XIX. The pearl

La foresta era avvolta da un silenzio inquietante. Una pioggerellina leggera scendeva regolare sul suolo, inzuppando i vestiti di Wendy.

Uscire dall'accampamento era stato esageratamente semplice. Pan non aveva protetto la tenda con incantesimi, né chiesto a qualche Bimbo Sperduto di appostarsi di fronte all'uscita.

Ma ora che era fuori, sola nella foresta, l'idea di trovare il corpo di Nate le appariva un po' meno brillante. Come poteva sperare di orientarsi in mezzo a quegli alberi minacciosi, avvolti da una nebbiolina umida e da una pioggia incessante?

Continuò a camminare, malgrado i piedi nudi le facessero male al contatto con sassi e sterpaglie, cercando di capire se stesse effettivamente seguendo la strada giusta.
Gli alberi si susseguivano tutti uguali, mossi da una leggera brezza che solleticava la pelle imperlata di pioggia di Wendy.

Cosa avrebbe dovuto fare? Continuare a vagare nella foresta, senza sapere dove andare? O tornare all'accampamento, dove probabilmente Pan si era già accorto della sua assenza?

Qualunque fosse l'opzione migliore, chiederselo non portava a nulla, considerato che anche in caso volesse tornare indietro non aveva la più pallida idea di dove l'accampamento si trovasse. Era completamente persa.

All'ennesimo albero dalla corteccia argentata, decise di svoltare a destra, scostando con la mano una tenda naturale di rampicanti verdi.
Davanti ai suoi occhi si apriva una piccola radura d'erba perfettamente curata, che ospitava al centro un insolito laghetto.
L'acqua, per quanto il lago fosse totalmente chiuso e non avesse sbocchi in mare né fiumi o ruscelli che vi affluissero, era in continuo movimento. Ondeggiava da destra a sinistra, poi compiva piccoli movimenti circolari, sembrava quasi traboccare all'esterno ma si fermava un attimo prima di bagnare il tappeto erboso.

Wendy si avvicinò cauta e si sedette a gambe incrociate accanto alla superficie increspata dell'acqua.
Gli alberi sopra di lei formavano una sorta di cupola che impediva alla pioggia di raggiungerla.

Allungò i piedi sporchi di terra davanti a sé e li infilò nell'acqua fresca. Erano passati giorni dall'ultima volta che si era lavata e di certo non si poteva considerare pulita.
Lentamente sfilò i vestiti e li appoggiò a terra accanto a sé, prima di immergersi nel laghetto.

Trattenne il respiro prima di infilare la testa sott'acqua e iniziò a contare.
Uno, due, tre. L'acqua le rinfrescava la pelle, le districava i capelli, le premeva sulle palpebre chiuse.
Quattro, cinque. Aprì piano gli occhi, guardandosi attorno.
Sei, sette. Il fondale sotto i suoi piedi brillava dei colori più disparati, la sabbia finissima si sollevava in nuvole polverose, intorbidendo l'acqua.

Otto, nove. C'era qualcosa in mezzo alla sabbia, a pochi passi da lei. Qualcosa che brillava più della sabbia, più dell'acqua, più del cielo. Qualcosa di piccolo, rotondo ed argenteo.
Sembrava una perla, perfettamente regolare, seminascosta dalla sabbia.

Dieci, undici. Era proprio una perla. Lucida e scivolosa sulla superficie. Wendy allungò una mano verso il fondo, accarezzandola con la punta delle dita.

Una scossa le attraversò la spina dorsale, mentre stringeva la perla tra le dita.
L'acqua si aprì attorno a lei e la sabbia sotto ai suoi piedi lasciò il posto a un terriccio polveroso, che si ricoprì un attimo dopo di erba soffice e verde.

Le pareti del lago attorno a lei si alzarono di qualche metro e dell'edera viola bordata d'oro scese a ricoprire la terra arida.
Davanti a lei l'orizzonte si restrinse fino ad assumere la forma di un lungo corridoio apparentemente senza fine.

La perla era ancora lì, stretta tra le sue dita. Si portò le mani davanti al corpo nudo, cercando di coprirsi.
Una voce alle sue spalle la fece sussultare.
Non si poteva dire se appartenesse ad un uomo ad una donna, era troppo acuta per appartenere ad un bambino.

Eppure qualcosa in quella voce acutissima la rilassava, forse la metteva perfino a suo agio, malgrado fosse chissà dove e pure nuda.
Entrava dentro di lei e la percorreva come un fremito, accarezzandole la mente con dolcezza.

"Wendy Darling, ti stavamo aspettando."
Si voltò, cercando di coprirsi come meglio poteva.
Un ragazzo dalla pelle più azzurra del cielo la osservava, sorridendo con una fila di denti triangolari che brillavano di luce propria.

