Yoongi

𝐀𝐃𝐄𝐒𝐒𝐎

La sigaretta brucia sul pavimento candido della casa che ha comprato circa cinque anni fa, un buco buio come fosse una caverna che ha illuminato buttando giù una parete e sollevandone un'altra senza chiamare una ditta specializzata, solo un suo fidato amico. Uno di quelli rimasti.

É tenuta sospesa dal fatto che é leggermente curva, forse la parte del filtro si é piegato sotto la pressione delle sue dita e ora brucia, lenta.
La cenere riesce a cadere, seppur si tratti di una distanza minima.
Le sue pallebre sbattono una, due, tre volte. Poi tornano a voltarsi verso il soffitto e il suo petto si gonfia.

Si sgonfia.

Si sente terribilmente vuoto di tutte quelle cose che gli mancano ma che non hanno forma.
A scuola, anni fa, aveva studiato che secondo alcuni filosofi loro erano essere imperfetti, finiti, che gli mancava sempre qualcosa per essere completi.
Non credeva in una divinità, ma questi dicevano che Dio, ad esempio, era il cento per cento del bene, della verità, dell'essere stesso. Loro no.
Dentro i loro corpi c'era una percentuale più bassa del bene, della verità, dell'essere.

E l'essenza che gli manca, ora, la sente tutta benissimo.

Buzz.

Il cellulare é lontano dai suoi occhi ma potrebbe afferrarlo. Con la nuca schiacciata al pavimento il modo sembra più grande e le distanze sembrano dilatarsi, contorcersi e separarsi per lasciar spazio ad un universo che non era il suo.
Apparteneva alla sua testa, probabilmente.

Si mette seduto e i suoi muscoli addominali ne risentono, ma poco gli interessa, non si vedono, quindi in realtà non ce li ha neanche.
Ignora la sigaretta e prende il dispositivo, lasciando che la luminosità lo accechi, quasi.

Lunedí. 6 Luglio.
6.52 pm.

É lunedì.
Sul suo display l'immagine si distorce e la chiamata dell'ultima persona che voleva sentire ora appare.
Butta indietro la testa e grunnisce, ma alla fine risponde come nulla fosse.

"Sí...?"

"Ho sentito la tua canzone in radio. Veramente... bella."
No. Non era bella quella che mandavano in giro. Era bella quella canzone lasciata incompleta sul suo computer, la sua bozza preferita uccisa ancor prima di nascere. Ma a quanto pare il suo manager aveva ragione, perché era quello che piaceva alla gente e, della sua opinione, reltivamente uno poteva importarsene.

"Grazie. Sono contento ti piaccia."
La sua voce é graffiante, forse è la sigaretta che amara brucia ancora sul fondo della sua gola. Nasconde le iridi dietro le palpebre e si preme le dita sulle meningi, sperando tutto finisca il prima possibili. Altri complimenti piovono dal telefono ma scivolano come su un impermeabile. Se neanche la fama lo rendeva felice in quel momento, come aveva fatto nel primo album, era spacciato. Nessun ritorno di album nessun tour e lui avrebbe buttato il sudore di uns vita giù, proprio nel cassonetto dietro l'angolo dove il lunedì buttava la busta di indifferenziato.
Cioè faceva. Ora puzzava da un po' di settimane in cucina.

"Sí, grazie." Mormora ancora, decidendo di alzarsi. Non ascolta più la giovane al cellulare e si preoccupa di buttare via la cicca di sigaretta, mettersi una maglia più leggera e delle scarpe, seppur il suo outfit non sia il massimo.Fuori tira vento così forte che quasi quasi gli fa passare la voglia di uscire, quell'albero che si piega sotto il burrascoso clima cupo di una Seoul sembrava lui in quel momento, schiacciato da..."

"Un milione di fan! Almeno quelle erano le visualizzazioni nel tuo ultimo-"

"Sì lo so," taglia corto, mettendosi il giubbotto di pelle addosso alle spalle, poi il berretto. Il telefono adesso ha il vivavoce così che può sistemarsi le ciocche scure sotto il cappello con la visiera che gli copre interamente la fronte. Così il suo viso è a malapena riconoscibile ed è meglio così. Ignora la voce della sua manager che gli intima di mettersi anche la mascherina perché il mitico Suga sa essere riconosciuto anche dall'unghia del piede ormai. "Potremmo sentirci dopo? Sono un po' impegnato."

