Hoseok

𝐀𝐃𝐄𝐒𝐒𝐎

Il turno straziante è appena finito quando il ragazzo dai capelli scuri e con il camice da dottore fieramente abbottonato fin sopra il petto getta il suo bicchierino di caffè dentro la spazzatura, l'esatto momento in cui tocca il fondo il suo orologio emette un paio di bip.

Dalla porta opposta del corridoio una signora sulla cinquantina esce, a capo chino. Alza il viso solo quando raggiunge le macchiette e rivolge un sorriso al nuovo medico che l'aveva aiutata giusto il giorno prima, per quanto ricordava, e Hoseok ricambia il sorriso nonostante fosse stravolto.

Si sentiva le palpebre pesare e schiacciare lo stesso peso sulle spalle curvate. La sua carriera da sogno era decollata e ora lui scendeva in picchiata, lasciando allo sbaraglio lo stesso aereo che aveva deciso di pilotare sin da quando era stato ripescato nei test di medicina anni prima. A tre anni dalla sua laurea, non aveva fatto altro che vincere concorsi e diventare un neo-medico di valore. Sua madre orgogliosa e il suo papà fermo dell'idea che se avesse imparato una lingua diversa avrebbe conquistato il mondo, quando aveva cominciato a capire che solo loro due erano le persone che realmente tifavano per lui, si era lasciato cadere in oscuro oblio di solitudine.

Eremita per sei anni di università, aveva esaurito ogni amicizia, consumata fino a spezzarsi. E se gli interventi e i sorrisi delle famiglie salvate dalle sue giovani mani non gli bastavano più, come poteva continuare a lungo? E soprattutto, come si imparava a fare amici fuori da un ospedale e il suo monolocale lì vicino?

Solleva lo sguardo solo quando una figura l'ha affiancato, fermandosi al muro accanto lui.

Come un raggio di sole, le nuvole nella mente di Hoseok si fanno da parte e stavolta la curva delle sue labbra è più sincera.

"Seokjin," sussurra come fosse un saluto. L'uomo accanto a lui non lo guarda ma ha gli occhi bassi sulle proprie scarpe, le sue grosse labbra rosee che tremano impercettibilmente. È un piccolo dettaglio che ha notato per sbaglio e vuole già dimenticarlo.

"Hobi," risponde l'altro. É cambiato da quando anni prima erano semplici ragazzini: il viso più marcato e definito, gli occhi più definiti sottili da uno stato di trucco che Hoseok non sa come faccia ad essere così preciso, le sue spalle larghe che ora mostra con più timidezza e il passo più sicuro, di un uomo ormai maturo che Hoseok, inevitabilmente, ammirava.

"Hai bisogno di un caffè?"

Seokjin lo guarda come fosse un angelo caduto dal cielo. Ha anche lui lo sguardo stanco, vorrebbe poggiarsi su un cuscino o anche una sedia ma poter dormire tutte le ore filate di cui ha bisogno senza che nessuno, o niente, lo disturbi. É così triste che Hoseok sente che persino le sue mani fanno male, un brivido che si dirama lungo tutti i suoi nervi.

"Non qui," e sembra più una preghiera, un sussurro esalato per disperazione.

"Fammi cambiare."

"Fa veloce."

Per un attimo rimangono a guardarsi, spalla contro spalla e un infermiere che accanto a loro prende un caffè indisturbato, la macchinetta che fa un rumore assurdo. Fa ridacchiare pigramente Seokjin e l'altro, silenzioso, va a cambiarsi. Velocemente.

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"Non era programmato che venissimo ad una mostra d'arte." Il tono di Seokjin è un po' più vivo e seccato e ricorda quel lato infantile di dieci anni prima che Hoseok non aveva affatto rivisto nei due mesi in cui era tornato a... incontrare Seokjin. Era la prima volta, forse, che lo portava fuori come si doveva e nessuno dei due si sentiva in colpa. Perché erano uno distante dall'altro almeno di un metro mentre in fila per i biglietti guardavano in due direzioni opposte il moderno edificio tutto bianco o specchiato ancora a piano terra.

"Lo so. Ma ti piacciono ancora le sorprese?"

