Prīmus
Era un'alba particolarmente tranquilla e soleggiata nella capitale.
I primi tiepidi raggi solari di una giovane primavera avevano raggiunto anche le zone più ombrose e avevano illuminato con particolare effervescenza le alte pareti delle torri color panna del castello. Le numerose e variopinte vetrate che abbellivano la struttura principale proiettavano curiosi caleidoscopi cromatici sui pavimenti in marmo, altrettanto adornati da preziosi tappeti d'importazione tessuti a mano da abili artigiani esteri.
All'esterno, le prime bancarelle alimentari avevano aperto i battenti. Il dolce profumo del pane appena sfornato si mischiava con un pungente odore di salsedine sprigionato dal pesce fresco steso sui banchi dei pescatori. Il borbottio della popolazione si faceva sempre più agitato: era questione di minuti prima che la piazza centrale su cui si affacciavano le stanze reali cominciasse a pullulare di persone, ma per il momento la situazione sembrava piuttosto tranquilla. Solo i più mattinieri cominciavano ad aggirarsi nel mercato con lo sguardo attento e la palese intenzione di contrattare non appena si fosse presentata un'occasione propizia. Quella tipica calma prima della tempesta di certo non si aspettava che un uragano imprevisto la infrangesse prematuramente. Il grande portone d'accesso alla capitale si spalancò all'improvviso, e persino i soldati di guardia sobbalzarono dallo spavento. Tuttavia, non ci misero molto a placarsi, appurando l'identità di chi era appena entrato. Una sbizzarrita chioma di corti capelli rossi danzò come una lingua di fuoco sul capo di una giovane donna intenta a correre come una folle in direzione del campo di addestramento militare. La sua armatura tintinnava sonoramente mentre avanzava lesta attraverso il mercato rischiando più volte di inciampare in qualche mattonella dissestata nel terreno. Il locandiere, appena uscito dalla propria taverna per prendere una boccata d'aria, sfoderò un sorriso divertito alla ragazza, che gli sfrecciò davanti proprio in quel momento.
"Serata movimentata, eh, Azura?", gridò.
"Sì, ma non come pensi tu Gerard!", rispose lei.
"Qualsiasi sia il motivo, il Generale non sarà contento..."
"Lo sarà ancora meno se mi tratterrai e mi farai tardare ancora di più!", tagliò corto la rossa alzando la voce e rivolgendogli un veloce occhiolino prima di ripartire a correre a pieno regime.
L'uomo dai capelli ramati scosse la testa in segno di rassegnata disapprovazione mentre sulle sue labbra ancora permeava un sorriso addolcito.
Per evitare di travolgere una signora di mezza età fin troppo intenta a esaminare le pagnotte della bancarella per accorgersi del suo pericoloso avvicinamento, la giovane l'afferrò per le spalle, le fece fare una veloce piroetta su se stessa per poi gridare uno "Scusate!" che avrebbe svegliato anche il più assonnato dei reali. Prima di potersi sincerare della reazione della donna raggiunse la porta d'ingresso del campo e con il fiatone si mise in riga assieme ai compagni soldati accennando un veloce saluto con la mano portandosela alla fronte e tenendo la schiena ben dritta.
Lo sguardo del Generale non tardò a sfrecciare iracondo in sua direzione.
"In ritardo, capitana Azura!", tuonò una voce grave e carica di fastidio e autorità. "Ti sembra l'ora di arrivare? Dove diavolo ti eri cacciata?"
"Ero a Virion Bay, signore!", rispose vigorosamente la giovane tra un respiro e l'altro.
"Ho ordinato io di andare a Virion Bay, soldato?"
Non giunse alcuna riposta.
"Rispondimi, soldato!", insistette l'austero uomo dai capelli brizzolati, avvicinandosi minacciosamente con il proprio volto a quello della rossa, che non indietreggiò di un millimetro.
"Non rispondo a quell'appellativo come voi non rispondete a quello di "signora", signore."
La risolutezza di quella frase mise visibilmente in difficoltà il suo superiore, ma non tanto da far prevalere la codardia. In fondo, aveva le sue ragioni. Impuntarsi sul torto avrebbe comportato più conseguenze negative di ammetterlo per una sola volta. Quindi, fu lui a indietreggiare con estrema dignità fino a ristabilire una consona distanza tra lui e la sua sottoposta.
"Ti ho ordinato io di andare a Virion Bay, soldatessa?", si corresse.
"No, signore."
"E allora perché ti trovavi lì?"
"Un mio compaesano ha richiesto assistenza, signore."
"Sei una soldatessa della Guardia Reale, Azura; non devo ricordarti che sei al servizio del re e della regina e che non vieni pagata per arrivare in ritardo, vero?"
"No, signore."
"Non ho tempo per aspettare i tuoi comodi, quindi vedi di rimetterti in carreggiata."