Le braccia erano disseminate di minuscoli brillantini rosati e tra le dita affusolate stringeva della stoffa rossa.
Wendy allungò incerta una mano, afferrò la stoffa e se la portò davanti al corpo per coprirsi.

Ora che lo guardava meglio, non era un semplice ritaglio di stoffa, ma un vero e proprio vestito. Molto più bello di quelli che le aveva dato Uncino, molto più bello di qualsiasi vestito che avesse mai indossato.

Diede nuovamente le spalle al ragazzo e infilò il vestito, strizzando lateralmente i capelli in modo da far sgocciolare l'acqua a terra.
Il ragazzo si avvicinò e afferrò i laccetti del corpetto, per poi tirarli con forza e sistemarle il vestito quasi come se fosse una seconda pelle.

"Vieni. La regina ti sta aspettando."
Le dita sottili del ragazzo afferrarono dolcemente il polso di Wendy.
"La regina?"

Felix aveva detto chiaramente che non c'erano re o regine sull'Isola, solamente Peter Pan.
E come era capitata li? Non sapeva nemmeno cosa fosse quel posto, né a chi appartenesse. Era forse un sogno?

"Non stai sognando, Wendy." riprese il ragazzo, accompagnandola attraverso il lungo corridoio.
"La regina delle fate ti ha aspettata per molto tempo e ora finalmente sei arrivata."

"Ma perché mi ha aspettata così tanto? Sono settimane che mi trovo qui sull'Isola, ha avuto parecchio tempo per vedermi."
"Evidentemente il momento giusto per vederti era questo. Aspettare può essere necessario, in alcuni casi."

Le parole del ragazzo, per quanto misteriose potessero sembrare, alle orecchie di Wendy avevano una melodia precisa, un significato ed un suono indistinguibili, sembravano verità ovvie ma per noi umani irraggiungibili e impossibili da decifrare.

"Per quale motivo la regina vuole vedermi? E anche tu sei una fata?"
Il ragazzo sorrise e gli occhi, oltre le ciglia brillantate, gli si illuminarono di una luce violacea.
"Sì, sono una fata anche io. Mi chiamo Swyle e il mio compito è accompagnarti al ballo. Quello che la regina ha da dirti non mi riguarda."

"Un ballo?"
"Sì. Niente che ti riguardi comunque, tu sei una semplice invitata di cui la maggior parte delle fate nemmeno conoscono il nome."

Il corridoio terminava di fronte ad una porta dorata dalle dimensioni gigantesche, con un minuscolo battente circolare.
Swyle bussò tre volte e la porta cigolò appena, aprendosi su di un immenso salone da ballo.

La sala era gremita di fate, esseri simili agli umani, fatta eccezione per la pelle dorata, violacea, verde o azzurra e per le orecchie e le dita appuntite e ricoperte di brillantini.

E soprattutto per le voci acute ma dolci e soavi, che riecheggiavano tra le pareti d'edera.
Un lunghissimo tavolo percorreva la parete e su di esso, tra i fiori e le decorazioni, si potevano contare almeno un centinaio di cibi diversi, sconosciuti a Wendy.

Infine, oltre la gente impegnata a ballare e ridere, su di un podio rialzato si trovava un maestoso trono e su di esso, seduta elegantemente una creatura straordinariamente bella, dallo sguardo caldo e gelido allo stesso tempo. La regina delle fate.

"Devo andare da lei?" mormorò la ragazzina, cercando Swyle alle sue spalle, ma lui era già sparito nella folla.
Si avvicinò a passo lento ad un gruppo di fate dalla pelle blu ricoperta di disegni rosati, fingendo di non notare i loro sguardi insistenti.

Era l'unica umana ad una festa di fate. Era presumibile che fossero confuse.

Superò un altro gruppo di fate e si appoggiò con entrambe le mani al tavolo, prendendo un respiro profondo.
La voce di Swyle l'aveva intontita a tal punto che nemmeno si era resa conto di non sapere dove si trovasse né se fosse al sicuro.

Era arrivata lì semplicemente toccando una perla e quelle fate non facevano altro che confonderla.
Possibile che non riuscisse mai a starsene buona e ferma? Si era forse dimenticata di trovarsi nell'Isola Che Non C'è e che li ogni cosa poteva essere magica?

Una voce le penetrò nelle orecchie, era una specie di canto melodioso.
Si voltò ma era sola nel raggio di qualche metro. Le altre fate continuavano a ridere e a ondeggiare i fianchi o il capo e nessuna sembrava prestare attenzione a lei.

La voce la raggiunse di nuovo, questa volta pronunciando parole precise.
"Vieni, Wendy. Ti sto aspettando."
La ragazzina si lasciò cullare da quelle semplici parole, mentre attraversava la sala da ballo, diretta verso il trono della regina.

