.
«Lei viene con me» ringhiò l'alfa all'indirizzo del fratello maggiore.
Iris si irrigidì. C'era tanta rabbia ingiustificabile in quelle parole. Non conosceva la fase successiva del piano, ma non c'era motivo per rivolgersi a loro con quel tono.
Non voleva separarsi dal Principe, ma aveva sempre messo in conto quella possibilità. Non era pronta ad allontanarsi da lui, perché solo al suo fianco si sentiva al sicuro, ma avrebbe accettato l'inevitabile se solo Nemiah glielo avesse chiesto con gentilezza. Aveva fiducia nella connessione che aveva stabilito con Hektrien e sapeva che il loro legame avrebbe retto a una separazione temporanea, dettata dal dovere, ma mai avrebbe seguito a testa bassa quel ragazzo rabbioso che le dava ordini.
Iris guardò il soldato, cercando sostegno, ma lui non reagì come avrebbe sperato. Abbassò il capo e fece un passo indietro, sottomettendosi alla autorità del fratello minore. Lei scrollò il capo inebetita e fece a sua volta un passo indietro, una scintilla di follia brillava in quelle iridi azzurre che la fissavano con insistenza. Sembrava stesse trattenendo il fiato.
La mascella di Nemiah si serrò, non avrebbe mai permesso a qualcuno di metterlo in discussione. Percorse la breve distanza che lo separava dalla ragazza e con un rapido gesto la afferrò per un polso, facendole male.
«Giù le mani e non ti permettere di darmi ordini» disse lei secca, senza abbassare lo sguardo.
Non si sarebbe lasciata sottomettere, non si scompose. Poteva essere più testarda di lui e la sua arroganza non l'avrebbe intimidita.
«Tu verrai con me, ho una missione da portare a termine. Non costringermi a usare la forza» ribatté lui serrandola più forte.
Quella frase la fece infuriare. Ecco cos'era, solo un compito. Dopo tutto ciò che era accaduto quella notte si era illusa che il dolore li avesse avvicinati, che condividessero finalmente qualcosa, ma le sorprese non erano finite. L'illusione di un Nemiah umano andò rapidamente in frantumi.
«Lasciami» disse lei a denti stretti, rabbiosa fulminandolo con lo sguardo.
Hektrien si avvicinò, aveva una mano sull'impugnatura della spada, l'atmosfera era carica di tensione. Fissò il ragazzo negli occhi, poi prese l'altra mano di Iris.
Digli che voglio dirti addio.
«Gli voglio dire addio».
«Rimanete dove posso vedervi» rispose Nemiah gelido, lasciando finalmente la sua presa con riluttanza.
La ragazza e il soldato si allontanarono di qualche metro, mentre il capo branco li osservava da lontano con le braccia incrociate sul petto nudo. Iris sperava che Hektrien avesse un piano, non era assolutamente preparata ad ascoltare ciò che lui stava per dirle, quando le prese entrambe le mani.
Devi andare con lui.
Quella strabuzzò gli occhi e tentò di protestare, ma lui continuò senza darle il tempo di ribattere.
Non credere che separarmi da te per affidarti a lui sia facile per me. Non posso seguirti in questo Regno, sono una creatura delle tenebre e nel mio stato attuale non posso assicurare la tua incolumità. Il nemico può nascondersi ovunque e per ora con i licantropi sarai al sicuro.
«Saremmo dovuti rimanere in quella grotta, lontano da tutto questo orrore» disse lei, con un groppo alla gola.
Quella notte, il loro punto di svolta, quel momento sospeso nel tempo. Il Principe annuì e le carezzò il viso.
Sappi che non mi arrenderò davanti a quella maledizione, voglio che il destino mi accordi la possibilità di tornare da te per vivere altre notti insieme. Posso tentare qualcosa. Mi attende una missione difficile, ma sono un soldato addestrato, so quello che faccio. Non devi preoccuparti per me.
Lei inspirò profondamente e portò gli occhi al cielo, pensando che un soldato zoppo e muto non sarebbe potuto andare molto lontano, ma non glielo disse per non ferire i suoi sentimenti. Era senza ombra di dubbio un grande guerriero, il suo corpo portava i segni di mille battaglie, ma forse quel tempo era finito e in lui rimaneva solo un coraggio inesauribile che lo rendeva incosciente. Aveva ancora molto da offrire, ma la sua situazione era delicata.