"Sì, signore."
"Dov'è la tua armatura?"
"L'ho...", si schiarì lei la voce cercando di non farsi schiacciare dall'imbarazzo. "Me ne sono dimenticata un pezzo a casa signore."
"Un soldato vale tanto quanto la sua arma e la sua armatura. Non contare su di me per le corona di fiori, e stai certa che ne avrai bisogno molto presto se continuerai così."
La ragazza afferrò al volo l'allusione.
"Non capiterà più, signore.", replicò.
"Sì...", si allontanò l'uomo, visibilmente rassegnato nonostante il suo grugno duro e imperturbabile. "L'hai detto anche il mese scorso...".
La disperazione appena accennata sul suo volto fu la conferma definitiva che quello non era altro che l'ennesimo ritardo di una lunga serie. Mentre lo guardava allontanarsi, Azura si ritagliò il tempo per riprendere fiato con più calma senza tuttavia rilassarsi troppo. Aveva le gote arrossate dall'imbarazzo e dalla corsa, ma ringraziò di averla scampata anche questa volta.
La sua figura non spiccava certo per altezza tra le altre: in realtà, a stento poteva essere intravista nella fila di alti uomini ben messi resi ancora più imponenti dall'armatura lucida (completa) che portavano. I riflessi che emanavano le placche in argento impreziosite da inserti dorati avrebbero potuto accecare qualsiasi nemico. Forse era quella la tanto discussa arma segreta del corpo della Guardia Reale di Esteria, quella che aveva garantito la vittoria innumerevoli volte ai soldati d'élite che la componevano e li avevano quasi resi delle leggende ambulanti. Azura, da parte sua, ove poteva optava sempre per una soluzione più comoda e agile, che le permettesse una maggiore mobilità ed elasticità senza compromettere la protezione. Fosse stato per lei, tutte le parti più pesanti delle armature in dotazione le avrebbe fatte sparire dalla faccia della Terra, ma tutti le avevano riso in faccia ogni singola volta che l'aveva proposto. L'unico che le dava il beneficio del dubbio e si dimostrava interessato alle sue idee e ai suoi pensieri era proprio lui, l'uomo che l'aveva strigliata qualche istante prima, il temibile generale Cyrus. Si parlava dello stesso generale che metteva in riga i soldati con un solo sguardo e aveva fenduto innumerevoli nemici di ogni genere e natura durante la sua lunga e caritatevole carriera che gli aveva concesso di raggiungere i sessantadue anni. Come se non bastasse, era anche stato il primo generale ad aver avuto sotto il proprio comando una capitana donna. Molti si aspettavano l'avrebbe trattata con estremo riguardo, accumulando eccezioni su eccezioni, imbarazzando se stesso e l'esercito intero; invece, si era dimostrato particolarmente esigente e duro proprio nei suoi confronti. Non si era fatto intenerire né dalla sua corporatura esile né tantomeno dal suo genere, e aveva altresì preteso sforzi maggiori proprio da parte sua.
Il monologo di Cyrus continuò per due minuti buoni, entrando da un orecchio di Azura e uscendo dall'altro.
Li conosceva a memoria, i suoi monologhi. Ormai nemmeno il suo vocione autoritario la scuoteva più come una volta, e dopo la ramanzina occupò il tempo a pensare agli affari suoi, anche quando le sue orecchie captarono una variazione nella voce del suo Generale.
"Oggi vi sottoporrò a un allenamento particolare. Vi addestrerete nel combattimento corpo a corpo disarmato con la seconda divisione, quella capitanata da Kelian Dextros."
Non le giunse nuovo quel nome. Ci pensò passivamente, in sottofondo, concentrandosi attivamente su altro. Doveva averlo intravisto scritto a mano tra le scartoffie del sessantenne una delle molte volte in cui era stata richiamata nel suo ufficio per una lavata di capo. Anche in quelle occasioni solitamente non si preoccupava molto delle parole che le venivano rivolte, e preferiva piuttosto far vagare discretamente lo sguardo negli anfratti della casupola allestita nel campo d'addestramento in cui viveva il Generale, spingendosi ogni volta in un angolo più oscuro.
"Azura, dal momento che sei arrivata per l'ennesima volta in ritardo sarai tu ad aprire le danze."
Solo udendo il proprio nome la rossa alzò le sopracciglia e sperò di non essersi persa qualcosa d'importante.
Maledisse la sua incurabile distrazione, e confidò nel fatto che le sarebbero state elargite maggiori istruzioni a breve senza che lei dovesse richiederle esplicitamente. Bastò attendere qualche istante perché l'uomo dai capelli brizzolati le si parasse di fronte con la sua encomiabile postura composta e autoritaria.
"Quindi? Cosa dovete acquistare prima della missione, capitana Azura?", le domandò risoluto.
Lei esitò qualche fugace attimo.
