XI. Searching for Pan

Wendy aveva passato le giornate a fantasticare sul suo ritorno a casa.
Aveva immaginato il sorriso sulle labbra di suo padre, le lacrime sulle guance di sua madre, gli abbracci dei suoi fratelli.
Si era ripetuta in testa cosa dire, cosa fare, aveva persino cercato di inventare le risposte e le domande che le avrebbero posto i suoi genitori.

Aveva sognato il suo letto, le sue coperte calde, il bacio della buonanotte, le sue bambole chiuse nello scatolone dei giocattoli, perché era troppo grande per usarle. I libri riposti ordinatamente sulle mensole e spolverati regolarmente dalla domestica.
La finestra, che d'ora in poi sarebbe rimasta chiusa e sigillata ogni sera.
Forse anche la paura di addormentarsi da sola.
Malgrado Pan fosse morto, la paura non accennava ad andarsene.

I suoi vestiti profumati e leggeri.
Tutte le minime sciocchezze che componevano le sue giornate e che tanto la annoiavano, ma che ora le sembravano incredibili e irraggiungibili.
Non riusciva nemmeno a quantificare il lasso di tempo in cui era rimasta sull'isola.
Killian le aveva detto molte cose sull'Isola Che Non C'è. Non esistevano un sole o una luna, non esisteva la notte e nemmeno il giorno, non esisteva il tempo.
Si dormiva quando si era stanchi, o quando Pan decideva di far calare le tenebre, finché era in vita.

Killian le aveva promesso di riportarla a casa, ma quando?
Inizialmente Wendy credeva che fosse convinto che Pan fosse vivo.
Ma ormai, contando le volte che avevano dormito e quelle che erano rimasti svegli, doveva essere passata una settimana londinese.
E il Capitano non accennava ad un imminente ritorno.

Sulla nave si sentiva al sicuro, ma inutile.
Mentre gli altri pirati percorrevano l'Isola in lungo e in largo alla ricerca di Pan, del suo accampamento o per lo meno del suo corpo, lei se ne stava rinchiusa nelle stanze del Capitano.
Ormai aveva già letto ogni libro presente, guardato in ogni cassetto, imparato ad annodare le corde in un'infinità di modi e iniziava ad annoiarsi.

La morte di Pan le pesava sul petto, a tratti quasi togliendole il respiro.
Faticava a mangiare, a dormire, ad essere rilassata.
Il solito orrendo sogno le marchiava le palpebre, non appena riusciva a prendere sonno.
Aveva imparato a non sottovalutare i sogni sull'Isola Che Non C'è. Erano sempre così surreali e allo stesso tempo così veritieri, potenti, magici.

Avrebbe voluto liberarsi di quel ricordo. Sapeva nel suo cuore che, anche una volta tornata a Londra, il senso di colpa per la morte del ragazzo l'avrebbe continuata a tormentare.

Si passò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e alzò il capo verso la scrivania a pochi metri da lei.
Il Capitano era seduto sulla sedia imbottita, curvato sulla superficie lignea del tavolo, ricoperta da mappe, carte e altre cianfrusaglie e muoveva rapidamente una penna, stretta tra due dita e bagnata di inchiostro, sulla carta consunta.

"Killian" parlò la ragazza, avvicinandosi al moro, chino sulla scrivania.
Lui alzò lo sguardo, sorridendole.
"Forse io potrei aiutare gli altri. Ho passato molto tempo all'accampamento, forse potrei riuscire a ritrovarlo. E poi potremmo tornare a casa"
"Wendy, te l'ho già detto. Non voglio metterti in pericolo. Se Pan ti trovasse non torneresti più a casa." dichiarò, abbassando il volto sulle mappe incomplete dell'isola.

"Ma Pan è morto. Io l'ho ucciso. Perché non possiamo tornare? Mi annoio. Voglio rivedere la mia famiglia" si lamentó, guadagnandosi solamente un breve sguardo dal Capitano.
"Ti ho detto che ti porterò a casa." disse, lasciando trasparire un velo di fastidio.

La ragazzina tornò a sedersi sul letto sbuffando e afferrò alcune cordicelle colorate iniziando a intrecciarle.
Sussultò quando Killian tirò un pugno al tavolo, facendo cadere una candela e un paio di fogli e si alzò in piedi spingendo la sedia con un calcio.
"È introvabile" sputò.

Sfilò la fiaschetta di rum dalla cintura e l'aprì con l'uncino, trangungiandone poi un paio di sorsi.
La rimise al suo posto e si lasciò cadere sulla sedia, trattenendo un urlo di frustrazione.
Wendy lo osservava confusa.