Il più grande li lancia un rapido sguardo, le braccia incrociate. Vuole dire qualcosa, ma orgoglioso si limita a sbuffare.

"Un po'."

"Vedi?"

Hoseok si offre di pagare i biglietti e l'amico non replica, perché con testuali parole si difende dicendo che era una scelta sua, quindi ora pagava con il suo stipendio ben retribuito.

Passano a guardare opere d'arte che non sanno descrivere. Si chiudono in un mutismo di ammirazione, una contemplazioni degli elaborati che sembrano catturare la loro attenzione senza lasciare il minimo spiraglio per nulla.

Ma è tutta una farsa.

Si ritrovano di fronte alla stessa tela nello stesso momento, braccia incrociate e il camicia contro il petto. Ma Hoseok guarda più l'amico e appena questo gli chiede cosa sia, e non sa rispondere, si sono resi conto entrambi di aver finto un interesse che aveva dato un'aria da intellettuali ad entrambi, ma ora moriva sotto le loro risate cristalline.

"Mi dovete scusare, ma è un museo. Non potete ridere così sguaiatamente."

Seokjin si volta offeso con una mano a coprire parte delle labbra, ma si blocca nel momento incontra gli occhi del giovane dipendente con tanto di tesserino speciale dietro di lui. Forse è quella la vera sorpresa.

"Kim Namjoon," il suo tono si addolcisce. Ridacchia sommessamente e si allunga, prima di essere bloccato sul posto da un'occhiata glaciale. Hoseok sussulta a quel nome e si sporge come per controllare che l'uomo davanti a lui fosse davvero lo stesso che ricordava, quello con cui aveva condiviso i primi ricordi d'infanzia e lo stesso a cui aveva curato il ginocchio sbucciato quando si era arrabbiato per non essere riuscito a farsi un'intera discesa in bici. È lui. Ma non ne riconosce il sorriso.

"Ho detto di non fare rumore."

"Namjoon," prova il più giovane interdetto, allungando una mano che però rimane sospesa in aria quando quello fa un passo indietro. "Sono Hoseok. Lui è Jin-hyung-"

"Ci conosciamo?" Il tono duro manda un brivido lungo la schiena dei due.

"Sì..? Namjoon, siamo noi? Li stessi..." Ma come poteva spiegare tutti quei anni in poche parole? E come faceva a Namjoon a non ricordarli?

Era così imbarazzante. A dieci anni di distanza dall'ultima volta che si erano scambiati una risata Hoseok si sentiva stupido a ricordarlo così bene di fronte a chi fingeva di non averne memoria. Sembrava il solito bambino incapace di mettere da parte il passato e tutte quelle fragilità di quei mesi si stavano rompendo sotto una vecchia sensazione che da tempo non sentiva. Avverte sulla pelle solo gli occhi glaciali di Namjoon e se non ci fosse l'altro penserebbe di essersi sognato tutti i momenti più belli della sua vita.

Ma si volta prima che la paura lo invada e ignora il braccio di Seokjin che prova a prenderlo, sfuggendo a lui, al passato e a tutta quell'arte che lo soffocava.

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L'aria fresca della sera sembra rinfrescarlo e schiarire le sue idee. Indossa la camicia di prima per ripararsi le braccia, e solleva il naso al cielo scuro e nuvoloso di un'estiva Seoul. Un triste sorriso al ricordo dell'ultima volta che aveva guardato il cielo con felicità, e il ricordo che non prende forma davanti ai suoi occhi lo riporta con i piedi per terra.

SeokJin tarda a tornare ed è okay, forse sta convincendo Namjoon a smettere con quella farsa oppure entrambi stanno ridendo perché il suo comportamento è un po' patetico.

"Sigaretta?"

Si volta verso la mano di quella figura che generoso gli sta porgendo il bastoncino. Hoseok solleva gli occhi e incontra quelli di qualcuno più vecchio di lui di un bel po' di anni, si nota dalle piccole rughe sugli occhi senza che rida che lui non si immagina neanche di avere nei prossimi dieci anni.

"No."

