2. Bianco e Nero, come piace a me

Kentucky, (anni 6 anni)

«Jolene?» chiesi, lei si girò a guardarmi, «Secondo te, qualcuno ci adotterà?» la vidi pensarci su, «Beh piccola, tu sei ancora una bambina, quindi hai più possibilità di me, vedi, qui ci sono dei canoni specifici per essere scelti» spiegò guardandosi le unghie, inclinai la testa, «Cosa vuol dire canoni, Jolene?» chiesi curiosa, lei sospirò.
«Vedi, come sai, io sono più grande di te, e quindi le famiglie non vorranno mai una ragazza già cresciuta, disidratano anzi delle bambine piccole, per crescerle a modo loro, e di solito scelgono quelle bianche» mi morsi un labbro, lei mi sorride dolcemente.

«Ed è per questo, che tu hai molte più possibilità di me, e finalmente potrai andartene da questa gabbia di deficienti» mi strizzó l'occhio e sorrise, ricambiai e saltellai in giardino, dondolandomi su una delle altalene.

Notai una macchina, lussuosa e grande attraversare il viottolo che conduceva al nostro orfanotrofio, scrollai le spalle e continuai a godermi la mia solitudine.

«Samantha, vieni qui» la voce della direttrice mi fece sbuffare, e, controvoglia, abbandonare la mia piacevole attività.

Entrai, ed ad aspettarmi trovai una coppia.
L'uomo indossava un completo elegante di un blu scuro, la donna invece aveva un vestito nero bellissimo, con uno spacco laterale che valorizzava le sue gambe lunghe, fasciate da un paio di tacchi a dir poco vertiginosi, dello stesso colore dell'abito che indossava.

Lui mi strinse la mano, mentre lei mi accarezzó la guancia sorridendo, «Questi sono i signori Milling, vogliono adottarti» sorrise smagliante la governante, spalancai gli occhi e accennai un sorriso vittorioso, Jolene mi aveva portato fortuna.

Saltellai verso il mio dormitorio, presi le mie cose e mene andai, senza però salutare Jolene, che mi diede un bacio sulla fronte e uno orsetto di peluche.

***

La casa era grande e luminosa, i mobili erano di un legno pregiato e i lampadari di cristallo davano quel tocco di classe in più.

«Vieni tesoro, ti accompagno nella tua stanza» la mia madre adottiva mi mise una mano sulla spalla e mi guidó al piano superiore.

La donna aprì una delle tante porte.
Spalancai gli occhi, non avevo mai avuto una camera tutta mia, per me questo era tutto nuovo.

Mi guardai intorno, sorridendo come un ebete.

«É tutta per me, signora Milling?» domandai timidamente, lei sorrise, «Per te cara, io sono solo la tua mamma, e si, questa stanza è tua» spiegò dolcemente, il suono del campanello ci fece voltare, così, mi accompagnò al piano terra.

Un anziano signore varcò la soglia di casa, salutando educatamente i miei nuovi genitori, i suoi occhi chiari incontrarono i miei e mi sorrise, «Lei è la piccolina che avete adottato?» domandò entusiasta, l'uomo annuì, e lo invitò a sedersi sul divano.

«Vieni piccola, ti preparo un succo di frutta, va bene?» annuii, ma prima di seguire la mamma in cucina, notai mio padre e il mio, presunto nonno, muovere dei pezzi di legno su una piccola scacchiera, gli occhi mi si illuminarono, e li raggiunsi.

«Come si chiama quel gioco?» domandai curiosa, l'anziano sorrise, «Si chiama scacchi, piccolina» osservai nuovamente i pezzi, «Puó insegnarmi?» lui annuì, «Accomodati, vieni vieni» mi avvicinai lentamente presi una sedia e mi sedetti di fronte a lui.

«Dunque, tu sei il bianco, quindi apri la partita» «Come apro la partita?» lui ridacchiò, «Ci sono diversi modi di farlo, adesso tene insegnerò qualcuno».

Kentucky, 9 anni dopo (Età, 15 anni)

«É, scacco matto in H2, nonno» affermai buttando giù il suo Re.
Lui sorrise compiaciuto.

«Ho un regalo per te» lo guardai, curiosa.

Non ci potevo chiedere.
Mi aveva appena regalato una scacchiera!
Tutta mia.

Lo abbracciai forte e lo sentii ridacchiare sulla mia spalla.

Ormai facevo parte della famiglia già da nove anni, e quindi chiamavo i signori Milling Mamma e papà, già da un pezzo, stessa cosa valeva per nonno Jo.

Lui mi aveva insegnato gli scacchi, e io non potevo essergli più grata.

Mi aveva spiegato come aprire le partite, tutte le tecniche del mediogioco, come muovere i pezzi, come mettere in scacco l'avversario e cosa fare quando si perde.
Ovvero, fare cadere il Re, dicendo "io rinuncio".

«Nonno, ho letto di un torneo, che si terrà qui, nel liceo vicino a casa. Costa cinque dollari, e vorrei partecipare, ti giuro che ti pagherò il doppio se mi presterai quei soldi» lui sorrise, «Non mi devi nulla piccolina, ecco a te» mi porse la banconota da 5 e io lo abbracciai forte, mancavano poche ore al torneo e io dovevo fare in fretta.