Accanto ad esso vi era una piccola sedia in legno semplice, di poco più bassa, su cui una fata dai capelli verdi le fece cenno di sedersi.
"Benvenuta, Wendy Darling." le sorrise la regina.
"Sono Gladis, regina delle fate."

Wendy annuì, ammaliata dalla dentatura bianchissima e affilata della fata.
"Finalmente ho il piacere di conoscerti." continuò, con quella voce cantilenante.

La ragazzina si riscosse dai suoi pensieri, cercando di prendere le redini della situazione e, magari, ottenere qualche risposta.
"Con tutto il rispetto, mi stavo chiedendo cosa possa volere la regina delle fate da una ragazzina come me. Anzi, mi chiedo cosa vogliano tutti da una come me. Voi, Pan, Trilli, Uncino e tutti gli altri."

Trattenere le domande davanti a una fata era pressoché impossibile. La loro voce, il loro sguardo, perfino il loro profumo spingevano chiunque a liberarsi dei propri dubbi, a chiedere, raccontare, perfino ad ammettere le proprie colpe, dalle più insignificanti a quelle più gravi. Era difficile mentire ad una fata.

"Sono qui per aiutarti, Wendy. Immaginami un po' come la tua fata madrina. Ti aiuterò a capirci qualcosa di più e a non subire passivamente tutto quello che Pan ti dice o ti fa, ma a reagire e a pensare con la tua testa. Ovviamente ad un piccolo prezzo, ma di questo parleremo più avanti."
Wendy la ascoltava rapita, annuendo ad ogni frase.

Aiutarla? Sembrava impossibile che qualcuno si interessasse finalmente a quello che lei pensava o voleva. E l'aiuto della regina delle fate di certo non le avrebbe dato fastidio.
Anzi, forse così avrebbe avuto una speranza in più contro Pan.

"Cosa dovrei fare, regina?"
"Chiamami pure Gladis, mia cara. E per ora non devi fare nulla. Vedi, noi fate siamo esseri molto potenti, in noi sono presenti la magia di luce e quella di tenebra."

"E perché avete bisogno di me, se siete così potenti?" la interruppe Wendy.
"Perché purtroppo c'è una cosa a cui nessuno è immune. Qualcosa che colpisce voi umani così come noi esseri fatati. Il destino. E la sorte ha deciso che la nostra magia non è sufficiente, che serve qualcosa di più potente. E qui entri in gioco tu. Ma ne parleremo meglio più tardi, non voglio annoiarti."
"Ho solo bisogno di un piccolo pegno, qualcosa che mi garantisca che tu sei dalla mia parte e che non hai intenzione di tradirmi."

Wendy abbassò lo sguardo sul suo corpo fasciato dal vestito rosso.
Non aveva niente da dare in dono alla regina delle fate, nessun pegno, nessun simbolo.
"Non ho nulla con me da potervi dare" mormorò.

Gladis sorrise, scoprendo i denti appuntiti e inclinando la testa in una risata genuina.
Si sistemò una ciocca blu di capelli dietro l'orecchio appuntito e poi riprese a parlare.
"Una lacrima sarà sufficiente." disse, sfilando una boccetta dalla collana.

Poi la posò sulla guancia di Wendy, aspettando la lacrima che non tardó ad arrivare.
C'erano così tante cose in grado di farla piangere.
Nate, la distanza da casa, mamma e papà, i suoi fratelli, più o meno tutto in realtà.

Raccolta la lacrima Gladis emise un ridolino soddisfatto e riallacciò la boccetta alla collana, sistemandosela nella scollatura del vestito.

"Non dovrai aspettare molto per rivedermi" concluse la fata, ma la sua voce era già solo un ricordo nelle orecchie di Wendy e il palazzo, con la sala da ballo, le fate, il trono, il cibo e l'edera era sparito nel nulla, lasciando il posto all'acqua gelida del lago in movimento.

Dodici, tredici. Wendy riemerse in superficie, sputando l'acqua dolce che le aveva riempito i polmoni.
Inciampando più volte riuscì a raggiungere la riva, dove si stese a terra, la testa appoggiata ai vestiti che si era sfilata poco prima e il corpo nudo tra l'erba tagliata.

Spazio Autrice.
Lo so, non ci credo nemmeno io ma sì, sono tornata.
Vi chiedo di nuovo scusa per l'attesa, mi odio per avervi fatto aspettare così tanto ma non ce l'ho proprio fatta ad aggiornare prima.
Vi mando un'infinità di baci e vi ringrazio con tutto il cuore per i commenti che lasciate ad ogni capitolo.
Vi chiedo per favore di stellinare e commentare e, al prossimo capitolo! (Speriamo non troppo tardi)

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