Parte 1

A/N: Lo so che ti avevo detto "2 parti", Maty. Ma, alla fine, ho scritto più di quanto avessi programmato. E anche con discreto anticipo (i miracoli della Forza!) perché tra un po' di giorni vado in vacanza e per tutta la restante parte di giugno non avrei avuto tempo per pubblicare un'H. Ti avverto che ti toccherà sorbirti un altro dei miei poemi, perdonami :(

Aveva invitato un amico per studiare insieme.

Lui, che si ritrovava una repulsione naturale per i libri di scuola impressa in ogni nanometro del suo DNA; tanto da non servirsene come tali, ma piuttosto come cuscini quando la sua testa crollava inevitabilmente sulla scrivania dopo appena dieci minuti passati a scorrere gli occhi sui caratteri delle pagine – non c'era di che meravigliarsi se erano ben tre volte che ripeteva il primo anno di college.

Lui, che a casa sua non invitava nessuno forse dai tempi delle medie e che comunque, a farsi degli amici degni di quel nome, non era mai stato bravo.

E ora che di anni ne aveva ventidue, era diventato cinico, freddo e odiosamente sarcastico, incapace sia di aprirsi agli altri sia semplicemente di parlarci – se non, piuttosto occasionalmente, per deriderli.

In realtà ci sarebbero state diverse ragazze disposte ad accettare più che volentieri la sua compagnia; bastava vedere gli sguardi ammalianti che gli lanciavano, i loro sorrisi patinati e il modo in cui si portavano una mano davanti alla bocca al suo passaggio.

Ma lui non ne voleva proprio sapere: corrispondeva pienamente alla definizione di "bello e impossibile", ma le obbediva solo in parte. Di fatto, non c'era nessuno che conosceva che non gli avesse attribuito almeno una volta l'aggettivo impossibile, a cominciare dalla madre, che però, nonostante tutto, gli voleva un bene dell'anima.

Eppure c'era una persona che non era finita nella lista nera di Han Solo.

Una con cui aprirsi e parlare era estremamente facile e in compagnia della quale il ragazzo non si sentiva così stupido e fuori posto come era sempre stato solito credere. Ed inutile dire lo stupore della signora Solo nell'apprendere la notizia della sua visita ed il fatto che fosse stato proprio suo figlio ad invitarlo.

Secondo la precedente forma mentis di Han, Luke Skywalker non corrispondeva affatto alla persona ideale con cui stringere amicizia. Anzi, la prima volta che lo aveva visto, tra il gregge spaurito dei ragazzi del primo anno – ai quali sapeva si sarebbe unito per l'ennesima volta –, gli era scappato un sorrisetto beffardo: camicia indaco chiaro, una pila di libri e quaderni tenuta goffamente tra le braccia ed indisciplinate ciocche bionde che gli ricadevano sugli occhi azzurri.

Lo aveva rivisto in classe, quando era entrato per ultimo e aveva preso posto, timidamente ma neanche così malvolentieri, al banco che ogni studente degno di quel nome si premura sempre di lasciar libero – primo, di fronte alla cattedra.

Da lì in poi, Han non aveva fatto più molto caso al suo nuovo compagno, anche perché l'ultimo banco non offriva una visuale ottimale della classe – cosa che non gli dispiaceva affatto. Ma non poté fare a meno di notare che, durante il pranzo alla mensa scolastica, Luke si era scelto un tavolo per conto suo – come, del resto, faceva sempre anche lui.

Non avrebbe mai voluto ammetterlo, ma quel ragazzo, un briciolo di pena, gliela faceva. Quello di invitarlo a sedersi con lui, però, fu un proposito che scartò non appena gli si affacciò in testa – non stava né in cielo né in terra!

Neanche a farlo a posta, nel giro di poco tempo il timido biondino si era accaparrato una sfilza di A ed A+ in almeno tre materie. E, secondo la filosofia di Han Solo, i secchioni erano gente da evitare come la peste.

Filosofia che apparentemente tutti gli altri suoi compagni di classe condividevano, dato che la vista di Luke che mangiava da solo divenne una desolante routine.

Ma un giorno Skywalker, preso coraggio, si era avvicinato al tavolo di Han con il vassoio in mano e, con un sorriso incerto, aveva iniziato a blaterare cose del tipo "Hey, ciao!", "Ti va se mi siedo con te?", "Non è che abbia molte persone con cui parlare... Neanche tu, mi pare...": aveva le tasche fin troppo piene della sua perenne condizione di emarginato per temere quel ragazzone tutto giacca di pelle nera, jeans strappati e occhi tempestosi e che evidentemente si trovava nella sua stessa situazione.

Dopo che nella sua testa erano turbinate almeno dieci imprecazioni diverse contro il nuovo venuto, Han aveva alzato la testa e, suo malgrado, il primo impatto con i vispi occhioni del ragazzino, più azzurri del cielo al primo albeggiare, lo aveva folgorato.

Tuttavia si era ben guardato dal rispondergli: si atteggiò, piuttosto, in un'espressione che esprimesse al meglio il concetto di "FATTI GLI STRAAFFARACCI TUOI E GIRA AL LARGO PRIMA DI BECCARTI UN CAZZOTTO".

Riteneva il silenzio più che eloquente. Ma o lo aveva dato troppo per scontato, oppure Luke, volente o nolente, era più cieco di una talpa. Infatti si era seduto ugualmente davanti a lui, solo per vedere Han, dopo circa trenta secondi passati a sorbirsi i suoi patetici tentativi di fare conversazione, alzarsi senza far troppi complimenti e scegliersi un altro tavolo dove poter mangiare in santa pace.

Non che isolarsi fosse il passatempo preferito di Solo, ma lo faceva da talmente tanto tempo che si era abituato a quella situazione e, in un certo senso, se l'era fatta piacere. Dunque, le poche volte in cui qualcuno faceva un passo avanti nella sua direzione, lui, prontamente, ne faceva due indietro, come se ubbidisse a qualche legge della fisica. Perché mai quel biondino aveva la presunzione di poter cambiare le carte in tavola?

Quello di quel giorno, però, fu solo l'inizio di una lunga serie, per Luke, di tentativi di approccio falliti. Che, alla fine, forse per vera compassione o per farla finita una volta per tutte, avevano convinto il reticente compagno a dargli una possibilità.

E, ironia della sorte, i due erano giunti all'instaurazione di una simpatia e, per ultimo, di un'amicizia.

Erano molto diversi tra loro, in altrettanti sensi. Eppure il loro legame rappresentava il connubio perfetto tra le loro personalità: l'impulsività di uno era sanata dalla riflessività dell'altro, l'esuberanza di uno dalla timidezza dell'altro, se uno si guadagnava una caterva di buoni voti, l'altro una caterva di F.

Ma quando erano insieme, si sentivano a proprio agio come con nessun altro ed accettati per quello che erano veramente, ovvero due ragazzi simpatici e di gran cuore, nonostante il primo amasse dimostrare il contrario e il secondo avesse ricevuto l'etichetta "da evitare" a causa di stupidi pregiudizi.

C'era voluto tempo, ma alla fine i due erano diventati inseparabili: ridevano, scherzavano, si raccontavano i loro segreti più intimi, erano vicini di banco in classe e condivisori dello stesso tavolo a mensa, giocavano a footballpur sapendo che Han avrebbe vinto 7 a 1 e che l'unico punto di Luke sarebbe stata una gentile concessione dell'amico.

Ma, stavolta, al punto "Invita il tuo amico a trascorrere un pomeriggio a casa tua" della lista delle cose da fare insieme, era stato proprio Han ad apporre una spunta.

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