XIII. Cheaters Never Win

Un'onda si riversò sulla spiaggia, accarezzando il corpo accasciato sulla sabbia umida.

Il petto del ragazzo si alzava e abbassava rapidamente, mentre le gocce d'acqua gelida gli solleticavano le piante dei piedi.

Strinse le palpebre, emettendo un sospiro e cercando di abituarsi alla luce.
Aveva passato tutta la notte in quella posizione, steso su un fianco, con un braccio incastrato sotto la testa e ora iniziava a provare una sorta di fastidio ai muscoli.

Soffiò, osservando la sabbia sollevarsi in nuvolette polverose nell'aria.

Un solo pensiero lo tormentava ormai da ore.

Aveva baciato Wendy Darling.

Non riusciva a liberarsi di quel ricordo e forse nemmeno voleva. Era impresso nella sua mente, nei suoi occhi, presente ogni qualvolta provasse ad addormentarsi.

Era impensabile che qualcosa sfuggisse al suo controllo.

Che anche solo un minuscolo particolare si rivelasse estraneo al suo piano, al di fuori della sua supervisione.

L'esperienza gli aveva insegnato a non sottovalutare i particolari, per quanto insignificanti potessero sembrare.
Era proprio sottovalutandoli che davi loro la forza di stupirti e, infine, di distruggerti.

E lui non aveva alcuna intenzione di sottovalutare il potere di quel bacio.
Il desiderio malato che aveva preso la meglio su di lui.

Le cose non stavano andando come avrebbe voluto.
Wendy era diversa.
Diversa da come sarebbe dovuta essere, più insolente, egoista, più vera.

Non era l'essere perfetto che compariva nella profezia.

Certo, il suo cuore sembrava essere puro.

L'aveva appurato stringendolo tra le dita, così rosso, pulsante, brillante. Non nero come il catrame e spento dall'odio.

Eppure nulla sembrava funzionare.

Pan alzò di poco il capo, facendo scivolare il braccio poco più avanti.

Aveva le dita informicolate e i muscoli intorpiditi.

Avvicinò la mano al petto, esercitando una leggera pressione, via via più intensa.

Pressò le labbra tra loro, mentre una goccia salata di sudore gli solcava la tempia, fino a posarsi sul suo labbro inferiore.

Abbassò lo sguardo sul cuore stretto tra le sue dita, inarcando un sopracciglio in uno sguardo difficilmente interpretabile.

Sembrava affascinato e disgustato da ciò che stringeva tra le mani. Provava un ammirevole orrore per quel cuore nero e tenebroso, che scandiva il tempo con battiti cupi e regolari.

Si sollevò a sedere, le ginocchia piegate e la mano destra impegnata a stringere quel macabro organo.

Infilò l'altra mano nella cintura, afferrando il flauto intagliato. Lo portò alle labbra, soffiandovi una triste e breve melodia, per poi rimetterlo al suo posto.

Un trillo risuonò nelle sue orecchie, imponendogli di chiudere gli occhi.

Quando li riaprì una musica acuta e fastidiosa gli trapanava l'udito. Strinse i denti e oltrepassò l'arcata fiorita, trascinando a fatica i piedi sul pavimento lucido e riflettente.

L'atmosfera era pesante e opprimente, la musica assordante e sonnolenta, le luci pallide e avvolte da un tiepido torpore.

Il ragazzo avanzava a passi lenti, sapendo già dove dirigersi, quali muri costeggiare e quali zone evitare.

Superò anche l'ultima arcata naturale, delimitata dalle fronde profumate di salici piangenti dai colori più disparati.

Senza troppa fatica si potevano udire i lamenti di quelle tristi piante, simili a dei dolci pianti.

Una luce potente investì il ragazzo, che si pronunciò in un breve e contenuto inchino, mantenendo il cuore pulsante ben stretto tra le dita.

"Peter Pan" si udì, in una sorta di fruscio, mentre una figura splendida si materializzava nella stanza, "Qual buon vento ti porta al mio palazzo?"

Pan alzò lo sguardo, incrociando quello dolce della fata, che tradiva un briciolo di innata perfidia.

"Sono qui per avere delle riposte. E esigo che voi me le diate, senza tentare alcuna opposizione."
Sentenziò, gelido.

La fata fece scivolare una ciocca di capelli blu metallico dietro le orecchie appuntite, sbattendo le lunghe ciglia intarsiate di gocce di rugiada.

Sollevò il labbro superiore in una sorta di ringhio feroce, mettendo in mostra una fila di denti bianchissimi e appuntiti.

"Cosa ti fa pensare di poter entrare qui e dettare ordini?"
Sbraitò con astio.

"Ti sei ripresa la mia fata, Gladis. Mi devi almeno una risposta."

Lo sguardo della fata tradì finto stupore.

"Non so di cosa tu stia parlando." mentì.

"Trilli. Percepisco la presenza di quell'esserino fin troppo bene. E ora accontentami."

Gladis tamburellò la superficie traslucida del trono con le unghie rosate, riflettendo sul da farsi.