"Scusa" sussurrò l'uomo, strofinandosi il viso con le mani.
La ragazzina annuì, preferendo rimanere in silenzio.
"È frustrante" continuò il Capitano, cercando di sbollire la rabbia.
"I miei uomini sono stanchi, Pan potrebbe essere ovunque e il suo accampamento è sparito nel nulla."

Wendy si morse l'interno della guancia, per trattenere i pensieri nella sua mente.
Non capiva perché Uncino non riuscisse a capire che lei l'aveva ucciso.
A capirlo o ad accettarlo. Forse avrebbe voluto ucciderlo lui, con le sue mani.
Era evidente che tra lui e il ragazzo immortale non scorresse esattamente buon sangue.
"Forse dovreste interrompere le ricerche per qualche ora" sussurrò Wendy.
Sapeva che smettere di cercare significava ritardare il suo ritorno a Londra.
Ma, forse, una piccola pausa avrebbe fatto capire al Capitano che, con Pan vivo o morto, sarebbero potuti tornare a casa.

Lo sguardo di Uncino si illuminò.
"Ci vuole una festa" sorrise.
Si alzò in piedi e uscì dalla cabina, avvicinandosi a Spugna.
"Issa le bandiere, fai tornare gli uomini, stasera daremo una festa" dichiarò.
"Una festa? Ma, Capitano, e Pan?" domandò il pirata, confuso.
"Spugna, chi è il Capitano qui?" sbraitò Uncino, senza aspettare una risposta, "Ho deciso che stasera ci sarà una festa, quindi la festa si farà. Chiaro?"
Spugna annuì rapidamente, "Ricevuto, Capitano. Io adoro le feste" balbettò, dirigendosi verso le vele.

Wendy accarezzò la stoffa del vestito, appoggiato sulla morbida coperta.
Ancora le sembrava strano che il Capitano avesse organizzato una festa.
E le sembrava ancora più strano dover indossare quello splendido vestito, ed essere attorniata dai soliti pirati, sporchi e coperti di stracci.
In ogni caso, l'idea di indossare quell'abito la faceva sentire più a casa, più normale.
Quando sarebbe uscita dalla cabina, sicuramente la nostalgia sarebbe tornata ad occupare il solito posto opprimente nel petto ma, finché era lì, con la stoffa delicata tra le dita si sentiva felice.

Aveva dovuto accorciare gonna e maniche e probabilmente avrebbe stretto così tanto il corpetto da far ricadere i laccetti fino a terra.
Lo indossò con qualche difficoltà, ammirando le lettere ricamate sulla scollatura, che riempiva a malapena. Milah.
Nell'armadio di Hook c'erano almeno altri dieci abiti con lo stesso ricamo, nello stesso punto, ma lui non sembrava intenzionato a parlarne e lei aveva imparato a soffocare la curiosità.

Si distese sul morbido letto, emettendo un sospiro.
Dalle finestrelle della cabina entrava un raggio di luce colorata, ugualmente proveniente dalla superficie liscia dell'acqua e dal cielo splendente.
Non aveva dormito la notte scorsa e nemmeno quella precedente, e ora la stanchezza si stava lentamente impossessando di lei.
In fondo un piccolo sonnellino non le avrebbe fatto male, giusto?
I pirati dovevano ancora tornare dalla spiaggia, quindi avrebbe avuto tutto il tempo di riposare.
Sbadigliò e si strinse al cuscino, chiudendo le palpebre.

Pan era ancora lì, vicino a lei, come ogni notte, come in ogni sogno.
In piedi, con il solito sorriso a fasciargli lo sguardo come una maschera.
In pochi secondi stringeva già il pugnale tra le dita.
Ormai Wendy sapeva fin troppo bene cosa sarebbe successo a breve. Aveva imparato a memoria ogni movimento, ogni sguardo.

Aveva studiato così bene il volto di Pan, il sorriso che lasciava posto alla disperazione non appena il sangue iniziava a sgocciolargli dal petto.
Il pugnale sparì e le dita del ragazzo strinsero la spada dorata al suo posto.
Wendy si alzò. Più velocemente, quasi di corsa, si avvicinò a Pan.
Non perse tempo a guardarlo, a perdersi nei suoi occhi, nei suoi lineamenti, a restare incantata dal liquido nero che gocciolava.

Allungò due dita verso la ferita appena allargatasi sul petto di lui e vi premette due dita. Pollice e indice su quel sangue nero e appiccicoso.
Gli occhi in quelli del ragazzo che cadde verso di lei, tra le sue braccia.