Sarò prudente. Tornerò sano e salvo. Voglio tornare Iris, ora più che mai.
Anche lui in qualche modo sapeva leggere i suoi pensieri, riconoscere le sue preoccupazioni.
Vai con loro e promettimi che non farai sciocchezze. Non conosci i luoghi, non conosci le persone, non tentare di ...
Iris diede uno strattone, non voleva stare a sentire altro. Era stanca di gente che le dava ordini. Lui come al solito consolidò la sua presa, per non perdere quell'unico contatto che aveva con lei.
Non respingermi.
Allentò la presa.
«Sei tu che mi stai lasciando» ribatté lei.
Ti scorteranno in un luogo sicuro e inaccessibile, dove mio padre non potrà trovarti.
«E nemmeno tu».
Non sono uno dei ribelli, non mi è permesso conoscere l'esatta ubicazione del loro campo.
Le crollò definitivamente il mondo addosso e la testa parve scoppiarle, il suo tentativo di rassicurarla era fallito. Non solo dovevano lasciarsi, ma non vi era alcuna certezza che si sarebbero mai ritrovati.
E' una misura di sicurezza. Non correreste alcun pericolo, mai potrò tradirvi.
«Nemmeno sotto tortura?» domandò provocatoria.
Lui non disse nulla, ovviamente c'era il rischio di essere fatto prigioniero e seviziato. L'aveva già visto pestato a sangue e ferito a morte e non poteva sopportare che potesse ancora accadergli una cosa del genere. Questa volta non sarebbe stata con lui per salvarlo.
Stai attenta a Nemiah, è un ragazzo instabile.
Lei fece una smorfia.
Pensa a quel momento nella grotta quando ti senti perduta, farò lo stesso. I nostri cammini si incroceranno ancora e se non dovesse succedere naturalmente io farò in modo che accada. Te lo prometto.
«Non fare promesse che non puoi mantenere» disse lei, liberandosi definitivamente dalla sua presa.
Si allontanò velocemente, non avrebbe più pianto. Non avrebbe mostrato quanto era stata ferita da entrambi. Arrivò di fianco a Nemiah, lo guardò severa, era solo un ragazzino che giocava a fare la voce grossa. Spero che in quello sguardo lui potesse leggere tutto il suo disgusto nei suoi confronti. Lo superò senza dire una parola e raggiunse gli altri licantropi. Non si voltò indietro, non vide lo sguardo compiaciuto che quello rivolse al fratello maggiore.
Hektrien si allontanò zoppicando, mentre Iris si avvicinava a Fidian in cerca di conforto. Sarebbe partito anche lui, non aveva scelta, stava per sorgere il sole, doveva mettersi al sicuro.
Il licantropo si piegò su di lei per legarle il mantello sotto il mento e si avvicinò al suo orecchio.
«Durante il percorso verso il campo dei ribelli memorizza tutto ciò che puoi, suoni e odori. Ascolta il vento e l'acqua. Ogni dettaglio può essere importante. La tua sensibilità è la tua arma più potente» le sussurrò. «Ricorda che dal dolore si può ricominciare».
Iris piegò il capo leggermente, non capì quel consiglio così singolare e quella fretta apparente che traspariva dalla sua voce. Fu distratta dall'arrivo di Nemiah, prima di poter riflettere al vero significato di quella frase.
Il passo pesante dell'alfa non prometteva nulla di buono.
«Non vieni con noi?» chiese stordita all'amico.
Quello scrollò il capo e abbassò lo sguardo, allora Iris guardò Nemiah che nel frattempo era sopraggiunto. Qualcosa non andava, il suo cuore iniziò a battere forte, percependo il pericolo imminente.
Nemiah doveva ancora dare il peggio di sé.
«A morte il traditore» disse freddo rivolto al branco, indicando Fidian.
Nessuno si aspettava quella frase, nessuno a parte il licantropo stesso, che non parve turbato né sorpreso da quella minaccia. Iodik strabuzzò gli occhi, voleva dire qualcosa, ma non osava contraddire il capo branco. Le sue labbra si mossero, ma non ne uscì alcun suono.