"Okay." L'uomo accende la sigaretta, fa un lungo tiro che vuole solo far allontanare Hoseok e riprendere a deprimersi. Magari tornare a casa. Dormire prima del turno di lavoro. "Ti piace James Jean*?"

"Chi?"

"Il tipo della mostra."

"Oh. Sì. Certo. Carino." Controlla il suo cellulare. Sono le otto e sa che a breve la mostra chiuderà, come il resto delle ale del museo.

"Studi arte?"

"No, sono un medico, ho-"

"Tsk. La scienza." A quel punto il moro si volta, corrugando la fronte e sfidando con gli occhi quella figura di fronte alla quale non aveva nessuna intenzione di mostrare onorifici.

"Che intende?"

"Che la scienza è un mucchio di baggianate." La sua mano trema appena intorno alla sigaretta. "Sono grato che voi salviate la vita, ma è da stupidi attaccarsi a teorie asettiche e dedite più alla vostra persona che non alla sua psiche."

Hoseok si volta come se fosse offeso. Prende un grosso respiro e l'aria gli gela i polmoni così come intossica quelli dell'uomo.

"Lei crede l'arte sia meglio? Le porta sicurezza? Un lavoro? Soddisfazione?"

Una risata si libra nell'aria ma è gracchiante e poco piacevole. Un colpo di tosse.

"Passione, giovanotto. La tua medicina ti ha mai portato passione?"

"Non vivo solo di quello. So cercarmi la passione altrove."

"Come preferisci." Un ultimo tiro e la cicca rotola al suolo, schiacciata dalla punta di un paio di mocassini moderni e perfettamente laccati.

"Hoseok!" Ma mentre Seokjin si districa dalla folla di aspiranti artisti e qualche ricco proprietario di aziende o roba simile, legge nella sua espressione e nella familiarità del suo volto quella passione scomparsa da tempo. Si avvicina e lo guarda dal basso. Non sono mai stati così vicini da anni e Hoseok sa che deve allontanarsi.
Lo fa.
Dannazione.
Non doveva scoprire così i suoi piccoli demoni che gli attorcigliavano lo stomaco.

"È tardi. Hai bisogno di un passaggio a casa?"

Il più grande è sorpreso, le sue speranze crollano così come le sue spalle si curvano. Con un sorriso che non convincerebbe neanche l'uomo lì-

Ma l'uomo sembra sparito. Un miraggio. E Hoseok non è più sicuro di nulla.

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Un altro caffè nel cestino e un altro bip dal suo orologio. Un altro sabato sera con le ossa distrutte e i muscoli dolosamente stanchi, e Hobi non sa se può sbattere la testa al muro senza esser preso per pazzo. Le lunghe colonne del calendario del mese di luglio erano calde ed interminabile, sette giorni che ogni settimana si dilungavano, estendevano a dismisura. Non avrebbe mai capito, forse, come sopravvivere.

Tolto il camice, nella sua borsa aveva nascosto il cellulare e stava firmando l'ultimo documento prima di poter essere libero, quando una voce lo richiama.

É Seokjin che non rivedeva dall'ultima mostra di arte di una settimana prima, e che il suo cuore sembrava particolarmente felice di vedere. Nota che ha gli occhi rossi, piccoli rimasugli di lacrime che scivolano mal asciugate contro il naso ma non glielo fa notare.

"Hobi," é dolce il suono, arrendevole come non l'aveva sentita ormai da un po'. "Ti va... Ti va se stasera ti porto io in un posto?"

"Okay."

"Così possiamo rime- oh." Si blocca e arrossisce, preso alla sprovvista. Rapido, gli fa un piccolo cenno. "Vado a cambiarmi. Tra un'ora fatti trovare qui di fronte, okay?"

Il moro annuisce obbediente e lascia che l'altro lo sorprenda ancora. Gli bacia una guancia, facendola esplodere di mille colori seppur solo il rosso si può scorgere all'esterno.

"Vestiti elegante."

Non era ancora felice e non c'era il cielo a testimoniare quel progresso ma era piacevolmente sorpreso.

Piacevole. Aveva un gusto tutto nuovo.





*James Jean è un artista tailandese nato in America di cui RM ha visitato l'esposizione Eternal Journey, al Lotte Museum of Art di Seoul.

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