La voce si interrompe di colpo, e si sente un imbarazzante silenzio spezzato dal tintinnio delle chiavi del portone della modesta, o forse non proprio, di Min Suga.

"Sì. Certo coppa ti richiamo-"

"Grazie per avermi chiamato. Scusa. Ci sentiamo."

Insieme alla chiamata si chiude anche la porta di casa e finalmente esce a prendere una decente boccata d'aria che non sia consumata, conosciuta, già respirata, opprimente.

(Torna in casa solo cinque minuti dopo per la mascherina.)

─────•~❉᯽❉~•─────

Il suo psicologo dice che ha bisogno di conoscere nuova gente ma sono un paio di mesi che si è accorto che quella che ha intorno è così falsa e consumata da avergli lasciato una forte perplessità che ci sia ancora speranza nel genere umano.

Ma non si può dare di un filo d'erba un fascio, soprattutto lui che ha tantissime fan e si accorge anche dalle superficialità online di quanto il mondo possa essere vario.

Forse è lui il problema. Forse è lui l'unica persona cattiva che influenza come un virus nero le altre.

Forse non ha più quella capacità di relazionarsi con qualcuno e trovare il buono della gente per far sì che lo rendano felice. Sembra meschino usufruire in questo modo schematico degli altri, ma non gli è rimasto molto, dopotutto. Ha cominciato a perdere una fiducia per le persone, e, probabilmente, cerca di mantenerne i residui preferendo approcciarsi a loro e mettendoli in schematiche tabelle.

Questo, fin quando i suoi occhi non incontrano il viso ancora morbido e asciutto di un certo Park Jimin, proprio di fronte a lui, su quel marciapiede in cui adesso è inchiodato come se avesse i piedi di piombo. Lo riconosce nonostante il cappello e la chioma chiara di cui si scorge solo in parte, lo riconosce dalle labbra e i lineamenti che riesce a vedere oltre gli occhiali da sole posati sul viso. In realtà, ora che ci pensa, l'ha riconosciuto con poco e si chiede come sia stato possibile.

Che si siano affiancati più volte in quegli anni senza mai raggiungersi? Riconoscersi? Possibile che si fossero ceduti un posto in metropolitana? Che si siano scontrati spalla-contro-spalla giorni fa, o anni fa? Perché era riuscito a riconoscere Park Jimin proprio ora? E perché lui lo sta guardando, proprio ora?

Sono a qualche metro di distanza ma i loro sguardi sono perfettamente allacciati a metà strada, due vite incrociate di nuovo che sembravano familiari a toccarsi di nuovo. Dio, Yoongi è a poco dal tornare a chiedergli come fosse andata la sua giornata, anche se c'è un vuoto di dieci lunghi anni fra loro.
Nonostante, però, il fato non sia dalla loro parte.

"Ma quello è Park Jimin!" Strilla una voce, dall'altra parte della corsia trafficata. Yoongi non capisce bene perché qualcuno conoscesse il suo amico, ma a quanto pare era famoso, perché di colpo gli sguardi sono tutti sul biondo.
Era un artista anche lui?

Mentre le labbra del biondo si separano per lo stupore, un profondo abisso sembra dividerli.
Il suo dito si alza, indicando proprio la star quasi internazionale Min Suga.

"Quello è Suga!" Urla a sua volta.
E Yoongi non ha il tempo di registrare che la voce è la stessa, che ora le attenzioni su di lui, che Jimin sta correndo via. Solo quando dei piccoli fan si raggruppano intorno a lui, i cellulari in mano, capisce che deve scappare.
Cazzo.