«Uccidetelo» disse il biondo con più convinzione.
«Fidian si è battuto con tutti noi» disse Gabor, facendo un passo avanti.
«Come tutti noi, ma non al nostro fianco. Il destino di ogni traditore è la morte» disse l'altro.
«Bandiscilo» suggerì il ragazzino.
«Così che possa rivelare la posizione del nostro campo? Hai altre idee geniali Gabor?» ringhiò l'alfa.
Il ragazzo abbassò il capo sconfitto. Da solo non avrebbe potuto tenere testa al suo capo branco. Si voltò verso i suoi fratelli, che scrollando il capo lo invitarono a riprendere posto al loro fianco. Iris di aggrappò al braccio di Fidian, incapace di parlare. Lui non aveva alcuna reazione, aveva accettato la sua sorte.
«Un volontario?» tuonò squadrando i suoi uomini.
Nessun fiatò, tenevano tutti gli occhi bassi, tranne Gabor sull'orlo delle lacrime, che pareva cercare ancora una soluzione.
«Nemiah, Fidian è un valoroso guerriero» disse ancora il rosso.
Era più coraggioso di quanto la ragazza avesse sempre pensato o forse solo ingenuo.
«Gabor, a cuccia» disse l'alfa deridendolo.
«Un volontario? Branco di codardi, me ne occuperò io. Portate via la ragazzina».
Tirò fuori il suo coltello d'argento e iniziò a giocarci, facendolo roteare con abilità tra le dita. L'argento era pericoloso anche per lui, ma era troppo sbruffone per preoccuparsene. Fece un cenno del capo al gigante dalla pelle scura perché si occupasse della giovane.
Iodik prese Iris per un braccio, ma quella oppose resistenza, aggrappandosi con tutte le sue forze a Fidian. Fu sollevata di peso e adagiata sulla spalla dell'uomo, dove iniziò a urlare a gran voce il nome dell'amico. Aveva la gola in fiamme e sembrava che gli occhi dovessero schizzarle via dalle orbite.
Il licantropo dai lunghi capelli scuri aveva un'espressione mesta e gli occhi lucidi, ma rimaneva fermo e fiero nella sua posizione, pronto ad accettare le conseguenze delle sue scelte. Non tentò la fuga, le fece l'occhiolino e le soffiò un bacio.
«Fu un onore servirti» disse pacato con un sorriso morbido che gli illuminò il viso.
Iris gridò ancora più forte e scalciò disperata per liberarsi, ma non sarebbe mai riuscita a sottrarsi dalla morsa di Iodik.
«Perchè?» urlò.
«Credo alla lealtà e alla parola data, qualcosa che tu non puoi comprendere» rispose sicuro di sé.
«Tua madre amava quel ragazzo» disse lei, cercando di smuovergli qualcosa dentro. «Risparmiagli la vita, siamo la tua famiglia».
Quello fece ancora un cenno a Iodik, non avrebbe cambiato idea.
«Fidian» chiamò un'ultima volta, mentre la sua voce si spezzava, ma quello non la guardò. «Giuro che te la farò pagare. Lo prometto Nemiah, la pagherai» urlò.
«Avresti dovuto scegliere meglio le tue promesse» disse con un sorriso soddisfatto, mostrandole il suo pesciolino di legno tra l'indice e il medio.
Il suo sguardo era spietato, le sue parole affilate come lame e quel gesto fu l'ennesimo inatteso colpo al cuore. Il fatto che Nemiah volesse ferirla così deliberatamente la lasciò interdetta. Affiancò Fidian e gli fece cenno di seguirlo, quello obbedì rassegnato al suo destino.
Iris li vide parlare, ma era troppo distante per cogliere quel loro surreale scambio.
«Coltellata al cuore o combattimento?» chiese il biondo, come se chiedesse qualcosa di banale.
«Ammetto che preferirei un combattimento, se solo non rischiassi di essere incenerito dall'alba nascente» rispose ironico scrutando il cielo.
«Come fai a essere così sereno davanti alla morte?» chiese l'alfa.