Wendy spalancò gli occhi.
Cosa significava questo nuovo sogno?
Si alzò dal letto e trattenne a stento un urlo.
Pollice e indice. Le due dita pressate sulla ferita di Pan. Erano sporche, nere, macchiate di quell'inchiostro, di quel sangue.

Cosa stava succedendo? Era un sogno quello. Solo uno stupido sogno.
Non era successo davvero.
Non poteva essersi macchiata le dita.

Si avvicinò allo specchio appeso al muro e si osservò al suo interno, boccheggiando.
Doveva calmarsi, rilassarsi.
Era uno scherzo della sua immaginazione, doveva esserlo.
Era troppo stanca e aveva bisogno di tornare a Londra. Tutto qui.
Si stava immaginando tutto. Non c'erano altre spiegazioni.

In ogni caso il sangue nero non spariva dalla sua pelle pallida.
Non servì a niente correre in bagno, strofinare le dita con acqua e sapone, fino a farsi male.
Era macchiata di quel sangue come fosse un tatuaggio.

Raccolse alcune ciocche di capelli in una treccina sulla nuca, lasciando ricadere le ciocche più lunghe sulla schiena.
Prese un respiro profondo e uscì dalla cabina.

Il Capitano era in piedi a pochi metri da lei, appoggiato al parapetto, con lo sguardo perso all'orizzonte.
Wendy si avvicinò, affiancandolo.
"Forse la festa è stata un'idea stupida" parlò l'uomo, senza spostare lo sguardo dall'acqua limpida.
"Non abbiamo mai festeggiato nulla da quando siamo su quest'Isola e non c'è nemmeno molto da festeggiare."

Wendy lo guardò.
Non sapeva cosa dire, come rispondere. Nemmeno lei trovava un significato in quella festa, in quella celebrazione.
E non capiva nemmeno come si potesse festeggiare su una nave, con dei pirati.

A Londra le feste erano per i grandi e lei non vi aveva mai preso parte. Ma se non fosse capitata sull'Isola, probabilmente a breve avrebbe iniziato a frequentarle anche lei.
Si mangiava, si beveva, si ballava.
In coppia.

E qui di coppie ve n'erano ben poche.

"Grazie per il vestito" mormorò, solamente per interrompere quel silenzio opprimente.
Uncino accennò un sorriso.
"Tienilo pure, ti sta molto bene."

"Invece di pensare a stupide feste dovrei intensificare le ricerche. Trovare quello stupido ragazzo" sbottò l'uomo, sbattendo l'uncino sulla superficie in legno della nave.

Wendy si allontanò da lui.
Salì i pochi gradini che portavano al timone e osservò i pirati intenti a ridere tra loro, bere, intrecciare corde.
Si sedette a terra.

Niente festa.
E niente ritorno a casa, per ora.
Era grata ad Uncino per averle dato un posto in cui stare, ma era immensamente stufa di starsene lì con le mani in mano.

Osservò l'acqua perfettamente immobile, la spiaggia di sabbia verde, limitata da alberi di ogni tipo e forma.
Ormai si stava abituando alla stranezza di questo posto.
Forse avrebbe perfino iniziato a trovare Londra noiosa al suo ritorno.

Una mano si posò sulla sua spalla facendola sussultare.
Due dita fredde scivolarono sulla sua pelle, togliendole il fiato.
La figura dietro di lei sembrava soffocarla, aspirare la sua aria, la sua linfa vitale.

Riusciva a percepire ogni suo movimento.
Si stava inginocchiando alle sue spalle, posando entrambe le mani su di lei, delicatamente avvolte attorno al suo collo.

Ora sentiva i suoi capelli stuzzicarle la schiena lasciata nuda dal corpetto, la fronte premerle sulla pelle.
Una mano scivolò sulle sue labbra a tapparle la bocca, mentre l'altra accarezzava il simbolo ormai spento sulla sua clavicola. Il segno della sua appartenenza. Una scintilla le mandó un brivido.

"Ti sono mancato, piccola Darling?" ridacchiò, soffiandole sull'orecchio.

Spazio autrice.
Hola!
Come va?
Ammetto di non essere immensamente soddisfatta del capitolo, ma è passato già parecchio tempo e non so come sistemarlo quindi l'ho pubblicato ugualmente.
Cercate di portare pazienza se vi fa schifo lol, proverò a rifarmi coi prossimi.
Comunque ciò che è importante è che qualcuno è tornato..chissà chi sarà!
Beh a parte gli scherzi suppongo che si sia capito bene chi è il misterioso personaggio di fine capitolo..

Grazie per le stelline e i commenti, continuate così, vi amo tantissimo!!
A presto,
Bacini♡

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