«Sono qui per il torneo» dissi ai due uomini seduti alla scrivania, mi squadrarono perplessi.

«Tu, vorresti partecipare? Sei sicura di quel che fai?» domandò il primo, annuii senza esitare, loro si guardano con un sorrisetto furbo, «Questa è la seconda ragazzina che ci capita in questi giorni, nome prego» scrollai le spalle, «Samantha Parker» risposi, «Hai un orologio?» «Si» risposi, loro annuirono, «Punteggio?» «Non ho un punteggio» «Allora vai nei principianti» sbuffai, «No, io sono brava» affermai irritata, «Questo non fa alcuna differenza, o vai nei principianti, o non participi, a te la scelta» alzai gli occhi al cielo e li fulminai con lo sguardo, «Ok, ma se vinco voglio partecipare all'Open» mene andai prima che potessero ribattere.

Camminai fra i tavoli, guardai il tabellone e mi sedetti nella scacchiera numero 13.

Aspettai con ansia il mio avversario, quando lo vidi dirigersi nella mia direzione scattai in piedi, «Samantha Parker» gli strinsi la mano e lui mi fece cenno di sedermi.

Riuscii a batterlo in appena 12 mosse in uno scacco matto in G6.

Strinsi nuovamente la sua mano e lo superai.

Così accadde anche con le seguenti 4 partite.

«Scusa» sbattei contro qualcuno, «Di nulla, partecipi?» sgranai gli occhi, quella era Beth Harmon.

Annuii e lei mi squadrò, scettica.
«Anche io» rispose con tono arrogante prima di allontanarsi.

Che stronza egocentrica.

Non poteva capitarmi una sorella un po' più educata?
Ovviamente no.

Sbuffai ed aspettai che la pausa pranzo terminasse, per poi prendere posto sulla prossima sedia, scacchiera numero 5.

«Samantha Parker» «Cazzo» bisbigliò l'uomo che battei in un quarto d'ora.

Mi alzai e sbirciai la partita che si stava svolgendo alla prima scacchiera.

Scrutai le mosse di entrambi i giocatori e alzai un sopracciglio.

«Quello è Baltik, il campione statale» mi sussurrò un uomo alla mia destra, alzai gli occhi al cielo, «So chi è idiota, solo perché sono una donna non significa che io non mene intenda di scacchi, maledetti maschilisti» le ultime parole le sussurrai, «Vi dispiace?» sbuffai e incrociai le braccia davanti al petto, «Patta?» osò l'avversario di Baltik, consapevole ormai di non avere più speranze, «No, affatto» rispose l'altro, si strinsero la mano e tutti scoppiarono in un grande applauso, fatta eccezione di me, che non mene poteva fregare di meno.

Io leggevo i libri dei veri maestri, non quelli di insignificanti ed egocentrici statisti, che avrei potuto tranquillamente battere.

Poco dopo, terminai le altre partite.
Scacchiera due.

Mi guardai attorno, cercando il mio avversario con lo sguardo, e non potei credere ai miei occhi quando Beth Harmon si sedette di fronte a me.

Mi porse la mano, «Beth Harmon» «Samantha Parker» ci sedemmo e la partita cominciò.

Lei aprì la partita con una Siciliana, era alquanto prevedibile, così io reagii con un pedone in H5, sperando di cavarmela.
Lei però spostò la torre in B4, costringendo il mio cavallo ad indietreggiare, per coprire la Regina.
Mosse il suo cavallo in A3, e così mi ritrovai in una Rete di Matto.

Non avevo più speranze.
Merda.

Sospirando abbassai il mio Re, «Io rinuncio» le strinsi la mano per poi andar via, in cuore mio sapevo però, che non avrei mai potuto batterla.
Lei era troppo forte.

Il nonno si sistemó gli occhiali sul naso, «Bella partita, davvero» «Ma ho perso, nonno!» protestai, «Hai fatto un errore, guardami. Cavallo in A3, copri la tua Regina e avanzi la torre in B4, così crei una colonna, il nero muove in avanti, e tu puoi mangiare il suo alfiere, mettendola in scacco matto» lo guardai agire e sbuffai.

«Non sarò mai così brava nonno» lui mi accarezzó il dorso della mano, «Piccolina, tu lo sei già diventata» lo guardai con gli occhi lucidi, «Non è vero, non sono riuscita a batterla» «A tutti capita di sbagliare Sam, ma vedrai che non ti farai più mettere in quella Rete, fidati di me che ne ho viste di partite» mi rassicurò, «Potresti insegnarmi come si crea?» lui sorrise, «Certo, vieni qui».

«Cavallo in G6» «H3, pedone prende pedone, che fai?» «Arrocco, ed è scacco matto» mi volto a guardarlo, «Fatti dire una cosa piccolina» prese le mie mani fra le sue e sorrise, «Tu sei, fenomenale» lo guardai negli occhi e lui annuì.

«Perchè non riprovi, cara?» lo guardai, interdetta.

«Beth Harmon parteciperà?» «Perchè ti interessa tanto Sam?» mi morsi il labbro, «Non voglio perdere ancora contro di lei, non c'è confronto con me, nonno» sussurrai, «Ricorda Sam, gli scacchi sono arte piccola, pensa a quello che provi mentre giochi e non interessarti degli altri» gli sorrisi e annuii.

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