«Ho qualcuno che mi aspetta al di là» rispose. Il biondo lo guardò inclinando leggermente la testa. «In quel luogo dove le cose importanti sono invisibili agli occhi, è là che Rodya mi attende» rispose lui sereno, con l'accenno di un sorriso sulle labbra. «E credo anche io alla lealtà, darei la vita ancora e ancora per il mio Generale. Sono un traditore, ma non sono un vigliacco. Accetto il mio destino, perché non ti sarò mai fedele. Quando si tratterà di scegliere, sceglierò sempre lui».
L'altro sembrava colpito da quelle parole. Conosceva bene quella sensazione, anche lui conosceva la vera amicizia. Gli venne in mente l'espressione irriverente di Tilanio, compagno di mille avventure e scorribande, solo grazie al suo sostegno era sopravvissuto a una infanzia di sofferenza e privazioni. Sarebbe morto senza esitazione per lui se fosse stato necessario.
«Nemiah, la lealtà va conquistata. Nessuno te la accorderà ciecamente. Potresti essere molto di più che un capobranco» terminò sibillino Fidian.
Il licantropo dagli occhi scuri e dalla pelle di luna infilò una mano nella tasca del suo pantalone nero e ne estrasse qualcosa che porse al suo alfa.
«Potresti darlo a Iris? L'ultimo desiderio di un condannato a morte» chiese gentile. Qualcosa saettò nelle iridi azzurrine dell'altro. «Così deve essere».
I due licantropi sparirono completamente alla vista di Iris. Trascorsero secondi interminabili, poi all'improvviso si sentì un lamento strozzato che le gelò il sangue nelle vene e la ragazza smise di battersi contro Iodik che nel frattempo l'aveva messa a terra, domandandole perdono. Sentì le gambe cederle, ma rimase dritta e immobile, come paralizzata.
L'alfa tornò con la sua arma sporca di sangue, senza degnarsi di nasconderla alla sua vista. Anche la sua mano fino al polso portava i segni dell'omicidio appena consumato.
La giovane aveva la sensazione di avere un sasso al posto del cuore, per la prima volta in vita sua non sentiva nulla, percepiva solo un enorme vuoto.
«Assassino» disse lei con una freddezza venuta da chissà dove.
Il ragazzo rimase impassibile, sembrava che nulla potesse scalfirlo.
Lei guardò un'ultima volta gli occhi di quell'estraneo che per un breve momento aveva pensato di comprendere e vide un azzurro abisso di tormento e pazzia. Le domande le affollarono la mente, ma non voleva più sapere. Prese la decisione di non guardarlo mai più negli occhi, per non essere risucchiata da quel vortice di emotività distruttiva.
Ricorda che dal dolore si può ricominciare.
Quella frase dell'amico risuonava nella sua testa, ma era priva di significato. Euniria e Fidian erano morti, Hektrien partito in una missione suicida chissà dove e la vita attorno a lei andava avanti come se nulla fosse, come se la loro assenza non importasse a nessuno.
«Iodik, bendala» disse l'alfa rompendo il silenzio.
Il gigante annuì.
Iris non oppose resistenza e guardò un ultima volta Nemiah allontanarsi verso la pira ancora in fiamme ed accovacciarsi. Rimase in silenzio a guardare l'incendio, mentre le fiamme diventavano sempre più alte e selvagge. Era ancora una volta opera sua, il suo umore alimentava quel fuoco.
Iodik la bendò con delicatezza, chiedendole il permesso e tutto si fece nero. Quella inspirò lentamente, sentendo l'aria carica di profumi sconosciuti fluire nel suo corpo. Solo nel buio tutto sembrava ancora avere un senso, l'oscurità sembrava volerla proteggere nel suo abbraccio. Pensò a Hektrien, sentiva ancora le sue braccia su di lei. Era ancora viva, doveva scrollarsi di dosso quella apatia.
Spesso l'abisso più profondo non vale l'azzardo.
La voce del lago continuava a parlarle.
«La pagherà» rispose lei ad alta voce, stringendo i pugni fino a farsi male.
Il coltello della lama d'argento, affilato e letale, era nel suo borsello e non avrebbe esitato a usarlo per vendicare l'amico. Quel nuovo mondo stava tirando fuori il peggio di sé, non era l'inferno, ma le stava portando solo dolore ed era arrivato il momento di reagire.
L'alba si tinse di rosso e un nuovo giorno iniziò.
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