"Poni la tua domanda." sospirò infine.

Pan sorrise soddisfatto, gongolando sul posto.

Alzò la mano davanti al viso della fata, mettendo bene in mostra il cuore scuro come la pece.

"La ragazza dal cuore puro
Il marchio del suo possessore oscuro
La pesante spada purificata
Dal sangue della ragazza marchiata
Il petto trafitto come disse la fata
Dalla lucente lama dell'arma dorata."
Recitò Pan in un'inquietante cantilena dal ritmo incalzante.

"Probabilmente sono io a non ricordare bene l'indovinello ma mi pareva suonasse proprio così."Continuò, passandosi il cuore da una mano all'altra.

La fata annuì velatamente, con lo sguardo rapito da quel cuore tenebroso.

"E quindi, Gladis, se tutto è andato come doveva andare, per quale motivo il mio cuore è ancora così nero? Per quale motivo non brilla di luce?"

La voce di Pan si era trasformata in un ringhio rabbioso.

Gladis si sistemò sul trono, accavallando dolcemente le lunghe gambe affusolate dalla pelle dorata.

"Placa il tuo animo, ragazzo. Le cose non vanno sempre come vorremmo che andassero. E tu sembri dimenticare un particolare decisamente significativo.
Il tuo cuore tenebroso purificherà
Solo la ragazza che col cuore uccidere ti vorrà."
Sussurrò, accennando un sorriso divertito.

Pan strinse i denti e con una spinta incastrò nuovamente il cuore nel petto, cercando di mantenere la calma.

"Cosa significa?" Gridò, avanzando verso la fata, che stava lentamente svanendo davanti a lui.

Il palazzo sparì, e Pan riaprì gli occhi, ritrovandosi in ginocchio sulla spiaggia.

Lanciò un urlo di frustrazione, affondando le unghie nella sabbia intrisa di acqua, per poi alzarsi in piedi.

La ragazza che l'avrebbe voluto uccidere con il cuore.
Wendy forse non lo voleva uccidere con tutta sé stessa?

Com'era possibile?

Lei lo odiava. Lui le aveva tolto ogni cosa, l'aveva rapita alla sua famiglia, portata via dal mondo che conosceva.

Wendy avrebbe voluto ucciderlo con tutta sé stessa, giusto?

Non era possibile che ci fosse qualcos'altro oltre all'odio tra loro.

Le immagini del bacio si susseguirono rapidamente davanti ai suoi occhi e non poté trattenersi dallo schiaffeggiarsi con le sue stesse mani.

Si librò in volo sull'isola, cercando di sfogare la sua frustrazione nell'aria.

Quando rientrò nell'accampamento la ragazza dormiva.

Si sedette sul letto accanto a lei, stringendosi la testa tra le mani e sospirando.

Un cigolio lo portò a sollevare il capo, sostenendosi coi pollici sulle tempie.

Wendy sbadigliò e sbattè le ciglia, incrociando poi lo sguardo di lui.

Aveva una domanda da porgli e sapeva esattamente che cosa chiedergli.

Il sogno le aveva rivelato la domanda perfetta da fare.

Con poche semplici parole avrebbe finalmente imbrogliato Peter Pan e sarebbe tornata a casa. Si sarebbe liberata di lui e l'avrebbe fatta vedere a Felix, smentendo il suo "Peter Pan non fallisce mai".

Peter Pan aveva fallito, eccome.
Regalandole quella risposta, Pan le avrebbe regalato anche la libertà.

Wendy sorrise. La sua casa la stava aspettando. A breve avrebbe riabbracciato sua madre, suo padre, i suoi fratelli, persino il loro cane Nana.

"Ho pensato alla domanda da farti e credo di aver capito cosa voglio chiederti." parlò, guadagnandosi la sua attenzione.

Pan alzò lo sguardo, ritrovandosi a pochi centimetri dal naso della ragazza.
Sussultò e scese dal letto con un salto, infilando le mani in tasca.

"Sono tutto orecchi." sentenziò, incitandola con un gesto del capo a continuare.

"Questa è la mia domanda."
Wendy prese una boccata d'aria, ripetendosi la frase in testa per un'ultima volta.

"E mi aspetto una risposta sincera. Come faccio a tornare a casa mia?"

Pan inarcò un sopracciglio, mentre la ragazza non riusciva a trattenere un sorriso soddisfatto.

Avanzò di un passo, mantenendo le mani strette nelle tasche e abbassò il capo.

"Quindi, mi hai appena chiesto come tornare a casa."
Mormorò, soppesando le parole di lei.

"Io ho promesso di essere sincero e non tradirei mai la parola data, questo lo sai."
Mosse un altro passo, sfilando la mano destra dai pantaloni.

"Mentre io mi aspettavo un'innocua domanda sul perché ti trovi qui o una delucidazione su qualche mio comportamento che ti ha, diciamo così, infastidita" fece una piccola pausa, allacciando lo sguardo a quello di lei "Tu hai studiato la domanda perfetta per ingannarmi e andartene da qui, giusto?"