Spintona un ragazzino imbambolato a guardarlo e cammina così veloce che a stento corre, come non faceva da mesi. Sollevare la mascherina non serve a nulla, stringe il suo affanno e i suoi polmoni bruciano solo dopo un quartiere. Non è una scelta saggia perché ora tutti lo guardano, ma quelle dannate ragazzine lo stanno seguendo e lui ha paura anche solo di avvicinarsi ad un metro con loro.

Sente la fronte imperlata di sudore e sfila il telefono per digitare il numero della manager, ma per farlo le dita tremano per l'ansia e ci mette più del solito, per questo si scontra con qualcuno. Barcolla e a deve scostarsi ancora, non appena sente anche se di sfuggita la parola 'autografo'.

Blocca il cellulare e sente il cuore battere all'impazzata, perché nessuna strana guardia era pronto a proteggerlo dalle stupide ragazzine ossessionate. Urla appena sente qualcuno toccargli il braccio, ma non è nessuno con in mano telecamere e i capelli lunghi.
È Park Jimin.

"Qua, hyung, ci sono io." Sembra quello essere il problema ma Yoongi non lo dice. Registra le mani del giovane sulle spalle e poi una portiera sbattuta dietro di lui. Qualche parola ad un autista che non vede e... no, non riesce a pensare neanche ad una specie di rapimento.

"Hyung! Oddio mi spiace così tanto!"
Yoongi non risponde, il fiato sembra mancargli troppo presto ad ogni respiro che fa, e il biondino sembra notarlo. "Hyung, sei tutto rosso... oddio, forse dovremmo andare in ospedale-"

"Sto bene," annaspa il cantante, le dita affusolate strette sul proprio petto con forza, negando effettivamente ciò che aveva appena finito di dire.

"N-Non ricordo come si fa l'RCP" farfuglia, e se non fosse nel panico, Yoongi riderebbe. Ma non può, quindi cerca di spallarsi in quella macchina abbastanza lussuosa e prendere nei suoi polmoni tutta l'aria che riesce a respirare. Rimangono in silenzio per un po', uno ad aspettare di tornare alla normalità, uno a sperare di non diventare un assassino.

"Sono... sono le fan" spiega, quando ormai ha di nuovo tutto sotto controllo. I suoi occhi si riaprono, incontrando quelli allarmati e seriamente dispiaciuti di un amico che non vedeva da tanto, tanto tempo. "Mi fanno paura quando sono per strada da solo."

"Cazzo. Scusa hyung, non sapevo... avevano riconosciuto me e... non volevo salutarti così."
Effettivamente quello porta entrambi alla realtà. Nessuno dei due si aspettava di incontrare l'altro quel giorno, usciti di casa. Quindi, dopo quella stramba avventura che aveva distorto la percezione della realtà, entrambi si studiano con attenzione.
Min Yoongi e Park Jimin, a dieci anni di distanza.

"Sei un cantante anche tu o cosa?" Domanda allora, spiaccicato contro il sedile. La figura de giovane si riscuote, e ride mentre si copre il viso con una mano. Cerano troppi anelli fra le dita.

"No no, il cantante rapper sei solo tu."

"Sei un modello?" Ipotizza allora, l'altro. "Una porno star?"

"Che schifo, no!" La mano del ragazzo colpisce la sua coscia, prima di sospirare teatrale. "Non tutte le tue fantasie erotiche diventano realtà."

"Non esserne così sicuro..." Pesca. Ma non può più chiamarlo così. Adesso le sue ciocche sono ricce e bionde.

"Mh?"

"Non mi hai detto che fai però."

"Al momento ti sto portando fuori città."
Il corpo di Yoongi si tende, a malapena, cercando di non farsi prendere ancora dal panico.
"Lontano dalle fan. Ti porto giù al fiume, così prendi una boccata d'aria. Sei rimasto pallido."
E Yoongi arrossisce immediatamente, perché Pesca era rimasto il solito e buono ragazzino di sempre.

"Dovrei chiamarti Peach."

Jimin distoglie lo sguardo dalla strada e corruga la fronte.
"Perché? Ho i capelli biondi adesso."

"Infatti." Un ghigno si dipinge sulle labbra sottili de famoso rapper.
"Assomigli tanto alla principessa Peach."

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