"Una mappa, signore.", affermò con coraggio nero.
"Non hai ascoltato mezza parola di quello che ho detto, vero?!"
"No signore. Mi perdoni signore."
"Non ci faccio nulla con le tue scuse!", tuonò l'uomo. "E visto che ci tieni così tanto a combattere con solo metà dell'armatura, oggi al posto dei quaranta giri di corsa attorno al campo affronterai il capitano Kelian senza gli spallacci."
Azura si morse la lingua mentre contemplava la mano aperta del Generale stendersi davanti a lei in attesa di ciò che aveva chiesto. Condannò duramente la sua distrazione, e slacciandosi l'unico spallaccio che indossava lo porse all'uomo di mezza età.
Il campo di allenamento non era esageratamente grande, ma nemmeno troppo angusto. Era stato appositamente studiato per far sperimentare alle reclute situazioni di battaglia che permettevano sia attacchi a distanza che ravvicinati, e in maniera particolare era utile a fare esperienza di situazioni con le spalle al muro. Le dimensioni del campo recintato adempivano esattamente a tale funzione.
Azura fu la prima a fare il suo ingresso, e non badò molto ai soldati suoi colleghi e sottoposti accalcarsi borbottanti attorno alla recinzione. Con molta indifferenza, la giovane capitana si preoccupò di stringere tutte le cinghie delle protezioni che percepiva leggermente allentate e che le avrebbero permesso di accusare meglio i colpi in caso di percosse. Nemmeno si accorse dell'arrivo del suo avversario.
"Molto bene, truppe. Quest'oggi potrete assistere a una dimostrazione pratica dell'utilità della lotta corpo a corpo senza armi.", cominciò il suo discorso il Generale. "Non è raro venir disarmati durante una battaglia o uno scontro, e in tal caso potreste non avere sufficiente tempo per riappropriarvi della vostra arma. In quel lasso di tempo si deciderà della vostra vita, quindi se ci tenente alla pelle vi conviene essere preparati!"
Azura ascoltò distrattamente come di consueto le sue parole, e non appena si convinse di aver tutte le parti dell'armatura ben aderenti al corpo, alzò lo sguardo.
I suoi occhi dorati vennero immediatamente attirati come da una calamita a uno sguardo gelido come il ghiaccio. Le ci volle qualche secondo per comprendere che in realtà non era lo sguardo a essere glaciale, bensì gli iridi su cui era capitata.
"Dovete anche tener conto dell'armatura, che talvolta può essere danneggiata, assente o tanto pesante da impedire movimenti agili e disinvolti."
Mentre Cyrus proseguiva la sua spiegazione, Azura apparve completamente assorta nell'attenta contemplazione del volto dell'uomo che di lì a poco avrebbe affrontato.
Aveva i capelli corti visibilmente fuori taglio, del colore dell'argento e dalla struttura piuttosto rigida che permetteva ai ciuffi finali di proiettarsi verso l'esterno e contrattare con la forza di gravità, specialmente all'altezza della nuca, da cui zampillavano i ciuffi più giovani. I lineamenti del volto erano marcati ma al contempo estremamente eleganti, coerenti con la sua corporatura che, seppur definita da una muscolatura piuttosto accentuata, restava molto snella, agile e longilinea. Era parecchio distante da lei, ma la capitana intuì che la differenza d'altezza era notevole, a occhio e croce anche più notevole di quella che aveva con i suoi compagni di divisione. E poi c'erano le sue iridi, talmente chiare da lasciar intravedere solo appena una sfumatura verde acqua, incastonate in due occhi dal taglio netto, sottile e affilato, come due schegge di ghiaccio. Aveva peraltro l'aria di essere uno tutto d'un pezzo, che sapeva esattamente cosa stesse facendo e che avesse tutto sotto controllo.
Quando il ragazzo sfoderò un sorriso piuttosto enigmatico in sua direzione mentre si sistemava i guanti rinforzati, la rossa sfoggiò un'espressione assolutamente indecifrabile.
"In questo caso in particolare potrete anche notare quanto un'armatura completa faccia la differenza tra due uomini.", proseguì il veterano al di là della recinzione.
Azura detestava quando usava il plurale maschile a parità di individui di genere diverso. Ma, in fondo, aveva cominciato ad abituarsi a quella definizione, fino a non darci più molto peso a meno che non si stesse riferendo unicamente a lei nello specifico.
Assunse la sua posizione di battaglia per il combattimento, e attese che anche il suo compagno di addestramento facesse lo stesso. La ragazza non era solo un asso nel corpo a corpo, ma ne era anche consapevole. Glielo si leggeva negli occhi: era convinta che il confronto si sarebbe consumato in pochi minuti decretando peraltro la sua vittoria, sebbene non avesse mai affrontato il suo collega capitano.
"Kelian, attacca per primo."
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