Wendy deglutì sonoramente, trattenendo i suoi piedi dall'indietreggiare.

"Mi hai assicurato una risposta sincera." si lamentó la ragazzina.

"E avrai una risposta sincera, non preoccuparti. Ma, vedi mia cara Darling, ho come l'impressione che ti sia sfuggito qualcosa."
Le sorrise, con uno di quei suoi sorrisi malvagi, malati, accecati dall'odio e da un sadico divertimento.

"Tu hai tentato di imbrogliarmi. Hai trovato, se così si può dire, la falla nella mia promessa e ti ci sei aggrapata con entrambe le mani, sperando di vincere quella che tu credi sia una guerra contro di te.
Ma il piccolo e sfuggente particolare a cui non hai prestato attenzione è che gli imbroglioni non vincono mai, mia cara. Tienilo a mente, segnatelo da qualche parte, imbrogliare non serve a nulla."

Wendy sentiva gli occhi bruciare, mentre si sforzava per trattenere le lacrime dalla loro caduta.

Un briciolo di speranza le era ancora rimasto.

Pan non aveva ancora risposto.

Ma era una speranza morbosa e disperata, che non l'avrebbe portata molto lontano.

"E, piccola Wendy, questa volta imbrogliare non solo non ti ha fatta vincere, ma ti ha addirittura fatta perdere.
Perdere la possibilità di farmi una domanda che forse ti avrebbe aiutata di più a capirci qualcosa di tutto questo.
In ogni caso risponderò alla tua domanda, non verrei mai meno a un patto" ridacchiò.

"Mi hai chiesto come tornare a casa, a Londra. Ecco, l'unico modo che hai per tornare a casa è convincermi a lasciarti andare. Ma non credo sarà molto facile."

Il ragazzo allungò la mano destra verso il viso di Wendy, raccogliendo una lacrima col pollice sulla sua pelle vellutata.

Indugiò un paio di secondi sul viso di lei, per poi allontanarsi rapidamente, svanendo nel nulla con una risata sadicamente e profondamente divertita.

Rimasta sola, Wendy si lasciò cadere a terra, sbattendo le ginocchia ossute sul duro pavimento di terra battuta.

Sapeva di essere stata una stupida. Un'irresponsabile, accecata da una vana speranza e portata ai limiti dalla disperazione.

Come aveva potuto anche solo pensare per un attimo di poter imbrogliare Peter Pan? Di poter prevedere le sue mosse, di poter rigirare la domanda a suo favore?

Pan le aveva chiaramente dato un dito e lei aveva tentato di prendersi non solo tutto il braccio, ma l'intera Isola.

Com'era quel detto che le ripeteva spesso la nonna?
Chi troppo vuole nulla stringe.

Ed era andata esattamente così.
L'unico risultato che aveva ottenuto era stato sprecare una possibilità, una chance di sentirsi un po' meno fuori luogo, di capire qualche cosa in più su quel misterioso ragazzo.

Sfogò in un pianto liberatorio la sua frustrazione repressa, prima di asciugarsi con rabbia le guance umide, facendole arrossare.

Si alzò e uscì dalla tenda, con passi veloci e pesanti, in forte contrasto col suo aspetto docile e impaurito.

Pan si prendeva gioco di lei?
Sfruttava la sua presenza, che sembrava tanto fondamentale per lui, senza nemmeno trattarla con un minimo di gentilezza?

Era affamata e nervosa.
Il mondo sembrava pesarle sulle spalle come mai aveva fatto.

I colori accesi dell'Isola la nauseavano, così come l'odore acre che pervadeva l'aria.

Provava un incontrollabile odio per quei ragazzi ammantati di nero, sporchi e rozzi, che seguivano fedelmente ogni ordine di un ragazzino viziato, senza mai mettere in discussione una sua singola parola, senza mai nemmeno tentare di opporsi a quella tirannia ingiustificata.

Peter Pan era davvero così invincibile?
Iniziava a credere che lo fosse davvero. Ogni suo tentativo di contrastarlo sembrava controproducente, ogni minimo accenno ad un'azione contro di lui o anche solo ogni incertezza nel mettere in pratica i suoi ordini la portava inesorabilmente a soffrire.

Fisicamente, psicologicamente, ormai non faceva nemmeno la differenza.

Ma l'odio che provava nei suoi confronti non era mai stato così forte.

Pan continuava a sfidarla? A metterla alla prova?

Allora avrebbe tirato fuori le unghie e gliel'avrebbe fatta pagare.

Avrebbe sofferto. Si sarebbe fatta del male. Ne era già al corrente.

Ma la prospettiva di poter fare del male a lui sarebbe stata una ricca consolazione.

Spazio autrice.
Buondì!
Sono qui di nuovo, dopo appena poco tempo.
Vi ripeto come ogni volta quanto ami le cose che mi scrivete, siete di una dolcezza assurda ed è tutto merito vostro se sono ancora qui a scrivere (invece di studiare...).

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che mi facciate sapere che ne pensate.
A 45 voti pubblicherò la prossima parte.
Bacini, Oncers♡

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